- La responsabilità amministrativa. I lineamenti generali, emergenze di devianza finanziaria e percorsi di recupero dell’efficienza amministrativa.
- La legalità «sostanziale» e il rischio d’amministrazione.
- Il sistema delle responsabilità pubbliche e l’incentivo all’efficienza dell’agire amministrativo.
- Il risarcimento del danno quale standard minimo di tutela degli interessi finanziari pubblici
- La pluralità dei tipi. La responsabilità amministrativa in senso stretto.
- Il sistema delle responsabilità pubbliche. I doveri di servizio e il riferimento all’illecito civile.
- L’ analisi «in positivo» della responsabilità amministrativa.
- La tutela dell’efficienza amministrativa nella logica di diritto pubblico.
- La finalità pubblicistico-risarcitoria e pubblicistico-sanzionatoria.
- Bibliografica.
- Volume consigliato
1. La responsabilità amministrativa. I lineamenti generali, emergenze di devianza finanziaria e percorsi di recupero dell’efficienza amministrativa
La responsabilità amministrativa[1] è un istituto giuridico fondato sulla clausola generale di diritto pubblico, tendenzialmente aperta, la quale è stata introdotta nel primo ciclo della legislazione nazionale risalente agli anni ’90, dedicata al contrasto della devianza finanziaria ed alla tutela della economicità e dell’efficienza nella gestione dei bilanci pubblici.
In quel contesto normativo, contraddistinto dalla necessità di contrasto di gravi fenomeni di cattiva amministrazione, la legge n.20/1994 (art.1)[2] ha introdotto una disciplina uniforme ed indifferenziata, applicabile a tutte le attività di diritto pubblico o di rilevanza pubblica[3].
Dall’entrata in vigore della Costituzione, per un periodo di oltre quaranta anni, la legge ordinaria non è mai intervenuta, con discipline organiche, per introdurre significative disposizioni attuative della giurisdizione riservata alla Corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica (c.d. interpositio legislatoris ex art. 103 Cost.), nonostante i continui stimoli della giurisprudenza finanziaria, finalizzati ad estendere gli ambiti oggettivi e soggettivi del giudizio di conto e del giudizio di responsabilità contabile ed amministrativa.
Soltanto all’inizio degli anni ’90, sulla spinta delle gravi e diffuse inefficienze della pubblica amministrazione, ha preso l’avvio un processo di riforma, ancora oggi ritenuto «epocale», caratterizzato da un’intensa produzione legislativa, rivolta a mutare i lineamenti strutturali delle pubbliche amministrazioni, per renderle moderne ed efficienti, nella logica di una nuova cultura amministrativa, che ha conferito maggiore rilievo ai risultati dell’azione pubblica ancorata ai principi di economicità, d’efficacia e d’efficienza e non solo alla mera legittimità formale degli atti procedimentali e del provvedimento amministrativo[4].
Risale agli anni ’90 l’approvazione della prima disciplina generale sul procedimento amministrativo[5], che ha introdotto le prime disposizioni organiche sull’azione amministrativa, innovando i modi di esercizio dell’attività di diritto pubblico e valorizzando la cultura del risultato. E’ contestuale, inoltre, l’approvazione della riforma dell’ordinamento delle autonomie locali[6], che ridefiniva la struttura degli enti territoriali, della disciplina generale sull’organizzazione della pubblica amministrazione e sulla privatizzazione del lavoro e della dirigenza pubblica[7], la quale introduceva il principio della separazione tra le funzioni della direzione politica e della direzione amministrativa, affidando, nel contempo, al diritto privato la disciplina dei rapporti di lavoro con la pubblica amministrazione.
Nel medesimo arco temporale anche la Corte dei conti è inclusa nei processi di riforma amministrativa, in prima battuta con la legge 8 giugno 1990 n. 142, che estendeva ai dipendenti e agli amministratori degli enti locali (art. 58) le disposizioni in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato, realizzando una prima tipologia normativa di interpositio legislatoris a contenuto positivo, ex art. 103 Cost.
In tal modo, alla Corte dei conti è stata attribuita la più ampia giurisdizione in un rilevante ambito di gestione delle risorse pubbliche, con la contestuale introduzione di importanti innovazioni sostanziali che saranno poi estese a tutte le altre categorie di amministratori, dirigenti, dipendenti ed agenti pubblici, con particolare riferimento alla natura personale della responsabilità amministrativa, al doppio regime di parziarietà/solidarietà, di trasmissibilità/intrasmissibilità iure hereditatis e di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno pubblico.
Sempre nella stessa cornice temporale, a tale primo intervento normativo si aggiungono altre disposizioni finalizzate al conseguimento di un duplice scopo.
Da un lato, contrastare le gravi emergenze di devianza finanziaria, riscontrati nella gestione delle risorse pubbliche con l’ammaloramento generalizzato dell’andamento amministrativo, inquinato.
Dall’altro lato, garantire l’uniformità di trattamento giuridico a tutti gli amministratori ed i dipendenti della pubblica amministrazione e rendere coerenti e proporzionate le norme sostanziali della responsabilità amministrativa con i nuovi moduli operativi della pubblica amministrazione.
Le nuove dimensioni assunte dai fenomeni di devianza finanziaria nella gestione dei bilanci pubblici, associate alla crescita delle organizzazioni criminali, reclamavano l’espansione ed il rafforzamento della giurisdizione sulla finanza pubblica riservata, ex art. 103 Cost., alla Corte dei conti[8].
La necessità della sussistenza di una giurisdizione diffusa sull’intero territorio nazionale induce il legislatore a seguire il percorso del decentramento regionale, già avviato con la normazione d’urgenza per la lotta alla criminalità organizzata, la quale aveva provveduto all’istituzione di plessi giurisdizionali presso le regioni a statuto ordinario del meridione d’Italia (Campania, Puglia e Calabria), dove più forte era avvertita la necessità di contrastare il malaffare nell’ambito della pubblica amministrazione[9].
Dunque, il decentramento delle funzioni giurisdizionali della Corte dei conti, con la formazione progressiva di un’organizzazione a rete può essere ricondotto alla legislazione degli anni ‘90 ed alle riforme strutturali della pubblica amministrazione avviate proprio in quel periodo storico, al fine di innestare percorsi di recupero dell’efficienza amministrativa.
Il decentramento giurisdizionale è pienamente realizzato con l’approvazione del decreto legge 11 novembre 1993 n.453, convertito nella legge 14 gennaio 1994 n.19 che, attraverso l’istituzione in ciascuna regione di sezioni giurisdizionali regionali con competenza generale estesa a tutti gli ambiti caratterizzanti la funzione giurisdizionale della Corte dei conti, con riferimento alle varie tipologie di giudizi, ha da un lato superato l’organizzazione in prevalenza accentrata della giurisdizione contabile; dall’altro lato, ha avvicinato le istanze di giustizia al giudice naturale competente per territorio, individuato per il tramite del processo di decentramento degli uffici giudiziari.
La riforma della Corte dei conti rinviene prosegue con la legge n. 639 del 1996, che provvedeva ad introdurre importanti disposizioni di carattere sostanziale, le quali omologavano il regime della responsabilità amministrativa ai principi introdotti dalla coeva legislazione in materia di organizzazione degli uffici e di rapporto di lavoro pubblico. La novella normativa, al contempo, rendeva generali ed uniformi le disposizioni in materia di responsabilità patrimoniale, sino ad allora contenute in vari testi caratterizzati dalla specialità del riferimento alla funzione, alle competenze ed alle mansioni, rispettivamente dell’amministratore e del dipendente pubblico.
Dunque, agli inizi degli anni ’90 i processi di riforma amministrativa, avviati per il recupero dell’economicità e la tutela dell’efficienza dell’azione dei pubblici poteri, consegnavano, alla giurisdizione della Corte dei conti, un’area di cognizione nelle materie di contabilità pubblica, con confini notevolmente estesi e tendenzialmente generali[10].
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Le responsabilità della pubblica amministrazione
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2. La legalità «sostanziale» e il rischio d’amministrazione
In coerenza con il sistema delineato dai medesimi processi di riforma amministrativa, le nuove norme sostanziali ponevano limiti puntuali e specifici all’esercizio dell’azione pubblica di responsabilità amministrativa, introducendo, nell’accertamento di liceità della condotta di gestione, la necessità di verificare non solo la legittimità formale del procedimento adottato ma anche il concreto raggiungimento degli obiettivi di interesse pubblico, in modo tale da garantire a tutti gli operatori pubblici gli indispensabili poteri di autonomia decisionale, anche al fine di evitare che il timore soggettivo ed il rischio oggettivo della responsabilità divenissero causa di rallentamenti e di inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa.
Pertanto, nella sostanza della riforma amministrativa avviata negli anni ‘90, il precipitato delle nuove disposizioni normative si concentra sulla ricerca dei criteri di distribuzione del rischio dell’attività amministrativa tra la pubblica amministrazione ed i suoi amministratori ed agenti. Infatti, il giudice della finanza pubblica non può limitare il proprio sindacato all’esclusiva valutazione della legalità formale dell’azione amministrativa, ma deve verificare in concreto l’effettiva utilità conseguita con la medesima attività, secondo i criteri dell’economicità, dell’efficacia e dell’efficienza della gestione, al fine di accertare l’effettiva sussistenza del danno pubblico soggettivamente imputabile[11].
Si legga anche:
- La responsabilità civile della P.A.: fondamento, natura, colpa
- La responsabilità civile della pubblica amministrazione: quale natura?
3. Il sistema delle responsabilità pubbliche e l’incentivo all’efficienza dell’agire amministrativo
Le riforme degli anni ’90 attivano un complesso sistema a tutela della legalità finanziaria nella gestione delle risorse assegnate ai bilanci pubblici. In tal modo, la tutela degli interessi finanziari della pubblica amministrazione è rimessa alle dinamiche di collegamento tra i diversi sistemi di responsabilità patrimoniale riconducibili all’azione amministrativa.
La responsabilità civile si contraddistingue, nel lungo periodo, per il costante allargamento dell’area del danno risarcibile, i cui confini mobili si prestano a garantire la protezione di valori personali ed immateriali, solo indirettamente suscettivi di stima patrimoniale; il tutto in un quadro di principi dominato dall’intelligenza pretoria del giudice ordinario, il quale deve condividere le materie con il giudice amministrativo[12].
La responsabilità penale, divenuta poi luogo di contrasti d’opinione incentrati sulla natura e sui contenuti delle discipline d’incriminazione, ha contratto le aree garantite dai divieti di condotta e perfezionato le funzioni di deterrenza attraverso metodi e tecniche di tutela che estendono l’imputabilità verso gli enti collettivi, con un reticolo sanzionatorio sensibile alla finalità recuperatoria del danno da reato[13].
La responsabilità amministrativa, nel nuovo assetto normativo ed interpretativo, si presenta come un modello caratterizzato dalla duplice funzione di protezione degli interessi finanziari della pubblica amministrazione e di incentivo all’efficienza dell’agire amministrativo; tanto in un sistema contraddistinto dalla co-intestazione, alla Corte dei Conti, delle attribuzioni di controllo separate ma parallele alle attribuzioni giurisdizionali.
La centralità del regime della responsabilità amministrativa nella tutela degli interessi finanziari della pubblica amministrazione discende non solo dal regime binario, fondato sulla distinzione tra il dolo e la colpa grave[14], ma anche dalla sopravvenienza di normative che rafforzano i collegamenti processuali costituendo rapporti non più di pregiudizialità, ma di presupposizione, interdipendenza e complementarità reciproca tra i diversi processi[15].
Infatti, in tale contesto d’integrazione del sistema di tutela della legalità finanziaria, si inserisce la legge 27 marzo 2001 n. 97[16] la quale, nelle interpretazioni date dalla giurisprudenza della Corte dei conti, costituisce il nuovo e principale modello di collegamento processuale.
Le finalità specifiche di tale legge, che svolge la funzione primaria di impulso all’attivazione di collegamenti processuali tra le diverse giurisdizioni, sono sottese alle «esigenze di moralizzazione della pubblica amministrazione, le quali impongono l’adozione di ogni più opportuna misura volta ad evitare che dipendenti nei confronti dei quali sia intervenuta sentenza penale di condanna passata in giudicato possano confidare in una sostanziale indulgenza per i fatti accertati sulla scorta di una difforme valutazione degli stessi in sede disciplinare».
Dalla ricerca di una omogeneizzazione tra procedimento penale e procedimento disciplinare consegue l’ulteriore corollario della necessità di «un sistema graduale di sanzioni e di effetti sul rapporto di impiego», il quale esprima «anche misure di carattere patrimoniale volte a garantire la trasparenza amministrativa e la restituzione del maltolto».
Pertanto, alla presa d’atto, da parte del legislatore, della insufficienza del sistema penale a restituire eticità all’azione amministrativa, corrisponde il rafforzamento delle garanzie di legalità finanziaria mediante misure e sanzioni che afferiscano al responsabile dell’illecito, al suo status di servizio nei confronti della pubblica amministrazione ed al suo patrimonio; tanto al fine di eliminare qualsiasi vantaggio personale ed economico conseguibile con il comportamento illecito, senza però travalicare il limite della proporzionalità tra azione vietata e reazione consentita[17].
4. Il risarcimento del danno quale standard minimo di tutela degli interessi finanziari pubblici
In un sistema caratterizzato da una pluralità di azioni esperibili per la tutela della pubblica amministrazione, il risarcimento del danno compie un salto di qualità perché diviene lo standard minimo di tutela degli interessi finanziari pubblici; inoltre, l’azione di responsabilità amministrativa e contabile conferita al magistrato del pubblico ministero istituito presso la Corte dei Conti si presenta quale misura idonea a conferire concretezza e proporzionalità dissuasiva di fenomeni d’inefficienza nella gestione delle risorse finanziarie di derivazione o destinazione pubblica. Infatti, mentre la tutela penale è sempre più confinata dalla tipicità del fatto di reato, la tutela finanziaria riservata alla Corte dei conti si propone come una disciplina dotata di duttilità, in quanto articolata sulla clausola generale di diritto pubblico non invasiva della discrezionalità amministrativa[18].
In tal modo, se il risarcimento del danno ingiusto, come è noto, non è “materia di giurisdizione” bensì “strumento di tutela” delle situazioni giuridiche soggettive, la responsabilità amministrativa è un istituto giuridico rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ovvero nell’ambito delle materie della giurisdizione e dell’ordinamento civile[19].
5. La pluralità dei tipi. La responsabilità amministrativa in senso stretto
Nel percorso ultra-ventennale attraversato dalla responsabilità amministrativa, con decorrenza dall’introduzione del regime a clausola generale[20], possono individuarsi e distinguersi alcune fondamentali tappe evolutive, le quali agevolano lo sviluppo delle riflessioni sulle attuali potenzialità giuridiche e sulle migliori utilità conseguibili a garanzia dell’efficienza e del buon andamento amministrativo.
La prima tappa evolutiva decorrente dal 1994 è contraddistinta dall’innovazione sistematica dei principi normativi, introdotti appositamente dal legislatore per conferire specialità alla responsabilità amministrativa e per connotare gli elementi costitutivi ed il regime giuridico, secondo lineamenti distinti ed autonomi da quelli «generali» derivanti dalla responsabilità civile.
Pertanto, nel quadriennio 1994-1998 gli indirizzi della giurisprudenza costituzionale hanno segnato l’allontanamento dagli schemi e dalle regole generali della responsabilità civile, contrattuale ed extracontrattuale, consolidando quella che, ancora oggi, è definita «la nuova conformazione della responsabilità amministrativa».
La seconda tappa evolutiva è innestata implicitamente nella prima, ma si manifesterà espressamente e si svilupperà progressivamente negli anni successivi, costituendo un fattore costante e permanente di evoluzione delle finalità normative della responsabilità amministrativa, secondo le mutevoli dinamiche di relazione e d’integrazione tra i diversi regimi di responsabilità patrimoniale generati dall’esercizio delle attività amministrative e dalla gestione delle risorse di derivazione e di destinazione pubblica.
In tale contesto, la responsabilità amministrativa segue l’evoluzione della finanza pubblica nella dimensione organizzativa dei molteplici centri di spesa ed interagisce con lo sviluppo complessivo del sistema delle responsabilità patrimoniali, che incide sulle attività della pubblica amministrazione secondo le discipline del diritto civile e dello stesso diritto amministrativo.
In tale contesto, si consolidano i principi processuali sul concorso e sulla complementarità tra le diverse azioni a tutela dell’interesse pubblico al buon andamento amministrativo, con vantaggi reciproci ed integrati, rispettivamente tra la tutela penale e la tutela contabile, ed inoltre tra la tutela civile e la tutela contabile.
La terza tappa normativa è contraddistinta dall’ampliamento della responsabilità amministrativa nella finalità «sanzionatoria» con l’introduzione iniziale di una fattispecie specifica e tassativa, la quale funge da paradigma con effetti di apri-pista verso una legislazione che, con diverse matrici temporali e con finalità eterogenee, ha tipizzato molteplici fattispecie contraddistinte da limiti e divieti apposti alle decisioni di spesa pubblica.
La quarta e più recente tappa della responsabilità amministrativa appare di difficile ricostruzione e rimane tuttora da esplorare nelle dinamiche peculiari del diritto giurisprudenziale, ma la sua esistenza è alquanto evidente e dalla sua organica attuazione dipende il grado di effettività conseguibile nella tutela dell’integrità dei bilanci pubblici e dell’efficienza amministrativa.
Infatti, a tale ultima tappa evolutiva appartiene la legislazione, anche di livello costituzionale, incentrata sugli equilibri di bilancio e sulla prevenzione dei disavanzi eccessivi, oltre al ciclo della legislazione di contrasto e di prevenzione dei fenomeni corruttivi, intesi in senso lato.
In particolare, mentre la legislazione di tutela degli equilibri di bilancio si traduce in regimi di vincoli e limiti gestionali, collegati a fattispecie diffuse di responsabilità amministrative tipizzate, la legislazione anticorruzione comprende, tra gli strumenti di prevenzione e di deterrenza finanziaria, l’azione di recupero del danno pubblico.
Dunque, entrambi i profili evolutivi delle discipline di contabilità e di finanza pubblica hanno impresso nuove dinamiche alla clausola generale della responsabilità amministrativa[21].
Il termine responsabilità evoca l’infrazione soggettiva di regole date da un ordinamento costituito, il quale predispone un sistema generale di effetti giuridici per reagire alla violazione e ripristinare l’ordine violato. L’astratta previsione della reazione all’infrazione delle regole dissuade dalla condotta contraria, mentre la concreta ed effettiva produzione dell’effetto di reazione restaura l’ordine violato.
Ogni sistema di responsabilità si fonda, dunque, sulla necessità di assicurare l’effettività dell’ordinamento giuridico attraverso la reazione alla violazione consumata[22].
La responsabilità realizza, pertanto, i valori protetti dall’ordinamento giuridico non solo prevenendo la loro lesione con l’effetto dissuasivo dall’infrazione, ma anche con la restaurazione del bene illegittimamente pregiudicato. La responsabilità esprime un giudizio di disvalore contro l’infrazione ed al contempo un giudizio di protezione del valore violato.
La reazione dell’ordinamento può assumere connotati patrimoniali[23] o connotati personali[24].
L’uso della terminologia «responsabilità amministrativa» indica una pluralità eterogenea di modelli giuridici di diritto pubblico. È indicata, inoltre, come forma di responsabilità amministrativa, la responsabilità disciplinare del dipendente della pubblica amministrazione per l’infrazione dei doveri di servizio[25].
È in genere qualificata responsabilità amministrativa anche la responsabilità dirigenziale o manageriale del pubblico dipendente, introdotta dal d.p.r. 30 giugno 1972 n.748 e riprodotta con i medesimi lineamenti dal decreto legislativo n.29 del 3 febbraio 1993 di revisione della disciplina in materia di pubblico impiego[26] e dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
È infine ritenuta amministrativa la responsabilità discendente dalla depenalizzazione di condotte ora represse con l’applicazione di sanzioni pubbliche comminate dalla pubblica amministrazione per violazione di comandi generali gravanti indistintamente su tutti i consociati[27].
In punto di sintesi, responsabilità disciplinare, responsabilità dirigenziale e responsabilità da sanzione pubblica non penale esprimono il significato lato ed improprio della responsabilità amministrativa ed indicano il fenomeno della diffusione di una terminologia che contrassegna regimi eterogenei e non affini tra loro.
La responsabilità amministrativa in senso stretto ha un proprio ambito giuridico contraddistinto sia da specifiche origini sia da peculiari evoluzioni, che impediscono l’accostamento alle altre responsabilità di diritto pubblico solo impropriamente definite come forme di responsabilità amministrativa.
Il significato proprio della responsabilità amministrativa emerge dunque da una preliminare definizione a contenuto negativo: essa non è responsabilità di tipo disciplinare, non è responsabilità manageriale (dirigenziale), non è responsabilità da sanzione pubblica comminata nei confronti della generalità dei consociati[28].
La differenza fondamentale nel contesto delle diverse discipline di diritto pubblico è data dalla natura patrimoniale della responsabilità amministrativa in senso stretto, in quanto fondata sul danno e sulla colpa.
Le altre responsabilità di diritto pubblico, o amministrative in senso lato, anche quando contengono effetti patrimoniali nella sanzione comminata[29] ignorano l’elemento costitutivo del danno al patrimonio pubblico.
6. Il sistema delle responsabilità pubbliche. I doveri di servizio e il riferimento all’illecito civile
Il contenuto proprio della responsabilità amministrativa in senso stretto si coglie mediante il riferimento alle condotte dannose dell’agente pubblico contro l’ente di appartenenza in violazione dei doveri soggettivi di servizio.
Con l’espressione responsabilità amministrativa si indica la responsabilità dei dipendenti pubblici per i danni causati agli enti di appartenenza da azioni od omissioni poste in essere nell’esercizio delle funzioni loro attribuite[30].
Tale definizione possiede un’indubbia capacità di sintesi ed è stata anche utilizzata per individuare la fondamentale linea di demarcazione del sistema di responsabilità amministrativa dal diverso, ma complementare, regime della responsabilità civile della pubblica amministrazione e dei dipendenti pubblici nei confronti dei terzi danneggiati da atti compiuti in violazione di diritti.
Pur in presenza di evidenti nessi logici e giuridici, la responsabilità amministrativa costituisce un sistema normativo non dipendente dalla disciplina della responsabilità civile della pubblica amministrazione nei confronti del terzo.
A tal proposito, la responsabilità civile della pubblica amministrazione ha ormai una copertura costituzionale che supera in forma definitiva i dubbi sulla sua ammissibilità[31].
L’unanime interpretazione dell’art.28 Cost. è quella che riconduce a tale norma la configurazione di un sistema globale di garanzia dei diritti del terzo, poiché alla violazione delle situazioni soggettive l’ordinamento reagisce predisponendo non solo la tutela penale e disciplinare, ma anche la tutela civile a contenuto patrimoniale che opera sia nei confronti del dipendente pubblico, sia nei confronti della stessa pubblica amministrazione responsabile in forma concorrente e solidale dell’illecito consumato. Pertanto, la disposizione normativa dell’art.28 Cost. conferisce fondamento ad un sistema di responsabilità incentrato sulla funzione di tutela a favore del terzo, estraneo alla pubblica amministrazione, che sia pregiudicato dall’attività del pubblico potere. Ebbene, la tutela comprende sanzioni personali contro l’autore della condotta, ma anche il risarcimento del danno contro la stessa pubblica amministrazione[32].
Rispetto a tali premesse fondate sul contenuto essenziale dell’art.28 Cost., la responsabilità amministrativa in senso stretto si colloca in una dimensione autonoma, poiché la sua specificità è data dall’essere un regime di responsabilità non a garanzia del terzo e contro la pubblica amministrazione, bensì a garanzia della pubblica amministrazione e contro l’agente pubblico per il danno causato dalla violazione degli obblighi di servizio.
La responsabilità amministrativa è il regime di responsabilità che opera all’interno del rapporto soggettivo di preposizione alla funzione od al servizio pubblico, ed esprime la necessità di reazione dell’ordinamento alla violazione delle regole di gestione proprie di tale rapporto.
La responsabilità civile della pubblica amministrazione è invece la responsabilità per violazione di obblighi esterni al rapporto di gestione, che possono essere soggettivamente precostituiti dalle regole negoziali di diritto comune tra le quali la buona fede e la tutela dell’affidamento, oppure essere concentrati nella disciplina generale dell’illecito aquiliano.
La prima definizione positiva della responsabilità amministrativa discende dalla naturale differenziazione dalla responsabilità civile in generale e della pubblica amministrazione in particolare.
La responsabilità civile tutela le posizioni del terzo tanto contro la pubblica amministrazione quanto contro il pubblico dipendente; la responsabilità amministrativa tutela invece la stessa pubblica amministrazione contro il pubblico dipendente.
Entrambi i modelli di responsabilità hanno però una struttura patrimoniale perché presuppongono l’accertamento del danno.
Il fondamento della responsabilità amministrativa non è però contenuto nell’art.28 Cost. che invece rappresenta norma precettiva della responsabilità civile della pubblica amministrazione. Il fondamento costituzionale della responsabilità amministrativa deve invece ricercarsi negli artt. 97, 100 e 103 Costituzione.
Sul punto si consiglia il volume” La responsabilità della pubblica amministrazione”. L’opera nasce con l’intento di offrire al lettore (Magistrato, Avvocato, Funzionario pubblico) una guida indispensabile per affrontare un tema cui sono sottese sempre nuove questioni: quello delle ipotesi di responsabilità dell’amministrazione pubblica.
7. L’ analisi «in positivo» della responsabilità amministrativa
La prima analisi dei profili positivi della responsabilità amministrativa propone la concezione di un modello costituito da una struttura patrimoniale e da una funzione[33] risarcitoria, sul paradigma della responsabilità civile ora di tipo extracontrattuale ora di tipo contrattuale. È stato, pertanto, proposto un sistema fondato sulla triade concettuale danno-colpa-antigiuridicità della condotta che rappresenta proprio l’asse portante del modello della responsabilità civile. Quindi, nonostante la peculiarità sia del rapporto di gestione che genera l’imputazione di danno, sia della qualità soggettiva dell’agente pubblico che viola gli obblighi di status, la responsabilità amministrativa mutua la struttura e la funzione dalla responsabilità civile[34].
Il metodo d’analisi giuridica afferma, dunque, la natura di diritto pubblico della responsabilità amministrativa, ma al contempo propone una tecnica di utilizzazione degli elementi normativi dell’illecito civile, che rappresentano un’area comune di principi generali. La natura patrimoniale del danno, la colpa imputabile e la condotta antigiuridica consentono l’affermazione di un fondamento comune alla responsabilità civile ed alla responsabilità amministrativa, pur nella specialità della disciplina normativa di quest’ultima. In dottrina non è mancato chi ha ritenuto di dover in genere ricondurre la responsabilità dello Stato e dei suoi dipendenti nell’ambito dell’istituto della responsabilità per danni disciplinato dal codice civile, considerando irrilevanti la figura e le caratteristiche degli autori del danno per potere giustificare una teorica autonoma per tipi speciali di responsabilità diversi da quelli di diritto privato[35].
L’illecito civile viene adottato, nelle sue diverse tipologie, come paradigma normativo che giustifica la struttura e la funzione della responsabilità amministrativa. Gli elementi comuni sintetizzati dal contenuto patrimoniale della responsabilità pongono il dubbio circa la natura extracontrattuale o contrattuale del danno pubblico[36].
La responsabilità amministrativa si origina, in tal modo, dalla trasposizione dell’illecito civile all’area del diritto pubblico, ma la mutuazione del modello richiede l’adeguamento al contenuto peculiare del rapporto di servizio di diritto pubblico. Il danno patrimoniale e la colpa come criterio di imputazione soggettiva sono gli elementi comuni che consentono l’affinità tra la responsabilità civile e la responsabilità amministrativa. I doveri di servizio del pubblico dipendente e la giurisdizione della Corte dei Conti sulla violazione del loro contenuto sono i fondamentali, ma non gli unici, elementi differenziali. La responsabilità civile, prima extracontrattuale e poi contrattuale, è la categoria di genere alla quale ricondurre la responsabilità amministrativa, che è categoria di specie disciplinata dal diritto pubblico con peculiarità non solo sostanziali ma anche processuali. La relazione da genere a specie è giustificata da una tecnica di “adattamento” analoga a quella già sperimentata per il provvedimento amministrativo, concepito come negozio giuridico di diritto pubblico, prima di divenire atto a regime pubblico di esercizio della funzione autoritativa. La configurazione originaria della responsabilità amministrativa oscilla tra opinioni affermative della natura extracontrattuale e contrarie opinioni fondate sulla logica contrattuale[37]. Le opinioni extra-contrattuali fondavano l’analisi interpretativa sul dato letterale espresso dall’art. 82 legge generale di Contabilità di Stato, r.d. 18 novembre 1923 n.2440, secondo il quale: “L’impiegato che, per azione od omissione, anche solo colposa, nell’esercizio delle sue funzioni cagioni danno allo Stato è tenuto a risarcirlo”. Poiché l’obbligazione risarcitoria è correlata alla condotta d’esercizio della funzione, disgiunta da qualsiasi riferimento alla violazione specifica degli obblighi di servizio, ciò sembrava sufficiente per affermare la natura extra-contrattuale della responsabilità amministrativa il cui regime ripete la disciplina dell’illecito aquiliano.
La transizione alle teorie contrattuali coincide con la sopravvenienza dello Statuto degli impiegati civili dello Stato, d.p.r. 10 gennaio 1957 n.3, ed è giustificata dalla connessione dell’illecito con la violazione degli obblighi di servizio i quali sono precostituiti dal rapporto tipico di gestione. Poiché “l’impiegato è tenuto a risarcire alle amministrazioni stesse i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio”[38], sussiste il tratto peculiare dell’illecito contrattuale, per la dipendenza della responsabilità amministrativa dal contenuto degli obblighi specifici e tipici del rapporto precostituito[39].
Gli argomenti contrattuali hanno dominato senza significativi contrasti gli orientamenti d’opinione, nonostante qualche dubbio critico anche di recente manifestato e riproposto, sia pure in una prospettiva che appartiene non più all’origine bensì all’evoluzione della responsabilità amministrativa, avviata nei percorsi interpretativi degli anni ’90[40].
L’orientamento fondamentale della giurisprudenza che ha avallato il fondamento contrattuale dell’illecito amministrativo è stato espresso in materia di prescrizione, in una ipotesi di responsabilità discendente dal risarcimento da parte della pubblica amministrazione del danno civile cagionato al terzo (c.d. responsabilità indiretta). Il caso è risolto con l’enunciazione finale di un principio generale in materia di prescrizione. L’ipotesi è di particolare interesse per la logica dei concetti utilizzata nella differenziazione tra responsabilità civile e responsabilità amministrativa e per la ricerca della disciplina sulla prescrizione applicabile all’illecito amministrativo. Si evidenzia, a tal fine, la distinzione tra rapporto esterno (pubblica amministrazione-terzo) e rapporto interno (pubblica amministrazione – pubblico dipendente) per inferirne la diversa posizione delle parti.
Sulla questione del regime della prescrizione dell’illecito “Giova premettere che, agli effetti delle particolari responsabilità che dalla legge di contabilità generale dello Stato sono attribuite ai dipendenti, funzionari, impiegati e agenti, non vi è sostanziale differenza se il danno sia stato direttamente arrecato all’Erario ovvero solo indirettamente, in quanto causato al terzo e risarcito dall’Amministrazione in seguito ad azione del danneggiato. In quest’ultima ipotesi, che ricorre nel caso in esame, un duplice ordine di rapporti è posto in essere: quello che intercorre tra lo Stato ed il terzo (rapporto esterno) e quello tra Amministrazione e suo dipendente (rapporto interno). Il rapporto con il terzo, per il risarcimento che questi richiede dalla Pubblica Amministrazione, è regolato dalle norme privatistiche e in particolare nella specie da quelle dettate a tutela della circolazione stradale; le quali stabiliscono sia la presunzione legale di colpa a carico del conducente, sia la responsabilità solidale del proprietario e del conducente nell’obbligo del risarcimento (art.2054 cod. civ.). Nel sistema delle norme privatistiche, con tali speciali disposizioni dettate a favore del danneggiato, sono state distinte, nell’ambito delle ordinarie responsabilità per fatto illecito (dette extracontrattuali o aquiliane), quelle per attività che presentano maggior pericolo per i terzi; e in rapporto ad esse è stabilita, anche in considerazione della difficoltà delle prove per il decorso del tempo, la più breve prescrizione biennale, anziché quella quinquennale relativa in genere a fatti illeciti (art.2947,1° e 2° comma cod. civ.)”[41].
Nel rapporto interno di responsabilità tra pubblica amministrazione ed agente pubblico non possono però applicarsi direttamente le regole giuridiche del rapporto esterno con il terzo danneggiato; “Ma come già si è accennato, in armonia del resto con i criteri giurisprudenziali che si rilevano da varie decisioni di questa Corte, allorché si tratta del rapporto interno tra Amministrazione e propri dipendenti, viene esercitata dall’organo competente dinnanzi alla Corte (art.52 T.U.1214 del 1934) l’azione prevista dalla legge di contabilità generale dello Stato e dallo stesso testo unico; azione in virtu’ della quale il danno è ripetibile per intero, salva la facoltà riduttiva prevista dall’art.83 della legge di contabilità, sempre che sussistano gli estremi su cui l’azione medesima è fondata, tra i quali il comportamento colposo dell’agente in violazione delle norme di servizio. Dalle rilevate differenziazioni chiaramente discendono conseguenze anche in ordine alla prescrizione; non può infatti nel rapporto interno trovare applicazione quella biennale propria del rapporto esterno tra danneggiato e responsabili”[42].
Al fine della ricostruzione normativa della responsabilità amministrativa dell’agente pubblico non deve, dunque, ingenerarsi confusione tra l’illecito «esterno» consumato in pregiudizio del terzo e l’illecito «interno» consumato in danno della pubblica amministrazione La disciplina della responsabilità civile è sistema applicabile all’aspetto esterno, ma non all’aspetto interno, il quale ultimo rinviene la fonte di normazione nelle leggi di contabilità pubblica. Il primo profilo può condizionare l’operatività del secondo, nel senso che il risarcimento del danno al terzo è presupposto per l’azione di rivalsa della pubblica amministrazione nel rapporto interno di gestione. Pertanto, la disciplina della prescrizione abbreviata od ordinaria che afferisce alla responsabilità civile della pubblica amministrazione (profilo esterno) non può estendersi alla responsabilità amministrativa del pubblico dipendente (profilo interno), perché questa ha un regime speciale di diritto pubblico qualificato dalla giurisdizione della Corte dei Conti, titolare del potere riduttivo dell’addebito. La linea di demarcazione tra profilo esterno e profilo interno non preclude però l’applicazione dei principi generali dell’illecito civile alla materia della responsabilità amministrativa, perché esiste l’area comune data dalla categoria di genere.
Con tale tecnica ermeneutica è possibile l’individuazione del termine di prescrizione relativo al profilo interno, proprio della responsabilità amministrativa: “Occorre ora esaminare quale sia la natura delle responsabilità dei funzionari, impiegati e agenti verso lo Stato, il cui accertamento è di competenza di questa Corte[43]. La indagine è diretta appunto a stabilire se trattisi di responsabilità da fatto illecito od afferente piuttosto nell’ambito delle responsabilità contrattuali. Soccorrono qui i concetti sopra enunciati e, facendo di essi logica e conseguente applicazione, chiaro appare che, essendo i dipendenti dello Stato a quest’ultimo legati da un rapporto precostituito e che determina precisi doveri di servizio e di comportamento (quale che sia, secondo le varie dottrine, la peculiare natura o struttura di tale rapporto, la responsabilità dei dipendenti medesimi nelle considerate ipotesi non può riportarsi alla categoria delle responsabilità da fatto illecito (extra contrattuale od aquiliana), ma essa può piuttosto assumersi, per la comunanza degli elementi già posti in evidenza, nell’altra categoria della responsabilità contrattuale”[44].
Quindi, la netta demarcazione tra rapporto esterno pubblica amministrazione-terzo (responsabilità civile) e rapporto interno agente pubblico – pubblica amministrazione (responsabilità amministrativa) non impedisce l’utilizzazione dei principi generali dell’area dell’illecito civile in difetto di normativa speciale di diritto pubblico o in presenza di lacune del regime dell’illecito amministrativo. Particolarmente significative sono le argomentazioni conclusive e risolutive della tematica della prescrizione. “Infatti, dallo speciale rapporto tra Amministrazione e suoi dipendenti nascono speciali doveri e obblighi imposti da leggi e da regolamenti, alla cui infrazione od inosservanza si riconnette la speciale responsabilità che è sancita a loro carico, ove da solo o da sola colpa nell’esercizio delle loro funzioni sia derivato danno patrimoniale allo Stato. Più precisamente, ai dipendenti statali incombe l’obbligo di ottemperare alle particolari norme di servizio, che determinano una serie di doveri, più o meno generici, più o meno specifici (secondo il grado e le mansioni che i dipendenti stessi sono chiamati ad assolvere); l’inadempimento od inesatto adempimento di tali doveri, che abbia cagionato danno erariale, sta alla base della responsabilità di cui trattasi. Per le premesse considerazioni all’azione del Procuratore Generale dinanzi a questa Corte non possono applicarsi le prescrizioni brevi: né la biennale, né la quinquennale stabilita per i risarcimenti conseguenti a fatto illecito”[45].
Verificata l’impossibilità di applicare al profilo interno di gestione il regime di prescrizione del fatto illecito extracontrattuale di diritto civile, è necessaria l’individuazione della norma che disciplina l’estinzione del diritto al risarcimento del danno pubblico:“Non esistendo per il rapporto di cui si discute norma particolare di prescrizione, deve, in conclusione, farsi necessario riferimento all’ordinaria prescrizione decennale secondo il vigente codice (art.2946). È bensì esatto, come ha osservato anche il Procuratore generale, che la legge di contabilità generale (r.d.18 novembre 1923 n.2440, tit. II, capi V e VII), distintamente considera la responsabilità degli agenti dell’Amministrazione incaricati del maneggio dei valori dello Stato e quella così detta amministrativa; e in relazione a questa distinzione è stata affermata, nella giurisprudenza della Corte, la contrattualità nei confronti degli agenti contabili, quasi a ribadire la più precisa e rigorosa disciplina che regola le loro mansioni. Ma, ripetesi, prestazioni e obblighi più o meno generici, più o meno specifici, tutti discendono dal precostituito rapporto di pubblico impiego: unico essendo il vincolo, unico è il tipo di responsabilità per ogni comportamento che implichi inadempimento o inesatto adempimento di tali obblighi. Onde la destinazione sopra richiamata viene solo a costituire una differenziazione di disciplina nell’ambito dell’unico rapporto giuridico; differenziazione da cui derivano ulteriori conseguenze sul modo di iniziare e svolgere i giudizi nei confronti dei vari soggetti e sull’onere della prova”[46].
Ciò detto, in difetto di norme espresse dal regime di diritto pubblico e dalla disciplina di contabilità di Stato, è possibile l’applicazione dell’ordinario regime di prescrizione decennale secondo le regole del diritto comune: “E a tal riguardo, il Collegio reputa utile osservare che, ove non soccorrano norme sulla contabilità generale dello Stato, è d’uopo fare riferimento ai principi generali tratti dal diritto comune. Cosicché, mentre per gli agenti contabili la constatata deficienza di valori o materie è di per se idonea a sostanziare la responsabilità dell’agente, salva la rigorosa prova liberatoria di cui all’art.194 del regolamento di contabilità (regio decreto 23 maggio 1924 n.827), nei riguardi invece dei soggetti imputabili di responsabilità amministrativa in base ai richiamati principi (cfr. tra l’altro, art.1218 cod. civ.) spetta al Procuratore generale, nell’atto introduttivo del giudizio, provare quell’inadempimento ovvero inesatto od incompleto adempimento (più comune ipotesi) degli obblighi di servizio, salvo al convenuto la prova negativa delle ascritte violazioni, o del loro carattere colposo”[47].
La qualificazione contrattuale della responsabilità amministrativa e la iniziale carenza di norma espressa sul regime di prescrizione, costituiscono i dati logici che hanno consentito di estendere all’illecito di diritto pubblico la disciplina civile del termine ordinario di durata decennale (art. 2946 c.c.) e non invece la diversa disciplina del termine breve, biennale o quinquennale, previsto per la responsabilità civile di tipo extracontrattuale (art. 2947 c.c.). La responsabilità amministrativa si configura, quindi, nelle sue origini come responsabilità civile di diritto pubblico, a contenuto patrimoniale, ed a struttura contrattuale. La contrattualità è insita nella precostituzione normativa di obblighi specifici al rapporto di servizio con la pubblica amministrazione. La patrimonialità è propria del danno e dell’accertamento costitutivo dell’obbligo di risarcimento.
8. La tutela dell’efficienza amministrativa nella logica di diritto pubblico
Nonostante l’utile applicazione delle regole di diritto comune, il giudice contabile prende coscienza dell’inadeguatezza dei principi dell’illecito civile di tipo contrattuale e manifesta l’esigenza del progressivo allontanamento dal modello giuridico dapprima utilizzato come parametro di riferimento[48]. Sotto il profilo del diritto sostanziale, si conferisce valore al contenuto normativo del rapporto di servizio, perché i doveri del pubblico dipendente non possono giustificarsi con le regole dell’obbligazione di fonte negoziale. Sotto il profilo della disciplina processuale, la giurisdizione della Corte dei Conti, il potere riduttivo dell’addebito di danno ed il conferimento dell’azione di responsabilità all’ufficio del pubblico ministero, denotano l’incompatibilità tra l’illecito amministrativo ed il giudizio civile di risarcimento per lesione di diritti patrimoniali disponibili.
Sotto il profilo della responsabilità pecuniaria e graduazione dell’addebito “La responsabilità del funzionario o impiegato verso l’ente è concretamente valutabile e perciò è soggetta a graduazione; può trovare una scusante nell’errore professionale; può comportare condanna a risarcire il danno solo parzialmente. Ciò spiega la particolare disciplina della responsabilità pecuniaria del funzionario nei suoi aspetti sostanziali e processuali. E dimostra che se i principi civilistici, elaborati dall’esperienza secolare della tradizione romanistica, debbono essere richiamati in via fondamentale, non può fondatamente negarsi che la responsabilità amministrativa ha una sua particolare fisionomia per la quale non può essere confusa con quella civile; a volte, anzi, nell’approfondirla sorgono insospettati collegamenti con i principi della responsabilità penale”[49].
Tutti gli elementi normativi che appartengono alla struttura ed alla funzione della responsabilità amministrativa non sono riconducibili all’area generale dell’illecito civile; infatti, la sostanza dell’istituto è quella di un fenomeno giuridico non assimilabile all’illecito civile[50]. La struttura e la funzione della responsabilità amministrativa dipendono dalle norme della Costituzione che dettano i principi generali dell’azione dei pubblici poteri e che riservano alla giurisdizione della Corte dei Conti le materie di contabilità pubblica. Gli elementi costitutivi dell’illecito amministrativo discendono dal contenuto delle regole proprie del rapporto di servizio con la pubblica amministrazione dal quale si originano i poteri ed i doveri di gestione delle risorse pubbliche[51].
La fonte della responsabilità è il rapporto di servizio con la pubblica amministrazione e di conseguenza l’illecito amministrativo aderisce al contenuto di tale rapporto che non può confondersi, né assimilarsi all’obbligazione civile extracontrattuale o contrattuale[52].
La natura patrimoniale della responsabilità amministrativa, desunta dal contenuto economico del danno cagionato alla pubblica amministrazione, propone la riflessione circa la funzione del risarcimento, il quale può fungere da sanzione comminata contro l’autore della condotta[53].
Si apre, così, un orizzonte nuovo di riflessione perché alla funzione sanzionatoria del risarcimento patrimoniale del danno pubblico, si accostano i temi della trasmissibilità o della intrasmissibilità della responsabilità amministrativa agli eredi e della natura solidale o parziaria della obbligazione risarcitoria gravante sull’autore dell’illecito. Tali problematiche non possono più trovare soluzione nell’automatica applicazione dei principi dell’illecito civile, perché è stato ormai rinnegato il rapporto di genere a specie tra la responsabilità patrimoniale di diritto comune e la responsabilità amministrativa[54].
Si entra, in tal modo, nel dibattito aperto dagli orientamenti di diritto pubblico, perché il contenuto patrimoniale della responsabilità amministrativa non significa solidarietà e trasmissibilità dell’obbligazione risarcitoria in conformità alle regole generali dell’area dell’illecito civile. Trasmissibilità od intrasmissibilità, solidarietà o parziarietà dell’obbligazione risarcitoria propria dell’illecito amministrativo, sono temi da risolversi invece secondo la natura e la funzione di diritto pubblico del regime di responsabilità.
La ricerca del fondamento della responsabilità amministrativa in una logica di diritto pubblico induce ad escludere che la funzione dell’istituto sia quella di assicurare alla pubblica amministrazione la garanzia patrimoniale generica nei confronti dell’autore del danno. L’assoggettamento dei beni presenti e futuri del debitore al vincolo dell’adempimento delle obbligazioni a contenuto patrimoniale in favore del creditore (art.2740 c.c.) non è principio idoneo a rappresentare il fondamento dell’illecito amministrativo. Esiste un elemento di sperequazione tra le posizioni economiche delle parti rispetto ai principi di diritto comune: il pubblico dipendente, per effetto dell’esercizio dei poteri di gestione riconosciuti dal rapporto di servizio, amministra risorse finanziarie eccedenti il valore del patrimonio individuale. La pubblica amministrazione non può, pertanto, ricevere alcuna garanzia dall’affidamento della gestione delle risorse pubbliche ad un soggetto che è titolare di un patrimonio individuale di valore economicamente inferiore.
Il dubbio sulla finalità risarcitoria può essere così espresso: “In questa direzione, nell’ambito del diritto vigente, la Procura Generale della Corte dei Conti ha da tempo iniziato una riconsiderazione dell’intera strumentazione giuridica riguardante il tema della responsabilità amministrativa. Invero, l’opinione oggi maggioritaria in dottrina e giurisprudenza considera la responsabilità amministrativa come responsabilità civile, con conseguenze spesso aberranti rispetto alle finalità di ordine pratico alle quali è preordinata: è evidente, infatti, che in uno Stato che interviene massicciamente nell’economia, impegnando risorse finanziarie sempre maggiori, la garanzia patrimoniale di dipendenti a reddito fisso non ha alcun senso, in quanto non può avere funzione risarcitoria”[55].
Il fondamento giuridico della responsabilità risiede invece nella garanzia giuridica dell’efficienza della condotta di gestione del pubblico dipendente nell’attuazione del rapporto di servizio con la pubblica amministrazione. L’art.97 Cost. pone il valore normativo al quale ricondurre l’intero sistema dell’illecito amministrativo[56].
L’efficienza della condotta d’amministrazione ed il contenuto patrimoniale del risarcimento si conciliano nel carattere personale della responsabilità amministrativa. Il valore personale dell’illecito si esprime non soltanto nell’appartenenza soggettiva della condotta al suo autore, ma anche nella graduazione del risarcimento secondo l’entità della colpa[57].
La tutela dell’efficienza dell’attività amministrativa e la natura personale dell’illecito giustificano la specialità del processo contabile, contraddistinto dall’azione rimessa all’ufficio del magistrato del pubblico Ministero[58]. All’azione d’ufficio corrisponde il potere del giudice di determinare l’addebito patrimoniale in misura parziale e ridotta rispetto all’entità del danno accertato[59].
9. La finalità pubblicistico-risarcitoria e pubblicistico-sanzionatoria
Nonostante l’irreversibile abbandono della logica contrattuale, sussistono ancora autorevoli opinioni che riconducono al giudizio di responsabilità il puro e semplice effetto di ripristinare l’equilibrio patrimoniale alterato dalla condotta illegittima di gestione. Invero, il contrasto tra funzione risarcitoria e funzione sanzionatoria ha sempre contrassegnato l’interpretazione del sistema della responsabilità amministrativa[60].
Riemergono, poi, argomentazioni che propongono, con nuovi lineamenti, la concezione patrimoniale dell’illecito comune e la tutela civile della finanza pubblica; “La responsabilità per danno erariale si fonda sulla costruzione di un fatto dannoso per la pubblica finanza (quali che siano le frontiere che la nozione di danno assume e nell’ordinamento generale e, in particolare, nel settore finanziario pubblico) e la sua funzione non sta, quindi, nell’irrogazione di una sanzione, bensì nella reintegrazione (totale o parziale) del patrimonio dell’ente danneggiato” [61].
Ebbene, la funzione risarcitoria si presenta con nuove argomentazioni incentrate sulla relazione quantitativa tra danno accertato e danno risarcibile, nell’ambito della quale si esercita il potere riduttivo dell’addebito.
Sul danno accertato e danno risarcibile si può affermare che: “La mera difformità tra danno cagionato e danno risarcibile non è sufficiente a caratterizzare in senso sanzionatorio il risarcimento. Come è stato anche precisato il risarcimento come sanzione e con funzione, quindi, punitiva ricorre quando la entità della condanna prescinde dalle dimensioni della perdita economica del creditore. E questo non è nelle responsabilità finanziarie nelle quali nel determinare l’importo da porre a carico del responsabile o dei responsabili il riferimento è al «danno accertato o al valore perduto». Ciò da cui non si può prescindere è l’esistenza di un danno o di una perdita di valori, l’accertamento del suo importo come operazione preliminare da parte del giudice che il danno risarcibile poi determina, in base alle risultanze processuali e così stabilisce il quantum da porre a carico dei responsabili”[62].
Il risarcimento è riparazione economica perché il potere riduttivo dell’addebito presuppone, e non può prescindere, dalla correlazione tra il danno accertato ed il danno risarcibile. Il giudizio di condanna patrimoniale si giustifica, quindi, unicamente nell’ambito della funzione di risarcimento economico del danno, anche se l’entità di questo viene dal giudice ridotta rispetto alla misura accertata. Nelle contrarie opinioni, il potere riduttivo dell’addebito è però considerato quale attribuzione al giudice contabile della facoltà di graduare la sanzione a carico del responsabile, secondo l’intensità della colpa e la gravità della condotta. È così fondata la concezione pubblicistico-afflittiva dell’illecito, la cui struttura patrimoniale contiene il fine della prevenzione speciale. Relativamente al «quantum» della sanzione “A sostegno della tesi pubblicistica, che ha attirato di recente nuovi consensi, si è fatto leva soprattutto sulla peculiarità dell’istituto del potere riduttivo, concepito ora non tanto come facoltà equitativa di ridurre la misura del risarcimento del danno, ma più incisivamente come potere di determinare in concreto la sanzione pecuniaria”[63].
La finalità sanzionatoria è perfettamente compatibile con la tecnica del risarcimento del danno[64]. La tecnica risarcitoria fondata sull’accertamento del danno esprime, quindi, la funzione sanzionatoria dell’illecito patrimoniale di diritto pubblico. “Insomma il risarcimento non viene escluso, ma è considerato soltanto come lo strumento tecnico attraverso il quale si realizza la funzione sanzionatoria della responsabilità amministrativa”[65].
Ciò detto, la natura personale della responsabilità amministrativa trova il suo fondamento razionale nella condanna patrimoniale per fini sanzionatori e la personalizzazione dell’illecito rinviene il suo contesto naturale nella funzione sanzionatoria: “Mentre infatti lo scopo della responsabilità civile è il riequilibrio delle situazioni patrimoniali mediante quello strumento risarcitorio che vale a «far pari» posizioni giuridiche pregiudicate dall’illecito, nella responsabilità amministrativa l’antigiuridicità è più ampia e del resto neppure esclusivamente coniugabile con l’effetto patrimoniale, se è vero che la lesione di regole e precetti di buon andamento recano offesa in termini di funzionalità ben al di là del mero riflesso strettamente patrimoniale, mentre per altro verso non tutte le conseguenze patrimoniali sono destinate a comporre il contenuto dell’obbligazione risarcitoria (art.53 T.U. n.1214 del 1934). Il che sta a significare che sin dalla sua origine la responsabilità amministrativa-contabile venne pensata legislativamente come istituto diverso, per funzione e scopo, da quella di tipo civilistico, anche se da questo modello ne furono tratti e mutuati meccanismi e criteri, da utilizzare tuttavia nei limiti della peculiarità funzionale: non, cioè, per far pari posizioni giuridiche ma per sanzionare comportamenti lesivi degli interessi e non solo patrimoniali della p.a.”[66].
Il contrasto tra natura risarcitoria o sanzionatoria della responsabilità, al di là delle divergenze d’opinione, sottende l’unanimità di consensi sul ruolo e sulla rilevanza della giurisdizione contabile. La cognizione del giudice contabile partecipa alla tutela dell’azione amministrativa. L’accertamento giurisdizionale del danno pubblico è, infatti, garanzia sostanziale di legalità della condotta di gestione delle risorse pubbliche[67].
La legalità amministrativa non è solo formale osservanza delle regole del procedimento amministrativo, ma è soprattutto conformità ai principi costituzionali dell’azione pubblica. Economicità, efficienza, efficacia (il teorema delle tre E) sono valori che riempiono e completano il buon andamento dell’organizzazione amministrativa, oltre l’imparzialità della gestione.
Sul punto, sussiste convergenza d’opinioni sui contenuti giuridici delle tre «E». Infatti, fermo restando che l’economicità è verifica dei costi e l’efficienza è verifica dei modi e dei tempi dell’azione amministrativa, l’efficacia è adeguatezza del risultato conseguito all’obiettivo programmato. Ebbene emerge il concetto di legalità-risultato “Una nuova dimensione di legalità si sta delineando nel nostro ordinamento. Essa più non coincide con la conformità a legge, ma è arricchita dal canone della regolarità, da quello della coerenza dell’azione amministrativa con i fini pubblici. Tutte quelle regole che sono denominate praeter legislative possono essere ricondotte alla nozione di legalità”[68]. Il giudizio patrimoniale di responsabilità pubblica si fonda quindi sui valori di legalità sostanziale dell’azione amministrativa: “La struttura della responsabilità amministrativa è, a questo punto, chiarita in tutta la sua complessa organicità. Si tratta di una responsabilità patrimoniale, ma personale. Essa, dunque, non ha natura civilistica, ma pubblicistica. E ‘una responsabilità di diritto pubblico che serve non solo alla reintegrazione del danno subito, ma anche ad assicurare l’efficienza dell’azione amministrativa”[69].
Il fondamento della responsabilità amministrativa è stato ravvisato anche nell’imputazione del danno all’agente pubblico per il rischio oggettivamente connesso alla consapevole deviazione dal fine dell’attribuzione d’ufficio[70].
La versione pura dell’opinione sul rischio incentra la struttura dell’illecito amministrativo sulla antigiuridicità della condotta. La responsabilità è imputata per la violazione degli obblighi di servizio. “Iniziamo dall’art.18 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato (D.P.R.10 gennaio 1957 n.3), esso dispone: l’impiegato delle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, è tenuto a risarcire alle Amministrazioni stesse i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio. In questa norma non viene indicato, né in altre dello Statuto, cosa si intende con danno derivante dalla violazione degli obblighi di servizio, cioè la norma non specifica il criterio di riferibilità giuridica dell’evento: tale criterio deve venire desunto altrimenti perché, appunto, la norma rinvia ai principi generali”[71].
L’infrazione dei doveri di servizio accede alla struttura patrimoniale dell’illecito e determina l’effetto risarcitorio. “E ‘necessario, però, premettere la nostra configurazione della responsabilità amministrativa (interna) a contenuto patrimoniale: essa, secondo il nostro personale punto di vista ha una struttura fondamentale civilistica, ma alla detta struttura sono accessivi alcuni elementi di eterogenea natura (penali, amministrativi,etc.) i quali possono incidere sulla fattispecie dell’effetto fondamentale in modo limitativo”[72]. La violazione delle regole della funzione di gestione determina una inversione del rischio di danno, il quale grava sulla pubblica amministrazione solo nell’ipotesi di attività legittima. Il rischio di danno si sposta sull’autore della condotta antigiuridica, perché questi si appropria del fine della funzione e subisce pertanto l’eventuale pregiudizio patrimoniale causalmente connesso.
In punto di esposizione a rischio e riduzione dell’addebito “Il pubblico dipendente che devia a fine privato l’attività (o i beni) d’ufficio -per avere posto in essere, così, una violazione degli obblighi di servizio- diventa immediatamente responsabile del rischio inerente a quell’attività (o utilizzazione di beni) perché il fatto stesso della esposizione al rischio costituisce un danno (peraltro patrimonialmente valutabile in modo attuale: attraverso dati statistici e operazioni di matematica attuariale); ma tale situazione potenziale si attualizza (e si concretizza specificandosi) con il verificarsi dell’evento dannoso”[73]. Il principio del rischio ha fornito alla giurisprudenza argomenti sostanziali per l’utilizzazione del potere riduttivo nell’addebito di danno. La Corte costituzionale[74] ha fondato sul rischio la ragionevolezza della limitazione normativa della responsabilità amministrativa alla sola colpa grave.
Di recente il dibattito sulla natura, struttura e funzione della responsabilità amministrativa ha ripreso nuovo vigore attraverso la revisione delle ragioni d’esistenza del giudice amministrativo-contabile, da sempre considerato l’unico giudice naturale della cognizione sull’illecito pubblico patrimoniale. Le nuove riflessioni recuperano alcune fondamentali premesse sulla origine della contabilità pubblica[75].
Il contribuente è soggetto passivo del rapporto d’imposta, ma tale posizione di svantaggio s’inverte in situazione attiva di vantaggio, perché le regole della contabilità pubblica sono oggettiva garanzia per il cittadino della effettiva destinazione delle entrate al fine pubblico previsto dal bilancio. “E’ nel quadro della ripartizione delle competenze organiche che trovano inserimento gli strumenti giuridici per l’attuazione delle garanzie circa la destinazione ai fini pubblici dei mezzi finanziari sottratti ai cittadini contribuenti”[76]. Le garanzie obiettive della corretta gestione delle risorse pubbliche si realizzano attraverso un complesso coordinamento di istituti giuridici. Il sistema dei controlli pubblici sull’azione amministrativa trova le misure di completamento e di chiusura nei giudizi di conto e di responsabilità. “Il giudizio necessario sul conto che è tenuto a rendere chiunque gestisca pubblico denaro completa il quadro degli strumenti giuridici per l’attuazione della garanzia costituzionale di correttezza nella gestione”[77].
La necessarietà e la originaria imprescrittibilità[78] del giudizio di conto imprimono al processo contabile la funzione dell’oggettivo accertamento in sede giurisdizionale della regolarità della gestione pubblica. Il giudizio di responsabilità appartiene agli strumenti di tale accertamento. “La giurisdizione eventuale, per l’accertamento di danni causati dal comportamento di dirigenti e dipendenti dello Stato e di altri enti pubblici, costituisce da un lato l’integrazione del controllo, del quale rappresenta la sanzione giuridica nel caso che gli effetti di atti illegittimi si siano già realizzati, e dall’altro lato ha una sua funzione autonoma allorquando la giurisdizione stessa venga eccitata direttamente su denuncia delle singole amministrazioni. Trattasi comunque di uno strumento fondamentale per l’attuazione della garanzia obiettiva della corretta gestione ed amministrazione della cosa pubblica”[79].
La giurisdizione contabile, nella sintesi della funzione di controllo con la giurisdizione di conto e di responsabilità, è garanzia obiettiva dell’ordinamento democratico. “Può aggiungersi che storicamente la sfera più o meno ampia della giurisdizione contabile coincide con la maggiore o minore democraticità dell’ordinamento”[80]. La riconduzione della giurisdizione contabile al sistema delle garanzie pubbliche ed imparziali dell’ordinamento è avallata dagli orientamenti della Corte costituzionale[81].
Le origini della contabilità pubblica e l’obiettiva garanzia di legalità assicurata dai contenuti del processo di responsabilità amministrativa, imputano alla Corte dei Conti una giurisdizione ordinaria e generale[82]:“Nel quadro complessivo dell’ordinamento delineatosi a seguito delle ricordate innovazioni normative alla Corte dei Conti, cioè, deve riconoscersi a questa la natura di giudice generale ed ordinario nella materia della responsabilità amministrativa e contabile”
Volume consigliato
Le responsabilità della pubblica amministrazione
L’opera nasce con l’intento di offrire al lettore (Magistrato, Avvocato, Funzionario pubblico) una guida indispensabile per affrontare un tema cui sono sottese sempre nuove questioni: quello delle ipotesi di responsabilità dell’amministrazione pubblica. Avuto riguardo ai più recenti apporti pretori e alla luce degli ultimi interventi del Legislatore (L. 9 gennaio 2019, n. 3, cd. Legge Spazzacorrotti), il taglio pratico-operativo del volume offre risposte puntuali a temi dibattuti sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto il profilo processuale. L’opera, che si articola in 23 capitoli, tratta i temi della responsabilità della P.A. da provvedimento illegittimo, da comportamento illecito, per l’inosservanza del termine del procedimento, sotto il profilo amministrativo-contabile, in materia urbanistica ed edilizia, per attività ablative, nella circolazione stradale, per danno da illecito trattamento dei dati personali, di tipo precontrattuale, in ambito scolastico. Si affrontano ancora, oltre al tema del danno all’immagine della P.A., i temi della responsabilità: disciplinare del dipendente pubblico; dirigenziale; dei dipendenti pubblici per la violazione delle norme sulla incompatibilità degli incarichi; delle Forze armate; della struttura sanitaria pubblica per attività posta in essere dal medico; delle authorities finanziarie; nell’amministrazione della giustizia. Affiancano la materia dell’amministrazione digitale – i cui profili di novità ne rendono indispensabile la conoscenza – i temi della responsabilità nel diritto europeo, della responsabilità dello Stato per la violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e, infine, della responsabilità penale della pubblica amministrazione. Il lettore che voglia approfondire temi di suo interesse è aiutato nell’attività di ricerca dalla presenza di una “Bibliografia essenziale” che correda ogni capitolo del volume. Giuseppe CassanoDirettore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato nell’Università Luiss di Roma. Studioso dei diritti della personalità, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato oltre un centinaio di opere in tema, fra volumi, trattati, saggi e note.Nicola PosteraroAvvocato, dottore e assegnista di ricerca in Diritto Amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano, è abilitato allo svolgimento delle funzioni di professore associato di diritto amministrativo e collabora con le cattedre di diritto amministrativo, giustizia amministrativa e diritto sanitario di alcune Università. Dedica la sua attività di ricerca al diritto amministrativo e al diritto sanitario, pubblicando in tema volumi, saggi e note.
Giuseppe Cassano, Nicola Posteraro (a cura di) | 2019 Maggioli Editore
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Bennati A., Manuale di contabilità di Stato, Napoli, 1990
Bianca C.M., Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano 199
Bottino G., La responsabilità amministrativa per danno all’erario in Enciclopedia del diritto, annale X, 2017
Buscema S., Trattato di Contabilità Pubblica – vol. I – Principi generali, Milano 1979
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Note
[1] G. Bottino, La responsabilità amministrativa per danno all’erario in Enciclopedia del diritto, annale X, 2017: “L’espressione «responsabilità amministrativa per danno all’erario» definisce la responsabilità degli agenti pubblici che con i propri comportamenti o provvedimenti, dolosi o gravemente colposi, cagionano un danno, suscettibile di quantificazione economica, alle pubbliche amministrazioni. L’aggettivazione «amministrativa» accentua il profilo soggettivo di questa responsabilità, vale a dire la sua imputazione in capo ai dipendenti, agli amministratori ed agli altri soggetti che appartengono all’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, in ragione dell’instaurazione, con le medesime amministrazioni, di un rapporto di impiego o di servizio. La declinazione «per danno all’erario» ne specifica l’ambito oggettivo: i comportamenti o i provvedimenti dei soggetti agenti devono recare un danno, economicamente valutabile, alla finanza o al patrimonio pubblico”.
[2] Art. 1. “Azione di responsabilità”, comma 1: “La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. Il relativo debito si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi”.
[3] S. Pilato, La responsabilità amministrativa, dalla clausola generale alla prevenzione della corruzione, edizione Giappichelli, anno 2019
[4] S. Pilato, La responsabilità amministrativa, dalla clausola generale alla prevenzione della corruzione, edizione Giappichelli, anno 2019
[5] Legge n.241/1990
[6] Legge n.142/1990
[7] D.lgs. n.29/1993
[8] S. Pilato, La responsabilità amministrativa, dalla clausola generale alla prevenzione della corruzione, edizione Giappichelli, anno 2019
[9] C.d. giurisdizione con decentramento a macchia di leopardo; v. decreto legge n.152/1991, conv. in legge n. 203/1991, avente ad oggetto “Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa”
[10] S. Pilato, La responsabilità amministrativa, dalla clausola generale alla prevenzione della corruzione, edizione Giappichelli, anno 2019
[11] S. Pilato, La responsabilità amministrativa, dalla clausola generale alla prevenzione della corruzione, edizione Giappichelli, anno 2019
[12] Relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2005, Corte dei Conti del Trentino Alto Adige, a cura di Salvatore Pilato, Procuratore Generale e di Ignazio De Marco, Presidente, in https://www.diritto.it/pdf_archive/21129.pdf
[13] Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 («Disciplina della responsabilità’ amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300»).
[14] Corte Cost. sentenza n.371/1998 «Invece, la disposizione censurata estenderebbe in maniera indifferenziata a tutto l’universo dei pubblici dipendenti ed amministratori la limitazione della responsabilità stessa ai soli casi di dolo e colpa grave e, quindi, comporterebbe l’irragionevole livellamento, verso un più intenso grado di colpa, di una responsabilità che, nel requisito comune della colpa lieve, non solo non risulterebbe di ostacolo – di regola – al sollecito ed efficiente svolgimento dell’azione amministrativa, ma anzi rappresenterebbe l’indispensabile presidio per il corretto esercizio delle funzioni pubbliche. La giurisprudenza costituzionale, richiamata anche dalle ordinanze di rimessione, metterebbe in risalto come la diversa valutazione del titolo della responsabilità di alcune categorie di dipendenti pubblici non contrasta con l’art. 3 della Costituzione, in quanto espressione dell’adeguamento dell’ordinamento a differenti realtà lavorative ed organizzative. In particolare, nella sentenza n. 1032 del 1988, si sottolinea come non sia desumibile dall’ordinamento il principio secondo il quale il pubblico dipendente è tenuto a rispondere per qualsiasi grado di colpa. Ricordato, inoltre, che il potere riduttivo affidato alla Corte dei conti dimostra come il principio vigente sia quello di “graduabilità in via generale dell’elemento psicologico».
«La Corte è, invece, dell’avviso che i termini in cui le richiamate decisioni enunciano il principio relativo alla discrezionalità di cui gode il legislatore, nella conformazione delle fattispecie di responsabilità, riflettano la singolarità dei casi di volta in volta esaminati, ma non consentano di accreditare una lettura riduttiva del principio stesso, nel senso che allo stesso legislatore sia preclusa la facoltà di valutare anche l’ampiezza dell’esigenza cui si ritiene di far fronte. Non v’è, infatti, alcun motivo di dubitare che il legislatore sia arbitro di stabilire non solo quali comportamenti possano costituire titolo di responsabilità, ma anche quale grado di colpa sia richiesto ed a quali soggetti la responsabilità sia ascrivibile (sentenza n. 411 del 1988), senza limiti o condizionamenti che non siano quelli della non irragionevolezza e non arbitrarietà. In proposito occorre rilevare che la norma denunciata si colloca nel quadro di una nuova conformazione della responsabilità amministrativa e contabile, alla stregua di peculiari connotazioni di cui dà dimostrazione, tra l’altro, il principio peraltro già anticipato in parte dall’art. 58 della legge n. 142 del 1990 (Ordinamento delle autonomie locali) secondo il quale il debito per il fatto dannoso non si trasmette agli eredi, salvo il caso dell’illecito arricchimento del dante causa e, conseguentemente, dell’indebito arricchimento anche degli stessi eredi».
«A tale processo di nuova conformazione dell’istituto, sviluppato con le ulteriori previsioni contenute nella legge di conversione, fa riscontro la revisione dell’ordinamento del pubblico impiego, attuata, in epoca di poco precedente, dal decreto legislativo n. 29 del 1993 (cui ha fatto seguito il decreto legislativo n. 80 del 1998) attraverso la c.d. “privatizzazione”, in una prospettiva di maggiore valorizzazione anche dei risultati dell’azione amministrativa, alla luce di obiettivi di efficienza e di rigore di gestione. Quali siano le finalità ispiratrici della contestata norma è dato desumere, del resto, dagli stessi lavori parlamentari, che evidenziano l’intento di predisporre, nei confronti degli amministratori e dei dipendenti pubblici, un assetto normativo in cui il timore delle responsabilità non esponga all’eventualità di rallentamenti ed inerzie nello svolgimento dell’attività amministrativa. Nella combinazione di elementi restitutori e di deterrenza, che connotano l’istituto qui in esame, la disposizione risponde, perciò, alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo».
«Quanto testé osservato vale, ovviamente, sia per la responsabilità amministrativa che per quella contabile, posto che, quanto ad elementi costitutivi, quest’ultima, a prescindere dalla specificità delle obbligazioni che incombono su coloro che hanno maneggio di beni e valori di pubblica pertinenza, si modella come da tempo chiarito dalla stessa giurisprudenza contabile sullo stesso paradigma che caratterizza la c.d. responsabilità amministrativa. Per le medesime ragioni va escluso, altresì, il contrasto della disposizione all’esame con l’art. 97, primo comma, della Costituzione, sotto l’aspetto del buon andamento nonché della efficienza e regolarità delle gestioni pubbliche, atteso che, per i motivi sopra esposti, la modifica introdotta dalla disposizione censurata non appare né arbitraria né irragionevole. 7. – Priva di fondamento è anche la censura di violazione dell’art. 103, secondo comma, della Costituzione; articolo che ha soltanto la finalità di riservare alla Corte dei conti la giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica, secondo ambiti la cui concreta determinazione, peraltro, è rimessa alla discrezionalità del legislatore, mentre la norma denunciata concerne la disciplina sostanziale della responsabilità degli amministratori e dei dipendenti pubblici».
[15] Relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2005, Corte dei Conti del Trentino Alto Adige, a cura di Salvatore Pilato, Procuratore Generale e di Ignazio De Marco, Presidente, in https://www.diritto.it/pdf_archive/21129.pdf
[16] “Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche»
[17] Relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2005, Corte dei Conti del Trentino Alto Adige, a cura di Salvatore Pilato, Procuratore Generale e di Ignazio De Marco, Presidente, in https://www.diritto.it/pdf_archive/21129.pdf
[18] Relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2005, Corte dei Conti del Trentino Alto Adige, a cura di Salvatore Pilato, Procuratore Generale e di Ignazio De Marco, Presidente, in https://www.diritto.it/pdf_archive/21129.pdf
[19] Ex art.117, secondo comma, lett. L) Cost; v. Corte Cost. sentenza 15 novembre 2004 n.345. La Regione Veneto ha impugnato il comma 4 dell’art. 24 della legge n. 289 del 2002 anche sotto il profilo dell’incompetenza dello Stato a dettare la disciplina sostanziale della responsabilità amministrativa dei dipendenti della Regione e degli enti pubblici regionali e locali, sostenendo che si versi in tema di competenza residuale della Regione in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 117, quarto comma, della Costituzione). La questione non è fondata. La ricorrente trascura che, in proposito, vengono in evidenza le disposizioni dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, secondo le quali spettano alla competenza esclusiva dello Stato le materie della giurisdizione e dell’ordinamento civile. Nella disciplina generale della responsabilità amministrativa i profili sostanziali sono strettamente intrecciati con i poteri che la legge attribuisce al giudice chiamato ad accertarla (come si rileva, ad esempio, dalla disposizione dell’art. 52 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, recante il “Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti”, secondo la quale “la Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto”), ovvero fanno riferimento a situazioni soggettive riconducibili alla materia dell’ordinamento civile. Ne discende che la potestà legislativa residuale delle Regioni a statuto ordinario in materia di ordinamento dei propri uffici (art. 117, quarto comma, della Costituzione), se può esplicarsi nel senso di disciplinare il rapporto di impiego o di servizio dei propri dipendenti, prevedendo obblighi la cui violazione comporti responsabilità amministrativa, non può tuttavia incidere sul regime della stessa.
Regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato
Art. 82 L’impiegato che per azione od omissione, anche solo colposa, nell’esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo.
Quando l’azione od omissione è dovuta al fatto di più impiegati, ciascuno risponde per la parte che vi ha presa, tenuto conto delle attribuzioni e dei doveri del suo ufficio, tranne che dimostri di aver agito per ordine superiore che era obbligato ad eseguire.
Art. 83 I funzionari di cui ai precedenti articoli 81 e 82 sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti la quale, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto.
I direttori generali e i capi di servizio i quali, nell’esercizio delle loro funzioni, vengano a conoscenza di un fatto, che possa dar luogo a responsabilità, a norma dei precedenti articoli 81 e 82, debbono farne denunzia al procuratore generale presso la Corte dei conti.
Quando nel giudizio di responsabilità la Corte dei conti accerti che fu omessa denunzia a carico di personale dipendente, per dolo o colpa grave, può condannare al risarcimento, oltre che gli autori del danno, anche coloro che omisero la denunzia.
Regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato
Art. 84. La Corte dei conti, quando riconosca la regolarità dei conti degli agenti di cui all’art. 74 del presente decreto, ha facoltà di dichiarare il discarico degli agenti stessi senza procedere a giudizio.
Quando i conti siano fatti compilare d’ufficio dalla amministrazione, la Corte procede alla revisione giudiziaria dei medesimi ritenendoli come presentati dai contabili, sempreché questi, invitati legalmente a riconoscerli e a sottoscriverli non lo abbiano fatto nel termine prefisso. (articolo così sostituito dall’art. 1, d.P.R. n. 402 del 1989)
Art. 85. Nei casi di deficienza accertata dall’amministrazione o di danni arrecati all’erario per fatto o per omissione, imputabile a colpa o negligenza dei contabili o di coloro di cui negli articoli 74 e 81, quarto comma, la Corte dei conti può pronunziarsi tanto contro di essi quanto contro i loro fideiussori anche prima del giudizio del conto.
D. 12 luglio 1934, n. 1214 Approvazione del T.U. leggi sulla Corte dei conti
(artt. 14, 25, terzo comma, e 37, legge 7 luglio 1907, n. 429; art. 1, regio decreto 28 giugno 1912, n. 728; artt. 81, 82, 83, primo comma, regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440; art. 2, regio decreto-legge 15 ottobre 1925, n. 1928; art. 9, regio decreto 2 febbraio 1928, n. 263; art. 3, regio decreto 14 novembre 1929, n. 2166; art. 27, regio decreto 18 giugno 1931, n. 807 e art. 1, legge 22 dicembre 1932, n. 1958). – I funzionari impiegati ed agenti, civili e militari, compresi quelli dell’ordine giudiziario e quelli retribuiti da amministrazioni, aziende e gestioni statali a ordinamento, autonomo, che nell’esercizio delle loro funzioni per azione od omissione imputabili anche a sola colpa o negligenza cagionino danno allo Stato e ad altra amministrazione dalla quale dipendono sono sottoposti alla giurisdizione della Corte nei casi e modi previsti dalla legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato e da leggi speciali.
La Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto.
D.P.R. n.3/57 T.U. statuto impiegati civili dello Stato
Responsabilità dell’impiegato verso l’Amministrazione.
L’impiegato delle amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, è tenuto a risarcire alle amministrazioni stesse i danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio. Se l’impiegato ha agito per un ordine che era obbligato ad eseguire va esente da responsabilità, salva la responsabilità del superiore che ha impartito l’ordine. L’impiegato, invece, è responsabile se ha agito per delega del superiore.
Giurisdizione della Corte dei conti. L’impiegato, per la responsabilità di cui al precedente articolo, è sottoposto alla giurisdizione della Corte dei Conti nei modi previsti dalle leggi in materia. La Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto il danno accertato o parte di esso. Il diritto al risarcimento si estingue con il decorso del termine di prescrizione ordinario previsto dal Codice civile.
D.P.R. n.3/57 T.U. statuto impiegati civili dello Stato
Responsabilità verso i terzi.
L’impiegato che, nell’esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto ai sensi dell’art. 23 è personalmente obbligato a risarcirlo. L’azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con l’azione diretta nei confronti dell’Amministrazione qualora, in base alle norme ed ai principi vigenti dell’ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato. L’amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente si rivale agendo contro quest’ultimo a norma degli articoli 18 e 19. Contro l’impiegato addetto alla conduzione di autoveicoli o di altri mezzi meccanici l’azione dell’Amministrazione è ammessa solo nel caso di danni arrecati per dolo o colpa grave.
D.P.R. n.3/57 T.U. statuto impiegati civili dello Stato
Danno ingiusto.
È danno ingiusto, agli effetti previsti dall’art. 22, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l’impiegato abbia commesso per dolo o per colpa grave; restano salve le responsabilità più gravi previste dalle leggi vigenti. La responsabilità personale dell’impiegato sussiste tanto se la violazione del diritto del terzo sia cagionata dal compimento di atti od operazioni, quanto se la detta violazione consista nell’omissione o nel ritardo ingiustificato di atti od operazioni al cui compimento l’impiegato sia obbligato per legge o per regolamento.
- Responsabilità degli organi collegiali.
Quando la violazione del diritto sia derivata da atti od operazioni di collegi amministrativi deliberanti, sono responsabili, in solido, il presidente ed i membri del collegio che hanno partecipato all’atto od all’operazione. La responsabilità è esclusa per coloro che abbiano fatto constatare nel verbale il proprio dissenso.
[20] Art. 1 legge 20/1994 cit.
[21] S. Pilato, La responsabilità amministrativa, dalla clausola generale alla prevenzione della corruzione, edizione Giappichelli, anno 2019
[22] Il giudizio di disvalore portato dall’evento di rottura trova riscontro nel giudizio di valore portato dalla risposta riparatrice. Per cui, in tale luce, può dirsi che la responsabilità (intesa come rituale per ripristinare un equilibrio turbato) è un bene contrapposto a un male, un valore contrapposto ad un disvalore” (Cfr. C. Maiorca, voce Responsabilità – Teoria Generale, in Enciclopedia del Diritto, XXXIX, Giuffrè, 1988)
[23] “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art 2740 cc). In tale norma si esprime il fondamentale principio della responsabilità patrimoniale. La responsabilità patrimoniale è la soggezione del patrimonio del debitore al diritto di soddisfacimento coattivo dei crediti” (Bianca C.M., Diritto civile, 5, La responsabilità, Milano 1994).
[24] “La pena in senso giuridico e, più particolarmente, la pena pubblica, statuita cioè per la tutela di un interesse pubblico ed applicata attraverso un procedimento di tipo pubblicistico, abbraccia non solo la pena criminale, ma anche la sanzione amministrativa punitiva. La pena è la sanzione afflittiva prevista dall’ordinamento giuridico per chi viola un comando” (Mantovani F., Diritto penale, Padova, 1979).
[25] “Le sanzioni amministrative nelle quali incorrono gli agenti degli enti pubblici per trasgressione dei propri doveri e la cui applicazione rientra nella potestà della stessa Amministrazione hanno natura disciplinare. Esse ineriscono a quel genere particolare di responsabilità amministrativa che è propria dei rapporti di soggezione speciale in cui determinati soggetti si trovano rispetto all’amministrazione “(Sandulli A.M., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1982).
[26] “Tutti gli impiegati civili dello Stato, i dirigenti delle diverse qualifiche sono responsabili nell’esercizio delle rispettive funzioni del buon andamento, dell’imparzialità e della legittimità dell’azione degli uffici cui sono preposti” (Bennati A., Manuale di contabilità di Stato, Napoli, 1990).
[27] “Il diritto punitivo abbraccia non solo l’illecito penale, la pena criminale, ma anche l’illecito amministrativo, la pena amministrativa. È in atto infatti una valorizzazione del ruolo dell’illecito amministrativo da parte della legislazione statale che ha fatto largo impiego in questi anni di sanzioni amministrative ab origine o in via di decriminalizzazione. Di qui l’esigenza di una razionalizzazione e di una disciplina organica, sostanziale e processuale, dell’illecito amministrativo e delle relative sanzioni alla luce degli stessi principi costituzionali. Di una sorta cioè di parte generale del diritto punitivo amministrativo” (Mantovani 1979,722 cit.).
[28] Corte Cost. sentenza n.453/1998 (la solidarietà) QLC-Rimessione: “Ritiene in definitiva il collegio che la parziarietà delle obbligazioni comporti una diminuzione delle garanzie patrimoniali dell’erario in caso di insolvenza del debitore. La parziarietà (che comporta una minore salvaguardia di chi ha subito il danno rispetto a chi lo ha prodotto) mal si concilia con la natura di obbligazione patrimoniale, e non di sanzione, derivante dalla responsabilità amministrativa. Peraltro una delle finalità della giurisdizione contabile è quella di promuovere attraverso il perseguimento delle responsabilità, la correttezza ed il buon andamento della amministrazione (art.97 Cost.) ed il principio della solidarietà passiva (interdetto dalla norma impugnata) è del tutto coerente con il dettato costituzionale (art.97 Cost.)” (Corte dei Conti Sez. Giur. Reg. Lombardia Ord.11/7/95 n.685).
Proprio l’accentuazione del profilo sanzionatorio nella riforma dei lineamenti normativi della responsabilità amministrativa, costituisce il punto di razionalizzazione del sistema. La verifica di costituzionalità si conclude, pertanto, nell’affermazione della legittimità del regime parziario dell’obbligazione di danno. La conclusione del Giudice costituzionale rende manifesta la nuova conformazione giuridica data alla responsabilità amministrativa, attraverso il rafforzamento del fine sanzionatorio comminato contro l’illecito personale. “La disposizione denunziata, al pari dell’altra, sulla quale questa Corte ha avuto recentemente occasione di pronunziarsi con una sentenza di infondatezza -e cioè quella che limita la responsabilità di dipendenti ed amministratori pubblici ai soli casi di dolo o colpa grave- si colloca nell’ambito di una nuova conformazione dell’istituto della responsabilità amministrativa e contabile, secondo linee volte, tra l’altro ad accentuarne i profili sanzionatori rispetto a quelli risarcitori (sentenza n.371 del 1988)” (Corte Cost. 30/12/98 n.453).
[29] Ad esempio es. la riduzione dello stipendio nell’illecito disciplinare, la pena pecuniaria nell’illecito amministrativo generale
[30] «La disciplina della responsabilità amministrativa dei dipendenti pubblici contenuta nella legge di Contabilità di Stato (artt. 81-83) e recepita nel T.U. delle leggi sulla Corte dei Conti (artt. 52 e 53) contiene una regola generale e previsioni specifiche. La regola generale è che l’impiegato che per azione od omissione cagioni danno allo Stato è tenuto a risarcirlo. Le regole particolari concernono la responsabilità per danni derivanti da specifiche attività di gestione dei fondi di bilancio (impegno di spesa, ordinazioni) e di vigilanza sugli agenti contabili” (F. Garri, La responsabilità Contabile, in Enciclopedia Giuridica, vol. XXVI, Milano, 1991).
[31] “Il dogma della immunità statale in materia di illecito civile risulta da tempo abbandonato nel nostro ordinamento. Le varie teorie su cui esso si fondava (l’una relativa alla natura pubblicistica della personalità dello Sato, l’altra al carattere etico dello Stato medesimo, creatore e garante del diritto e in quanto tale ritenuto non imputabile di atti illeciti) sono state superate almeno in linea di principio dalla dottrina e dalla giurisprudenza della prima metà di questo secolo. La Carta costituzionale ha poi sancito definitivamente la responsabilità civile della pubblica amministrazione, statuendo all’art.28 che i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili ed amministrative degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato ed agli enti pubblici” (G. Greco., La responsabilità civile dell’amministrazione e dei suoi agenti, in AA.VV., Diritto amministrativo, Bologna, 2003).
[32] “Tra gli obblighi pecuniari della Pubblica Amministrazione hanno importanza quelli cui essa è tenuta per il risarcimento dei danni provocati dall’inosservanza dei suoi obblighi primari. Qui la fonte dell’obbligo dell’amministrazione è il fatto dannoso contra legem ad essa imputabile (damnum iniuria datum). Da tale fatto discende la responsabilità, la quale, a seconda che inerisca alla violazione di un preesistente obbligo specifico o alla violazione del precetto generale “neminem laedere” sarà la responsabilità contrattuale regolata dagli artt.1218 e ss. cod. civ. o la responsabilità extracontrattuale regolata dagli artt.2043 cod. civ. Sono elementi integrativi di tale fattispecie: a) un fatto riferibile all’Amministrazione; b) il contrasto di esso con le regole dell’ordinamento (illegittimità); c) un evento dannoso per altri soggetti; d) inoltre -nei soli casi di responsabilità extracontrattuale l’elemento psichico (dolo o colpa) dell’autore del fatto (per la responsabilità contrattuale è invece sufficiente l’inadempimento dell’obbligo)” (Sandulli 1982, cit.).
[33] Renna M., Responsabilità della pubblica amministrazione, profili sostanziali in Enciclopedia del diritto, annale IX, 2017: «In ambito amministrativistico il “problema” della funzione della responsabilità assume, tuttavia, connotati di particolare complessità. Ciò in ragione del fatto che, come già anticipato, l’ordinamento non delinea un regime di responsabilità ad hoc per i danni causati dalle pubbliche amministrazioni, ai quali devono dunque applicarsi le norme civilistiche, con gli adattamenti richiesti dalle peculiarità della fattispecie. Proprio la portata di tali adattamenti è, tuttavia, condizionata dal tipo di impostazione che l’interprete assume circa lo scopo che, in concreto, la disciplina sulla responsabilità delle pubbliche amministrazioni dovrebbe perseguire». Le letture astrattamente possibili sono essenzialmente tre. La prima è quella che ascrive alla responsabilità delle pubbliche amministrazioni una finalità esclusivamente compensativa/restitutiva: il risarcimento dei danni causati dalle pubbliche amministrazioni, in quest’ottica, viene inteso come fonte di ristoro delle perdite patrimoniali subite dai privati in ragione della condotta illecita di un soggetto pubblico. Un secondo punto di vista è quello secondo cui la responsabilità delle amministrazioni pubbliche non sarebbe priva di connotati latamente sanzionatori, e quindi assolverebbe (anche) una funzione di deterrenza. Questa impostazione deve tener conto del fatto che, in concreto, i soggetti danneggiati dalle pubbliche amministrazioni raramente rivolgono le loro pretese risarcitorie al cospetto dei singoli funzionari agenti, la cui capienza finanziaria difficilmente risulterà paragonabile a quella di un ente pubblico. L’azione risarcitoria si indirizza, nella quasi totalità dei casi, nei confronti dell’amministrazione. La deterrenza, pertanto, non deve intendersi in termini strettamente personalistici, bensì come “leva” idonea a indurre la pubblica amministrazione all’osservanza di maggiori standard di diligenza, a vantaggio, ovviamente, della legalità dell’azione amministrativa».
«Una terza chiave di lettura è, invece, quella imperniata sull’analisi economica del diritto. Accogliendo questa prospettiva la ragion d’essere della responsabilità delle pubbliche amministrazioni dovrebbero essere individuate nella riduzione dell’ammontare dei cosiddetti costi sociali del danno. Questi ultimi si articolano in tre sub-componenti: i costi di prevenzione del danno (cosiddetti costi primari), i costi patiti dai consociati in conseguenza del danno prodottosi (cosiddetti costi secondari) e i costi di esercizio del sistema di responsabilità, ascrivibili soprattutto ai costi di funzionamento del sistema di giustizia (cosiddetti costi terziari). In quest’ottica, la funzione della responsabilità viene dunque a declinarsi in senso tendenzialmente preventivo, ossia come dispositivo idoneo a contenere le esternalità economiche negative ascrivibili alle condotte dannose».
[34] Sulla natura patrimoniale della responsabilità amministrativa: “Oltre che disciplinarmente e penalmente, gli impiegati pubblici rispondono del loro operato anche pecuniariamente sotto forma di risarcimento dei danni causati all’Amministrazione. A questo tipo di responsabilità suole oggi darsi, secondo terminologia adottata dalla Corte dei Conti, ed accolta anche da taluni testi legislativi, la denominazione di responsabilità patrimoniale. Si tratta, di una responsabilità affatto speciale che si diversifica concettualmente e giuridicamente dalla comune responsabilità civile, come da quella penale o disciplinare, perché germina nell’ambito di uno speciale rapporto, quello di pubblico impiego, dominato da una disciplina giuridica di natura esclusivamente pubblicistica e, come tale svolgentesi, anche in sede di tutela giurisdizionale, nella competenza di organi speciali, come tali, più o meno qualificati ad intendere e valutare gli aspetti, i momenti, gli atti che quel rapporto determina” (Bennati 1990, cit.).
[35] soprattutto per merito della Corte dei Conti, massimo organo giurisdizionale in materia, è stato possibile chiarire che la responsabilità dello Stato e dei suoi dipendenti, pur avendo lo stesso fondamento giuridico e molti aspetti comuni alla responsabilità dei privati soggetti di diritto, è un istituto pubblicistico e quindi essenzialmente distinto, anche se affine a quello privatistico, con una disciplina sua propria che può confrontarsi, ma non confondersi, con quella del codice civile” (Bennati 1990)
[36] “Con l’espressione, danni derivanti da violazione di obblighi di servizio, si dirime definitivamente la controversa questione sulla natura contrattuale od extracontrattuale della responsabilità patrimoniale in cui incorrono i dipendenti dello Stato, questione che la stessa Corte dei Conti aveva prima risolto nel senso della extra contrattualità e successivamente invece, in quello della contrattualità. La Corte ha ora dedotto, infatti, che sia la responsabilità contabile -quella cioè connessa al maneggio di denaro, valori o materie- che la responsabilità amministrativa propriamente detta -la responsabilità cioè derivante da danni cagionati all’erario dal pubblico dipendente nell’esercizio delle sue funzioni-, trovano sempre fondamento in un preesistente rapporto tra lo Stato ed il presunto responsabile. Le due specie di responsabilità sono, quindi, riconducibili al comune genus della responsabilità contrattuale, perché entrambe insorgenti da inadempimento di obbligo precostituito” (Bennati 1990,765, cit.).
[37] “Fino agli anni ‘40 la responsabilità amministrativa era stata in giurisprudenza assimilata a quella da fatto illecito conseguente alla violazione del neminem laedere, e la dottrina appariva uniforme nel ritenere questa responsabilità come responsabilità civile degli amministratori e degli impiegati pubblici, mentre la sola responsabilità contabile avrebbe avuto natura speciale” (Garri 1991,1, cit.)
[38] Art.18 d.p.r. n.3/57 cit.
[39] “Non sono ancora sopite le divergenti opinioni sulla natura della fonte generatrice della responsabilità amministrativa, ritenuta un tempo extracontrattuale. Ed in tale equivoco portava lo stesso art.82 (id est : R.D.2440/23 cit.) che nella sua enunciazione risentiva qualcosa del quasi delitto ; invero ,la colpa dell’impiegato è da considerare contrattuale per il fatto che , a prescindere dal modo di costituirsi del rapporto d’impiego (negozio unilaterale o bilaterale), questo, in ogni caso, è un rapporto precostituito ,dal quale per l’una e l’altra parte, derivano diritti ed obblighi, onde l’addebito che si fa al dipendente non appartiene al violato dovere del generico “neminem laedere”, ma invece è “violazione di obblighi di servizio” come scolpisce l’art.18 (id est : D.P.R. 3/57 cit.)“ (L. Greco, Il processo contabile, in Riv. trim, dir. pubbl., 1961).
[40] “Emerge a questo punto l’errore storico che ha compiuto la giurisprudenza della Corte dei Conti quando ha ritenuto che la responsabilità amministrativa avesse un carattere contrattuale. A parte la considerazione che in sede di responsabilità amministrativa, tutta fondata su previsioni normative di diritto pubblico, ha poco senso richiamare una distinzione di stampo eminentemente civilistico, sta di fatto che, se proprio si volesse ad ogni costo inquadrare questo tipo di responsabilità in una delle categorie suddette di responsabilità contrattuale od extracontrattuale, la scelta dovrebbe necessariamente rivolgersi verso quest’ultima e non verso la prima. E’ sufficiente ricordare in proposito che nell’ipotesi di responsabilità amministrativa, esattamente come nel caso della responsabilità extracontrattuale od aquiliana che dir si voglia, il danno non deriva dall’accertamento dell’inadempimento di una obbligazione precostituita (a meno che non si consideri tale l’obbligo generico del neminem laedere), ma deriva da un giudizio sulla ingiustizia del danno prodotto dal dipendente pubblico a causa della violazione di obblighi o doveri di servizio, questi sì preesistenti, ma certamente privi di contenuto patrimoniale predeterminato “ (P.Maddalena, Responsabilità civile ed amministrativa: diversità e punti di convergenza dopo le leggi n. 19 e n. 20 del 14 gennaio 1994, in Rivista del Consiglio di Stato, n. 9, settembre 1994, 115)
[41] Cfr. Corte dei Conti Sez. I 15/12/49 n.32
[42] Cfr. Corte dei Conti Sez. I 15/12/49 n.32
[43] G. Bottino, La responsabilità amministrativa per danno all’erario in Enciclopedia del diritto, annale X, 2017: «Il giudice di questa responsabilità, sino dalla sua origine, è la Corte dei conti -attraverso le sue procure e sezioni giurisdizionali e dunque l’espressione è contenuta nelle norme che attribuiscono, a tale giudice, la relativa competenza giurisdizionale: «la Corte dei conti giudica sulla responsabilità amministrativa » (art. 1 comma 4 l. 14 gennaio 1994, n. 20) (3); e, ancora più precisamente, «la Corte dei conti ha giurisdizione nei giudizi […] di responsabilità amministrativa per danno all’erario » (art. 1 comma 1 d. lg. 26 agosto 2016, n. 174). Sempre all’interno di questa responsabilità, ad oggi rientrano altresì le fattispecie contemplate da singole disposizioni di legge, che impongono o vietano agli agenti pubblici di porre in essere specifici comportamenti o provvedimenti e che, a seguito della violazione di questo precetto normativo, attribuiscono alla Corte dei conti la competenza giurisdizionale ad irrogare, a carico dei soggetti agenti, apposite sanzioni pecuniarie: sanzioni determinate all’interno di un intervallo minimo/massimo, prefissato dalla stessa norma di legge che tipizza le relative condotte, obbligate o vietate».
[44] Cfr. Corte dei Conti Sez. I 15/12/49 n.32
[45] Cfr. Corte dei Conti Sez. I 15/12/49 n.32
[46] Cfr. Corte dei Conti Sez. I 15/12/49 n.32
[47] Cfr. Corte dei Conti Sez. I 15/12/49 n.32
[48] “Ma è anche a questa stessa concezione -da ritenersi per lungo tempo assolutamente maggioritaria- che deve riconoscersi il merito di avere consentito la progressiva consapevolezza della inadeguatezza degli strumenti e delle concezioni di diritto comune “(M. Ristuccia, Il nuovo sistema della responsabilità e la giurisdizione della Corte dei conti, in RCdC, 1997, 248)
[49] Zaccaria F., Corso di contabilità dello Stato e degli enti pubblici. Teoria giuridica e sistema positivo della gestione pubblica, Roma, 1974, Stamperia Nazionale,663
[50] “E non possono non menzionarsi, sotto tale profilo, le tradizionali affermazioni in ordine al preteso potere sindacatorio di cui sarebbe fornito il giudice contabile -cioè una maggiore estensione dei poteri istruttori ed una minore vincolatività del principio della domanda e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato- che, nonostante l’evidente effetto di commistione tra i poteri di impulso processuale ed i poteri di terzietà propri del giudice nonché di determinatezza della posizione processuale dei chiamati in giudizio, veniva ancora giustificato con il richiamo ai caratteri peculiari ed alla funzione stessa della giurisdizione contabile non assimilabile tout court alla tipica funzione risarcitoria del giudizio civile per danno” (Ristuccia 1997,249, cit.).
[51] “Da quando la giurisprudenza della Corte dei Conti, a partire dalla decisione 15 dicembre 1949 n.32, ha con chiarezza affermato che la responsabilità amministrativa deriva non dalla violazione del generico obbligo di neminem laedere sancito all’art.2043 cod. civ. , ma dalla violazione di “obblighi di servizio (così ora testualmente l’art.18 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato del 1957), risulta altrettanto chiaro che non è più possibile parlare d’illecito civile, ma occorre invece parlare d’illecito amministrativo in coerenza con la natura del rapporto al quale appartiene il dovere, la cui violazione è fonte di responsabilità (appunto il rapporto di servizio)” (P. Maddalena 1979,68, cit.)
[52] “Quest’inquadramento della responsabilità dei dipendenti ed amministratori pubblici per danni cagionati all’erario nell’esercizio delle loro funzioni nell’ambito della responsabilità amministrativa e non della responsabilità civile, non può fare sottovalutare che la responsabilità di cui si discorre ha caratteristiche proprie che fortemente la differenziano dalle altre forme di responsabilità amministrativa quali la responsabilità amministrativa c.d. generica (id est: la sanzione amministrativa) e la responsabilità disciplinare” (P. Maddalena 1979,68, cit.).
[53] “L’elemento fondamentale che differenzia la responsabilità amministrativa dalle altre è l’aver arrecato danno al patrimonio o alla finanza pubblica, con la conseguenza che la sanzione prevista è quella di un risarcimento, anche parziale, ma entro i limiti del danno arrecato. In altri termini, mentre il momento genetico, e qualificante, di tale forma di responsabilità va ricercato nella violazione di un obbligo di servizio, cioè di un dovere inerente ad uno specifico rapporto di diritto amministrativo, il contenuto della sanzione prevista per detta forma di violazione è una forma sui generis di risarcimento che può essere riferito anche solo ad una parte del danno, e che, comunque è determinato dal giudice. Chiedersi, a questo punto, se l’azione di responsabilità amministrativa abbia natura risarcitoria o sanzionatoria significa porsi un problema che non ha senso, poiché è proprio la sanzione che ha un contenuto risarcitorio (di tutto o parte del danno)” (P. Maddalena 1979,68, cit.).
[54] “Quello che è certo è che non si tratta di una responsabilità assimilabile alla responsabilità civile, con la quale constatazione finalmente quadrano i dati normativi di sempre, a cominciare dal carattere pubblico ed officiale dell’azione. Ma allora da questa natura amministrativa e non civile della responsabilità bisogna fare scaturire tutte le conseguenze, quali l’intrasmissibilità della responsabilità agli eredi, e l’esclusione della solidarietà, quanto meno in via di principio” (P. Maddalena,1979,68, cit.)
[55]M. Sinopoli, Torino, Utet, 1979,10
[56] “Piuttosto la giurisdizione di responsabilità amministrativa ha una sua ragione se inquadrata nella visuale dell’art.97 Cost., cioè se viene vista ed azionata in riferimento all’efficienza della pubblica amministrazione: come già notava Luigi Einaudi durante i lavori preparatori della Costituzione, il deterrente del giudizio di responsabilità costituisce un forte stimolo per l’efficienza del funzionario” (Sinopoli 1979,10, cit.).
[57] “Si tratta, in particolare, di portare a termine un cammino iniziato dalle Sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti nell’ormai lontano 1949, quando fu per la prima volta affermato che la responsabilità amministrativa non ha natura aquiliana e deriva dalla violazione di obblighi di servizio, prospettiva poi accolta in pieno dal legislatore del 1957. Ponendosi nell’ottica della violazione degli obblighi di servizio, cioè della violazione di doveri amministrativi, risulta evidente che non bisogna più parlare di illecito civile, ma di illecito amministrativo con la conseguenza che la responsabilità da tale illecito nascente non è una responsabilità civile, ma una responsabilità amministrativa di carattere personale. Si arriva in sostanza ad un ribaltamento delle posizioni tradizionali: non si deve considerare il danno come contenuto di obbligazione risarcitoria, ma come presupposto per la proponibilità dell’azione, e di conseguenza il quantum del danno risarcibile va determinato in relazione alla quantità di colpa riferibile al dipendente” (Sinopoli,1979,10, cit.).
[58] “Innanzitutto il giudice competente viene individuato in una magistratura speciale, preposta alla tutela della legittimità dell’azione amministrativa e della regolarità dei conti pubblici. Poi l’officialità dell’azione, rimessa esclusivamente al Procuratore Generale della Corte, che non rappresenta l’Amministrazione danneggiata ma opera nell’interesse generale dell’ordinamento; così che, in contrasto con una caratteristica fondamentale della responsabilità civile, è sottratta alla parte lesa la disponibilità dell’azione quanto all’an ed al quantum del risarcimento” (F. Staderini, Responsabilità amministrativa e contabile, voce in Digesto disc. pubbl., vol. XIII, 1997).
[59] “Infine il c.d. potere riduttivo, cioè la facoltà riconosciuta al giudice di porre a carico del responsabile tutto o parte del danno cagionato, adeguando la misura della sanzione risarcitoria alla gravità dell’infrazione. È forse questo l’elemento più caratterizzante il nuovo istituto e che, comunque, maggiormente si presta a marcarne le distanze dal modello civilistico-risarcitorio» (Staderini 1997, cit.).
[60] “Fino all’origine sono state alternativamente prospettate dalla dottrina due diverse configurazioni della responsabilità amministrativa: l’una che sulla scorta principalmente del potere riduttivo ne evidenzia il carattere sanzionatorio ed il profilo pubblicistico; l’altra che invece la considera come una specie sia pure particolare della comune responsabilità civile per danno. Così se per Tango si trattava di un giudizio di equità, in ragione del grado di colpa e delle possibilità finanziarie dell’impiegato, tant’è che non esitava a parlare in relazione alla condanna, «piuttosto di una pena pecuniaria che del ristoro del danno», secondo Vicario, invece, si era in presenza di una giurisdizione civile spettante alla Corte dei Conti in materia di responsabilità dei pubblici ufficiali” (Staderini,301, cit.)
[61] Cfr. Corte dei Conti Sez. Riun. 1/3/96 n.26/QM
[62] F. Garri 1995,11, cit.
[63] Staderini, 132, cit.
[64] “La sanzione per il colpevole ha un limite insuperabile e, nello stesso tempo, un razionale parametro di riferimento nell’ammontare del danno patrimoniale cagionato” (Staderini,132, cit.).
[65] F. Staderini,132, cit.
[66] Cfr. Corte dei Conti Sez. Riun. 31/10/94 n.988/A
[67] “Ed è proprio il fatto che oggetto di giudizio sia in ultima analisi l’azione amministrativa che pone in un’altra prospettiva l’esercizio della funzione giurisdizionale di cui si parla. Trattandosi di una prospettiva dinamica (un giudizio sull’azione considerata in relazione ai fini da perseguire), emerge con chiarezza che l’elemento caratterizzante di questa giurisdizione, non è solo quello fondamentale del risarcimento del danno, ma è anche quello di assicurare l’economicità, l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa” (Maddalena 1996,85).
[68] Garri 1997,13, cit.
[69] Maddalena 1994,1444, cit.
[70] “Anticipiamo i risultati con una formula definitoria: il pubblico dipendente che devia a fine privato l’attività o i beni) di ufficio diventa responsabile del rischio inerente a quell’attività (o utilizzazione di beni): proprio e tout-court per l’inversione stessa del fine. In breve la vicenda viene da noi definita come responsabilità del rischio” (Schiavello 1967,65).
[71] L. Schiavello, Rischio e responsabilità patrimoniale per deviazione delle attribuzioni d’ufficio, Napoli, 1967,73
[72] Schiavello 1967,77, cit.
[73] Schiavello 1967,85, cit.
[74] Cfr. sentenza n.371/98
[75] “Sul piano scientifico, l’individuazione di un rapporto pubblicistico inverso a quello d’imposta determina una certa complementarità fra il diritto tributario e la contabilità pubblica, nel quadro della unitaria visione del fenomeno finanziario” (S. Buscema 1979, I,24).
[76] S. Buscema, Trattato di Contabilità Pubblica – vol. I – Principi generali, Milano 1979, I,592
[77] S. Buscema 1979, I,602, cit.
[78] Abrogata dall’introduzione del termine di prescrizione quinquennale: art.2 l.n.20/94 mod.l.n.639/96
[79] S. Buscema 1979, I,600, cit.
[80] O. Sepe, La giurisdizione contabile, Padova 1989,12
[81] Nell’ambito delle trasformazioni istituzionali degli ultimi decenni, la prassi giurisprudenziale e le leggi di attuazione della Costituzione hanno esteso l’ambito delle funzioni demandato alla Corte dei Conti, esaltandone il ruolo complessivo quale garante imparziale dell’equilibrio economico finanziario del settore pubblico e, in particolare, della corretta gestione delle risorse collettive e quale organo posto a tutela degli interessi obiettivi della pubblica amministrazione, sia statale, sia regionale, sia locale“ (Corte Cost. 17/10/96 n.385).
[82] Cfr. Corte dei Conti Sez. I 7/3/94 n.55.
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