di Giovanni Raiti
Sommario
1. Premessa: la persistente problematicità dell’ultimo comma dell’art. 709 ter c.p.c.
2. I “modi ordinari” dell’impugnabilità dei provvedimenti decisori che decidono le controversie ex art. 709 ter non equivalgono alla impugnabilità con le impugnazioni ordinarie
3. La problematica ricostruzione “in positivo” del sistema, frutto della combinazione di variabili (di contenuto e di sedi procedimentali delle misure de quibus) indizianti in varie direzioni
4. Il preferito approccio funzionale al tema ed i suoi corollari
5. La pronuncia delle misure da parte del giudice istruttore nei procedimenti che ospitano la controversia in via incidentale: il ritenuto carattere non cautelare della pronuncia e la conseguente preferita esclusione del reclamo ex art. 669 terdecies
6. La definitività della pronuncia del g.i. ed il suo scalzare l’ordinanza presidenziale ex art. 708: la preferita esclusione del reclamo ex art. 709, comma 4, e la preferenza per il rimedio di cui all’art. 739, comma 1, c.p.c.
7. Alcuni problemi residui
1. Premessa: la persistente problematicità dell’ultimo comma dell’art. 709 ter c.p.c.
Nell’ambito di un incontro così ricco di contributi, e dopo una brillante e documentata relazione di amplissimo respiro quale quella appena svolta dall’amico e collega Lupoi sulle prospettive de jure condendo della tutela processuale per la famiglia, il mio contributo farà invece il fuoco su un aspetto circoscritto della tutela del minore, segnatamente implicato dai provvedimenti exart. 709 ter c.p.c.
Dovranno bastare pochi cenni per rammentare che ci troviamo davanti a quelle misure che, occasionate dalla controversia fra i coniugi in merito all’attuazione di un provvedimento giudiziale già reso anche (o solo) in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale e delle modalità dell’affidamento, possono assumere – in funzione dell’effettività della tutela – una molteplicità di contenuti (anche sanzionatori, come noto); ed esser resi in una molteplicità di contesti e di sedi procedimentali (il giudizio di separazione o divorzio; quello di annullamento del matrimonio, o di affidamento di figli di genitori non uniti in matrimonio; o, ancora, in via principale con istanza ex art. 710 c.p.c., atteggiandosi la lamentata violazione coniugale al provvedimento in vigore quale potenziale causa di modifica delle condizioni già stabilizzatesi in sede di separazione o divorzio o nelle altre sedi processuali di regolazione del rapporto). Il tempo a mia disposizione mi impedisce di illustrare puntualmente tali contesti e di analizzare nel dettaglio i contenuti che la norma elenca quali eventuali esiti accessori al provvedimento risolutivo della controversia. Sebbene varata, con la legge n. 54 del 2006 (sull’affidamento condiviso dei figli), al meritorio fine di rendere – come accennato – effettiva la tutela giudiziale erogata con qualsivoglia provvedimento sull’assetto dei rapporti fra genitori e figli minori (o maggiorenni, ma portatori di handicap), la disposizione, a causa di una scrittura stringata e non limpida, ha invero lasciato aperti molteplici problemi: da quello relativo all’esatta ampiezza dei contenuti della controversia (anche quelle su aspetti schiettamente patrimoniali?), a quello del coordinamento con altri istituti (con il potere di vigilanza del giudice tutelare ex art. 337 c.c., ad esempio, o con le cc.dd. astreints exart. 614 bis c.p.c.), a questioni propriamente procedimentali: sulla competenza, ad esempio (del giudice istruttore oltre che del collegio?[2]), sulla officiosità o meno della pronuncia delle sanzioni (ed in particolare di quelle di cui ai nn. 1 e 4, cui non corrisponde il ristoro ad alcun diritto soggettivo pecuniario leso, come nelle altre due ipotesi, ma una mera afflizione punitiva, verbale o pecuniaria), sulle modalità di istruzione…
Di fronte a così tanti nodi, mi limiterò a fare alcune considerazioni sul solo ultimo comma della disposizione. Laddove il legislatore, dopo aver dettato la laconica disciplina sulla competenza, ed elencato le varie misure erogabili, afferma che «I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari».
[*] Il testo riproduce la relazione svolta dall’Autore al Convegno Quale diritto di famiglia per la società del XXI secolo?, svoltosi a Catania il 13 e 14 dicembre 2019 presso il Dipartimento di Giurisprudenza, nell’ambito delle attività del gruppo di ricerca, diretto dal prof. Ugo Salanitro, partecipante al Piano triennale di Ateneo per la ricerca dipartimentale 2016-2018; con il patrocinio del Consiglio Notarile di Catania e Caltagirone, della AMI (Associazione Matrimonialisti Italiani) e della Struttura territoriale di formazione decentrata del distretto di Catania della Scuola Superiore della Magistratura.
[2] Nella visione di una parte della dottrina il dilemma ha riguardato la potestas judicandi concernete la definizione dell’endocausa de qua in generale (sul che, v. infra le citazioni alla nota 11) e, ben più diffusamente, con riferimento alla sola applicabilità delle sanzioni di cui al comma 2, escludendosi per lo più la competenza monocratica con riguardo a quelle a carattere risarcitorio di cui ai nn. 2 e 3 (così, segnatamente, M. Lupoi, sub Art. 709 ter, in Carpi e Taruffo, Commentario breve al Codice di procedura civile, IX ed., 2018).
2. I “modi ordinari” dell’impugnabilità dei provvedimenti decisori che decidono le controversie ex art. 709 ter non equivalgono alla impugnabilità con le impugnazioni ordinarie
Si tratta di un tema piuttosto spinoso – e, per il vero, già ampiamente ed autorevolmente analizzato dalla dottrina[3] – che mantiene però viva attualità: oltre che per una certa eterogeneità applicativa sul territorio nazionale, anche alla luce di una recente giurisprudenza del supremo collegio – l’ordinanza 10 maggio 2018, n. 11279[4] – che, con specifico riguardo alle misure rese dal giudice istruttore nel corso del procedimento di separazione, ha confermato la mancanza di strumenti impugnatori, sul presupposto che «è garantita l’effettività della tutela delle posizioni soggettive mediante la modificabilità e la revisione, a richiesta di parte, dell’assetto delle condizioni separative e divorzili, anche all’esito di una decisione definitiva, piuttosto che dalla moltiplicazione di momenti di riesame e controllo da parte di altro organo giurisdizionale nello svolgimento del giudizio a cognizione piena».
Torniamo, dunque, al testo in questione. L’uso in esso di un aggettivo – “ordinario” – che allorché riferito alle impugnazioni viene inequivocabilmente declinato dagli operatori del diritto nell’accezione tecnica di cui tutti sappiamo, deve anzitutto farci sgombrare il campo dal dubbio se il legislatore non intendesse far riferimento, nello stabilire il regime impugnatorio in questione, proprio alle impugnazioni ordinarie; tanto più che in un altro punto del codice l’identica espressione allude proprio a quelle (si tratta dell’art. 47, dove – come noto – si dice che “La sentenza che ha pronunciato sulla competenza insieme col merito può essere impugnata con l’istanza di regolamento di competenza, oppure nei modi ordinari quando insieme con la pronuncia sulla competenza si impugna quella sul merito”). Il dilemma, per quanto minoritariamente sciolto da un’autorevole dottrina in senso affermativo[5], anche a mio modo di ritenere va, invece, sciolto in senso negativo. Non solo per ragioni esegetiche (impugnare nei modi ordinari non coincide necessariamente, infatti, con l’impugnare mediante le impugnazioni ordinarie). Quanto – e soprattutto – per ragioni sistematiche. Nella loro varietà, infatti, i provvedimenti che definiscono la controversia ex art. 709 ter possono ben non avere alcun carattere di decisorietà, indipendentemente dall’organo, monocratico (il g.i.) o collegiale (in sede di sentenza definitiva), che li renda; e sarebbe così eterodosso configurare per essi un’indiscriminata efficacia di giudicato che la spendita delle impugnazioni ordinarie implica fatalmente.
Per meglio comprenderlo occorre puntualizzare che la soluzione della controversia insorta intorno all’attuazione del “provvedimento in vigore” (per usare l’espressione del legislatore) può determinare un ampio ventaglio di soluzioni. Può trattarsi – come la pratica dell’istituto dimostra – di una contestazione che non abbia, ancora, nemmeno generato (la doglianza di) una violazione. In tal caso, l’intervento del giudice dovrà limitarsi a specificare quanto non fosse chiaro per le parti, con impregiudicata efficacia del provvedimento in vigore[6]. Del resto, anche quando la violazione vi sia stata, i “provvedimenti opportuni” di cui dice il comma 2 della disposizione possono distinguersi secondo una summa divisio: quelli che, in funzione dell’interesse del minore, inducano ad una modifica del provvedimento in vigore, che viene – così – ad essere sostituito dal provvedimento definitorio della controversia ex art. 709 ter; e quelli che invece non portino a tale effetto, ipotizzato che, per quanto violato, il provvedimento continui a rappresentare lo strumento più idoneo a perseguire l’interesse del minore. In entrambe le ipotesi, poi, la violazione può atteggiarsi o meno quale causa di un risarcimento danni (per l’altro coniuge o per il minore), ovvero di un provvedimento irrogatorio della sanzione dell’ammonimento o di quella pecuniario-amministrativa a favore della Cassa per le ammende: sanzioni che mostrano fra loro una evidente eterogeneità di natura.
Il quadro lascia fin qui emergere una varietà di ipotesi correlata alla varietà del contenuto del provvedimento. Esso si complica, peraltro, in relazione al fatto che sono varie anche le sedi procedimentali in cui tutti tali provvedimenti, pur colti con riferimento ad un determinato contenuto, possono essere resi. Lo lascia bene intendere il primo comma della disposizione che, nel dettare la norma sulla competenza, la attribuisce al giudice del procedimento in corso, spia inequivocabile della molteplicità di tali procedimenti con eventuale, conseguente varietà del rito valevole per ciascuno. Ed in effetti, volendo compiere una ricognizione che non pretende di esser esaustiva (anche a causa, devo confessarlo, di una mia molto relativa padronanza della materia familiare in generale che potrebbe indurmi a trascurare taluni dei molteplici strumenti di tutela che assicurano l’intervento giudiziale sulle varie vicende di crisi della relazione genitoriale), procedimenti incidentalmente ai quali la controversia ex art. 709 ter può sorgere sono sia quelli in cui è strutturale la regolazione in limine litis del rapporto genitoriale – tipicamente: il giudizio di separazione o di divorzio che abbia visto già rendere i provvedimenti presidenziali – sia procedimenti pendenti nei quali la “vigenza” di un provvedimento sia frutto di circostanze occasionali (come può accadere nel corso di un giudizio di annullamento del matrimonio, o sull’affidamento di figli di genitori non uniti in matrimonio). Non può peraltro escludersi che la controversia sorga in pendenza del procedimento ex art. 710, di modificazione (come noto) dei provvedimenti riguardanti anche la prole, da avviare in via principale dinanzi al Tribunale del luogo di residenza del minore, una volta stabilizzatasi la pronuncia di separazione corredata dalla regolazione del rapporto fra genitori e figli intorno alla può appunto avvilupparsi la controversia ex art. 709 ter. Lo stesso procedimento di cui all’art. 710 può peraltro esprimere, dal proprio interno, provvedimenti di modifica “provvisori” – da rendersi, secondo i più, anche d’ufficio – allorché il procedimento principale “non possa essere immediatamente definito”[7]. Ed anche intorno a(ll’attuazione di) tali provvedimenti – ancorché provvisori – potrebbe dunque sorgere una controversia riguardante il loro adempimento, da ricondurre al parametro dell’art. 709 ter. Infine, viene ragionevolmente ammesso – anche dalla giurisprudenza[8] – che la controversia ex art. 709 ter possa essere avviata in via principale nelle forme del procedimento ex art. 710, ravvisandosi proprio nella asserita violazione al provvedimento in vigore una potenziale ragione giustificativa per la modifica delle condizioni attinenti l’esercizio della potestà genitoriale o le modalità dell’affidamento.
Verosimilmente sulla scorta di tale estrema varietà di circostanze, la Cassazione ha – ormai stabilmente, direi – sconfessato l’interpretazione dell’aggettivo “ordinario” quale termine capace di evocare la nozione tecnica di ordinarietà delle impugnazioni, svolgendo – diversamente – l’espressione “impugnabili nei modi ordinari” nel senso di “impugnabili nei modiordinariamente valevoli per ciascuna misura”, in ragione (e cito qui il supremo collegio) «del contenuto, della natura e della finalità volta per volta ad essa affidati»[9].
Siamo, fin qui, dinanzi ad una verità negativa che può senz’altro condividersi, sol considerando che fra queste ipotesi ve ne sono alcune che certamente non si confanno alla cognizione ordinaria: quando – segnatamente – i provvedimenti siano meramente esplicativi dell’ordine giudiziale in vigore, senza alcun(a richiesta di) accertamento di inadempienza o violazione; e, direi, altresì, quando, sebbene essi contengano tale accertamento, non conducano ad alcuna incisione di posizioni di interesse soggettive: né del coniuge, né del minore; per esser stata evidentemente la violazione non tanto grave da determinare alcuna sanzione , né alcuna modifica dei provvedimenti in vigore che continueranno, così, a rispondere al loro statuto processuale. Valorizzo, così dicendo, la natura di strumento esecutivo del procedimento ex art. 709 ter tutte le volte che esso si limiti a specificare il provvedimento in vigore; riconnettendo la natura potenzialmente contenziosa ai casi in cui, all’opposto, l’intervenuta modifica rimuova la misura vigente (alla maniera in cui – mutatis mutandis – si è soliti distingue fra l’ordinanza specificativa delle modalità di esecuzione dell’obbligo di fare o di non fare contenuto nel titolo esecutivo ed il provvedimento che lo intacchi invece sostanzialmente, in quel caso, evidentemente però, con condotta giudiziale contra legem).
[3] Mi sia consentito fornire qui una generica citazione delle principali pubblicazioni intervenute sul tema de quo: L. Salvaneschi, Alcuni profili processuali della legge sull’affido condiviso, in Riv. dir. proc., 2006, 1287 ss.; C. M. Cea, L’affidamento condiviso: II. – Profili processuali, in Foro it., 2006, V, 96 ss.; B. De Filippis, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2007, spec. 233; A. Carratta, Sub art. 709 ter c.p.c ., in Le recenti riforme del processo civile, commentario diretto da Chiarloni, II, Bologna, 2007, 1558 ss.; F. Danovi, Le misure sanzionatorie a tutela dell’affidamento (art. 709 ter cod. proc. civ.), in Riv. dir. proc., 2008, 603 ss.; Idem, Inammissibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c ., in Riv. dir. proc., 2011, 1538 ss.; M. Lupoi, Aspetti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1063 ss.; Graziosi , L’esecuzione forzata dei provvedimenti del giudice in materia di famiglia, in Dir. fam., 2008, 880 ss.; Zingales, Misure sanzionatorie e processo civile: osservazioni a margine dell’art. 709 ter cod. proc. civ ., in Dir. fam., 2009, 404 ss.; F. Tommaseo, Riflessioni sulle impugnazioni e sui reclami nel diritto di famiglia e delle persone (in particolare, nella disciplina della separazione di cui alla legge n. 54 del 2006), in Fam e Dir., 2008, 97 ss.; Idem, Applicazioni giurisprudenziali di una norma controversa: ancora sull’art. 709 ter c.p.c ., in Fam. e Dir., 2010, 706 ss.; Idem, L’adempimento dei doveri parentali e le misure a tutela dell’affidamento: l’art. 709 ter c.p.c ., in Fam e Dir., 2010, 1057 ss.; G. Finocchiaro ed E. Poli, in Digesto IV, Discipline privatistiche, Sez. civile, voce Esecuzione dei provvedimenti di affidamento dei minori; Agg. III, I, Torino 2007, 532 ss.; E. Vullo, Procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, in Commentario del Codice di Procedura Civile, a cura di S. Chiarloni, Tomo I, Torino, 2011, 295 ss.; F. Astiggiano L’art 709 ter c.p.c. tra posizioni dottrinali ed applicazioni giurisprudenziali; in particolare, i mezzi di gravame esperibili, in Fam e Dir., 2011, 574 ss.; G. De Marzo, Il primo intervento della Cassazione sull’art. 709 ter c.p.c.: più ombre che luci (nota a Cass. 24 ottobre 2010, n. 21718), in Foro italiano, 2011 I, 2824 ss.; M. Giorgetti, Sono reclamabili i provvedimenti del giudice istruttore, ex art. 709, comma 4, c.p.c., o di modifica o di revoca di quelli presidenziali? in Fam. e Dir., 2015, 237 ss.; Lupoi, in Carpi e Taruffo, Commentario breve al Codice di procedura civile, IX ed., Milano 2018, sub. Art. 709 ter, 2840 ss.; C. Cecchella, Diritto e processo nelle controversie familiari e minorili, Bologna, 2018, spec. 247 ss., R. Donzelli, I provvedimenti nell’interesse dei figli minori ex art. 709 ter c.p.c. , Torino, 2018; Idem, Sulla reclamabilità dei provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c. emessi in via provvisoria dal giudice istruttore, ibidem, 2018, 1126 ss.;
[4] In www.ilcaso.it; la pronuncia risulta peraltro anticipata da Cass., 4 luglio 2014, n. 15416, in Fam. e Dir., 2015, 35 ss.
[5] Ci riferiamo a G. Balena, Il processo di separazione personale dei coniugi, in Balena e Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 423.
[6] Una fattispecie di tal genere, severamente (e… pretoriamente) sanzionata con l’inammissibilità della domanda, ritenuta pretestuosa e finalizzata solo ad alimentare la gratuita microlitigiosità dei coniugi, in Trib. Milano, Sez. IX, Ord. 23 marzo 2016, in Fam. e Dir., 2016, 1152 ss, con nota di F. Danovi, I doveri deontologici dell’avvocato nel diritto minorile e la giurisdizione forense.
[7] Cfr. il comma 3 della disposizione.
[8] Si veda, ad es., Tribunale Vicenza, 15 aprile 2010, in Fam. e Dir., 2010, 705, con nota di F. Tommaseo, cit.
[9] V. Cass. 25 febbraio 2015, n. 3810, in Giur. it., 2015, 2589, con nota di A. Mendola, Violazione del diritto di visita tra regime sanzionatorio e strumenti processuali.
3. La problematica ricostruzione “in positivo” del sistema, frutto della combinazione di variabili (di contenuto e di sedi procedimentali delle misure de quibus) indizianti in varie direzioni
Detto questo, resta tuttavia estremamente ardua la compiuta ricostruzione di un sistema impugnatorio che appare il frutto di diverse variabili (variamente combinabili fra loro), per ciascuna delle quali non è semplice, alla luce dei dati di sistema, valutare se sappia, da sola, costituire la ragione sufficiente ad imporre una data modalità impugnatoria, in grado come tale di scalzare l’indicazione di segno contrario che da un’altra variabile rintracciabile nella singola vicenda indizi, magari, in senso contrario. Si ha, anzi, la sensazione di trovarsi come in una morra cinese (o dentro un’immagine di Maurits Escher…), dove l’apparente debolezza di un elemento svela la sua forza nel confronto con un altro, intrappolando l’interprete dentro una irrisolvibile circolarità. Non si tratta evidentemente, nel nostro caso, di “carta”, di “forbici” o di un “sasso”. Sono simili, però, le dinamiche relazionali generate – qui – dall’intersecazione di riti e cognizioni (camerale o ordinario), di contenuti (interessi da gestire o pagamenti cui condannare) e di momenti in cui il provvedimento viene reso (incidentalmente al procedimento a cognizione piena sugli istituti di crisi del matrimonio, ovvero assieme alla definizione del medesimo con sentenza, ad esempio).
Prima di effettuare la mia proposta ricostruttiva, cui, non voglio comunque sottrarmi, desidero compiere una sintetica ricognizione sulle poche indicazioni certe che il sistema ci consegna. Perché è evidentemente da lì che si deve partire per colmare i vuoti di disciplina.
A tale stregua, va rammentato:
1.che i provvedimenti resi dal Presidente del Tribunale ex art. 708 c.p.c. sono reclamabip>
2.che i decreti motivati con i quap>
3.che contro le sentenze di primo grado di separazione e di divorzio è dato l’appello ed il ricorso per cassazione ordinario (che la giurisprudenza – stabilmente – estende a tutte le disposizioni riguardanti tanto l’assetto personale fra i coniugi quanto quello patrimoniale e personale fra loro ed i figp>
4.che ai riferiti dati positivi testuap>[10]) che ammette il ricorso straordinario per cassazione avverso il provvedimento conclusivo del reclamo ex art. 739, di impugnazione del decreto sulla modifica delle condizioni di separazione, anche se riguardanti i rapporti fra genitori e figp>
Questo è tutto ciò che di certo abbiamo (certo, o quasi, perché la giurisprudenza sull’ammissibilità del ricorso ex art. 111 anche avverso le statuizioni di modifica delle condizioni riguardanti l’affidamento della prole accessorie alla separazione ed al divorzio rese in esito al reclamo ex art. 739 non è sempre stata costante…[11]).
Fuori da queste ipotesi il silenzio della legge è assordante.
In particolare, nessuna indicazione specifica viene fornita sul regime dei provvedimenti ex art. 709 ter, ancorché modificativi dei provvedimenti in vigore sull’esercizio della responsabilità genitoriale e sulle modalità dell’affidamento, quando provengano dalgiudice istruttore del giudizio di separazione o divorzio (ipotesi che pressoché stabilmente si riconosce dalla giurisprudenza possa determinarsi[12]) e, dunque, in assenza di una domanda che, prospettando particolari ragioni di urgenza, si atteggi quale cautelarmente anticipatoria di quella da rendersi dal collegio considerato quale solo organo competente a rendere la misura “di merito”; del resto, un analogo silenzio caratterizza il regime impugnatorio di pur analoghi provvedimenti che, sempre a mente dell’art. 709 ter, si ritiene possano esser dati dal giudice istruttore in pendenza del giudizio sull’affidamento dei figli di genitori non coniugati (incidentalmente al quale per prassi giurisprudenziale possono aver luogo provvedimenti interinali fonte di controversia), ovvero ancora nell’ambito del procedimento di modifica alle condizioni accessorie alla separazione o divorzio ex art. 710.
[10] La pronuncia, del 21 ottobre, è pubblicata (ex ceteris) in Fam e Dir. 2010, 364, con nota di A. Graziosi, Ebbene sì, il minore ha diritto di essere ascoltato nel processo. Nella porzione motivazionale qui rilevante vi si afferma: “Il decreto emesso in camera di consiglio dalla Corte d’appello a seguito di reclamo avverso i provvedimenti emanati dal tribunale sull’istanza di revisione delle disposizioni accessorie alla separazione, in quanto incidente su diritti soggettivi delle parti, nonché caratterizzato da stabilità temporanea, che lo rende idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure “rebus sic stantibus”, è impugnabile dinanzi alla Corte di cassazione con il ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., e, dovendo essere motivato, sia pure sommariamente, può essere censurato anche per carenze motivazionali, le quali sono prospettabili in rapporto all’ultimo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., nel testo novellato dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che qualifica come violazione di legge il vizio di cui al n. 5 del primo comma, alla luce dei principi del giusto processo, che deve svolgersi nel contraddittorio delle parti e concludersi con una pronuncia motivata”. Da ultimo, nello stesso senso, Cass. civ., Ord., 7 maggio 2019, n. 12018, in Fam. e Dir., 2019, 714.
[11] Si v., ad es., Cass., 22 ottobre 2010, n. 21718, in Riv. dir. proc., 2011, 1537, con nota di F. Danovi, Inammissibilità del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti ex art. 709 ter c.p.c. , ed in Dir. di fam. e delle persone, 2011, 651, con nota di Zingales, Il procedimento per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o alle modalità dell’affidamento in una recente pronunzia della S.C.
[12] Per una pressoché isolata posizione discordante, favorevole alla sola competenza collegiale, v. Trib. Pisa, 19 dicembre 2007, in Fam. e Dir., 2009, 43 ss., con nota favorevole di E. Vullo, Competenza e oggetto delle controversie promosse ex art. 709 ter c.p.c. In dottrina la tesi della più opportuna riserva al collegio della competenza a decidere le controversie ex art. 709 ter è ben più robustamente supportata dalle autorevoli opinioni di Tommaseo, Riflessioni…, cit., 104; e di Carratta, Art. 709 ter, in Le recenti riforme…, cit. 1559 e dell’appena citato Vullo.
4. Il preferito approccio funzionale al tema ed i suoi corollari
Non sono certo in grado, in un panorama che ha fatto prospettare (in specie alla dottrina) ogni concepibile soluzione[13] – fornire una soluzione che pretenda far quadrare il cerchio. Sul fronte giurisprudenziale, ricordo che la giurisprudenza del supremo collegio – lo si è già detto prima, richiamando la pronuncia n. 11279 del 2018 – opina non impugnabili in alcun modo i provvedimenti ex art. 709 ter resi dal giudice istruttore; ed a tale posizione appare sostanzialmente allineata anche la giurisprudenza di merito[14].
Voglio solo indicare una linea di riflessione utile ad una plausibile ricostruzione del sistema, pur nella piena consapevolezza che qualsivoglia ricostruzione lascia margine a sbavature ed imperfezioni.
Trovo opportuno prender le mosse da un dato funzionale e “di realtà”. I rapporti personali fra genitori e figli minori nei quali si esplica la responsabilità genitoriale implicano il trattamento di un interesse sostanziale superindividuale di primaria rilevanza costituzionale; interesse che, per il suo inerire ad un flusso di relazione in costante mutamento e per riguardare immediatamente l’aspetto psicologico-evolutivo del minore, allorché fatto oggetto di un intervento ex imperio dell’autorità giudiziaria tende ad incidere per sua stessa natura con immediata definitività di effetto, potendone la riforma, piuttosto che determinare un irrealistico ripristino dello status quo ante, porre un semplice ostacolo al perpetuarsi dei suoi effetti. Proprio per questo, esso impone un costante e rapido monitoraggio, ed implica una strutturale estraneità dei provvedimenti che lo realizzino alla stabilità propria dei giudicati sostanziali. Questo credo comporti tre immediati corollari: 1) che la previsione di un’istanza di controllo garantita dalla alterità dell’ufficio cui sia devoluta risponde ad un bisogno primario (quanto primario è l’interesse toccato); 2) che tale istanza dev’essere agile nel rito e di rapida definizione; 3) che al provvedimento in questione deve riconoscersi un ontologico carattere di provvisorietà (esso, cioè, deve poter essere modificato in ogni tempo) ma non necessariamente al contempo quello della anticipatorietà. Il quale ultimo è proprio unicamente di quei provvedimenti che definiscono – sì – provvisoriamente un assetto di interessi, ma nell’ambito di una vicenda strutturata per una verifica successiva che li sostituisca con revoca/modifica o con conferma.
[13] Dalla tesi estrema di chi esclude ogni impugnazione, autorevolmente avanzata da C. Mandrioli, Diritto processuale civile, III, XXVII ed., Torino, 2019, 105, nt 75, (nell’ambito di una visione che ritiene peraltro le misure adottate dal giudice istruttore interinali e da confermarsi o revocarsi con la sentenza di separazione o divorzio, che risulterà appellabile anche con riguardo ai contenuti concernenti la definizione della controversia ex art. 709); a chi ritiene preferibile il reclamo ex art. 708, comma 4 (Lupoi, Aspetti processuali…., cit., 110; Danovi, Le misure sanzionatorie…, cit., 620 s.; A. Carratta, Le recenti riforme …, cit., 1579), a chi opta invece per il reclamo cautelare ex art. 669 terdecies (Cea, L’affidamento condiviso.., cit., 102; De Filippis, Affidamento condiviso…, cit., 233; Giorgetti, Sono reclamabili…, cit., 241; Donzelli, Sulla reclamabilità…, cit., 1129 s.); peculiare la posizione di G. Finocchiaro, Un giudizio garantisce la corretta esecuzione, in Guida al dir., 2006, 11, 64 ss., secondo cui allorché intervenga nel decidere controversie sulla attuazione di quanto disposto con i provvedimenti presidenziali il g.i. emanerà provvedimenti reclamabili a mente dell’art. 708, comma 4; mentre potrà proporsi reclamo al collegio ex art. 178, allorché si assumano da parte sua le misure sanzionatorie di cui ai nn. 1 – 4 del comma 2 cosicché possano esser decisi con la sentenza definitiva del giudizio principale; nel caso in cui invece la modifica intervenga ex aart. 709 ter a carico della misura già stabilizzatasi con il giudicato di separazione o di divorzio o rispetto a provvedimenti frutto di una già intervenuta revisione di quelli, il regime impugnatorio sarebbe quello del reclamo davanti alla Corte d’Appello ex art. 739 c.p.c.
[14] Di recente, in questo senso, l’ord. del Tribunale di Locri, 4 ottobre 2017, in Fam e Dir. 2018, 1125, con nota di Donzelli, cit.. In senso isolatamente favorevole alla reclamabilità ex art. 669 terdecies è diffuso citare Trib. Genova, 10 gennaio 2004, in Fam. e Dir., 2004, 612 ss., con nota di Figone, Ordinanze ex art. 708 c.p.c. e regime cautelare uniforme; ma la pronuncia riguardava per la verità l’ipotesi non perfettamente sovrapponibile del provvedimento istruttorio di revoca di quello presidenziale reso ex art. 708.
5. La pronuncia delle misure da parte del giudice istruttore nei procedimenti che ospitano la controversia in via incidentale: il ritenuto carattere non cautelare della pronuncia e la conseguente preferita esclusione del reclamo ex art. 669 terdecies
Accantoniamo per il momento tali corollari, per evidenziare un problematico aspetto della soluzione cui, a mio modo di vedere, essi dovrebbero condurre.
Quando la controversia ex art. 709 ter si manifesta, volendo rigorosamente intendere la norma sulla competenza – che, ricordiamo, attribuisce la controversia medesima al giudice del procedimento in corso – dovrebbe dedursene che la potestasjudicandi sulla violazione del provvedimento in vigore (e sulle eventuali statuizioni sanzionatorie accessorie) sia del tribunale collegiale, dal momento che è il tribunale collegiale l’ufficio competente per i giudizi che normalmente “ospitano” la controversia in questione; e che, del resto, sono di competenza del tribunale collegiale tutti i provvedimenti sull’esercizio della potestà genitoriale e sull’affidamento in qualsivoglia altra sede cognitiva ci si trovi (710, 38 disp. att. c.c. con riferimento ai figli minori di genitori non coniugati ecc. ecc.). Così ritenendo, qualunque misura che l’intima urgenza delle questioni di cui trattiamo consigli pure doversi affidare nel corso del procedimento principale al giudice monocratico non potrà che imputarsi – alternativamente – all’area della cautelarità, ovvero a quella della sommarietà/anticipatorietà . A mio modo di ritenere, però, la disposizione di cui all’art. art. 709 ter non ci porta agevolmente né verso l’una, né verso l’altra delle due aree.
Quanto alla estraneità dei “provvedimenti opportuni” di cui dice il testo della norma all’area della cautelarità, va detto che essa discende anzitutto dalla mancanza di alcun cenno ai requisiti del periculum in mora e del fumus boni juris, che della cautela costituiscono pur sempre i tratti caratterizzanti. Entrambi i requisiti potrebbero esser relativizzati invocando – come pure in dottrina è stato più volte fatto, al fine di ravvisare quale plausibile regime impugnatorio quello assicurato dal reclamo ex art. 669 terdecies – la categoria della tutela cautelare autonoma, presente – come ben noto – nell’ordinamento a partire dalla riforma del 2005[15]. Si trascurerebbero, però, nel compiere questa analogia, due importanti elementi intrinseci alla tutela cautelare autonoma: a) il primo, dato dal fatto che essa, per quanto in grado di mantenere i suoi effetti indipendentemente dal sussistere o dal persistere del vincolo strutturale con il giudizio di merito, non perde il suo originario vincolo funzionale con esso; che, insomma, le cc.dd. misure cautelari autonome, prima di esser “autonome” sono – appunto – cautelari e vengono concesse solo se la domanda lasci ravvisare l’esistenza dei loro tipici requisiti di concedibilità (fumus boni juris e periculum in mora), potendo solo la successiva condotta difensiva delle parti frustrarne il senso originario acquiescendo alla misura; b) il secondo (correlato) elemento, conseguente alla circostanza che le misure cautelari autonome sono contenutisticamente individuate in funzione della loro anticipatorietà. Qui, però, per un verso, come abbiamo detto, la anticipatorietà parrebbe ontologicamente esclusa dal fatto che una successiva revoca della misura saprebbe solo fittiziamente annullare gli effetti già da questa prodotti sulla relazione genitoriale; per altro verso, manca (coerentemente con il dato funzionale) alcun elemento che possa far pensare ad alcuna bifasicità di cognizione. Al contrario, la circostanza normativa espressa secondo la quale ai “provvedimenti opportuni” di risoluzione della controversia possano ben accompagnarsi le sanzioni risarcitorie o punitivo-educative indizia ulteriormente verso il carattere definitivo dei medesimi. Il sistema non lascia infatti trapelare alcun indizio, alcuna ragione giustificativa della ipotetica provvisorietà di tali pronunce accessorie allorché rese dal giudice istruttore piuttosto che, occasionalmente, dal collegio.
Quanto detto da ultimo, peraltro, oltre a (contribure a) fondare l’estraneità di tali misure monocratiche rispetto al carattere della anticipatorietà e, per sua tramite, la pari estraneità rispetto alla tutela cautelare pur autonoma (che, come detto, è sempre – in potenza, almeno – anticipatoria[16]), impone di escluderne anche il carattere meramente sommario-anticipatorio, ancorché non cautelare.
[15] Conseguita segnatamente al D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella L. 14 maggio 2005, n. 80 (v. art. 2, comma 3, lett. e-bis), n. 2).
[16] i provvedimenti cautelari autonomi, infatti, almeno – come detto – “in potenza”, e nel momento in cui vengano rilasciati devono palesare un nesso funzionale con l’accertamento cognitivo; quando tale nesso manchi può semmai predicarsi per essi, poiché intrinsecamente rispondenti ad una generica ragione di urgenza, la natura sommario-provvisoria, ma non anticipatoria e cautelare.
6. La definitività della pronuncia del g.i. ed il suo scalzare l’ordinanza presidenziale ex art. 708: la preferita esclusione del reclamo ex art. 709, comma 4, e la preferenza per il rimedio di cui all’art. 739, comma 1, c.p.c.
Tutto questo credo induca ad un primo strappo: volendo ammettersi una strutturale potestas judicandipendente lite del giudice istruttore sulle controversie ex art. 709 ter, deve trarsene la conseguenza che in tale esercizio della sua potestà decisoria egli consumi la sua vera e propria competenza sul “merito” della controversia. E che l’eventuale confluenza del provvedimento (collegiale) risolutivo di quest’ultima in quello definitorio del procedimento ospitante costituisca un mero accidente cronologico, determinato dalla circostanza che la domanda risulti avanzata nella imminenza del rinvio della causa in decisione.
Se quanto detto è condivisibile, però, con riferimento alla pronuncia decisoria (e definitiva) del giudice istruttore non ha evidentemente senso postulare un successivo controllo da parte del collegio nel rendere la sentenza con cui si definisca il giudizio di separazione o divorzio (o taluno degli altri giudizi che ospitino la controversia ex art. 709 ter).
Direi che nella giurisprudenza si coglie, sul punto, un problematico eclettismo.
Per un verso, essa affida di default, come usa dirsi, al giudice istruttore la potestas judicandi ex art. 709 ter, correttamente sottraendola, a mio modo di ritenere, all’area della cautelarità (poiché la affranca da alcun onere dimostrativo del periculum); per altro verso, però – ed è questo il delicato punto di ricostruzione del sistema che ha principalmente fondato la recente pronuncia della Cassazione richiamata in apertura – postula un controllo sistematico da parte del collegio sulla misura monocratica. Così lasciando intendere di ravvisare una strutturale bifasicità del procedimento, della quale non è invece alcuna traccia nella disciplina positiva .
La bifasicità c’è, indubbiamente, avuto riguardo (nell’art. 708) ai provvedimenti presidenziali in rapporto a quelli definitivi del giudizio. Ma essa non può traslarsi correttamente con riguardo alle modifiche al provvedimento in vigore ipoteticamente determinate dalla decisione del giudice istruttore sulle domande ex art. 709 ter. Perché è proprio il provvedimento ex art. 709 ter ad infrangerla. Dopo la misura modificativa, il provvedimento presidenziale è tolto di mezzo, di modo che il controllo sistematicamente previsto per esso in sede definitoria del giudizio di separazione o divorzio ad opera del collegio non è più coerentemente concepibile.
Alla luce di tali considerazioni, ritengo che debba trarsi il corollario di una seconda esclusione. Abbiamo detto di quella attinente al reclamo cautelare. Seppur non altrettanto fermamente, direi che anche l’altra ipotesi ricostruttiva (l’applicazione analogica dell’art. 708, comma 4) vada preferibilmente esclusa.
Non può certo negarsi una affinità di cognitio sottostante ai due provvedimenti in questione. Tuttavia, è proprio il contesto delle due, pur simili, cognitiones a fare la differenza ed a suggerire, direi, una diversa soluzione.
Le controversie ex art. 709 ter sono controversie peculiarmente generate dalle vicende di attuazione di un qualsivoglia provvedimento giurisdizionale “in vigore” sull’esercizio della potestà genitoriale e sulle modalità dell’affidamento; vicende il cui accertamento vede nei giudizi di separazione e divorzio solo un contenitore che occasionalmente le ospita . Tanto è vero che “contenitori” pur diversi, e come tali privi di provvedimenti presidenziali in limine litis, possono ospitarle. Le medesime controversie possono, del resto, essere avviate (lo ammette pacificamente anche la giurisprudenza) in via principale, nelle forme – come detto – del procedimento ex art. 710.
L’ordinanza presidenziale contenente “i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse della prole e dei coniugi” è – diversamente – un provvedimento officioso, tipicamente proprio dei (soli) giudizi cognitori di separazione e divorzio; in seno ai quali essa si atteggia quale misura dall’accentuato carattere (funzionalmente) cautelare, con efficacia provvisoria ed anticipatoria. Né vanno sottaciute le significative specificità dell’ordinanza presidenziale medesima sotto il profilo istruttorio, considerato soprattutto che essa resta una misura di assoluta sommarietà, se non per altro per dover essere pronunciata prima della nomina del giudice istruttore.
Sono gli indicati elementi strutturali e funzionali, ad impedire – ritengo – l‘applicazione analogica del reclamo ex art. 708, comma 4. Manca, infatti, ai provvedimenti definitori della controversia sulla attuazione del “provvedimento in vigore” l’intrinseca e strutturale anticipatorietà dell’ordinanza presidenziale, così come è per contro assente in essa la definitività di pronuncia che, con riguardo alle controversie sorte intorno alla attuazione di un provvedimento giudiziario in vigore sulla relazione parentale, caratterizza invece la decisione del giudice istruttore.
In questa visione, ritengo più ragionevole l’applicazione analogica del regime impugnatorio valevole per il caso in cui la domanda ex art. 709 ter abbia luogo in via principale (e quando, dunque, essa venga avanzata nelle forme dell’art. 710 c.p.c.). L’assolutezza che in tal caso la contraddistingue, portandola fuori dalla nebulosità indotta dai procedimenti che occasionalmente la ospitano, è capace di svelare, infatti, una scelta legislativa ben più autentica e distinta di quella ambiguamente evocata dalla anodina formula della impugnabilità “nei modi ordinari”. Perché – va ribadito – il rapporto che lega la controversia ex art. 709 ter ai giudizi di separazione e di divorzio (od agli altri in seno ai quali la relativa domanda si avanzi) è un rapporto affatto esteriore, capace propriamente di incidere solo sul piano della disciplina della competenza, anche nel senso di consentire una pronuncia definitoria, tanto al giudice istruttore quanto al collegio, in ragione del momento in cui la domanda venga proposta e decisa.
Conclusivamente sono dunque dell’idea che il rimedio impugnatorio su tali provvedimenti, allorché resi dal giudice istruttore, debba essere quello del reclamo di cui all’art. 739, comma 1 c.p.c.
7. Alcuni problemi residui
La proposta ricostruttiva avanzata lascia aperti, non può negarsi, (oltre a quello, già evidenziato, e, per così dire “a monte di essa”, sulla competenza del giudice monocratico) alcuni problemi di contorno.
Uno è quello dei rapporti fra il regime processuale dei provvedimenti resi dal giudice istruttore nel corso dei giudizi di separazione e di divorzio a revoca dell’ordinanza presidenziale in confronto a quelli resi ex art. 709 ter. Credo possa intuirsi, sulla base di quanto detto, il mio disfavore verso l’ammissione di uno stesso, comune regime impugnatorio. E piuttosto – in questo caso, sì – a ravvisare per i primi l’applicazione analogica dell’art. 708, comma 4.
L’altro è quello del regime impugnatorio da riconoscersi ai provvedimenti di condanna – in specie per quelli risarcitori – che ipoteticamente accedano, in chiave sanzionatoria, all’accertamento della violazione.
Personalmente non trovo ragionevole assolutizzare l’elemento condannatorio-pecuniario (che costituisce oltretutto in questo caso, anche a mio modo di ritenere, un accessorio alla pronuncia sulla domanda ex art. 709ter non rispondente al principio dispositivo[17]) per farne derivare il doveroso riconoscimento del regime delle impugnazioni ordinarie (appello e ricorso per cassazione). Sottolineerei piuttosto, al riguardo, la centralità dell’interesse del minore – quale valore sostanziale cui si ispira, stando al testo della norma, anche la condanna risarcitoria a vantaggio dell’altro coniuge o del minore – per ritenere che sia proprio la gestione di tale interesse il perno intorno a cui far gravitare il regime impugnatorio di ogni contenuto (pur sanzionatorio) che lo persegua. Come a dire che i soldi, solido interesse soggettivo per antonomasia, cedono, a questo fine, ad un regime impugnatorio concepito per un interesse immateriale che li sovrasta: come il “sasso” – potrebbe dirsi – cede alla “carta” nel già evocato gioco della morra cinese.
Del resto (battute a parte), per un verso, sarebbe funzionalmente assai inopportuno che il comune accertamento, sottostante ad entrambe le statuizioni[18], sulla gravità della violazione consumata dal genitore convenuto possa subire un duplice (differenziato) trattamento impugnatorio (ovverosia: l’appello, a contrasto dei contenuti pecuniario-risarcitori, ed il reclamo ex art. 739 quanto alle determinazioni interpersonali); per altro verso, non credo sistematicamente meno inopportuno che, volendosi garantire l’ordinaria sequela impugnatoria per le pronunce risarcitorie senza frammentazione delle sedi procedimentali, le misure a contenuto interpersonale subiscano un trattamento occasionalmente diverso a seconda che ad esse si accompagnino, o no, quelle a contenuto pecuniario.
Una analoga perplessità può riguardare il caso in cui la definizione della controversia ex art. 709 ter confluisca nel provvedimento decisorio del giudizio di cognizione “ospitante”. Una disciplina impugnatoria differenziata sarebbe invero, in questo caso, plausibile stante l’autonomia delle statuizioni interpersonali o patrimoniali fra i coniugi in rapporto alle misure incidenti sull’esercizio della potestà genitoriale o sulle modalità dell’affidamento dei figli minori (o portatori di handicap). È noto, peraltro, che la giurisprudenza sembra favorire, al riguardo, la prevalenza della forma sulla sostanza, generalizzando l’appello avverso la sentenza colta quale sede provvedimentale unica per tutte le statuizioni in essa contenute. Ed in questo favor potrebbe, in ultima analisi, cogliersi il senso della formula sulla impugnabilità “nei modi ordinari” (la quale postula una pur minima variegazione dei regimi) ch’è stata anche all’origine del mio intervento odierno, del cui ascolto Vi ringrazio.
[17] Va valorizzato in questo senso l’indifferenziata elencazione testuale della norma, che vuole tanto le pronunce risarcitorie quanto quelle punitive eventuali accessori al provvedimento giudiziale, senza alcun richiamo alla domanda di parte, ed anzi, mostrando di accomunare tali pronunce a quella sulla modifica del provvedimento in vigore sul piano della discrezionalità officiosa nel renderli una volta riscontrata la “grave violazione”. A favore della medesima soluzione, sulla base di condivisibili valutazioni di ordine funzionale, v. già, in dottrina, Danovi, Inammissibilità…, cit. spec. 1546, a giudizio del quale “il bene giuridico tutelato dall’art. 709 ter c.p.c. consiste sempre nel rispetto e nella corretta attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento, ed è tale bene che tutte le misure previste dalla norma tendono ugualmente a salvaguardare. Poiché´ il bene giuridico protetto è comune e ha comunque carattere metaindividuale, pare quindi maggiormente consonante che l’intervento giudiziale possa esprimersi sempre ex officio, anche laddove l’effetto concreto del provvedimento si risolva – de facto – nella determinazione di un’obbligazione di carattere monetario”.
[18] Ci riferiamo evidentemente, da un lato, a quella sulla relazione fra i genitori ed il minore, e, dall’altro, a quella pecuniario-risarcitoria, come noto ben cumulabili nel provvedimento.
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