riferimenti normativi: art. 1122 c.c.
precedenti giurisprudenziali: Cass. civ., Sez. Un., Sentenza n. 2697 del 11/11/2008
La vicenda
I condomini proprietari dell’attico di un condominio univano (con la demolizione del muro interno che le divideva) due cantine di loro proprietà e, in sostituzione delle due porte indipendenti, collocavano una sola porta di ingresso con due spallette in muratura, in posizione avanzata nel corridoio comune a tutte le cantine, accorpando in questo modo una piccola superficie di proprietà condominiale all’interno delle due cantine riunificate. Inoltre, nell’autorimessa comune, occupavano illecitamente una rientranza di circa mt. 3,00 x 4,00, montando alcune scaffalature metalliche che riempivano di materiale vario (scatole cartoni, faldoni di ufficio, biciclette, cassette, materiale cartaceo in genere). Altri condomini si rivolgevano al Tribunale chiedendo la condanna alla rimessione in pristino del corridoio e delle altre parti comuni illegittimamente alterate e/o modificate ed il risarcimento del danno. I convenuti si costituivano in giudizio eccependo, in via preliminare, la carenza di legittimazione ad agire in giudizio degli attori, quali condomini dello stabile, sostenendo che tale legittimazione, per le censure sollevate, spettasse solo al condominio e non ai singoli condomini. In ogni caso chiedevano il rigetto delle domande avanzate.
La questione
L’occupazione abusiva di una parte del corridoio comune da parte di un singolo condomino abilita gli altri partecipanti al condominio a pretendere un risarcimento dei danni?
La soluzione
Il Tribunale ha dato ragione agli attori, notando che i convenuti, accorpando il tratto di corridoio nella proprietà delle loro cantine, lo hanno sottratto in modo definitivo alla disponibilità degli altri partecipanti al condominio; di conseguenza lo stesso giudice ha condannato i convenuti alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, mediante abbattimento di ogni opera volta ad annettersi una porzione del corridoio condominiale. Il Tribunale ha considerata illecita anche l’occupazione dell’area comune posta nel locale interrato adibito a garage come ripostiglio e/o archivio, condannando gli stessi convenuti alla rimozione da tale spazio di tutti i materiali ivi presenti come indicati dal CTU. In ogni caso, ha accolto la domanda risarcitoria ma limitatamente all’annessione della porzione del corridoio comune nel locale cantine.
Le riflessioni conclusive
Il condominio non è un soggetto giuridico dotato di propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, bensì un semplice ente di gestione, il quale opera in rappresentanza e nell’interesse comune dei partecipanti, limitatamente all’amministrazione e al buon uso della cosa comune, senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condomino. L’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva, perciò, i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa degli interessi, esclusivi e comuni, inerenti all’edificio condominiale (Cass. civ., Sez. III, 18/02/2010, n. 3900).
Nel caso esaminato dal Tribunale, avendo gli attori agito per la tutela di beni comuni, ad essi è stata riconosciuta piena legittimazione processuale. In ogni caso, i condomini, qualora sia stata occupata abusivamente o addirittura accorpata in una proprietà esclusiva una parte comune, possono certamente pretendere il risarcimento dei danni subiti; in particolare, a fronte dell’occupazione abusiva di un’area condominiale, il danno è in re ipsa ed, in quanto tale, liquidabile senza una prova specifica a carico dell’istante circa l’effettivo pregiudizio subito che è configurabile nella semplice perdita di disponibilità del bene, anche solo potenziale. Detto danno ben può essere quantificato in base ai frutti civili che l’autore della violazione abbia tratto dall’uso esclusivo del bene, imprimendo ad esso una destinazione diversa da quella precedente.
Tali danni non possono essere pretesi, però, se non risulta provato che l’occupazione di un’area comune sia stata estesa a tal punto da impedire agli altri condomini il pari uso.
In ogni caso, non è invece certamente configurabile come in re ipsa un danno non patrimoniale, inteso come disagio psico-fisico, conseguente alla mancata utilizzazione di un’area comune condominiale, potendosi ammettere il risarcimento del danno non patrimoniale solo in conseguenza della lesione di interessi della persona di rango costituzionale, oppure nei casi espressamente previsti dalla legge, ai sensi dell’art. 2059 c.c., e sempre che si tratti di una lesione grave e di un pregiudizio non futile (Cass. civ., Sez. Unite, 11/11/2008, n. 26972).
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