I limiti di impignorabilità di cui all’art. 545 c.p.c. rilevano anche per il sequestro preventivo
[Riferimenti normativi: Cod. proc. civ., art. 545; Cod. proc. pen., art. 321 e ss.; Disp. att. cod. proc., art. 104, co. 1, lett. a)]
1. La questione
Il Tribunale del riesame di Monza rigettava una istanza di dissequestro proposta avverso un decreto emesso dal Gip del medesimo tribunale.
Ciò posto, avverso il provvedimento summenzionato il difensore dell’indagato proponeva ricorso per Cassazione che, tra le argomentazioni ivi addotte, deduceva violazione dell’art. 545 cod. proc. civ., richiamato dall’art. 104 disp. att. cod. proc. pen., attesa la mancata restituzione delle somme sequestrate, siccome non eccedenti i limiti stabiliti ai sensi della norma procedurale appena citata, con riferimento alla pignorabilità di somme dovute a titolo di stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, con particolare riguardo alla relativa pignorabilità per il solo importo eccedente il triplo dell’assegno sociale.
2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il ricorso proposto fondato.
In particolare, gli Ermellini reputavano come il giudice di merito non avesse tenuto conto del principio per cui l’art. 545 c.p.c. costituisce espressione di una regola generale che deve trovare applicazione anche con riferimento all’esecuzione derivante dal sequestro preventivo, in ragione della sua diretta discendenza da principi di ordine costituzionale, più volte correttamente posta in evidenza dalla stessa Corte di Cassazione, nonché dalla Corte costituzionale.
Difatti, ad avviso del Supremo Consesso, con la necessità di una lettura costituzionalmente orientata delle norme in materia di sequestro preventivo finalizzate alla confisca, volta ad assicurare l’operatività, anche in tali casi, dei medesimi limiti di sequestrabilità e pignorabilità di cui all’art. 545 cit., sebbene (a differenza dell’art. 316 c.p.p. in tema di sequestro conservativo) non richiamati espressamente (Sez. 1, n. 41905 del 23/9/2009), in quanto idonei a garantire al lavoratore un minimo vitale per le sue esigenze primarie (Sez. 3, n. 17386 del 7/12/2018, dep. 2019, e Sez. 3, n. 15099 del 22/3/2016) fermo restando che, in un tale contesto, non osta il mero mancato richiamo, nella disposizione dell’art. 321 c.p.p., ai “limiti” entro i quali la legge consente il pignoramento dei beni, testualmente presente, invece, nel comma 1 dell’art. 316 c.p.p. in tema di sequestro conservativo e valorizzato ai fini della propugnata impermeabilità del sequestro preventivo per equivalente alle disposizioni dell’art. 545 c.p.c., tenuto conto del fatto che un tale mancato richiamo appare invece del tutto spiegabile, ove si abbia riguardo all’art. 104 disp. att. c.p.p. che, nel regolare l’esecuzione del sequestro preventivo, dispone che la stessa abbia luogo, con riferimento ai beni mobili e ai crediti, nelle “forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili”.
Orbene, a fronte di ciò, i giudici di piazza Cavour prendevano atto come il Tribunale non avesse invece tenuto conto della correlata necessaria esclusione che la confusione delle somme, corrisposte a titolo di emolumenti retributivi o pensionistici, con il restante patrimonio immobiliare, come un qualcosa che potesse avere una valenza ostativa all’applicazione dei limiti.
Al contrario, le Sezioni Unite hanno precisato che l’interpretazione della norma processual-civilistica ex art. 545 c.p.p., per cui essa non sarebbe operante laddove le somme di denaro, accreditate sul conto corrente, finiscano per perdere la loro identità perché confuse nel patrimonio del lavoratore o pensionato, appare dissonante rispetto al complessivo assetto normativo dell’art. 545 c.p.c., come definito all’esito della entrata in vigore della L. 6 agosto 2015, n. 132 di conversione del D.L. 27 giugno 2015, n. 83, che ha inserito, nella norma, il comma 8, specificamente dedicato proprio alle somme accreditate su conto corrente bancario o postale intestato al lavoratore, posto che, nel precedente regime, si era affermato che le somme accreditate fossero sottoposte all’ordinario regime dei beni fungibili secondo le regole del contratto di deposito irregolare ex art. 1782 c.c., in virtù del quale le somme versate perdono appunto la loro identità di crediti lavorativi o pensionistici, si dà farne derivare, anche a fronte del principio generale della responsabilità patrimoniale del debitore di cui all’art. 2740 c.c., l’inapplicabilità dei limiti di pignorabilità dipendenti dal titolo degli accrediti (si veda, tra le altre, Cass. civ., Sez. L., n. 26042 del 17/10/2018), fermo restando che tale indiscriminata pignorabilità, delle somme accreditate su conto corrente a titolo di emolumenti retributivi o di trattamenti pensionistici, era stata successivamente oggetto della sentenza della Corte costituzionale n. 85 del 2015, fondamentalmente risoltasi, pur a fronte di una formale pronuncia di inammissibilità, in una sollecitazione al legislatore ad intervenire a tutela delle esigenze di vita del debitore esecutato.
Di qui, dunque, la successiva introduzione, nell’art. 545 cit., del comma 8, che superando, con riferimento a tali specifici crediti qualificati, il principio di “confusione” conseguente all’accredito in conto corrente bancario o postale delle somme corrisposte dal datore di lavoro o dall’istituto previdenziale, ha previsto un regime di parziale impignorabilità, differenziato proprio in base al momento dell’accredito: se anteriore al pignoramento, dette somme possono essere pignorate solo per l’importo eccedente il triplo della pensione sociale; se, invece, l’accredito avvenga alla data del pignoramento o in data successiva, dette somme possono essere pignorate entro i limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e comma 7, nonché dalle speciali disposizioni di legge.
Anche in tal caso, le somme eccedenti detti limiti sono considerate nella piena disponibilità del debitore e, dunque, pignorabili.
Tal che se ne faceva conseguire come sia la stessa regolazione normativa a considerare non dirimente, ai fini dell’applicabilità dei limiti di pignorabilità, il momento dell’accredito delle somme, idoneo invece solo a differenziare l’entità delle predette limitazioni.
Oltre a ciò, era altresì sottolineato che alla operatività dell’art. 545 citato si accompagna, sul piano probatorio, la necessità che risulti attestata la causale dei versamenti, ovvero, in altri termini, sia certo che le somme interessate siano riconducibili ad emolumenti corrisposti nell’ambito del rapporto di lavoro o d’impiego (cfr. in motivazione Sez. U – n. 26252 del 24/02/2022).
Infine, si riteneva parimenti doveroso rilevare, posta la citata irrilevanza della “confusione“, nella tematica in esame, tra elementi mobiliari, come non appaia logicamente e giuridicamente coerente la rilevazione del Tribunale circa la mancata allegazione di un estratto conto, inerente il conto corrente interessato dal sequestro, attestante la circostanza del mancato transito sul medesimo dei fondi indebitamente percepiti a titolo di reddito di cittadinanza.
Di conseguenza, l’ordinanza impugnata era annullata con rinvio al Tribunale di Monza per nuovo giudizio, alla luce dei principi suesposti.
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3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse, essendo ivi postulato che i limiti di impignorabilità di cui all’art. 545 cod. proc. civ.[1] rilevano anche per il sequestro preventivo.
Difatti, posto che, come è noto, l’art. 545 cod. proc. civ. norma quali crediti sono impignorabili, e visto che, come è altrettanto noto, l’art. 104, co. 1, lett. a), disp. att. cod. proc. pen. prevede che il “sequestro preventivo è eseguito: (…) sui mobili e sui crediti, secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili”, con la decisione in esame si afferma che il principio per cui questa norma del codice di procedura civile costituisce espressione di una regola generale che deve trovare applicazione anche con riferimento all’esecuzione derivante dal sequestro preventivo, a nulla rilevando, in senso contrario, il mero mancato richiamo, nella disposizione dell’art. 321 cod. proc. pen., ai “limiti” entro i quali la legge consente il pignoramento dei beni, testualmente presente, invece, nel comma 1 dell’art. 316 cod. proc. pen., in tema di sequestro conservativo, e valorizzato ai fini della propugnata impermeabilità del sequestro preventivo per equivalente alle disposizioni dell’art. 545 cod. proc. civ..
Invero, un tale mancato richiamo è, per la Corte di legittimità, del tutto spiegabile ove si abbia riguardo all’art. 104 disp. att. cod. proc. pen. che, nel regolare l’esecuzione del sequestro preventivo, dispone che la stessa abbia luogo, con riferimento ai beni mobili e ai crediti, nelle “forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili“.
Di conseguenza, alla stregua di questo approdo ermeneutico, ben si potrà impugnare un provvedimento che, nel disporre il sequestro preventivo, non abbia tenuto conto di siffatti limiti, nei modi e nelle forme previste dal codice di rito penale.
Ad ogni modo il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.
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Ai sensi del quale: “1. Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti e sempre con l’autorizzazione del presidente del tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto. 2. Non possono essere pignorati crediti aventi per oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie e funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. 3. Le somme dovute dai privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento, possono essere pignorate per crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato. 4. Tali somme possono essere pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito. 5. Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre la metà dell’ammontare delle somme predette. 6. Restano in ogni caso ferme le altre limitazioni contenute in speciali disposizioni di legge. 7. Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennita’ che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dell’assegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare e’ pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonche’ dalle speciali disposizioni di legge. 8. Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, quando l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l’accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge. 9. Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L’inefficacia è rilevata dal giudice anche d’ufficio”.
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