L’impugnazione del provvedimento di estinzione atipica del processo esecutivo

Redazione 27/03/20

di Beatrice Irene Tonelli*

* Avvocato

Sommario

1. L’estinzione del processo esecutivo

2. I rimedi avverso il provvedimento estintivo

3. Conclusioni

1. L’estinzione del processo esecutivo

Come noto, la finalità del processo esecutivo è di dare attuazione coattiva all’ordine, contenuto nel titolo di formazione giudiziale o stragiudiziale a cui la legge attribuisce esecutività (art. 474 c.p.c.).

E’, in altri termini, lo strumento per ottenere in concreto il bene della vita di cui l’ordinamento ha riconosciuto la titolarità in capo al creditore. Il processo esecutivo è volto a dare attuazione a diritti certi e non ad accertare diritti, salvo negli eventuali giudizi incidentali di opposizione.

Per tale ragione, a livello sistematico, il processo esecutivo è retto dal principio dell’impulso ad opera del creditore procedente (o intervenuto munito di titolo esecutivo) ed è destinato a concludersi solo con la soddisfazione del diritto del creditore stesso[1].

Di conseguenza, il sistema processuale civile contempla alcune ipotesi tipiche di estinzione anticipata del processo esecutivo, ove il creditore stesso manifesti, esplicitamente o implicitamente, la sopravvenuta carenza di interesse a proseguire, con la rinuncia agli atti esecutivi (art. 629 c.p.c.) o con l’inerzia nel compimenti di attività d’impulso tipizzate, come la mancata iscrizione a ruolo del pignoramento (art. 518, 543 e 557 c.p.c.), il mancato deposito della istanza di vendita nel termine prescritto (art. 497 c.p.c.), la mancata prosecuzione dopo la sospensione del giudizio (art. 624 bis c.p.c. e 630 c.p.c.) o dopo la sospensione in via cautelare del titolo (art. 624 c.p.c.), la mancata partecipazione alle udienze (art. 631 c.p.c.), il mancato pagamento delle spese di pubblicità sul portale delle vendite pubbliche[2] (art. 631 bis c.p.c.).

Più recentemente, il legislatore ha introdotto anche una ulteriore ipotesi di estinzione anticipata del processo espropriativo, segnatamente in quello immobiliare, non dipendente dalla inerzia del creditore munito di titolo, ma conseguente ad una infruttuosità della procedura espropriativa stessa (art. 164 bis disp. att.). La ratio di tale previsione è quella di limitare il vincolo imposto sul patrimonio del debitore quando non vi sono le condizioni per soddisfare l’interesse del creditore, e quindi la finalità dello stesso procedimento espropriativo non può essere raggiunta.

Del resto, l’elaborazione giurisprudenziale era già arrivata a identificare delle fattispecie concrete che, pur non rientrando in una espressa previsione normativa, concretizzano una impossibilità di perseguire il fine del procedimento espropriativo e che quindi impongono al giudice di adottare un provvedimento di chiusura anticipata della procedura.

In un primo gruppo di ipotesi, rientrano i casi in cui la pronuncia di estinzione atipica discende da fatti ascrivibili alla condotta della parte creditrice interessata pur non espressamente contemplati dalla normativa. A titolo esemplificativo, si tratta dei casi di omessa pubblicità della vendita, di presentazione di istanze di rinvio pure e semplici o formulare pur in presenza di offerte, di mancata formale e rituale surroga al procedente, di mancata produzione di documentazione integrativa richiesta dal giudice ecc[3]. Non si tratta tuttavia di ipotesi di applicazione estensiva delle disposizioni tipiche, bensì di interpretazione analogica.

Di tale orientamento estensivo fanno parte le pronunce, anche di legittimità[4], che hanno riconosciuto al giudice dell’esecuzione il potere di richiedere al creditore procedente la produzione di documentazione ulteriore rispetto alla certificazione ipocatastale ventennale prescritta dall’art. 567 c.p.c. e di sanzionarne l’inadempimento con la dichiarazione di estinzione del giudizio esecutivo per una impossibilità di soddisfare il suo scopo.

Accanto alla estinzione tipica prevista dall’art. 567 c.p.c. per mancata produzione della certificazione del ventennio, vi è quindi una ipotesi di estinzione atipica di creazione giurisprudenziale, ex artt. degli artt. 484, 152 e 154 c.p.c., per la mancata produzione di documentazione relativa al primo titolo acquisto ultraventennale.

In un secondo gruppo di ipotesi, invece, rientrano i casi di estinzione atipica pronunciata ove il giudice ravvisi la carenza di un presupposto processuale o di una condizione dell’azione, o ancora in casi in cui si verifica una stasi del procedimento espropriativo[5] che comporta un’indeterminata esposizione del compendio staggito al vincolo derivante dal pignoramento[6], e dunque in contrasto con i principi dell’economia processuale e della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost. e art. 6 CEDU). Casi questi ultimi che, indirettamente, hanno ottenuto una tipizzazione normativa con l’introduzione dell’art. 164 bis disp. att. c.p.c.[7], cui già si è accennato, e in merito al quale è opportuno evidenziare che la disposizione demanda al giudice di determinare in concreto quali siano le condizioni che integrano il presupposto della accertata infruttuosità della procedura[8].

Una volta identificata la categoria della estinzione atipica, e chiariti i relativi presupposti, l’elaborazione giurisprudenziale ha valutato le conseguenze della adozione dei provvedimenti di chiusura anticipata della procedura espropriativa.

Dal punto di vista della prescrizione, la Suprema Corte[9] ha affermato che l’effetto interruttivo permanente, determinato dall’atto di pignoramento, si protrae, agli effetti dell’art. 2945, comma 2, c.c., fino al momento in cui il processo esecutivo abbia fatto conseguire al creditore procedente, in tutto o in parte, l’attuazione coattiva del suo diritto ovvero, alternativamente, fino alla chiusura anticipata del procedimento determinata da una causa, anche atipica, non ascrivibile al creditore medesimo, mentre, in caso contrario, all’interruzione deve riconoscersi effetto istantaneo, a norma dell’art. 2945, comma 3, c.c.[10].

E’ evidente che l’estinzione del procedimento di esecuzione si traduce in un grave danno per il creditore, non solo per la non recuperabilità delle spese anticipate fino al momento della pronuncia, ma anche per il pregiudizio alle concrete possibilità di recupero nei confronti del debitore che, nelle more del rinnovo della notifica del precetto e successivo pignoramento, potrebbe rendersi insolvibile. E in casi limite, l’estinzione del pignoramento in essere e la perdita dell’effetto sospensivo della prescrizione, potrebbe comportare l’estinzione del diritto stesso di ottenere la tutela del credito. Parimenti, ove l’eccezione di estinzione sia erroneamente respinta, verrebbe leso il diritto del debitore esecutato che resterebbe indebitamento assoggettato alla procedura esecutiva.

[1] La misura di tale soddisfacimento del diritto del creditore dipenderà inevitabilmente dalle condizioni del debitore nel caso concreto, si pensi al caso, frequentissimo, dell’incapienza del patrimonio dell’esecutato rispetto alle ragioni dei creditori, o a quello, ontologicamente irrisolvibile, della infungibilità della prestazione dovuta.

[2] Cfr. Lodolini, “La chiusura anticipata per infruttuosità e l’estinzione per mancato espletamento della pubblicità sul portale delle vendite pubbliche”, in Riv. esec. forz., 2016, 241.

[3] Cfr. Petrella V. “L’estinzione atipica del processo di esecuzione: un istituto di creazione giurisprudenziale e la sua evoluzione alla luce dei moderni principi”, in Giur. merito, fasc.7-8, 2004, pag. 1377, Nota a: Tribunale Salerno, 06 giugno 2002, n.1799.

[4] In questo senso, la recente sentenza Cass. Civ., Sez. III 11 giugno 2019, n. 15597 ha affermato il seguente principio di diritto: “In tema di espropriazione forzata immobiliare, è doverosa la richiesta, da parte del giudice dell’esecuzione ai fini della vendita forzata, della certificazione attestante che, in base alle risultanze dei registri immobiliari, il bene pignorato appaia di proprietà del debitore esecutato sulla base di una serie continua di trascrizioni d’idonei atti di acquisto riferibili al periodo che va dalla data di trascrizione del pignoramento fino al primo atto di acquisto precedente al ventennio a decorrere dalla stessa. All’ordinanza di richiesta del primo atto di acquisto ultraventennale effettuata dal giudice dell’esecuzione si applica il regime degli artt. 484,175,152 e 154 c.p.c., e alla mancata produzione del suddetto titolo, imputabile al soggetto richiesto, consegue la dichiarazione di chiusura anticipata del processo esecutivo”.

[5] I primi casi di declaratoria di “improseguibilità”, categoria di formazione giurisprudenziale poi confluita della estinzione atipica, in assenza di una disposizione normativa su cui fondare il ragionamento logico giuridico in via quantomeno analogica, sono stati pronunciati proprio in relazione al mancato deposito, nel termine assegnato dal giudice, della documentazione a corredo dell’istanza di vendita. Indirizzo giurisprudenziale che ha poi trovato tipizzazione del nuovo disposto dell’art. 567 c.p.c. cfr. Trib. di Monza 22 novembre 1982, in Giur. merito 1983, 900 ss., in cui, peraltro, veniva individuato come rimedio avverso il provvedimento estintivo non il reclamo, ma l’opposizione agli atti esecutivi.

[6] Cfr. Trib. S. Maria Capua Vetere 24 gennaio 1984, in Giur. it. 1985, I, 2 per il quale «la prassi di rinnovare all’infinito gli incanti, non solo costringe il procedimento esecutivo a non avere fine, ma in alcuni casi perviene a vendite a prezzi iniqui e irrisori, realizzando così una scarsa tutela sia degli interessi del creditore, che degli interessi del debitore. Pertanto, nel procedimento di espropriazione immobiliare, nel caso di ripetuta infruttuosità degli esperimenti d’asta, è configurabile una fattispecie di estinzione d’ufficio, ancorché non espressamente prevista dalla legge“.

[7] La norma, introdotta dall’art. 19, co. 2, lett. b), d.l. 12 settembre 2014, n. 132 (conv. con modif. in l. 10 novembre 2014, n. 162) in vigore il giorno 11 settembre 2014, dispone che “quando risulta che non è più possibile un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo».

[8] A tale riguardo, i vari uffici giudiziari hanno elaborato delle circolari interne in cui sono state individuate le circostanze che giustificano l’estinzione dell’espropriazione per infruttuosità.

[9] Cass. civ., sez. III, 9 maggio 2019, n. 12239

[10] Cfr. Olivieri G. “Estinzione atipica e prescrizione” in In executivis pubbl. 29.07.2019

2. I rimedi avverso il provvedimento estintivo

L’estensione del potere officioso del giudice dell’esecuzione deve essere bilanciata da adeguati rimedi a disposizione dei soggetti interessati, tali da garantire una valutazione della legittimità del provvedimento adottato.

Si è quindi posto agli interpreti il problema di identificare il mezzo di impugnazione del provvedimento estintivo atipico. Da un lato, l’art. 630 comma 3 c.p.c. disciplina il rimedio speciale per impugnare la declaratoria di estinzione dei casi tipici (rinuncia, inattività del creditore, mancata comparizione delle parti). Come noto, si tratta del reclamo da parte del debitore o del creditore pignorante ovvero degli altri creditori intervenuti, da proporre nel termine perentorio di venti giorni dall’udienza in cui è dichiarata l’estinzione o dal giorno della comunicazione dell’ordinanza, con l’osservanza delle forme di cui all’art. 178 terzo, quarto e quinto comma. Si instaura così un giudizio camerale di competenza collegiale definito con sentenza.

Se l’applicazione di tale disciplina è pacifica per la estinzione tipica, la giurisprudenza anche più risalente ne ha escluso una interpretazione estensiva per le pronunce di improseguibilità o di estinzione atipica, che sono state ricondotte, in quanto atti dell’esecuzione, nell’ambito di applicazione del rimedio generale dell’opposizioni agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.[11]

Nell’esercizio della funzione nomofilattica, con una recente pronuncia in tema, i giudici di legittimità[12] hanno stabilito che il provvedimento, con cui il giudice dell’esecuzione dichiari l’improcedibilità della procedura esecutiva per mancanza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo (estinzione c.d. atipica), è impugnabile esclusivamente con l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c., a meno che il giudice non abbia inteso, in tal modo, pronunciarsi sulle contestazioni prospettate dal debitore mediante una formale opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., nel qual caso il provvedimento è impugnabile, invece, con il reclamo cautelare ai sensi dell’art. 624 c.p.c.. Al fine di distinguere tra le due ipotesi, è indice decisivo della natura definitiva o meno del provvedimento la circostanza che con esso sia disposta (espressamente, o quanto meno implicitamente, ma inequivocabilmente) la liberazione dei beni pignorati.

Come già affermato dalla Suprema Corte in fattispecie analoghe[13], il mezzo di impugnazione del provvedimento estintivo è diverso a seconda che sia stato pronunciato per casi tipici (art. 630 c.p.c.), o per casi atipici, rilevati anche d’ufficio in corso di esecuzione (art. 617 c.p.c.) o atipici rilevati in sede di opposizione ex art. 615 c.p.c. ad istanza dell’esecutato senza che da ciò sia dipesa la chiusura del procedimento (art. 624 c.p.c.).

Se così è, tuttavia, sorgono due questioni principali. La prima è quella di individuare i criteri discretivi che permettano, con certezza, di stabilire quale fattispecie ricorra nel caso concreto. La seconda è quella di sindacare la ragionevolezza di un sistema che preveda trattamenti diversi per la tutela di interessi identici (art. 3 Cost.).

Riguardo al criterio per distinguere la pronuncia di estinzione tipica o atipica, è piuttosto agevole fare riferimento al dettato normativo e alla elaborazione dottrinale e giurisprudenziale ormai corposa. A questo riguardo, si avrà ad esempio la declaratoria di improcedibilità del processo per difetto dei presupposti processuali in caso di carenza di giurisdizione dell’ufficio giudiziario adito, rilevabile in ogni stato o grado del procedimento, difetto di rappresentanza legale o sostanziale della parte creditrice procedente e mancanza originaria o sopravvenuta dell’oggetto del processo, come nel caso di bene immobile pignorato successivamente acquisito al patrimonio del Comune in quanto realizzato abusivamente, o confiscato all’esito di procedimento penale, o che non rientrava nel patrimonio del debitore e non poteva essere sottoposto ad esecuzione.

Si avrà declaratoria di improcedibilità del processo per difetto di condizioni dell’azione in caso di mancanza originaria o sopravvenuta del titolo esecutivo o di difetto dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito necessari a promuovere l’espropriazione forzata.

Sono ritenute, inoltre, cause di estinzione atipica per difetto di condizioni di procedibilità anche il sopravvenuto fallimento o liquidazione coatta amministrativa del debitore, salva l’ipotesi in cui la procedura venga proseguita dal creditore fondiario[14].

Meno piana è invece la strada per discernere il corretto rimedio in caso di provvedimento di estinzione adottato nel procedimento di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. E’ fermo il fatto che, all’esito della fase cautelare, con il provvedimento che sospende o chiude il processo, il giudice dell’esecuzione deve contestualmente fissare il termine per l’instaurazione della fase di merito del giudizio di opposizione (salvo che l’opponente stesso vi rinunzi) e, in mancanza, sarà possibile per la parte interessata chiedere l’integrazione del provvedimento ai sensi dell’art. 289 c.p.c., ovvero procedere direttamente alla instaurazione del suddetto giudizio di merito[15].

Con una ulteriore precisazione, ovvero che solo se il processo esecutivo non è stato definito, ma resta pendente, è eventualmente possibile, all’esito dell’opposizione, la riassunzione dell’esecuzione. Se, invece, il processo esecutivo è stato definito con liberazione dei beni pignorati e non vi è stato accoglimento della opposizione agli atti esecutivi, il giudicato sull’opposizione all’esecuzione potrà fare stato tra le parti solo ai fini di futuri eventuali nuovi processi, ma non sarà possibile la riassunzione dell’esecuzione, definitivamente chiusa.

E dunque, se il provvedimento che dichiara l’estinzione, o in ogni caso definisce anticipatamente il procedimento esecutivo, viene adottato in seguito a contestazioni del debitore ex art. 615 c.p.c., il provvedimento sommario che dispone il provvisorio arresto del corso del processo esecutivo è impugnabile con reclamo ai sensi dell’art. 624 c.p.c., mentre in caso contrario va opposto con il rimedio dell’art. 617 c.p.c. Al fine di distinguere tra le due ipotesi, deve ritenersi decisivo indice della natura definitiva del provvedimento la circostanza che, con esso, sia disposta, anche implicitamente ma inequivocabilmente, la liberazione dei beni pignorati.

L’adozione di un rimedio o dell’altro ha delle p>[16]. Ed ancora, il reclamo ex art. 624 c.p.c., che rinvia al reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c., con la instaurazione della successiva fase di merito ex art. 615 c.p.c. consente di mantenere l’esecuzione in essere e di poterla riassumere in caso di esito vittorioso per il creditore.

[11] ex plurimis Cass. Civ. sez.III, 12 aprile 2017 n. 9362

[12] Cass. Civ., Sez. 6-3, ordinanza del 20 febbraio 2019, n. 4961; conf. Cass. Civ. Sez. 6-3, ordinanza del 22/06/2017, n. 15605 su CED Cassazione

[13] Cass., Civ. Sez. 6 – 3, Ordinanza del 24/05/2017 n. 13108, Rv. 644389 – 01; Cass., Civ. Sez. 6 – 3, Ordinanze del 08/06/2017 nn. 14332, 14333 e 14334; Cass., Civ. Sez. 6 – 3, Ordinanze del 20/06/2017 nn. 15282 e 15283; Cass., Civ. Sez. 6/3 Ordinanze del 22/06/2017 nn. 15605, Rv. 644810-01, e 15606, su CED Cassazione.

[14] Per una dettagliata disamina si rinvia a Soldi A. M. “Manuale dell’Esecuzione Forzata” CEDAM 2019 p. 2491 ss

[15] Cass. n. 22033/2011.

[16] Cfr. Cass. Civ. sez. 6- 3 sent. 28 marzo 2018, n. 7754 che ha affermato “Avverso provvedimento di chiusura anticipata del processo esecutivo ai sensi dell’art.164 bis disp. att. c.p.c. è inammissibile il ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost.” in In executivis con nota Crescenzi A.

3. Conclusioni

Da quanto sopra esposto emerge che i rimedi offerti dall’ordinamento per impugnare i provvedimenti di estinzione del giudizio sono frammentari e eterogenei, anche in per effetto degli interventi disorganici del legislatore che si sono succeduti, in un campo particolarmente specialistico quale è quello dell’esecuzione civile.

Se si segue una impostazione parcellizzata che distingue le varie fattispecie di impossibilità della procedura esecutiva di giungere al suo naturale esito, allora si incorre nella necessaria differenziazione dei mezzi di tutela, poiché le fattispecie tipiche di estinzione dipendenti dalla condotta del creditore hanno come rimedio il reclamo ex art. 630 c.p.c. e tutte le altre, residualmente, l’opposizione ex art. 617 c.p.c. Tale impostazione, tuttavia, come sopra evidenziato, determina l’instaurazione di riti diversi e di tutele non omogenee rispetto alla sentenza conclusiva, in un caso appellabile e nell’altro inoppugnabile.

Se invece si accede ad una interpretazione che prescinda dalla differenziazione delle cause che determinano l’estinzione o l’arresto del processo esecutivo, e le raccolga nell’unico genus in ragione dell’effetto che il provvedimento estintivo sortisce sul patrimonio del debitore e dei creditori, allora si potrebbe riconoscere un unico rimedio, nella forma del reclamo al collegio da definirsi con sentenza appellabile, offrendo così pari tutela nei confronti di decisioni giudiziarie che, in concreto, producono sui diritti delle parti i medesimi effetti[17].

[17] Cfr. Donvito A. “Brevi p>Riv. Esec. Forzata 2017, 735

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