(Normativa di riferimento: C.p.p. art. 616)
Il fatto
Il Tribunale del riesame di Catanzaro rigettava l’istanza di riesame proposta da G. D. e per l’effetto confermava l’ordinanza del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Cosenza con la quale era stata applicata la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel Comune di Cosenza, per i reati di cui all’art. 73 comma 1, 4 e 5 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (capi 51-53-54-55.56 e 59).
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Proponeva ricorso per cassazione l’indagato, a mezzo del proprio difensore, deducendo la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 273-274 lett. c), 275, 292 comma 2 lett. c e c bis cod. proc. pen. in relazione ai presupposti di applicazione della misura evidenziando come, in data 9 gennaio 2019, fosse pervenuta nota (tramite e mail) con la quale il difensore di fiducia avv. P. rilevava la sopravvenuta carenza di interesse in ragione della revoca della misura e della intervenuta sentenza di applicazione di pena su richiesta delle parti, ex art. 444 cod. proc. pen., ed allegava dispositivo di sentenza e ordinanza di revoca di misura cautelare.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile alla luce delle seguenti considerazioni.
Si rilevava, in primo luogo, che è inefficace l’atto di rinuncia al ricorso per cassazione non sottoscritto dall’indagato, ma dal solo difensore non munito di procura speciale atteso che la rinuncia, non costituendo espressione dell’esercizio del diritto di difesa, richiede la manifestazione inequivoca della volontà dell’interessato, espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale (Sez. U, n. 12603 del 24/11/2015 – dep. 25/03/2016, omissis, Rv. 266244); di tal chè, essendo l’atto di rinuncia proveniente dal difensore avv. I. P., difensore di fiducia del ricorrente G. D., che non aveva sottoscritto l’atto di rinuncia e che non aveva conferito procura speciale al medesimo, doveva ritenersi inefficace la rinuncia all’impugnazione da costui proposta.
Non di meno, rilevava il Collegio nella decisione in commento, il ricorso era altresì inammissibile per mancanza di interesse all’impugnazione ex art. 591 comma 1 lett. a) cod. proc. pen. avendo il Giudice delle indagini preliminari del Cosenza revocato la misura cautelare essendo anche stata pronunciata sentenza per i reati oggetto del riesame cautelare, il cui provvedimento era stato impugnato con il ricorso per cassazione.
Posto ciò, si evidenziava però come alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione per sopravvenuta carenza di interesse non conseguisse né la condanna al pagamento delle spese processuali, né della sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende atteso che la Suprema Corte – pur consapevole di un contrario orientamento (di cui è espressione Sez. 5, n. 39521 del 04/07/2018 – dep. 03/09/2018, omissis, Rv. 273882, secondo cui, nell’ipotesi di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse a discuterlo per una causa non imputabile al ricorrente (nel caso di specie il provvedimento impugnato era stato nel frattempo revocato), quest’ultimo, anche successivamente alla modifica dell’art. 616 cod. proc. pen. operata dall’art. 1, comma 64, della legge 23 giugno 2017, n. 103, può essere condannato solo al pagamento delle spese processuali e non anche al versamento in favore della Cassa per le ammende) – riteneva di dover aderire all’orientamento, difforme, ma autorevolmente riconducibile al decisum delle Sezioni Unite della Cassazione secondo cui, in materia di impugnazioni, la nozione della “carenza d’interesse sopraggiunta” va individuata nella valutazione negativa della persistenza, al momento della decisione, di un interesse all’impugnazione, la cui attualità è venuta meno a causa della mutata situazione di fatto o di diritto intervenuta medio tempore, assorbendo la finalità perseguita dall’impugnante, o perché la stessa abbia già trovato concreta attuazione, ovvero in quanto abbia perso ogni rilevanza per il superamento del punto controverso (Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011 – dep. 17/02/2012, omissis, Rv. 251694); per tale ragione, si leggeva nella motivazione di questo arresto giurisprudenziale (§ 9), alla “declaratoria d’inammissibilità non segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria, considerato che il venir meno dell’interesse alla decisione del ricorso è sopraggiunto alla sua proposizione, è ricollegabile unicamente a fattori connessi all’evoluzione dinamica della procedura di estradizione e non configura, per così dire, un’ipotesi di soccombenza del ricorrente (Sez. U, n. 20 del 09/10/1996, omissis)”.
Tal che se ne faceva discendere, in ossequio al principio affermato dalle Sezioni Unite, che in consimili ipotesi, come quella esaminata dagli ermellini nel caso di specie, l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse non comporta alcuna conseguenza sfavorevole al ricorrente ex art. 616, cod. proc. pen..
Conclusioni
La sentenza in questione è sicuramente condivisibile ritenendosi contrario alla logica, ancor che prima che al diritto, il fatto che il ricorrente possa essere condannato al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento di una somma di denaro, secondo quanto previsto dall’art. 616 c.p.p., a favore della cassa delle ammende nel caso in cui l’interesse a impugnare venga meno dopo la proposizione del ricorso.
Pur tuttavia, a fronte di un contrasto giurisprudenziale su tale aspetto processuale, sarebbe forse opportuno che su tale questione intervengano le Sezioni Unite, e ciò per una evidente esigenza di certezza del diritto.
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