L’impatto degli “smart contracts” sulla disciplina generale del contratto

Stefania Ambra 13/09/22
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Lo scopo della seguente pubblicazione è quello di analizzare l’istituto dello smart contract, sempre più diffuso nella prassi applicativa, grazie al dilagante sviluppo della tecnologia blockchain.

In particolare, si esamineranno le origini, le caratteristiche, la natura, le funzioni ed i principali risvolti applicativi che gli smart contracts presentano nel contesto della tradizionale disciplina del diritto dei contratti.

    Indice

  1. Gli smart contracts: origini, caratteristiche e funzionamento
  2. La natura giuridica: gli smart contracts sono realmente dei “contratti intelligenti”?
  3. Le principali funzioni: pro e contro dell’utilizzo degli smart contracts
  4. Le principali ipotesi applicative
  5. Gli effetti dello smart contract, il ruolo dell’oracolo e la compatibilità con la disciplina della condizione

1. Gli smart contracts: origini, caratteristiche e funzionamento

Gli smart contracts sono stati oggetto di sperimentazione a partire dagli anni ’90 e sono stati resi noti dal giurista e crittografo Nick Szabo.

Quest’ultimo, più precisamente, ha pubblicato, nel 1996, il documento “Smart Contracts: Building Blocks for Digital Free Markets”, con cui in maniera piuttosto dettagliata ha chiarito, per la prima volta, cosa fossero gli smart contracts.

Sebbene siffatto documento ha, senza dubbio, rappresentato una delle basi logiche del moderno commercio elettronico, tuttavia, all’epoca della sua pubblicazione, l’infrastruttura tecnologica esistente non consentì di dare concretezza alle teorizzazioni in esso contenute.

Solo più di recente gli smart contracts sono divenuti il fulcro di numerosi dibattiti, non solo per i plurimi contesti in cui gli stessi possono trovare applicazione, ma anche perché costituiscono una delle numerose declinazioni del crescente fenomeno della “blockchain”, che sempre più si sta imponendo sulla scena internazionale.

Gli smart contracts sono disciplinati dall’art. 8-ter D.L. n. 135/2018, convertito con L. n. 12/2019 e si contraddistinguono per il fatto di costituire degli “script”, ossia dei codici informatici, che dettano delle regole e dei comandi, che le parti devono obbligatoriamente osservare al momento di uno scambio, affinché la transazione venga eseguita in maniera automatizzata.

La caratteristica principale di siffatti contratti è che l’operazione potrà essere effettuata peer-to-peer, ossia in modo diretto tra due utenti, senza l’intermediazione di una entità centrale di controllo e di verifica, che ad esempio stabilisca i tassi di cambio.

Tutto ciò è reso possibile grazie al ricorso alla tecnologia della “blockchain (letteralmente “catena di blocchi”), per mezzo della quale gli input e output derivanti dal contratto diventano blocchi di linguaggio crittografato, memorizzati su un registro pubblico (c.d. ledger), che sfrutta le caratteristiche di una rete informatica di “nodi” (i vari soggetti partecipanti), i cui dati sono gestiti ed aggiornati in modo univoco e sicuro e non possono essere snaturati, né modificati.

In altri termini, la blockchain è come un libro mastro, nel cui sistema vengono registrate delle operazioni, condivise tra più nodi, che non possono essere in alcun modo alterate e manomesse.

È proprio l’immutabilità dei dati nella blockchain che consente di creare un rapporto di fiducia, in un ambito totalmente disintermediato, tra parti che, pur non conoscendosi affatto, vogliono effettuare delle transazioni ed operazioni finanziarie.

Nello specifico, accade che due o più soggetti, che identificano un interesse comune, pongono in essere uno smart contract, prevedendo al suo interno delle clausole contenenti le condizioni e gli effetti desiderati.

Lo smart contract utilizza la formula “se accade questo/allora si verifica quello” (“if this/then that”), in forza della quale, al verificarsi di un dato evento (this), si producono certi effetti (that), i quali sono predeterminati dalle parti medesime, sulla base di istruzioni rigide (ad esempio, se c’è una scadenza, allora viene eseguito automaticamente il pagamento).

Successivamente, le parti inseriscono lo smart contract nella blockchain prescelta, che, a sua volta, diventa il garante del contratto, e fa sì che le istruzioni ad essa conferite non siano più modificabili.

A questo punto lo smart contract entra a far parte di un blocco (identificato da un codice hash), che viene validato dai nodi, ossia dai partecipanti alla blockchain, i quali sono chiamati a prestare il proprio consenso.

Ottenuto quest’ultimo, il blocco viene aggiunto alla catena, immutabile e certificata.

Il contratto, in questo modo, acquista la capacità di far rispettare le proprie clausole e di avere pronta ed immediata esecuzione, non appena si verificano le condizioni concordate, senza, peraltro, che le parti debbano porre in essere verifiche o attivare procedure cartacee o manuali.

Ad esempio, se una clausola prevede che una parte, in caso di inadempimento, debba versare una somma di denaro all’altra, nel momento in cui si verifica tale circostanza, la somma pattuita a titolo di penale verrà versata automaticamente dal conto del soggetto inadempiente a quello della controparte adempiente.

2. La natura giuridica: gli smart contracts sono realmente dei “contratti intelligenti”?

Chiariti le caratteristiche ed il funzionamento dello smart contract, occorre soffermarsi sulla sua natura giuridica.

Si tratta di un tema piuttosto delicato, che è stato particolarmente attenzionato dalla dottrina, stante il silenzio normativo sul punto.

Alla luce di una traduzione letterale, gli smart contract costituiscono dei cc.dd. “contratti intelligenti”.

Tuttavia, ad onta del nomen iuris, a venire in rilievo non sono dei veri e propri contratti espressione di un’intelligenza artificiale.

Quest’ultima, infatti, presuppone una capacità adattiva, ossia di modifica ed adeguamento all’evolversi delle circostanze ed alle sopravvenienze, che gli smart contracts, in realtà, non posseggono.

Ciò poiché siffatti contratti sfruttano la particolare tecnologia della blockchain, che, come visto, determina l’impossibilità di alterare e modificare la transazione, una volta inserite le istruzioni originarie.

Conseguentemente, gli smart contracts non ammettono alcuna modifica successiva, né consentono di tenere conto di eventuali sopravvenienze.

Essi, piuttosto, si adattano costantemente ed all’infinito alle istruzioni originariamente ricevute, sino all’eventuale verificarsi di una istruzionekill”, che provoca il venir meno dell’efficacia del contratto.

Andando oltre, una parte della dottrina ha osservato che, a ben vedere, gli smart contracts non potrebbero neppure qualificarsi come contratti in senso strettamente giuridico.

La causa è rinvenibile nella circostanza che gli stessi presentano delle peculiarità tecniche e tecnologiche tali da non consentire un loro accostamento alla versione informatizzata o digitalizzata di un contratto.

Ed invero, nella specie, non viene posto in essere il classico schema del contratto concluso online tra due soggetti intermediati da un computer, ove entrambe le parti rendono reciprocamente delle dichiarazioni in linguaggio umano, che vengono tradotte, dapprima, in linguaggio informatico, e, successivamente, in linguaggio umano per la presentazione all’altra parte.

Piuttosto, verrebbe in rilievo un programma informatico per elaboratore, che sfrutta la tecnologia blockchain, al fine di consentire l’attuazione di un contratto già presente a monte e di garantire la produzione di effetti stabili a cui le parti sono vincolate.

A conferma di tale assunto si evidenzia che la stessa definizione prevista dal succitato art. 8-ter D.L. n. 135/2018 non qualifica l’istituto in esame come un contratto, bensì, per l’appunto, come un programma informatico per elaboratore funzionale all’esecuzione di un contratto.

Altra impostazione dottrinale ha evidenziato che, in linea di principio, non vi sarebbero ragioni ostative per ammettere che gli smart contracts vengano anche utilizzati ai fini della stipulazione del contratto.

Tuttavia, sul piano pratico, è difficile che ciò possa accadere, considerato che, a differenza del contratto concluso online – che, come prima evidenziato, prevede la traduzione da parte del computer del linguaggio umano in quello informatico e nuovamente in quello umano –, nello specifico, le parti dovrebbero necessariamente avvalersi della tecnologia blockchain, che conosce solamente il linguaggio informatico.

Questo, in altri termini, significa che le parti dovrebbero avere delle conoscenze e competenze tecnico-informatiche specifiche, che non è comune possedere.


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3. Le principali funzioni: pro e contro dell’utilizzo degli smart contracts

L’applicazione degli smart contracts è, senz’altro, profittevole, giacché attraverso gli stessi è possibile, anzitutto, disintermediare/decentralizzare, ossia rendere non necessario il ricorso ad una figura terza.

Come prima evidenziato, a differenza dei contratti tradizionali, rispetto ai quali è previsto un registro centrale, c.d. database, gestito da un amministratore (ad esempio un notaio), gli smart contracts si basano su tecnologie che postulano i cc.dd. registri distribuiti (DLT), nel cui contesto le parti operano direttamente, ossia senza l’intermediazione di alcun amministratore, essendo i database gestiti, in via decentralizzata, dai singoli utenti.

L’indipendenza da intermediari, quali, ad esempio, notai e avvocati, nella fase di verifica ed approvazione del contratto, costituisce un notevole vantaggio, in quanto, svalutando l’importanza dell’elemento fiduciario, consente di semplificare ed accelerare i processi di negoziazione, oltre che di ridurre i costi, come, ad esempio, quelli concernenti la concessione di garanzie.

Ciò, tuttavia, è vero, nella misura in cui risulta semplice, per le parti, tradurre le clausole contrattuali in linguaggio informatico.

Va, infatti, precisato che, nella specie, si assiste ad una vera e propria inversione dei normali rapporti tra uomo e tecnologia.

Mentre nei contratti stipulati online mediante computer è la macchina che utilizza il linguaggio umano, al contrario, nel contesto degli smart contracts, è l’uomo a doversi avvalere del linguaggio informatico.

Ebbene, non sempre le parti sono in grado di tradurre autonomamente il linguaggio umano e giuridico in linguaggio informatico nativo, specie quando vengono in rilievo le clausole generali del diritto civile, quali, ad esempio, la buona fede, la correttezza e la diligenza.

In tali casi, pertanto, si rende sempre indefettibile una qualche forma di intermediazione, dovendo i soggetti interessati rivolgersi ad un consulente informatico, il quale, in qualità di programmatore o prestatore di servizi, possa tradurre il testo dell’accordo in istruzioni eseguibili.

Ecco che allora il tema della fiducia esce dallo studio legale per entrare nel terreno dello sviluppatore.

Ciò rappresenta, certamente, un evidente paradosso, dato che la finalità dell’utilizzo della tecnologia in esame sarebbe proprio quella di escludere l’intervento di terzi.

Alla luce di quanto esposto si ricava che lo smart contract determina maggiore utilità e benefici solo in presenza di accordi che presentano un alto tasso di standardizzazione e che sono caratterizzati da livelli di complessità bassa.

Gli smart contracts, in secondo luogo, hanno il pregio di ridurre la possibilità di inadempimento della prestazione tra le parti, con il successivo ricorso al giudice per la tutela legale.

Come anzidetto, tali contratti vengono eseguiti in base al programma informatico per elaboratore, che sfrutta la tecnologia blockchain e la formula “se questo/allora quello”, discendenti dalle istruzioni rigide e immodificabili dettate dalle parti.

Ne deriva che l’esecuzione del contratto e le conseguenze dell’inadempimento sono integralmente governate in via computerizzata ed informatizzata, in base al verificarsi di certi eventi ed al prodursi di dati effetti predeterminati, nonché immutevoli.

Ed allora, poiché tutto viene predeterminato in via informatica e la transazione, una volta inserita, è immodificabile, così come le relative istruzioni diventano irretrattabili, è chiaro che si riducono i rischi dell’inadempimento.

Inoltre, l’architettura di un sistema così concepito, rispetto ai tradizionali meccanismi contrattuali, contribuisce maggiormente ad incrementare il grado di certezza, sicurezza e stabilità dei traffici ed a favorire la contrattazione.

Tuttavia, occorre precisare che, allorché vengano in rilievo degli obblighi imperativi ex lege di modifica del sistema, i medesimi non possono essere assolti dalle parti, le quali, come detto, non possono intervenire sul sistema e modificare le informazioni ivi contenute, essendo le stesse radicalmente intangibili ed immutabili.

Conseguentemente, a fronte dell’obbligo imperativo di modifica del sistema, ad essere legittimata ad intervenire è esclusivamente l’autorità giudiziaria, d’imperio.

Nondimeno, l’intervento dell’autorità giudiziaria non è sempre così agevole, in quanto le tecnologie in esame, come succitato, si caratterizzano per la mancanza di un registro centrale e di un amministratore che gestisce un database, oltre che per la presenza di una forte decentralizzazione.

Ed infatti, esse si basano su registri distribuiti, nel cui contesto i database sono gestiti, in via decentralizzata, dai singoli utenti, i quali, peraltro, non sono neanche facilmente identificabili, giacché spesso utilizzano degli pseudonimi o degli indirizzi informatici non sempre agevolmente riconducibili all’identità reale dell’utente.

Alcune blockchain più avanzate hanno cercato di risolvere questo problema, inserendo una specifica funzione la c.d. kill o funzione di autodistruzione, che provoca il venir meno dello smart contract.

4. Le principali ipotesi applicative

Per via delle criticità e dei limiti tecnico-giuridici precedentemente descritti, ad oggi, l’applicabilità degli smart contracts è ristretta a contratti molto semplici e lineari.

Tra le più importanti ipotesi applicative degli smart contracts è possibile menzionare il contratto di leasing di un’autovettura, il rimborso del biglietto aereo e l’assicurazione del veicolo dipendente dai chilometri percorsi.

Con riguardo al contratto di leasing di un’autovettura, si fa riferimento all’ipotesi in cui le parti convengono il pagamento di una rata periodica, da parte dell’utilizzatore ed a favore del concedente, prevedendo una eccezione di inadempimento automatica.

In forza di quest’ultima, nel caso di inadempimento di un determinato numero di rate predeterminato (se questo), un programma informatico impedisce automaticamente di continuare ad utilizzare l’autovettura (allora quello).

In ambito assicurativo, lo schema dello smart contract ha trovato una maggiore applicazione.

Più nel dettaglio, è stata ammessa la possibilità per le parti di pattuire che, nel caso in cui il volo aereo subisca un ritardo eccedente una certa soglia predeterminata, la parte-acquirente otterrà, in base ad un programma informatico, l’immediato ed automatico rimborso del biglietto aereo su carta di credito.

Ed ancora, si è previsto che le parti possano concordare che il prezzo dell’assicurazione di un veicolo dipenda dal numero di chilometri percorsi in un dato lasso temporale, che vengono automaticamente calcolati da un programma informatico che sfrutta la blockchain.

5. Gli effetti dello smart contract, il ruolo dell’oracolo e la compatibilità con la disciplina della condizione

Gli smart contracts, come prima evidenziato, operano in base alla logica “se questo/allora quello”, la quale è tipica della condizione.

Quest’ultima, ai sensi degli artt. 1353 ss. c.c., costituisce un accadimento futuro e incerto, dal quale (sospensiva) o fino al quale (risolutiva) si fanno dipendere gli effetti del contratto.

Dagli esempi appena riportati di smart contracts è possibile constatare che, sebbene l’istituto in esame possa contenere una condizione, non è affatto necessario che ciò avvenga.

Ed infatti, la logica del “if/then”, oltre a contemplare una condizione, ben potrebbe avere ad oggetto una eccezione di inadempimento (leasing inadempiuto), o la predeterminazione forfettaria del risarcimento (rimborso del biglietto dell’aereo in ritardo), o ancora la determinazione del quantum debeatur (contratto di assicurazione dipendente dai chilometri percorsi).

Peraltro, se è vero che gli effetti dello smart contract sono immediati, e altresì innegabile che tale automatismo non può essere totale.

Ciò in quanto ogni smart contract necessita di un input, che viene fornito da un oracolo, che può essere sia un uomo che uno strumento informatico (come un’applicazione).

L’oracolo consente allo smart contract di comunicare con il mondo esterno alla rete, avvisandolo se effettivamente si sia verificato quel fatto A, cui consegue l’evento B.

L’input fornito dall’oracolo è oggettivo ed automatico se proviene da uno strumento informatico (si pensi, ad esempio, alla verificazione del fatto oggettivo dell’inadempimento, del numero dei chilometri percorsi o dell’entità del ritardo dell’aereo).

L’input è soggettivo, invece, quando richiede una valutazione che deve essere necessariamente effettuata dall’uomo, attraverso un proprio giudizio (si consideri, ad esempio, il caso in cui si prevede che il rimborso del biglietto aereo dipenda non solo dall’entità del ritardo, ma altresì dall’imputabilità alla compagnia aerea, che presuppone una valutazione che non può essere compiuta in modo automatico ed oggettivo da uno strumento informatico, necessitando piuttosto dell’intervento di un oracolo-persona fisica che esprima un giudizio).

Ebbene, è vero che nulla osta alla possibilità delle parti di concludere uno smart contract ad input esterno valutativo.

Tuttavia, laddove questo accadesse, si finirebbe per tradire la logica dell’automatismo e della disintermediazione propria di siffatto istituto, a causa dell’interferenza esterna di un soggetto, ossia l’oracolo-persona fisica, a cui verrebbe affidato il delicato e dirimente compito valutativo, da cui dipende la produzione degli effetti.

Proprio alla luce di tale considerazione, si ritiene che il naturale ambito di applicazione degli smart contracts sia quello dell’input oggettivo, che postula transazioni standard, semplici e automatiche, dipendenti dalla verificazione di un inopinabile fatto oggettivo.

Da quanto esposto si ricava l’ulteriore conferma che non tutte le condizioni e non l’intera disciplina condizionalistica sia compatibile con lo smart contract.

Ed invero, anzitutto, il programma informatico per elaboratore non è in grado di comprendere se una condizione è meramente potestativa (ossia fondata sul mero arbitrio e capriccio di una parte) o potestativa pura (vale a dire dipendente da una scelta che, pur essendo volontaria, avviene all’esito di un bilanciamento tra interessi contrapposti).

A ciò deve aggiungersi che l’automatismo e la disintermediazione sembrerebbero incompatibili con le valutazioni concernenti la condotta delle parti in buona fede in pendenza della condizione ex art. 1358 c.c. e della conseguente finzione di avveramento ex art. 1359 c.c.

Anche laddove, infatti, le parti avessero previsto nelle istruzioni iniziali delle clausole analoghe a quella della buona fede in pendenza della condizione e, nel caso di inosservanza di tale obbligo, quella della conseguente finzione di avveramento, si porrebbe comunque un notevole problema.

Quest’ultimo discenderebbe dal fatto che tale input dovrebbe essere comunicato da un oracolo-persona fisica, il quale svolgerebbe un’attività estremamente opinabile, che sembrerebbe superare i limiti dell’input soggettivo consentito, così tradendo eccessivamente la logica dell’automatismo e della disintermediazione tipica dell’istituto in esame.

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