Massima |
Ai sensi dell’art. 3 della L. 604/1966, perché il licenziamento sia legittimo è necessario che il datore di lavoro dimostri sia la reale sussistenza delle esigenze aziendali poste a base del recesso e il nesso di causalità tra le stesse e la soppressione del posto, sia l’impossibilità di adibire il lavoratore ad una mansione diversa da quella per la quale era stato assunto, nel rispetto dei limiti “delius variandi”. |
1. Questione
La Corte di Appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato al lavoratore e, per l’effetto, condannava i due datori di lavoro alla riassunzione della stessa entro tre giorni o, in mancanza, al pagamento di un’indennità pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Riteneva che erroneamente il giudice di primo grado avesse considerata affetta da genericità la lettera di contestazione che aveva preceduto il recesso per giustificato motivo oggettivo, connesso alla perdita di un importante cliente dello studio legale in cui lavorava come segretaria, ma che, in ogni caso, i datori di lavoro non avevano dedotto o provato in quale modo la perdita del cliente avesse inciso sull’attività dello studio, né le perdite idonee a giustificare un riassetto organizzativo. I due datori di lavoro ricorrono per cassazione, con unico motivo.
Con l’unico motivo di impugnazione, uno dei datori di lavoro denunzia violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360, n. 3 e 5, c.p.c., degli artt. 2 e 3 della legge 604/66, sostenendo che la lavoratrice aveva richiesto la specificazione dei motivi, non risultando in alcun modo intellegibili i medesimi dalla lettera di licenziamento e che proprio la decisione della Corte di Appello, che aveva rilevato la genericità delle deduzioni dei datori di lavoro ai fini della individuazione del motivo oggettivo del recesso, confermava la tesi dell’inefficacia dello stesso come prospettata ai sensi dell’art. 2, secondo comma, della legge 604/66.
Il ricorso alla Corte di Cassazione viene rigettato.
2. Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: ipotesi
Nell’ipotesi in esame, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte imprenditoriali (iutelate dall’art.41 Cost.), è tuttavia necessario, perché il licenziamento sia legittimo, che il datore di lavoro dimostri, ai sensi dell’art. 5 della L. 604/1966, sia la reale sussistenza delle esigenze aziendali poste a base del recesso e il nesso di causalità tra le stesse e la soppressione del posto, sia l’impossibilità di adibire il lavoratore ad una mansione diversa da quella per la quale era stato assunto, nel rispetto dei limiti del ius variandi (cfr., tra le tante, Cass. 29 marzo 2001, n. 4670; Cass. 4 maggio 1991, n. 4891; Cass. 24 gennaio 1987, n. 675; Cass. 6 dicembre 1984, n. 6450).
Dunque, se pur è vero che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni tecniche, organizzative o produttive è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., tuttavia sul datore di lavoro incombe l’onere di fornire la prova della effettiva sussistenza del motivo addotto e quindi, nell’ipotesi di licenziamento riconducibile ad un riassetto organizzativo dell’impresa, della effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto.
Sul punto rimane sempre valido ed attuale il principio posto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 4164 del 1991 in base al quale nel nostro ordinamento, che sancisce, nel limiti della L. 604/1966, il principio della stabilità del rapporto di lavoro privato a tempo indeterminato, il riassetto organizzativo dell’azienda in tanto costituisce giustificato motivo oggettivo di licenziamento in quanto integri le previsioni di cui all’art. 3 della Legge suddetta. E pertanto il massimo consesso di questa Corte ha rilevato che “non basta, in merito, un generico programma di riduzione dei costi: la tutela di quella stabilità potrebbe praticamente vanificarsi, perchè la legge vuole, per il superamento della regola della stabilità stessa, “ragioni” che “giustifichino” il licenziamento, e cioè cause che con il loro peso si impongano sulla esigenza di stabilità e, come tali, siano serie e non convenientemente eludibili. Il che comporta che il datore di lavoro deve fornire la prova delle ragioni poste a fondamento del dedotto riassetto organizzativo dell’azienda e della effettività del relativo processo.
Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.
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