Massima |
Ai sensi dell’art. 18 della L. 300/1970, il risarcimento del danno per il periodo intercorrente tra il licenziamento illegittimo e la sentenza di annullamento del medesimo si identifica – quanto al danno eccedente le cinque mensilità dovute per legge – nelle retribuzioni non percepite, salvo che il dipendente provi di aver subito un danno maggiore o che il datore di lavoro provi l’aliunde perceptum o la sussistenza di un fatto colposo del lavoratore in relazione al danno che il medesimo avrebbe potuto evitare usando la normale diligenza. A tale ultimo fine può assumere rilievo anche la mancata iscrizione nelle liste di collocamento, ma non come circostanza di per sè sola sufficiente a ridurre il danno risarcibile, bensì come circostanza valutabile nell’ambito dell’intera condotta del lavoratore, tenendo conto altresì delle effettive e concrete possibilità di nuova occupazione. |
1. Questione
Il lavoratore ha impugnato il licenziamento intimatogli dalla datrice di lavoro in relazione ad un episodio contestatogli quale grave insubordinazione e consistito nell’uso di espressioni volgari e minacciose nei confronti del legale rappresentante dell’Azienda datrice di lavoro.
La domanda, respinta in primo grado, veniva accolta dalla Corte di appello, affermando che non era configurabile nella specie alcun atto di insubordinazione, poichè la reazione inconsulta del ricorrente era addebitabile ad una sua malintesa modalità di ottemperare ai compiti assegnatigli; una prospettiva, pertanto, esattamente opposta a quella del soggetto che rifiuta di adempiere i propri doveri. Non vi era stata l’inosservanza di un comando impartito dal superiore gerarchico, ma solo la manifestazione della scelta di svolgere l’attività di somministrazione del mangime al bestiame, da cui era scaturita la discussione con il fratello. Non vi era prova dell’asserito contegno aggressivo del lavoratore, essendo rimasto indimostrato l’asserito gesto di aggredire il legale rappresentante dell’azienda. Quanto all’utilizzo di frasi scurrili e minacciose, il comportamento, pur dovendo ritenersi grave e sanzionabile, non poteva integrare l’ipotesi contestata della grave insubordinazione; il fatto era rimasto un episodio occasionale, proveniente da un soggetto del quale erano note le problematiche in tema di disagio e difficoltà di ordine psichiatrico; non vi erano precedenti disciplinari; dunque la sanzione appariva non proporzionata al fatto commesso. La Corte condannava la societa’ appellata a reintegrare l’appellante nel posto di lavoro e a corrispondergli, a titolo risarcitorio, tutte le retribuzioni maturate dal licenziamento alla effettiva reintegra.
Il datore di lavoro ha proposto ricorso per cassazione, che è stato respinto.
2. Risarcimento del danno ed aliunde perceptum
Spetta al datore di lavoro che contesti la richiesta del lavoratore di risarcimento del danno, causatogli dall’illegittima estromissione dall’organizzazione aziendale e dalla conseguente mancata retribuzione, di provare l’”aliunde perceptum”; nessun altro onere probatorio può infatti essere posto a carico del lavoratore, siccome il fatto che riduce l’entità del danno presunto è costituito proprio dalle somme percepite dal lavoratore per effetto della nuova occupazione reperita (ovvero per altro titolo) e grava esclusivamente sul datore di lavoro l’onere di provare, pur con l’ausilio di presunzioni semplici, l’aliunde perceptum o l’aliunde percipiendum, allo scopo di conseguire il ridimensionamento della quantificazione del danno (vedi Cass. 19 gennaio 2006, n. 945; 5 aprile 2004, n. 6668; 8 giugno 1999, n. 5662). Nè l’obiettiva difficoltà, in cui si trovi la parte, di fornire la prova del fatto costitutivo del diritto vantato può condurre ad una diversa ripartizione del relativo onere della prova, che grava, comunque, su di essa; nè, d’altro canto, la circostanza che detta prova difetti a causa della mancata collaborazione della parte che ha interesse contrario alla prova stessa, implica che questa debba considerarsi acquisita e la domanda debba essere accolta (Cass. 2 settembre 2005, n. 17702).
Inoltre, va osservato, da un lato, che l’aliunde perceptum, da detrarre dal risarcimento del danno spettante al lavoratore illegittimamente licenziato e commisurato alle retribuzioni maturate nel periodo tra il licenziamento e il reinserimento nel posto di lavoro, si riferisce ai compensi conseguiti dal lavoratore reimpiegando la capacità di lavoro non impegnata nell’attività cessata a causa del licenziamento illegittimo, senza che rilevi la natura delle somme percepite, se cioè retributiva o assistenziale, e neppure se tali redditi siano assoggettabili a contribuzione (Cass. 28 maggio 2003 n. 8494);
dall’altro lato, che l’aliunde perceptum non integra un’eccezione in senso stretto e, pertanto, è rilevabile dal giudice anche in assenza di un’eccezione di parte in tal senso, ovvero in presenza di un’eccezione intempestiva, semprechè la rioccupazione del lavoratore costituisca allegazione in fatto ritualmente acquisita al processo, anche se per iniziativa del lavoratore e non del datore di lavoro (Cass. 21 aprile 2009 n. 9474).
3. Orientamento giurisprudenziale ed indennità non rientranti nell’aliunde perceptum
La giurisprudenza di legittimità ha affermato che:
– le indennità previdenziali non possono essere detratte a titolo di aliunde perceptum dal risarcimento dovuto al lavoratore a seguito del licenziamento illegittimo, deponendo in tal senso sia la diversità dei titoli di erogazione, sia dei soggetti obbligati alla prestazione. Infatti l’indennità di mobilità viene erogata per finalità di assistenza e solidarietà sociale da un ente pubblico (che è l’unico legittimato a chiederla in restituzione) laddove il risarcimento del danno per effetto del licenziamento illegittimo compete al datore di lavoro (il quale non può avvantaggiarsi di misure a sostegno del lavoratore): Trib. Latina, 10 febbraio 2010;
– in tema di conseguenze patrimoniali derivanti dal licenziamento illegittimo in costanza di un rapporto di lavoro part-time, quanto percepito in conseguenza di altra e diversa attività lavorativa, per un orario di lavoro ulteriore, non costituisce “aliunde perceptum” per integrare il quale si dovrebbe allegare e dimostrare la sussistenza di una diversa fonte di guadagno, sostitutiva della retribuzione dovuta dal datore di lavoro receduto dal rapporto part-time (Cass. civ., Sez. lavoro, 21 aprile 2009, n. 9474);
– l’indennità di mobilità, corrisposta per finalità di assistenza e di solidarietà sociale da un ente pubblico, non può essere detratta, a titolo di aliunde perceptum, dal risarcimento del danno spettante al lavoratore a norma dell’art. 18 della L. 300/1970, in ipotesi di licenziamento illegittimo (Cass. civ., Sez. lavoro, 16 marzo 2009, n. 6342).
Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.
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