Licenziamento per scarso rendimento
Massima
In tema di licenziamento, ricorre l’ipotesi dello scarso rendimento qualora sia risultato provato sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione dei lavoratori e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività fra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione.
1. Questione
La Corte d’appello, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento disposto dalla società cooperativa nei confronti del lavoratore; di conseguenza, ha ordinato la reintegra del lavoratore nel posto di lavoro ed ha condannato la società al pagamento delle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegrazione, con gli accessori di legge.
Ha osservato la Corte territoriale che il licenziamento, così come osservato dal giudice di primo grado, era stato disposto per scarso rendimento ai sensi dell’art. 27 R.D. n. 148 del 1931, e non già per motivi disciplinari, come era dimostrato dal fatto che, nel settore trasporti, il licenziamento per scarso rendimento era regolato in un capo diverso da quello disciplinare; che tuttavia non era condivisibile l’assunto del Tribunale, secondo cui il recesso fosse giustificato. Ed infatti non ricorreva nella specie una evidente violazione della diligente collaborazione richiesta al dipendente, atteso che delle dodici condotte contestate al lavoratore, asseritamente dimostrative dello scarso rendimento, alcune non avevano avuto incidenza sul regolare svolgimento delle mansioni di autista affidate al Passatelli e sul suo rendimento, altre erano generiche.
Ha proposto ricorso per cassazione la società cooperativa per due motivi:
1) si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 27, primo comma, lettera d), R.D. n. 148 del 1931, all. A. Rileva che il rapporto di lavoro degli autoferrotranviari è disciplinato da una normativa speciale costituente un corpus compiuto ed organico, onde la sentenza impugnata avrebbe dovuto tener conto soltanto delle specifiche norme che regolano tale tipo di rapporto. Detta normativa prevede che l’azienda può far luogo all’esonero definitivo del lavoratore, tra l’altro, nell’ipotesi di scarso rendimento o per palese insufficienza imputabile a colpa dell’agente nell’adempimento delle funzioni, condotte queste che devono essere valutate non singolarmente, ma nel loro complesso al fine di accertare se sono idonee ad incidere sulla regolarità del servizio. La sentenza impugnata non solo non si è attenuta a tali criteri, ma ha ritenuto che la risoluzione del rapporto potesse essere giustificata solo in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, cioè di non scarsa importanza. Viceversa, lo scarso rendimento ricorre “indipendentemente dalla gravità della colpa”, atteso che “l’inosservanza di norme comportamentali rileva, nell’adozione del provvedimento, non già di perse ma piuttosto quale fattore causale dello scarso rendimento”;
2) si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 27, primo comma, lettera d), R.D. n. 148 del 1931 e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Rileva che le condotte contestate al lavoratore erano quindici e non già dodici, per la maggior parte sanzionate con provvedimenti disciplinari conservativi; che le deposizioni testimoniali hanno confermato le gravi e reiterate mancanze poste in essere dal lavoratore, comprovanti la inidoneità della prestazione lavorativa a garantire il normale rendimento richiesto dalle mansioni di un conducente di linea. La Corte territoriale, nel non attribuire notevole rilevanza a tali condotte, ha erroneamente valutato le risultanze processuali, non tenendo conto che le pregresse sanzioni disciplinari costituivano esse stesse fattori di scarso rendimento, incidendo negativamente sul normale espletamento del servizio.
La Cassazione rigetta il ricorso.
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2. Orientamento giurisprudenziale e licenziamento per scarso rendimento
La Corte ha correttamente applicato il principio desunto dalla giurisprudenza in merito all’individuazione dei parametri di valutazione dello scarso rendimento come forma di inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore; in particolare la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto “legittimo il licenziamento intimato per scarso rendimento qualora sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione” ex plurimis, Cass. n. 3876/2006, che, nella parte in cui ritiene corretto assumere quale parametro della diligente collaborazione gli obiettivi fissati dai programmi di produzione e inammissibile (in quanto non sorretta dalla indicazione di concrete circostanze di fatto idonee a confutare l’accertamento compiuto in ordine all’imputabilità dell’inadempimento) la censura relativa alla mancata prova da parte del datore di lavoro della negligenza del lavoratore attribuisce valore decisivo – ai fini dell’imputabilità dell’inadempimento – alla rilevante sproporzione tra gli obiettivi fissati, la produttività superiore degli altri colleghi e quanto dal lavoratore effettivamente realizzato. Per quanto concerne, specificamente, il profilo della prova della negligenza del prestatore di lavoro, detta negligenza può essere provata anche solo attraverso presunzioni (Cass. n. 8759/1987, Cass. n. 6747/2003), tenuto sempre conto che la prova circa la sussistenza dell’inadempimento costituisce una valutazione di fatto che spetta al Giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata. Nella specie, la motivazione della sentenza impugnata resiste alle censure formulate dal ricorrente – nonostante il notevole impegno del suo difensore – rimarcandosi che la valutazione delle risultanze probatorie rientra nell’attività istituzionalmente riservata al Giudice di merito non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. n. 322/2003).
Pervero, il Giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un’esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati e non accolti, anche se allegati, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati.
Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.
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