L’imputato

Redazione 14/07/03
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di Francesco Chiaia

Scopriamo chi è, quali diritti e facoltà ha, il protagonista principale di un processo penale, che, pur avendo lo Stato contro, potrebbe essere…un innocente!
L’imputato.

È il protagonista principale di un processo penale.

È colui per il quale è previsto l’instaurarsi del giudizio in tutte le sue fasi e con tutte le sue parti cosiddette “necessarie”: giudice, pubblico ministero, difensore e parte offesa.

Distinguendo la fase delle indagini preliminari, cioè il procedimento in senso stretto, da quella del giudizio dibattimentale vero e proprio, il processo, una persona acquista la qualità di imputato ai sensi dell’art.60, I comma, c. p. p., con la richiesta, da parte del pubblico ministero, nei suoi confronti, di:

· rinvio a giudizio;

· giudizio immediato;

· decreto penale di condanna;

· applicazione della pena nel corso delle indagini preliminari.

E poi ancora col:

· decreto di citazione diretta a giudizio e nel giudizio direttissimo.

Nei procedimenti di competenza del giudice di pace penale ( organo entrato in “funzione” nell’agosto del 2000, col decreto legislativo n° 274) la qualità di imputato si può acquistare con:

a) la citazione a giudizio disposta dalla Polizia Giudiziaria,

b) il ricorso immediato al giudice di pace d ad opera della persona offesa

L’imputazione consiste in una richiesta ad opera del pm di accertamento giurisdizionale da parte di un giudice sulla sussistenza e consistenza dei fatti descritti nella cosiddetta rubrica di cui al capo di imputazione ( descrizione sommaria del fatto e delle norme penali che l’accusatore – il pm – ritiene violate ) , e sulla possibilità che questi siano attribuibili o meno al soggetto identificato con l’imputato.

Precedente a questa fase, come sopra elicitato, vi è quella delle indagini preliminari o preprocessuale, caratterizzata da una attività investigativa svolta dalla Polizia Giudiziaria, sotto la direzione dell’organo inquirente il PM in relazione all’esistenza di una notizia di reato: in questa fase esiste, se identificato, un soggetto nei cui confronti vengono svolte le indagini, l’“indagato”.

Nel nostro ordinamento quando il pm esercita l’azione penale nei confronti di taluno (sia esso cittadino – o meno – ma sempre soggetto di diritti ed obblighi), non può, poi, più rinunciarvi; per tale motivo la qualità di imputato si perde con:

1. la sentenza di non luogo a procedere non più soggetta ad impugnazione,

2. l’emissione di una sentenza irrevocabile di proscioglimento o di condanna, o

3. quando sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna. ( art. 60, II comma c.p.p.).

Di conseguenza, la qualità di imputato “risorge” con la revoca della sentenza di non luogo a procedere e qualora sia disposta la revisione del processo.

Per evidenziare il rispetto garantistico che informa di sé il nuovo codice di procedura penale, l’art. 61, estende tutti i diritti e le garanzie previste per l’imputato, anche alla persona sottoposta ad indagini durante la fase preliminare del procedimento, anche definita indagato; ciò perché, l’indagato, pur senza il formale esercizio dell’azione penale, può subire alcune restrizioni della libertà personale, oppure la compressione di altri diritti; o, ancora, essere sottoposto ad atti investigativi (interrogatori, consulenze, perizie, ecc.) per espletare i quali sono necessarie le medesime garanzie che il codice prevede nella fase del processo all’imputato. Quello delle garanzie è uno dei termometri che misurano il grado di civiltà raggiunto in un delicato settore come quello della giustizia da una Nazione.

Ma quali le garanzie disposte dalla legge penale a favore dell’imputato?

Innanzitutto, l’articolo 62 del codice di rito prevede che non possano formare oggetto di testimonianza le dichiarazioni rese nel corso del procedimento sia dall’imputato o dall’indagato: qualunque dichiarazione, quindi, resa da questi ultimi – sia sollecitata che spontanea – a soggetti abilitati, o meno, a riceverle (che sia fatta, ad esempio al pm, o ad un ufficiale di polizia giudiziaria, o ad un parente, un amico, ecc.) non può avere ingresso nel giudizio sotto forma di testimonianza.

Altra importante garanzia, che è presente, in diversa misura, sia nell’articolo 63, che nel 3° comma del 64, è quella che i giureconsulti romani definivano con la massima “nemo tenetur se detegere”, cioè “nessuno può essere obbligato ad accusare se stesso”. Infatti, queste due norme, prevedono il diritto al silenzio, la famosa “facoltà di non rispondere”: l’articolo 63 lo prevede per quelle persone che, pur non essendo né indagate, né imputate di alcunché, rendano dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, alla polizia giudiziaria o ad altra autorità. Infatti, se dalle dichiarazioni che essi stanno rendendo emergono quegli elementi capaci di fondare un giudizio penale per qualche fatto, costoro devono essere immediatamente avvisati che potrebbero essere sottoposti ad indagine penale, l’esame deve essere interrotto, e li si deve invitare a nominare un difensore. Se, nel corso del procedimento, si scopre che queste persone dovevano fin dall’inizio essere sentite come indagate o imputate, le loro dichiarazioni non possono essere utilizzate, così come dicevamo prima.

Il comma 3 dell’articolo 64 del codice di procedura penale è stato modificato 2 anni fa, con la legge che ha introdotto il cd. “Giusto Processo” – ne parleremo in maniera approfondita prossimamente – (Legge 1° marzo 2001, n° 63), ed è stato sostituito dall’attuale comma 3 e comma 3bis dove è sancita la nascita di una nuova figura piuttosto ibrida, quella che alcuni processualisti definiscono: l’Impumone (l’imputato-testimone ). Il punto c) del comma 3 – sempre del medesimo articolo 64 – prevede, infatti, che se l’indagato ( lo scrivente ritiene anche l’imputato ) nel corso di un interrogatorio renda dichiarazioni su fatti che possano riguardare la responsabilità di altri, sarà chiamato quale testimone in riferimento a tali fatti, salvo alcune incompatibilità predeterminate dallo stesso codice; mentre al successivo comma 3 bis si prevede una inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie qualora non si renda edotto l’indagato delle sue garanzie.

L’imputato dovrebbe rendere le sue generalità correttamente: così, infatti, prevede l’art. 66 c.p.p.; egli deve renderle sin dal primo atto in cui è presente. Questo perché è necessario, come è facile intuire, stabilire che il soggetto nei confronti del quale è esercitata l’azione penale e quello effettivamente sottoposto a processo siano la stessa persona! Ed, infatti, se questo errore si verifica, e si rileva, in ogni stato e grado del processo il giudice emette sentenza di proscioglimento nei confronti dell’indagato e/o imputato.

Tuttavia, se vi è incertezza circa la veridicità delle generalità, si procede comunque, sempre che risulti certa la identità fisica del soggetto. Ad ogni modo, è sempre possibile correggere le eventuali generalità false nel corso del processo.

Ma se si ha ragione di ritenere che le generalità fornite siano false, ed, in particolare, che l’imputato sia in realtà minorenne, in ogni stato e grado del procedimento l’autorità giudiziaria deve trasmettere gli atti al tribunale per i minorenni, così come prevede l’articolo 67 c.p.p.

Infine, resta da cennare alla capacità dell’imputato di stare in giudizio, ed ai rimedi che la legge prevede e dispone alla sua eventuale incapacità.

A parte il caso del processo che si svolga davanti alla Corte di Cassazione, al quale l’imputato non può prendere parte personalmente, ma solo per mezzo di un avvocato difensore iscritto in un apposito albo, per far sì che un processo si svolga con le garanzie del sistema accusatorio si deve dare la possibilità all’imputato di “stare in giudizio”, ossia di partecipare al processo in maniera consapevole, con il patrocinio di un difensore; oppure di scegliere, liberamente, di non prendervi parte, facendosi assistere da un difensore nominato di fiducia, o nominato d’ufficio dal giudice.

Affinché ciò avvenga, all’imputato deve essere comunicato con congruo anticipo ( almeno 60 giorni prima o in casi particolari 45 ed addirittura 30, mentre nel giudizio direttissimo entro 48 ore dall’arresto se avvenuto in “flagranza di reato”, ossia quando l’imputato viene colto con…le mani nel sacco) la data in cui si instaura il giudizio, e tutte le garanzie di cui si può avvalere; se questo anticipo non è rispettato, non può svolgersi l’udienza: è una nullità derivante dalla inosservanza dei termini per una corretta vocatio in jus.

La partecipazione dell’imputato all’udienza è necessaria non solo perché in questo modo egli ha pronta contezza dello svolgimento dell’attività giudiziaria che lo riguarda, ma anche perché egli, in qualunque momento, può rendere utili dichiarazioni in maniera cosiddetta “spontanea” al giudice, in ordine ai fatti di causa. Ed, ancora; le altri parti processuali possono richiederne l’esame, cioè possono chiedere che l’imputato venga interrogato in aula, trattando la sua dichiarazione come una “prova”, per giungere alla decisione finale: ma sempre con le garanzie di cui prima si è scritto.

Ma che succede se una persona non può partecipare attivamente, perché inferma fisicamente, o mentalmente?

Se l’infermità è fisica, si procede alla sospensione dell’udienza, ed al rinvio della stessa di un lasso di tempo che permetta all’imputato di guarire, e di assistervi.

Se invece la malattia è psichica (artt. 70 e ss. c.p.p.), il giudice può disporre una perizia che ne accerti la effettiva incapacità di stare in giudizio. Se l’esito è positivo, il giudice nomina un curatore per l’imputato, dispone il ricovero dell’imputato in un istituto adeguato, e deve sospendere il giudizio. In questo momento, non può essere pronunciata sentenza a carico dell’imputato, a meno che non sia di proscioglimento; e non possono essere raccolte prove, se non quelle proposte dal difensore, che possano portare, quindi, al proscioglimento, od ogni altra, la cui sussistenza che sia messa in pericolo dal ritardo.

Dopo sei mesi, il giudice dispone che venga effettuato un controllo sulla salute dell’imputato; se lo stato è migliorato, il giudice dispone il giudizio; altrimenti la sospensione si protrae, e saranno effettuati controlli semestrali sulla salute mentale dell’imputato. Se, in qualsiasi momento, le condizioni di questi migliorino, il giudice revoca la sospensione; mentre, se vengono in evidenza i presupposti per il proscioglimento dell’imputato, il giudice pronuncia sentenza in tal senso.

In ultimo, ma non ultimo, qualora risultasse ( art. 69 c.p.p.) la morte dell’imputato in ogni stato e grado del processo il giudice sentita l’accusa e la difesa pronuncia sentenza di non luogo a procedere nei confronti dell’accusato; d’altra parte è inconcepibile che al pm sia contrapposto un soggetto deceduto, ma, soprattutto, non è civile processare i morti.

Se invece il presupposto del decesso è infondato o erroneo il procedimento riprende il suo corso non appena si accerta l’esistenza in vita dell’indagato e/o imputato.

Redazione

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