Una delicata questione affrontata dalla Suprema Corte anche recentemente riguarda l’ammissibilità del controllo del datore di lavoro nei confronti del lavoratore in relazione a quanto previsto dall’articolo 4 della Legge n.300 del 20.5.1970.
Tale norma vieta, al primo comma, l’uso degli impianti audiovisivi e delle altre apparecchiature aventi finalità di controllo a distanza dell’attività lavorativa e, al secondo comma, disciplina le modalità di adozione di impianti ed apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive o dalla sicurezza del lavoro, subordinandola ad un accordo con le R.S.A. o a specifiche disposizioni dell’Ispettorato del Lavoro.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 15982 del 17.7.2007, ha chiarito che l’articolo 4 dello Statuto “fa parte di quella complessa normativa diretta a contenere in vario modo le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro che, per le modalità di attuazione incidenti nella sfera della persona, si ritengono lesive della dignità e della riservatezza del lavoratore….sul presupposto – espressamente precisato nella Relazione ministeriale – che la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell’organizzazione produttiva, vada mantenuta in una dimensione umana, e cioè non esasperata dall’uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomina nello svolgimento del lavoro”.
Nella pronuncia in esame la Suprema Corte ha, inoltre, osservato che la garanzia procedurale prevista per impianti ed apparecchiature ricollegabili ad esigenze produttive contempera “l’esigenza di tutela del diritto dei lavoratori a non essere controllati a distanza e quello del datore di lavoro o, se si vuole, della stessa collettività, relativamente alla organizzazione, produzione e sicurezza del lavoro, individuando una precisa procedura esecutiva e gli stessi soggetti ad essa partecipi”. La possibilità di tali controlli si ferma, dunque, dinanzi al diritto alla riservatezza del dipendente, al punto che la pur insopprimibile esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti “non può assumere portata tale da giustificare un sostanziale allineamento di ogni forma di garanzia della dignità e riservatezza del lavoratore. Tale esigenza…non consente di espungere dalla fattispecie astratta i casi dei c.d. controlli difensivi ossia di quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori quando tali comportamenti riguardino…l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela di beni estranei al rapporto stesso, ove la sorveglianza venga attuata mediante strumenti che presentano quei requisiti strutturali e quelle potenzialità lesive, la cui utilizzazione è subordinata al previo accordo con il sindacato o all’intervento dell’Ispettore del lavoro”.
La Corte di Cassazione aveva, in un primo momento, ritenuto i “controlli difensivi” legittimi in ogni caso, a prescindere cioè dal loro grado di invasività (Cass. n. 4746 del 3.4.2002).
Con una successiva pronuncia la Corte ha tuttavia superato tale impostazione, affermando che anche il controllo difensivo richiede il vaglio della procedura contrattuale con le organizzazioni sindacali o autorizzativa dell’Ispettorato del lavoro, essendo “un controllo c.d. preterintenzionale che rientra nella previsione del divieto flessibile di cui all’articolo 4 comma secondo” (Cass. n. 4375 del 23.2.2010). Tale nuovo orientamento è stato da ultimo confermato dalla Corte con la recente pronuncia n. 16622 del 1^ ottobre 2012 (“In tema di controllo del lavoratore, le garanzie procedurali imposte dal comma secondo dell’articolo 4 della Legge n.300/1970 (espressamente richiamato anche dall’articolo 114 del D.lgs. 196/2003 e non modificato dall’articolo 4 della legge 547/1993, che ha introdotto il reato di cui all’articolo 615 ter del cpc) per l’installazione di impianti e apparecchiature di controllo richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, trovano applicazione anche ai controlli cosiddetti “difensivi”, ovverosia a quei controlli diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela di beni estranei al rapporto stesso”).
Non rientra peraltro nel campo di applicazione dell’articolo 4, il controllo posto in essere dal datore di lavoro sulle strutture informatiche aziendali, qualora l’attività di controllo prescinda dalla sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa degli addetti e sia, invece, unicamente diretta ad accertare la perpetrazione di eventuali comportamenti illeciti dagli stessi posti in essere.
Tale principio è stato recentemente affermato dalla Corte di Cassazione in un caso di “controllo difensivo” del datore di lavoro che non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, ma era destinato ad accertare un comportamento dei dipendenti che poteva porre in pericolo la Società (Cass., Sez. lavoro, sentenza 23.2.2012, n. 2722).
Nel caso affrontato dalla Suprema Corte, il datore aveva compiuto il suo accertamento ex post, ovvero dopo l’attuazione del comportamento addossato al dipendente, quando erano emersi elementi di fatto tali da raccomandare l’avvio di un’indagine retrospettiva. Il datore di lavoro aveva posto in essere un’attività di controllo sulle strutture informatiche aziendali che prescindeva dalla pura e semplice sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa degli addetti ed era, invece, diretta ad accertare la perpetrazione di comportamenti illeciti posti in essere.
Per tali ragioni il “controllo difensivo” è stato ritenuto estraneo al campo di applicazione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, in quanto non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro, essendosi verificato un comportamento che poneva in pericolo la Società. In tal caso entrava in gioco il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio, costituito non solo dal complesso dei beni aziendali ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico. Tale situazione è stata dunque ritenuta non rientrante nel campo di applicazione dell’articolo 4 dello Statuto, che esclude dai controlli vietati quelli aventi ad oggetto la tutela di beni estranei al rapporto di lavoro.
In conclusione, alla luce del quadro giurisprudenziale sopra rappresentato, è prospettabile quanto segue:
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Nel caso in cui il controllo del datore di lavoro avvenga in forma occulta e non sia cioè rilevabile dal lavoratore, il quale subirà un controllo a distanza avente unicamente ad oggetto l’attività lavorativa, la procedura sarebbe vietata dal primo comma dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori.
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Nella differente ipotesi in cui la procedura abbia, tra i propri fini, quello primario di prevenire e/o proteggere la sicurezza dell’azienda, delle sue informazioni e file e, soltanto in via secondaria e sussidiaria, quello di consentire pure il controllo della prestazione lavorativa, il controllo potrebbe essere consentito, ma nel rispetto delle modalità previste dal secondo comma dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (cioè con un accordo con le R.S.A. o specifiche disposizioni dell’Ispettorato del Lavoro).
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La procedura potrebbe essere invece legittima e non rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 4 dello Statuto qualora non riguardi invece in alcun modo l’attività lavorativa ma sia unicamente diretta ad accertare, seppur in modo occulto, eventuali condotte illecite del lavoratore e, in particolare, risulti indispensabile per la tutela del patrimonio aziendale.
A quest’ultimo riguardo si deve peraltro rilevare la difficoltà operativa di predisporre una procedura di controllo che, a priori, escluda l’attività lavorativa per concentrarsi esclusivamente sugli illeciti.
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