L’interruzione della prescrizione: analisi di un istituto

Redazione 24/01/00

Definizione di interruzione della prescrizione

L’espressione interruzione della p. designa l’effetto giuridico derivante da un atto, compiuto o dal soggetto attivo o dal soggetto passivo del rapporto, idoneo a togliere efficacia prescrittiva al tempo trascorso fino al compimento dell’atto stesso e nel far sì che un nuovo termine di prescrizione inizi a decorrere da quel momento.

Si tratta quindi di una frattura che impedisce di tenere in alcun conto il tempo già trascorso.

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L’interruzione nella Relazione al Codice Civile

Nella Relazione al Codice Civile al n. 1203 il comma 4 dell’art. 2943 viene giustificato sulla base del fatto che altrimenti si sarebbe “addossato, specie in tema di prescrizioni brevi, un grave onere al creditore, costretto ad agire giudizialmente per mantenere in vita il suo diritto”.

L’esercizio del diritto

Dalla definizione dell’art. 2934 (“ogni diritto si estingue per p. quando il suo titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge”) risulterebbe che l’esercizio del diritto interrompe in ogni caso la prescrizione .

Tuttavia l’art. 2943 c.c. prevede quali atti interruttivi solo 1) l’atto di inizio di un giudizio, 2) la domanda proposta nel corso di un giudizio, 3) ogni atto che valga a costituire in mora il debitore (4° comma art. cit.), con ciò limitando la previsione, quanto agli atti stragiudiziali, ai soli diritti di credito e ad un solo atto di esercizio (la costituzione in mora)

Il difetto di coordinamento ha spinto la dottrina a svalutare la portata dell’art. 2943  affermando che ogni atto d’esercizio del diritto, ossia ogni atto di godimento o di disposizione di esso, interrompe la p. e la giurisprudenza ad interpretare con larghezza il 4° comma dell’art. 2943 attribuendo efficacia interruttiva ad atti non certo identificabili con la costituzione in mora, pur senza estendere la disposizione ai diritti reali.

Profili oggetto del dibattito dottrinale

La dottrina processualistica (R. ORIANIProcesso di cognizione e interruzione della prescrizioneNapoli 1977) ha dato il maggiore contributo ricostruttivo il cui risultato consiste: 1) nell’individuare il fondamento giustificativo dell’istituto della prescrizione nella mancata realizzazione del diritto entro un certo tempo, anziché nella inerzia del titolare del diritto (constatato che di regola il titolare di un diritto di credito non ha l’onere di alcuna attività), 2) nel ritenere che la realizzazione del diritto (istantanea nei diritti di credito, continuata nei diritti reali) impedisce l’operatività della prescrizione ed escluda il ricorso all’interruzione, 3) nel ritenere che gli atti elencati dall’art. 2943 non siano atti di esercizio del diritto, ma atti denotanti la vitalità del diritto stesso: l’enumerazione sarebbe tassativa, ossia limitata agli atti idonei a dimostrare la volontà del titolare di ritenere ancora operante, ancorché non realizzato, il rapporto giuridico, ma estensibile anche ai diritti reali.

Secondo altra tesi (F. ROSSELLI Trattato Rescigno vol. XX p. 425 Torino 1985) l’art. 2943 avrebbe una funzione integrativa dell’art. 2934 apportandovi un’estensione e al contempo una limitazione. L’estensione concerne i diritti reali, la restrizione i diritti di credito.

L’estensione consiste nel fatto che la prescrizione dei diritti reali può essere interrotta non solo dagli atti di esercizio del diritto (cd. atti d’uso), ma anche dagli atti, rivestiti di forma scritta e recettizi, con cui il titolare manifesta l’intenzione al soggetto passivo di realizzare il proprio diritto malgrado un ostacolo che vi si opponga (v. art. 1073 c.c. che per le servitù negative attribuisce il carattere di atto d’esercizio ad ogni atto di proibizione del titolare).

La restrizione consiste nel fatto che il legislatore tra i vari atti compiuti dal creditore al fine di realizzare il diritto (atti di esercizio) attribuisce efficacia interruttiva soltanto a quelli rivestiti di forma scritta e recettizi con cui il creditore intima al debitore di adempiere.

In altri termini, l’art. 2934 ha considerato gli atti di esercizio del diritto, ma solo in quanto capaci di realizzarlo.

Sicché l’art. 2943 ha attribuito efficacia interruttiva a qualsiasi atto di intimazioneestendendo da un lato l’efficacia interruttiva agli atti comunemente considerati come atti di esercizio dei diritti reali, dall’altro non considerando interruttivi gli atti strumentali o preparatori del creditore.

Si afferma infatti che difficilmente potranno aversi atti di esercizio dei diritti reali diversi dall’uso o dall’intimazione al soggetto passivo, né che possano assumere concreto rilievo atti preparatori del creditore che non si risolvano in una più o meno esplicita dichiarazione scritta e indirizzata al debitore della volontà di essere soddisfatto.

Interpretandosi il 4° comma dell’art. 2943 nel senso che ad interrompere la p. basta una qualsiasi manifestazione della volontà di essere soddisfatto, viene  lasciato all’interprete il ruolo di stabilire se abbiano efficacia interruttiva atti non espressi secondo il consueto modello della costituzione in mora.

Dalla categoria degli atti di esercizio andrebbero comunque esclusi gli atti di disposizione del diritto e ciò in quanto essi  sono estranei alla struttura dello stesso e operano dall’esterno sul meccanismo di protezione dell’interesse del titolare, anche se essi possono denotare vitalità del diritto.

Molto interessante è la tesi del Panza (PANZA Contributo allo studio della prescrizione Napoli 1984) il quale dall’analisi dei singoli mezzi interruttivi risale alla determinazione della fattispecie costitutiva della prescrizione. Innanzitutto l’Autore ricostruisce il concetto di inerzia sulla scorta dell’art. 2935, identificando l’inerzia con il mancato esercizio dell’interesse ad agire il diritto e non con il mancato esercizio del diritto. In altri termini ciò che conta è la volontà manifestata di far valere l’interesse al dirittoQuindi la domanda giudiziale produce l’effetto interruttivo non in quanto esercizio giurisdizionale del diritto, bensì come atto che, per il suo contenuto specifico, porti a conoscenza del destinatario la volontà di volersi avvalere del proprio dirittoDall’analisi effettuata l’Autore giunge alla conclusione che da un lato la domanda giudiziale  da esercizio giurisdizionale del diritto è divenuta  atto partecipativo della volontà di farlo valere e dall’altro, che la costituzione in mora non costituisce atto di esercizio del diritto bensì semplice affermazione della sua vitalità.

Si viene così a porre su due piani distinti l’interesse al diritto ed il diritto, potendosi, con gli atti interruttivi della prescrizione, farsi valere l’interesse al diritto senza necessariamente doverlo esercitare.

 Disciplina dell’interruzione dei diritti reali limitati e dei diritti potestativi

Esaminiamo ora la disciplina dell’interruzione dei diritti reali limitati e dei diritti potestativi.

Circa il diritto di superficie la prescrizione può essere interrotta dall’edificazione così come dalla richiesta rivolta al proprietario del possesso del fondo o della cessazione di atti di turbativa.

Per l’usufrutto  vale ad interrompere la p. quale dichiarazione recettizia della volontà di realizzare il diritto, la richiesta del possesso della cosa ai sensi dell’art. 982.

Nell’ambito delle servitù si discute se ad interrompere la prescrizione di una servitù negativa valga solo la domanda giudiziale (Branca) oppure se possa valere anche un atto stragiudiziale di intimazione ricevuto dal proprietario del fondo servente (Roselli).

Circa i diritti potestativi si nota come, da un lato l’attività di realizzazione da parte del titolare produce l’estinzione satisfattiva del diritto stesso, e dall’altro l’irrilevanza, sia sul piano giuridico che su quello materiale, dell’attività del soggetto passivo rende inconcepibile qualsiasi atto d’intimazione a lui rivolto.

Tuttavia è stata individuata una sottocategoria di diritti potestativi in cui l’iniziativa del titolare seppur necessaria non è  sufficiente alla realizzazione occorrendo a ciò una pronuncia del giudice. Ad es. la p. dell’azione di annullamento di un contratto verrebbe interrotta dall’intimazione a restituire quanto ricevuto per esecuzione del contratto viziato.

Tale tesi viene però criticata in quanto così dicendo si confonderebbe la vicenda relativa alla pretesa creditoria con la vicenda attinente all’interruzione della prescrizione del diritto potestativo.

Altra questione è se l’atto interruttivo della p. del credito possa essere considerato utile ad interrompere la p. del diritto potestativo. Tale questione si inserisce in quella più generale se l’interruzione di un diritto accessorio basta ad interrompere la p. del diritto principale.

In proposito va segnalata la sentenza di App. Palermo 27.10.1992 in Foro it. 1993, I, 566 che nega la riconducibilità dell’azione revocatoria fallimentare alla categoria dei  diritti potestativi, ammettendo che l’interruzione della prescrizione dell’azione revocatoria possa avvenire tramite atto di costituzione in mora.

Così si afferma che la domanda di adempimento del contratto ha effetto interruttivo anche della prescrizione del diritto di chiedere la risoluzione del contratto (Cass. 30.10.1992 n. 11825).

La notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio

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La p. è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio sia esso di cognizione, conservativo o di esecuzione e gli effetti interruttivi sono permanenti, ossia durano fino al passaggio in giudicato dellasentenza che definisce il giudizio (comb. disp. 2943 1° co. e 2945 2° co.).

Dalla norma si evince che se la pretesa non viene azionata innanzi ad un organo giurisdizionale (ad es. ricorso amministrativo) essa avrà efficacia interruttiva solo se siano ravvisabili gli estremi dell’intimazione ex art. 2943 4° comma.

Inoltre è necessaria la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio sicché quando il processo viene introdotto da ricorso anziché da citazione, l’interruzione si ha con la notifica del ricorso stesso e non con il suo deposito.

Le difficoltà interpretative sorgono quando nei procedimenti diversi da quello di cognizione bisogna identificare: 1) l’atto col quale si inizia il giudizio, 2) la sentenza che definisce il giudizio.

Circa il processo esecutivo si discute se il precetto debba considerarsi l’atto introduttivo dell’esecuzione. In proposito si registrano due orientamenti.

L’orientamento prevalente (Andrioli) ritiene che la notifica del precetto ha efficacia istantanea alla stregua della costituzione in mora e ciò in quanto la sua notificazione precede l’esecuzione forzata ex 479 cpc., escludendo così l’assimilazione del precetto alla citazione è necessario individuare i diversi atti introduttivi a seconda delle varie forme di esecuzione: l’atto di pignoramento nell’espropriazione forzata, la materiale apprensione dei beni da parte dell’ufficiale giudiziario nell’esecuzione per consegna o rilascio ovvero l’avviso di rilascio degli immobili, l’invito a comparire nell’esecuzione degli obblighi di fare.

L’altro orientamento (BELFIORE in Giur.Mer. 1973, I, 332) ritiene che la notifica dell’ingiunzione fiscale di pagamento (equivalente al precetto) conserva efficacia per tutto il tempo di pendenza del giudizio di opposizione all’esecuzione, e ciò in quanto sebbene esso sia fuori dall’esecuzione forzata in senso stretto fa comunque parte del processo esecutivo da intendere in senso più ampio.

Quanto ai procedimenti speciali si ritiene che l’istanza di sequestro conservativo valga ad interrompere la prescrizione. Il procedimento di accertamento tecnico (secondo alcuni l’emissione del decreto che fissa il giorno dell’inizio delle operazioni, secondo altri occorre la notificazione dello stesso) interrompe la prescrizione sino a quando viene depositata la relazione del consulente tecnico.

procedimenti di giurisdizione volontaria non interrompono la prescrizione, salva l’interruzione istantanea di un atto in essi inserito ai sensi del 4° comma del 2943.

La notifica del provvedimento di nomina dell’arbitro del presidente del tribunale ha effetto interruttivo ex 1° comma art. 2943 trattandosi di attività di inizio del processo arbitrale.

La costituzione di parte civile nel processo penale ha effetto interruttivo della prescrizione del credito al risarcimento del danno fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza.

La denuncia o la querela penale non valgono quali atti di costituzione in mora per il credito al risarcimento del danno.

Quando la domanda sia proposta nel corso del giudizio l’effetto interruttivo si produrrà al momento della notificazione solo se questa sia richiesta dalla norma o dalla natura della domanda (es. chiamata in garanzia).

Requisiti della domanda giudiziale

Affinché si possa produrre l’effetto interruttivo è necessario che la domanda giudiziale abbia i seguenti requisiti:

1) sia proposta da titolare del diritto della cui p. si tratta;

2) che abbia ad oggetto la tutela di quel diritto;

3) che sia proposta nei confronti del soggetto passivo del diritto stesso.

Si precisa (Oriani) che  con l’espressione “domanda” si intende ogni pretesa avanzata in qualsiasi forma dal titolare del diritto davanti al giudice così ad es. anche la richiesta di rigetto della domanda di accertamento negativo proposta dal soggetto passivo del diritto.

La prima questione è se la domanda intesa a far valere il diritto principale interrompa la prescrizione del diritto accessorio.

La duplice efficacia interruttiva della citazione è fuori discussione quando il giudice, per via interpretativa, ravvisa la proposizione implicita della domanda avente ad oggetto il diritto accessorio nella domanda avente per oggetto il diritto principale.

Qualora invece la domanda concernente l’accessorio non sia stata nemmeno implicitamente proposta si sono proposte tre tesi:

  1. tesi affermativa –la domanda avente per oggetto il principale interrompe la p. dell’accessorio, così la domanda relativa al capitale interrompe la p. degli interessi per tutto il corso del giudizio;

II – tesi intermedia – la pendenza del procedimento relativo al diritto principale si pone quale impedimento legale all’esercizio del diritto accessorio, la cui p. viene sospesa;

III. – tesi negativa (prevalente) – la domanda relativa al diritto principale non interrompe la p. del diritto accessorio. Così l’interruzione della p. del diritto al capitale non interrompe la p. relativa agli interessi; l’azione diretta a far valere la qualità di erede non vale ad interrompere la p. del diritto ad essere riconosciuto legittimario pretermesso e ad ottenere la riduzione di una disposizione testamentaria; l’azione volta all’accertamento della illegittimità dell’occupazione di un immobile non interrompe il credito al risarcimento del danno derivante dall’occupazione.

La seconda questione è se la domanda concernente il diritto accessorio interrompa la prescrizione del diritto principale.

A tale questione viene data risposta positiva purché tra le domande vi sia un nesso funzionale di logica giuridica e non soltanto di natura economica.

Così la domanda degli interessi interrompe la p. del credito al capitale; l’azione surrogatoria vale ad interrompere la p. del surrogante nei confronti del surrogato; l’intervento nel giudizio di divisione da parte del creditore ipotecario di uno dei condividenti, inteso ad ottenere che l’immobile ipotecato venga compreso nella quota del debitore, in quanto presupponente l’esistenza del credito vale ad interromperne la p.

Incompetenza del giudice adito

Il 3° comma dell’art. 2943 stabilisce che l’interruzione si verifica anche se il giudice adito è incompetente. Tale disposizione viene considerata un inutile residuo della disciplina delle pronunce di incompetenza contenuta nel vecchio codice di rito, che chiudevano definitivamente il processo senza possibilità di continuazione presso il giudice competente, rendendo così necessaria la riproposizione della domanda. L’attuale possibilità di continuare presso il giudice competente il processo fa sì che:

1) o il processo viene riassunto davanti al giudice competente, trovando in tal caso applicazione il 2° comma dell’art. 2945: la p. non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio (effetto permanente);

2) o il processo non viene riassunto e si estingue, trovando applicazione il 3° comma dell’art. 2945: rimane fermo l’effetto interruttivo e il nuovo periodo di p. comincia dalla data dell’atto interruttivo (effetto istantaneo).

La giurisprudenza applica il 3° comma dell’art. 2943 anche nel caso in cui la domanda sia stata proposta al giudice penale (attraverso la costituzione di parte civile) rivelatosi incompetente per avere la pretesa esulato i limiti delle restituzioni e del risarcimento del danno da reato, o al caso di difetto di giurisdizione.

 Il 4° comma dell’art. 2943

 Il 4° comma dell’art. 2943 oltre ai diritti di credito si applica anche ai diritti reali limitati e va interpretato nel senso che è da attribuire efficacia interruttiva ad ogni atto con il quale venga espressa al soggetto passivo la volontà della controparte di realizzare il proprio diritto. Tuttavia in giurisprudenza si è negato che un atto di diffida comunicato al possessore di un immobile ed inteso ad ottenerne il rilascio abbia efficacia interruttiva del corso dell’usucapione (Cass. 9.5.1974 n. 1315 inGiust. civ.1974, I, 1220). Ma tale posizione giurisprudenziale non viene ritenuta rilevante ai fini della prescrizione, in quanto si limita a porre in luce che un atto di diffida non è idoneo ad interrompere il possesso e quindi l’usucapione.

Circa la forma dell’atto di messa in mora si concorda, secondo quanto disposto dall’art. 1219 c.c., che debba essere scritta, anche se si controverte sulla funzione dello scritto.

Sotto tale profilo la giurisprudenza ritiene che lo scritto abbia funzione probatoria mentre la dottrina ritiene che la documentazione è necessaria ad substantiam. Viene così ammessa la prova testimoniale ex art. 2725, inoltre la giurisprudenza ammette l’efficacia interruttiva di una pretesa formulata oralmente dal creditore ma verbalizzata dal pubblico ufficiale;  si esclude che la procura a costituire in mora debba essere rilasciata per iscritto ex art. 1392; infine si ritiene sufficiente alla costituzione in mora un telegramma anche non sottoscritto nell’originale.

Per quanto riguarda la natura giuridica si opera un rinvio alla tesi che ravvisa nell’atto di costituzione in mora un atto non negoziale in quanto non costitutivo né modificativo né estintivo di un diritto soggettivo.

Si controverte in giurisprudenza se possa aversi costituzione in mora per un credito non liquido, tende però a prevalere la soluzione positiva.

Si ritiene che l’espressione del legislatore “costituzione in mora” è imprecisa poiché l’intimazione del creditore è necessaria ai fini interrutivi ancorché la mora si sia già verificata ex re ai sensi dell’art. 1219 2°comma Cass. 12.9.11986 n. 5555 in Resp. Civ. e prev. 1987, 68 con nota)

La giurisprudenza oscilla tra posizioni di maggiore e minore rigore.

Secondo la posizione più rigorosa si esclude l’efficacia interruttiva agli atti che non indicano esplicitamente la volontà del creditore di essere integralmente soddisfatto (A. Roma 10.1.1975 in Arch. civ. 1976, 932 con nota di ALBAMONTE, Cass. 18.6.1980 n. 3886 in Mass.Giur.it., 1980, 982, Cass. 10.11.1979 n. 5807 in Rep. Giur. it., 1979 voce “prescrizione e decadenza civile” n. 83).

La posizione meno rigorosa ravvisa la costituzione in mora in qualsiasi atto che comunque manifesti essa volontà (Cass. 28.6.1979 n. 3618 in Rep. Giur. it. 1979), sicché essa viene ravvisata nella richiesta, formulata dal creditore, di ammissione al gratuito patrocinio portata a conoscenza del debitore (Cass. 11.6.1971 n. 1831 in Foro it.  1971, I, 1854 contra App. Firenze 4.6.1966 in Foro Pad. 1967, I, 820); o nella formulazione, contenuta in citazione, della riserva di far valere i propri diritti, al di là del petitum, non appena ne sia possibile la determinazione quantitativa, purché siano richiamate le disposizioni di legge su cui la riserva si fonda (Cass. 26.6.1968 n. 2144 in Riv. fisc. 1969, 211).

Il problema della necessità di un atto di costituzione in mora laddove vi sia un ipotesi di mora ex re viene risolto affermativamente dalla giurisprudenza.

Provenienza dell’atto dal titolare del diritto

 L’atto deve provenire dal titolare del diritto e deve essere notificato, se giudiziale, o comunque ricevuto dal soggetto passivo del diritto se extragiudiziale.

Salvo deroghe legislative l’interruzione non si estende a soggetti diversi da quelli a cui l’atto interruttivo è  stato indirizzato.

Ai sensi dell’art. 1310 c.c. gli atti con i quali il creditore interrompe la p. contro uno dei debitori in solido, oppure uno dei creditori in solido interrompe la p. contro il comune debitore, hanno effetto riguardo agli altri debitori o agli altri creditori.

Riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto può essere fatto valere

L’art. 2944 c.c. stabilisce che la p. può essere interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto può essere fatto valere.

L’atto di riconoscimento non è soggetto ad alcun requisito di forma. Esso è un actus legitimus sicché non avrebbe efficacia se condizionato. Circa la legittimazione si ritiene che essa spetti esclusivamente al soggetto passivo o ad un suo rappresentante. La dichiarazione di riconoscimento è recettizia ma per la giurisprudenza (Cass. 26.2.1972 n. 577 in Foro it. 1972, I, 2920), sfavorevole all’istituto della prescrizione, essa può essere indirizzata anche ad un soggetto diverso dal titolare del diritto.

Circa la natura si esclude il carattere negoziale affermandosi che non è necessaria la specifica intenzione ricognitiva bastando la volontarietà dell’atto. Deve perciò riconoscersi effetto interruttivo a qualsiasi atto che implichi l’ammissione dell’esistenza del debito e configuri un comportamento incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del soggetto attivo. Si è così negata efficacia interruttiva ad una proposta transattiva non implicante ammissione del debito così come ogni trattativa intesa ad un bonario componimento della controversia.

L’esclusione della natura negoziale porta ad affermare (Cass. 29.7.1975 n. 2944 in Rep. Giur. It. 1975 voce Vendita n. 79, 83) che l’ammissione dell’esistenza di vizi della cosa venduta vale ad interrompere la p. annuale della relativa azione di risoluzione o di riduzione del prezzo, ancorché esso atto non esprima la volontà di riconoscere il diritto alla garanzia. Altra conseguenza della natura non negoziale è la non necessità della capacità d’agire bastando la capacità naturale.

Quanto alla prova del riconoscimento si ritiene che non valgano i limiti di ammissibilità della prova testimoniale stabiliti per i contratti.   

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