Gli interventi legislativi hanno conservato la distinzione fra soggetto imputabile e soggetto non imputabile per infermità di mente, ma si è modificato il limite entro cui riconoscere la presenza o meno del disturbo psichico. A grandi linee si può ritenere che i diversi orientamenti stranieri oscillino fra tre metodi fondamentali di giudizio dell’imputabilità penale dell’adulto: quello puramente patologico o biologico puro, quello puramente psicologico o normativo e quello misto o biologico-psicologico. Il metodo misto verte sullo studio del collegamento fra malattia mentale e incapacità psichica del soggetto con riferimento al fatto-reato, il metodo psicopatologico si focalizza sulla malattia mentale, la cui diagnosi dovrebbe essere il dato determinante dell’esclusione dell’imputabilità del soggetto. Da una parte si ha, quindi, la costruzione a due piani dell’imputabilità penale: un primo piano attinente al profilo psicopatologico relativo all’accertamento del disturbo psichico, a cui segue un secondo piano di giudizio, di tipo normativo, riguardante la rilevanza giuridica da riconoscere a siffatto disturbo psichico in base alla sua incidenza sui processi intellettivi e volitivi dell’individuo.
Quest’ultimo piano manca nel giudizio patologico o psicopatologico o biologico puro nel quale acquista inevitabilmente rilievo fondamentale la definizione dei disturbi psichici con efficacia scusante. Questa definizione per lo più avviene secondo il parametro della malattia mentale con la diagnosi relativa come unico presupposto per l’esclusione dell’imputabilità del soggetto. Questa visione introduce un automatismo fra malattia mentale e, quindi, irresponsabilità penale difficilmente sostenibile oggi in base agli ultimi indirizzi psichiatrici. La pura diagnosi di malattia mentale non sembra soddisfare né le esigenze giuridiche né quelle psicopatologiche. Per il sistema misto abbiamo si un problema inerente la possibilità del soggetto di agire al momento del fatto ovvero con l’aspetto volitivo dell’uomo ma si aggiunge ad una decisione più attenta alle dinamiche proprie del caso in esame. Questo è anche il problema con cui si scontra in maniera più diretta il metodo psicologico o normativo puro, in base al quale ciò che conta è l’accertamento della capacità di discernimento e di volontà del soggetto al momento del fatto, risultando così superata in sede penale la questione relativa alla individuazione della malattia mentale e della sua rilevanza. Ma, se questo criterio ha il merito di risolvere i problemi relativi all’accertamento dell’infermità psichica a cui riconoscere rilievo scusante, ripropone in termini ancora più antinomici la questione relativa all’accertamento della capacità di autodeterminazione del soggetto.
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Il metodo psicopatologico nell’ordinamento spagnolo riformato e le analogie con quello finlandese e greco. Il nuovo codice portoghese
Questo metodo privilegia l’accertamento di uno stato psicopatologico di una certa gravità, sussistente al momento del fatto. Manca, da un punto di vista strutturale, il secondo piano del giudizio sull’imputabilità del soggetto, ovvero la valutazione giuridica (piano normativo) dell’incidenza di siffatto disturbo (profilo causale) sulle capacità intellettive e volitive dell’individuo. Il legislatore ha in via generale attuato una volta per tutte il giudizio circa l’incidenza del disturbo psichico sulla mente del soggetto, in ragione del tipo di malattia mentale, individuata per lo più secondo le classificazioni offerte dalla nosografia psichiatrica tradizionale. In questa ottica, le psicosi sono considerate unanimemente cause di esclusione dell’imputabilità. In Finlandia il paragrafo 3 del codice penale dispone che non è punibile il fatto commesso da una “persona malata di mente o da una persona mentalmente deficiente a causa dell’età o per altra simile causa”. Inoltre, non è imputabile anche chi ha commesso il fatto in un momento di temporaneo base ai parametri offerti dal metodo psicologico-normativo.
La prassi ritiene insufficiente la pura diagnosi della malattia e per escludere la responsabilità del soggetto esige altresì l’accertamento di una “perturbazione profonda della coscienza o della volontà”. Questo accertamento, secondo la giurisprudenza, deve essere riferito al fatto commesso non solo in termini temporali, ma anche eziologici. Si dovrebbe accertare non solo la sussistenza del disturbo psichiatrico al momento del fatto, ma anche la sua precisa influenza sulla capacità di comprensione del valore dell’atto e su quella di adeguamento della propria condotta a tale comprensione. Trattasi, tuttavia, di orientamento che si discosta dal dato normativo, in base al quale non sarebbe la mancanza dell’intelligenza o della volontà a decidere della inimputabilità. Se da una parte, però, l’orientamento assunto dalla giurisprudenza risponde all’esigenza generalizzata di una valutazione più attenta alla realtà psichica del soggetto da giudicare, dall’altra il favore dei giudici verso un giudizio di tal genere sembra mancare proprio nei confronti di soggetti, quali gli psicopatici, rispetto ai quali, date le difficoltà di inquadramento nosografico e di una definizione in termini di malattia mentale del disturbo psichico, risulterebbe determinante un’indagine caso per caso, onde poter valutare realisticamente la rilevanza del disturbo sotto il profilo della sua gravità sui processi fondamentali della psiche.
Il giudizio basato solo sulla diagnosi di malattia (nei confronti dei soggetti psicopatici) si rivela inadeguata, ma soprattutto inattuale (considerato che l’orientamento prevalente è nel senso di escludere a priori le psicopatie fra le infermità rilevanti ai sensi del codice penale spagnolo). Per quanto concerne il “turbamento mentale transitorio” esso si tradurrebbe in una “alienazione” di breve durata verificatasi per cause esogene improvvise, caratterizzata da un’intensità tale da provocare una grave perturbamento della mente (con un effetto equivalente a quello della infermità). L’orientamento spagnolo è volto al concetto medico patologico della infermità mentale. O il disturbo psichico corrisponde al quadro clinico di una data malattia di accertata o presunta base organica-patologica ed, in quanto tale, di natura permanente, oppure il disturbo psichico è inquadrabile nella alienazione, ma la sua natura transitoria richiede che almeno alla base vi sia uno stato patologico. La prassi, però, limita la portata della norma in quanto orientata verso interpretazioni restrittive e per questo non sempre attente alle indicazioni provenienti dalla psichiatria.
La legislazione penale portoghese ha abbandonato il metodo psicopatologico nel 1982 quando è entrato in vigore il nuovo codice penale accogliendo il metodo c.d. misto. L’art. 20 del codice prevede che non è imputabile chi al momento in cui ha commesso il fatto, a causa di un’anomalia psichica era incapace di comprendere l’illiceità del fatto o di determinarsi secondo questa comprensione. Con questo cambiamento si espandono gli spazi di operatività della disciplina delle cause di non imputabilità grazie alla individuazione del presupposto biologico nel generico concetto di anomalia psichica: ciò permette di comprendere anche i disturbi di origine nevrotica. Non vi è accordo sulla natura di questa esimente. Il prevalente orientamento ritiene che essa dovrebbe essere di natura necessariamente patologica, altra opinione, invece, ritiene contraddittorio pretendere una base patologica per un disturbo, quale quello transitorio, che può manifestarsi anche in soggetti normali come manifestazione di una reazione ad una circostanza esterna. In questa prospettiva solo l’utilizzo del metodo c.d. misto potrebbe consentire l’abbandono del requisito della patologicità.
Le psicopatie vengono per lo più escluse dal novero delle infermità rilevanti ai sensi del codice penale in quanto non interessano la sfera dei processi volitivi ed intellettivi, ma solo il profilo emotivo-affettivo della psiche; inoltre, attraverso un’interpretazione in chiave strettamente patologica dell’espressione “alienazione mentale transitoria” si ostacola in radice una ricomprensione in esso tutti i disturbi psichici non esattamente catalogabili secondo la nosografia classica o che comunque non siano di sicura natura morbosa. Art. 104 codice penale portoghese. “Quando l’agente è stato dichiarato non imputabile ed è stato condannato alla reclusione ma si dimostra che per causa delle anomalia psichica di cui soffriva al tempo del crimine, il regime dello stabilimento penitenziario comune è per lui pregiudizievole o se la sua anomalia psichica è tale da creare serio disturbo al regime dello stabilimento, il tribunale ne ordina l’internamento in un penitenziario riservato ai non imputabili per periodo corrispondente alla pena.” Nello stesso tempo però, si accoglie il criterio psicologico-normativo in funzione limitativa, nel senso che siffatta anomalia, per avere rilievo scusante, deve compromettere la capacità di comprendere e quella di determinarsi secondo questa comprensione.
Il metodo misto nel codice penale tedesco
Significativa è la disciplina dell’imputabilità del codice penale tedesco sia per la recente formulazione, ma soprattutto per il metodo di giudizio accolto, cioè quello misto. L’orientamento accolto dalla riforma (c.d. proposta unitaria) sosteneva come anche i disturbi psichici di natura non patologica od organica potessero assurgere a causa di non esclusione totale dell’imputabilità del soggetto. Accanto, così, alla categoria delle altre gravi anormalità psichiche, sono previsti i disturbi psichici di natura patologica e la debolezza mentale. A quest’ultima vengono ascritte tutte le forme più gravi di deficienza od Art. 20 codice penale della Repubblica Federale di Germania: “Chi al momento della commissione del fatto, per turbe mentali patologiche, per un profondo disturbo della coscienza, per deficienza mentale od altra grave anomalia mentale, è incapace di valutare l’antigiuridicità del fatto o di agire secondo tale valutazione, agisce senza colpa”.
L’insufficienza intellettuale congenita, ma non di origine organica, in quella dei disturbi psichici di natura patologica vengono ricomprese sia le forme di debolezza mentale con base organica sia tutti i disturbi psichici con conclamata o postulata origine organica ed in generale quelle manifestazioni di anormalità psichica che trovano la loro radice in processi degenerativi di natura somatica. Alla categoria dei disturbi profondi della coscienza risultano appartenere quei disturbi non patologici di natura puramente psichica o verificatisi in concomitanza di particolari condizioni fisiche. Il requisito fondamentale è che essi siano di tale intensità da essere assimilabili alle psicosi circa la compromissione della compagine motivazionale del soggetto.
Quest’ultima categoria acquista particolare rilievo se si considera che proprio la natura non patologica del disturbo della coscienza consente di riportare infine a siffatta categoria la problematica degli stati affettivo-emotivi, il cui rilievo scusante viene tuttavia riconosciuto solo per le forme più gravi.
Con riferimento a questi stati, l’intensità del disturbo acquista la funzione di limite alla rilevanza scusante delle perturbazioni psichiche di natura puramente passionale o affettivo-emotiva. Tuttavia, è soprattutto fra gli psichiatri forensi che manca l’accordo circa la persona alla quale riconoscere la competenza a decidere sull’imputabilità o meno del delinquente c.d. passionale. Precisamente, il perito non sarebbe in grado di realizzare una valutazione scientificamente attendibile delle capacità intellettive e volitive di colui che ha commesso il fatto sotto l’influsso di uno stato emotivo-affettivo. Nei suoi confronti dovrebbe attuarsi un giudizio apertamente orientato alla funzione sociale del diritto penale, di competenza esclusiva del giudice, poiché occorrerebbe riconoscere infine l’importanza delle esigenze di natura preventiva nel condizionare la decisione sull’imputabilità del delinquente passionale. Il punto di vista c.d. agnostico non è tuttavia condiviso da coloro, e sono la maggioranza, che sostengono che il perito sarebbe in grado di indicare quantomeno le motivazioni che stanno alla base di un certo comportamento, senza che ciò implichi una pronuncia anche sulla questione della capacità di autodeterminazione del soggetto. In altre parole, la decisione finale, relativa al presupposto normativo, rimarrebbe nelle mani del giudice, indipendentemente dal contenuto che si voglia riconoscere a quel presupposto. Questo ci riporta al secondo piano del giudizio di imputabilità, quello relativo al presupposto normativo. Una volta diagnosticato, occorre accertare che il disturbo psichico abbia influito, negativamente, sulla capacità del soggetto di comprendere il disvalore del proprio atto o sulla capacità di adeguare e controllare con uno sforzo della volontà il proprio comportamento.
Il metodo psicologico nell’esperienza francese, belga ed olandese
Mentre in Spagna la dottrina e la giurisprudenza si sono orientate verso il metodo psicologico-biologico o misto, diversa cosa si è verificata in altri paesi, dove la genericità ancora più estrema della formula legislativa ha consentito il prevalere, in sede di interpretazione ed applicazione, del metodo c.d. psicologico o normativo. Tale metodo, risulta essere il meno adattato dalle legislazioni in generale, data la difficoltà di una sua utilizzazione in termini di chiarezza e precisione. L’affidare in via esclusiva il giudizio sull’imputabilità del soggetto a formule così generiche (quali capacità di cogliere il valore della propria condotta o capacità di autodeterminarsi) è parso ai più un rischio da non correre perché comporta un giudizio che si sottrae a qualsiasi verifica o riscontro empirico.
Si tratterebbe di verificare quella libertà del volere che ormai unanimemente si ammette sottrarsi a qualsiasi prova empiricamente fondata. Il dato clinico (la malattia mentale) è sembrato il requisito indispensabile a cui fare riferimento per realizzare un giudizio che potesse presentare sufficienti garanzie di univocità scientifica (metodo psicopatologico). Mentre, combinato con il presupposto clinico-psichiatrico, l’elemento psicologico puro, attinente all’incidenza del disturbo sui processi intellettivi e volitivi, è stato ritenuto in grado di fornire un aiuto per giungere ad una valutazione attendibile dello stato psichico del soggetto.
Quanto più il dato clinico è, già, a livello normativo, poco definito o definibile, tanto più l’elemento psicologico acquisterà rilievo, fino a diventare l’unico reale parametro di riferimento per il giudizio di imputabilità. Questo, quanto accaduto anche in Francia ove si fa riferimento in generale alla demenza nel senso di forma di alienazione mentale caratterizzata dall’abolizione delle facoltà intellettive. Anche inteso in questo modo, il concetto de quo rimane tuttavia talmente vago e impreciso che si presta a ricomprendere tutti i tipi di disturbo mentali ed, in quanto tale, risulta privo di significato clinico. La decisione sull’imputabilità o meno del soggetto rimane affidata in ultima analisi al solo criterio psicologico che, invero, dovrebbe essere invece secondario ed accessorio.
In questo caso la combinazione dei due criteri non sortirebbe l’effetto di consentire una delimitazione dei casi di inimputabilità, in quanto ad un criterio medico quanto mai vago sarebbe associato un criterio psicologico, altrettanto vago ed impreciso. Non solo, ma la natura soprattutto filosofico-normativa di quest’ultimo metodo lo renderebbe per ciò stesso estraneo alla competenza dell’esperto psichiatra. Con il concetto di demenza, il legislatore francese avrebbe inteso fare riferimento al concetto di follia e dichiarare l’irresponsabilità penale dei soggetti affetti da qualsiasi forma di alienazione mentale, difetto di sviluppo intellettivo, di delirio cronico di persecuzione, ecc. Abbandonata un’interpretazione del termine demenza intesa nel senso strettamente medico ottocentesco di alienazione mentale, l’art. 64 del codice penale francese si presta a ricomprendere tutti quei disturbi che vengono perciò definiti come casi di demenza propriamente detta.
Essa annienta la capacità di discernimento e la volontà attinente alla valutazione del fatto-reato ed in quanto tale esclude la Art. 122 Codice penale francese: “Non è penalmente responsabile la persona affetta, la momento dei fatti, da un disturbo psichico o neuro-psichico che ha abolito il suo discernimento o il controllo delle sue azioni. La persona affetta al momento dei fatti da un disturbo psichico o neuro-psichico che ha alterato le sue capacità di giudizio o ha ostacolato il controllo dei suoi atti rimane punibile; tuttavia, il collegio giudicante, tiene conto di questa circostanza quando determina la durata della pena e ne fissa le modalità di esecuzione”.
La responsabilità penale (sempreché presente al momento del fatto ed abbia influito in maniera completa su tale capacità). Il codice belga, all’art. 64, sancisce che non c’è reato allorché il soggetto si trova in uno stato di demenza al momento del fatto o allorché ha commesso il fatto spinto da un impulso a cui non ha saputo resistere. Il termine demenza è da intendersi non in senso strettamente medico, ma in termini generali e comuni: tutte le malattie mentali che inibiscono il controllo delle facoltà mentali. Al presupposto psicopatologico (l’unico richiesto dalla legge) viene così affiancato anche dalla prassi belga il presupposto ideologico che tende infine a prevalere di fronte alla genericità del concetto di demenza fino al punto che la mancanza di capacità del soggetto di autodeterminarsi diventa il presupposto fondamentale in base al quale riconoscere un individuo non imputabile. In questa prospettiva la definizione del presupposto psicopatologico perde di rilievo, tuttavia, non al punto da consentire di riconoscere effetto scusante anche a quegli stati c.d. passionali che abbiano influito sulla capacità di controllo del soggetto. Questi ultimi, secondo un orientamento costante, pur potendo influenzare tali facoltà mentali, non meriterebbero ancora la qualifica di disturbo morboso rilevante ai sensi del codice penale. La disciplina del codice penale olandese sembra essersi mantenuto fedele al metodo misto, ma la genericità delle formule usate coglie il disvalore del proprio comportamento o alla capacità di determinarsi secondo quella consapevolezza, introducendo così il metodo c.d. psicologico nel giudizio di imputabilità. In realtà, però, il metodo psicologico non ha incontrato un favore incondizionato. Esso non potrebbe trovare applicazione nei confronti dei soggetti psicopatici, rispetto ai quali già il dato clinico-psicopatia (presupposto biologico) costituirebbe ragione sufficiente per escludere nei loro confronti l’applicazione della norma penale (che non conosce la categoria della semiimputabilità).
Il metodo psicologico-normativo nei sistemi anglosassoni
L’essenza del concetto di imputabilità e di malattia mentale nel mondo anglosassone è rappresentata dalle Mc’Naghten Rules (risalenti alla fine del Diciannovesimo secolo), regole oggi non più applicate (se non in rari casi), ma sempre considerate come unico parametro in questa materia. Il diritto olandese ha assunto una precisa posizione nei confronti dei soggetti psicopatici. Sa da una parte, infatti, ha negato loro la qualifica di soggetti non imputabili, dall’altra ha però, previsto nei loro confronti la possibilità di un regime speciale offerto da misure di sicurezza specifiche in base ad una legge ad hoc. Si riportano le McNaughten Rules più significativo: a) chiunque deve essere ritenuto sano ed in possesso di un sufficiente grado di ragionare da essere considerato responsabile per i reati commessi, salvo prova per il contrario; b) un alienato (insane person) è punibile in rapporto alla natura del reato commesso, se al tempo in cui l’ha compiuto, sapeva di agire in modo contrario alla legge: con la quale espressione noi indichiamo quella che la giustizia intendete come la legge del paese; c) per ammettere una Defense on the Group of insanity, deve essere chiaramente provato che al tempo del commesso reato il sospetto fosse affetto da tale defect of reason, from the disease of the mind da non capire la natura e qualità dell’atto che stava compiendo ovvero, se lo capiva, da no sapere che ciò che stava facendo era sbagliato (wrong); d) l’alienato, sotto il profilo della responsabilità, deve essere considerato come se i fatti, nei confronti dei quali esiste la valutazione morbosa, fossero reali. Per esempio, se sotto l’influenza della patologia (delusion), ritiene che qualcuno attenti alla sua vita e lo uccide, a sua avviso per legittima difesa, deve andare esente da pena. Se invece la sua delusion inerisse al fatto, che la vittima avesse procurato grave danno alla sua persona od ai suoi beni ed egli l’avesse ucciso per vendicarsi del torto subito, egli dovrebbe essere considerato punibile; e) è compito del giudice decidere se il reo è insane. Il metodo accolto è quello misto per cui alla diagnosi di malattia deve seguire il giudizio (psicologico) circa l’incidenza di quest’ultima sulla capacità del soggetto di conoscere la natura e la qualità dell’atto o se dotata di tale facoltà, l’incidenza sulla sua capacità di comprendere che sta compiendo qualcosa di illecito. Al piano del giudizio clinico (piano medico) segue quello psicologico o normativo che risulta complesso perché a sua volta si muove su due direttive: quella relativa alla capacità intellettiva e quella attinente alla capacità del soggetto di conoscere l’antigiuridicità della propria azione. Ciò che rileva è il profilo cognitivo, quello volitivo non viene preso in considerazione.
La definizione di malattia mentale non ha provocato grossi problemi: è intesa come qualsiasi malattia che produce una difficoltà di funzionamento della mente, indipendentemente che si manifesti come malattia del cervello (psicosi). La definizione dello stato di incapacità spetta solo al diritto, in quanto il concetto medico e quello legale di malattia mentale sono fra loro diversi (pur ammettendo che il punto di partenza è comunque offerto dalla psichiatria). L’esperienza statunitense si è sviluppata dal ceppo comune delle M’Naghten Rules lungo strade differenti a seconda dei vari Stati: esse rappresentano ancora per la maggioranza degli Stati i criteri guida a cui fare riferimento per giudicare lo stato mentale del soggetto e costituiscono il parametro di confronto. Le critiche si concentrano sul fatto che le Rules ignorano completamente l’aspetto volitivo ed emozionale della psiche dell’individuo, richiedendo sul piano del presupposto psicologico un giudizio circa la capacità del soggetto di distinguere il giusto dall’ingiusto che come tale esula dalla competenza scientifica dell’esperto psichiatra. “Ne risulta una visione dell’uomo palesemente incompleta, la quale spiega perché le regole in questione abbiano una applicazione limitata ai soli casi più gravi e eclatanti di malattia mentale.
Non si è mancato infatti di rilevare come ben poche persone possano essere così pazze da non sapere ciò che stanno facendo”. Da qui l’inadeguatezza delle Rules ad assolvere il compito di stabilire quali soggetti, in quanto mentalmente malati, non debbano essere puniti, con conseguente calo della credibilità del sistema penale, soprattutto in riferimento al profilo della sua efficacia a prevenire reati. Con l’avvento del ALI Model Penal Code (che si mantiene fedele alla tradizione del metodo misto) l’ordinamento si garantisce contro un’eccessiva influenza del parere dello psichiatra introducendo, almeno prima facie, una terminologia più precisa allo scopo di un maggior controllo sulla perizia psichiatrica ed i suoi risultati. In netto contrasto con le Rules, inoltre, si sottrae ai compiti del perito la valutazione morale circa la capacità del soggetto di distinguere il giusto dall’ingiusto. Prevale così un concetto legale di insanity eliminando le anormalità psichiche di natura meramente antisociale, proprie delle personalità sociopatiche.
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