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Introduzione
Il comportamento degli Stati Uniti d’America, nell’aver lanciato dei missili Tomahawk dai cacciatorpediniere Porter e Ross della loro marina militare contro la base militare siriana di Al-Shayrat, nella provincia di Homs, con l’obiettivo di dare una dura risposta al regime siriano per aver dato luogo agli attacchi di armi chimici su molti civili di Ibliid[1], può essere posto sul ring di una discussione nell’ambito del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite? Assolutamente si! Si può dire che è la prima volta che gli Stati Uniti hanno usato direttamente l’azione coercitiva armata contro uno Stato sovrano che è, in questo caso, la Repubblica Araba di Siria, governato dal regime del presidente Bashar Hafiz al-Assad – بشار حافظ الأسد. È anche la prima volta che l’impiego della forza militare viene nettamente fatto inserire nel quadro dell’illegittimità, nel senso che non si può immaginare come tale argomento, che gira attorno al comportamento di uno Stato, non tocchi la struttura del divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali, sancita sia dal diritto internazionale, sia dalla Carta delle Nazioni Unite, come pure da alcune dichiarazioni e risoluzioni, di cui vedremo più avanti.
Quantunque l’uso della forza da parte degli Stati Uniti contro l’ISIS sul suolo siriano implichi anche l’articolo 2, paragrafo 4, della Carta di San Francisco del 1945, gli stessi statunitensi hanno ragionevolmente a tal riguardo una plausibile rivendicazione alla legittima difesa individuale o collettiva, anche se questo punto sia estremamente controverso. In questo caso, non si può parlare di rivendicazione di autotutela, dal momento che il regime di Bashar Hafiz al-Assad abbia colpito la propria popolazione e non quella statunitense. La dichiarazione ufficiale del portavoce del Pentagono – che corrisponde al Ministero della Difesa – sottolinea che l’attacco è stato posto in essere al fine di scoraggiare il regime dall’usare nuovamente le armi chimiche[2], come accadde nel 2013. L’obiettivo dell’azione militare statunitense era, pertanto, quello di rappresaglia o di un deterrente, piuttosto che quello di azione di legittima difesa.
È ben noto, per chi si occupa dell’ordinamento giuridico internazionale, che le norme di diritto internazionale generale non consentono l’uso di rappresaglie coercitive o non pacifiche – anche se nel diritto internazionale contemporaneo è preferibile utilizzare l’espressione contromisura –, poiché violerebbe il contenuto dell’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite, anche se lo scopo della contromisura è quello di persuadere l’altra Parte a conformarsi ai suoi vincoli giuridici. Circa l’Istituto della rappresaglia o contromisura, esso può essere definito come un’autotutela, con la quale uno Stato, quando si ritenga indebitamente leso nei propri interessi dall’altro Stato offensore, reagisce contro lo Stato ritenuto responsabile, ponendo in essere, a breve distanza di tempo, un atto che rechi un danno proporzionato a quello subito[3]. Ma in questo caso, si parla di mera rappresaglia pacifica in relazione alla responsabilità[4]. Esiste, oltre alla rappresaglia pacifica, una rappresaglia armata che è, invece, quello strumento mercé la quale questa contromisura consiste nell’utilizzo della forza militare contro il territorio di uno Stato straniero, cioè a dire che tale rappresaglia rientra nella fattispecie della violenza che, a sua volta, va ritenuta ormai de jure illecita, dato che la stessa Carta delle Nazioni Unite inibisce esplicitamente l’impiego dell’azione coercitiva armata per risolvere le controversie internazionali[5], nel senso che questa contromisura è coperta dal divieto di uso della forza anche qualora siano condotte in risposta ad un attacco armato[6].
Quindi, la vigenza di un divieto di dare luogo ad una rappresaglia armata, contorno dell’inibizione dell’impiego dell’atto di forza armata, è anche contenuta – ciò va ovviamente sottolineato – nella Dichiarazione sulle relazioni amichevoli fra Stati, secondo cui gli Stati hanno il dovere di astenersi da atti di rappresaglia, incompatibili con i fini e i principi della Carta delle Nazioni Unite che implichino l’uso dell’atto di forza[7]. Quest’ultima rappresaglia armata o, solitamente, viene anche definita violenta, adottata dagli Stati Uniti contro la Siria, non ha avuto il beneplacito ovvero l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non solo, ma le autorità statunitensi non hanno reclamato e neppure hanno sposato la questione che il loro gesto di forza era coperto dal diritto che concerne l’intervento per ragioni umanitarie. Altro aspetto importante, sul piano interno, è che la Casa Bianca non ha seguito l’iter sancito dalla Costituzione concernente l’intervento militare statunitense, il quale deve avere l’imprimatur del Congresso, che è attribuzione esclusiva non del Presidente degli Stati Uniti d’America, nel senso che quest’ultimo non ha il potere di dichiarare guerra. Su ciò, si può rammentare il War Powers Act che impedisce al Presidente ogni mossa militare non autorizzata dal Congresso, vale a dire che Donald Trump ha impegnato il potere di guerra in violazione della Carta costituzionale[8]. I Padri Fondatori, dopo tutto, hanno dato al Congresso l’autorità di dichiarare guerra e all’esecutivo l’autorità di ricorrere allo strumento bellico. In sostanza, volevano assicurarsi che le decisioni adottate per usare la forza militare siano state oggetto di un dibattito e di una discussione più ampia, nonché di un contributo del popolo americano.
Ammettendo il caso ipotetico che ci fosse stata l’eccezione di un intervento d’umanità cogente del divieto dell’uso della forza – qui non c’è stato –, i suoi requisiti non sarebbero stati, in tal caso, soddisfacenti. Più avanti si affronterà la posizione di chi è a favore dell’intervento umanitario, al di fuori del sistema delle Nazioni Unite, e di chi ritiene che l’intervento unilaterale d’umanità venga ritenuto oltre la liceità. Ormai, è un dato di fatto e statisticamente riconosciuto di centinaia di migliaia di civili siriani che hanno perso la vita anche senza aver fatto ricorso alle armi chimiche e altre migliaia di siriani continueranno a morire, sebbene il regime di Bashar Hafiz al-Assad possa non ricorrere a strumenti di forza banditi dalle convenzioni stesse. Non c’è nulla e sul piano morale e sul piano come un unicum, circa l’utilizzo delle armi chimiche rispetto agli altri crimini di guerra e crimini contro l’umanità in Siria, che non faccia scattare un intervento militare come sola risposta.
In altre parole, questa costituisce una situazione nella quale il governo statunitense, con a capo Donald Trump, non sia in possesso di un argomento forte e credibile tanto da poter giustificare la propria condotta o il proprio comportamento che è andato oltre il parametro della liceità. Di certo, l’amministrazione Trump può decidere di violare il diritto – come ha già fatto –, pensando che la violazione dei paletti imposti dal diritto possa essere motivata dalle considerazioni etiche e credendo che nelle circostanze sia improbabile pagare un alto costo politico per la sua violazione. A livello morale o politico, tale argomento rimane sul presupposto che, almeno per il momento non verificabile, l’attacco farà più bene che male. Tuttavia, non va celato che la Carta delle Nazioni Unite è stata violata e non solo.
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Le implicazioni dell’azione militare statunitense per un ordine giuridico più ampio
È stato già ribadito in precedenza che gli attacchi statunitensi contro la Siria sono, in modo lineare, da reputarsi del tutto illeciti. Si è anche evidenziato che l’uso della forza militare dello Stato A, ad esempio, contro lo Stato B è assolutamente vietato dal dettame dell’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite, eccetto nel caso in cui dovesse esserci la necessità di difendersi, per cui il diritto naturale all’autotutela è garantito oppure attraverso l’autorizzazione del principale organo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, id est il Consiglio di Sicurezza[9]. Quest’articolo esplicita nettamente il divieto in modo pieno agli Stati che non devono usare forme di minaccia o adottare l’azione di forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di ogni Stato. Su quest’ultimo punto, persino la Corte Internazionale di Giustizia, nella ben nota sentenza relativo al caso sulle Attività armate del Congo, del 2005, ha marcato una chiara linea proprio sull’articolo 2, paragrafo 4, tanto da definirlo una pietra angolare (cornerstone) della Carta delle Nazioni Unite, ma anche norma dello jus cogens[10].
In aggiunta, questa disposizione, oltre a inibire l’atto coercitivo militare, per cui gli Stati devono essere vincolati a non far ricorso alla forza armata, copre anche ogni forma di coercizione bellica, pur di entità minore rispetto al conflitto pieno, cioè a dire la guerra, come pure quelle misure, che concernono le rappresaglie di genere militare, cadono nella sfera del divieto. Queste due eccezioni non sembrano essere state attuate nel caso in specie. Di conseguenza, poiché qualcuno ha sottolineato il fatto che il diritto internazionale riconosce pure – o è in fase di riconoscere – l’intervento militare come una eccezione per poter intervenire per ragioni d’umanità, argomento che sarà affrontato più avanti, tale punto di vista non è ampiamente accettato o accolto, nel senso che l’intervento d’umanità, senza l’autorizzazione delle Nazioni Unite, non è de jure giustificabile[11]. In ogni caso, non poteva ovviamente applicarsi nel caso siriano, punto di vista su cui ho piena concordanza. Qualcun altro ha sostenuto che è ancora presto dare delle valutazioni circa gli attacchi perpetrati dalle forze militari statunitense contro la base militare siriana e che possano essere fatti inglobare nella struttura della legittimità. In particolare, non è chiaro il fatto che questi attacchi potessero davvero favorire e rendere migliore la situazione umanitaria del popolo siriano[12]. Circa la questione inerente le c.d. armi chimiche, che non sono il solo strumento con cui il regime di Bashar Hafiz al-Assad ha dato luogo ad una serie di atrocità che supera ogni logica umana, esse sono anche mezzi che portano verso l’abisso delle barbarie e anche strumenti discriminatori. Il continuo utilizzo di queste armi, da parte del governo di Bashar Hafiz al-Assad, con evidente impunità, ha svigorito o indebolito il totale divieto delle armi chimiche assieme anche al diritto internazionale umanitario. Va detto, in ogni modo, che esiste la Convenzione sull’interdizione della messa a punto, fabbricazione e stoccaggio delle armi chimiche, che impone la distruzione e non la fabbricazione di esse[13]. Questa Convenzione, conclusa a Parigi, nel 1993, contiene una dettagliata disciplina relativa ai composti chimici, alle rispettive verifiche e alla protezione delle informazioni riservate[14].
Gli Stati Uniti hanno dovuto lanciare l’attacco contro la Siria perché quest’ultima è stata accusata di aver colpito un deposito di armi chimiche, dettaglio dell’attacco non è del tutto chiaro[15], cagionando la morte e il ferimento di molti cittadini siriani, non rammentando la super Potenza statunitense che la Repubblica Araba siriana, attraverso la ben nota risoluzione del Consiglio di Sicurezza, n.2118, del 27 settembre 2013, di cui si argomenterà ampiamente oltre, aveva imposto al governo di Bashar Hafiz al-Assad lo smantellamento delle armi chimiche, che, d’altronde, è avvenuto, e determinato che l’uso di tali armi costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali[16]. Non solo, ma sempre la risoluzione de quo si sta trattando ha vincolato la Repubblica Araba siriana a non usare, a non sviluppare, a non produrre o acquisire in altro modo o detenere armi chimiche, come pure di trasferirle direttamente o indirettamente ad altri Stati o ad attori non statali[17].
Coloro che non sono immersi nella materia riguardante il diritto internazionale, purtroppo, interpretano questo aspetto per indicare che, nonostante il diritto d’umanità, ogni cosa va durante un conflitto armato almeno per coloro che hanno gli alleati giusti[18].
Gli attacchi posti in atto, attraverso il lancio di 59 missili, partiti da due navi da guerra, battenti bandiera statunitense, di stanza nel mar Mediterraneo, contro la base aerea ubicata a Al-Shayrat, nella provincia di Homs, da dove sono decollati decollati un paio di aerei militari siriani[19], avevano come intento quello di far giungere un diverso messaggio al regime di Bashar Hafiz al-Assad cioè quello di dimostrare che la comunità internazionale è sempre disposta a far rispettare con ogni mezzo l’inibizione dell’impiego di armi chimiche, sancito dalla Convenzione di Parigi del 1993. Di certo, non manca di sottolineare che la crisi umanitaria in Siria, per ora, resta e, purtroppo, continuerà se non si arriverà a un alt definitivo di quest’assurda guerra domestica che sta solo mietendo vittime innocenti. Il punto non era quello di affrontare la crisi siriana nel suo insieme, ma piuttosto di sostenere che talune cose non possono e non devono essere mai permesse, persino durante un conflitto bellico. Ciò ha portato alla spaccatura nella comunità internazionale, dove alcuni Stati, come la Russia, che ha definito l’atto statunitense come una vera e propria aggressione contro la sovranità di uno Stato, l’Iran, che ha condannato l’atto unilaterale degli Stati Uniti, favorendo così il rafforzamento dei terroristi dell’ISIS, hanno condannato l’azione di forza di un Paese contro la sovranità e l’integrità di un altro Stato, la Bolivia e così via. Poi, vi sono degli Stati che, al contrario, hanno considerato il comportamento statunitense lecito, si pensi all’Italia, al Canada, alla Gran Bretagna, alla Francia, alla Germania e via discorrendo[20]. Difatti, quegli Stati che hanno approvato l’azione di forza statunitense hanno evidenziato il loro placet attraverso la considerazione che tale azione era appropriata al fine di dare un forte segnale al presidente Bashar Hafiz al-Assad[21]. Come tale, gli attacchi compiuti dagli Stati Uniti devono, con molta probabilità, avere l’effetto di rafforzare un divieto che ha subito qualche deterioramento in questi ultimi anni.
Tuttavia, non vi è alcun motivo nel ritenere che ogni Stato sia meno gravato al rispetto del parametro del divieto di ricorrere alla forza armata, come enunciato nell’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite ora che erano prima degli attacchi statunitensi contro la Siria. Anzi, credo che sia ragionevole considerare il fatto che gli Stati siano vincolati ad evitare di uscire dal sistema di sicurezza che riguarda il divieto assoluto dell’uso della forza, enunciato nella disposizione contenuta nella Carta di San Francisco del 1945 e la proibizione di far uso di armi chimiche, bandite, come ho già avuto modo di riportare prima, dalla Convenzione di Parigi del 1993.
La prassi, tuttavia, è ricca di precedenti, dove è possibile comprendere l’azione degli Stati nell’aver fatto ricorso allo strumento della rappresaglia armata, senza sminuire l’importanza dell’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite. Un precedente, a titolo esemplificativo, può essere raffigurato dall’intervento degli Stati Uniti quando bombardarono la sede dei servizi segreti dell’allora Presidente Saddam Hussein, ubicata nella capitale irachena, Bagdad, il 26 giugno 1993, in risposta a un presunto complotto del governo iracheno contornato dall’obiettivo di uccidere l’allora Presidente George H. W. Bush senior, durante la sua visita ufficiale presso le massime autorità del Kuwait[22]. Gli Stati Uniti, pertanto, hanno risposto sia condannando la violazione di una disposizione prettamente giuridica internazionale – id est il tentativo di assassinare un capo di Stato straniero –, sia di impedire la sua ricorrenza. Ed anche in questo caso, gran parte degli Stati ha risposto con un timido sostegno o, meglio, ha cercato di non fare tanto clamore. L’effetto non era di tollerare una serie di rappresaglie a tutto campo, ma piuttosto di minacciare gli attacchi del governo iracheno come una tantum dell’incidente al fine di affrontare la condotta che, se non impedita, potrebbe essere destabilizzante. Certamente, molti Stati usano le forme di rappresaglie non pacifiche, come hanno fatto gli Stati Uniti, proprio utilizzando come risposta la medesima forma di rappresaglia di coercizione militare che può essere, per l’appunto, inquadrata nella categoria delle rappresaglie violente o armate, essendo stata posta in essere con lo scopo di degradare la capacità militare della Siria di compiere altri atti con armi chimiche e di impedire al regime di Bashar Hafiz al-Assad di favorire la proliferazione chimica[23]. Resta, in ogni modo, il problema di come replicare l’esperienza del 1993, di cui si è detto prima, e di minimizzare il potenziale danno cagionato all’articolo 2, paragrafo 4, norma espressiva del diritto internazionale e dotata di applicazione assoluta, con l’intervento statunitense contro la base aerea siriana di Sheikoun. È stato chiesto al governo statunitense di portare alla luce le motivazioni che abbiano fondamenti giuridici circa il lancio di una sessantina di missili contro le forze del rais Bashar Hafiz al-Assad, come, ad esempio, quello di presentare un consistente reclamo sull’azione militare per ragioni di legittima difesa o sostenere il diritto a intervenire in modo unilaterale per ragioni che implichino l’aspetto umanitario. Ottenendo quel genere di giustificazione giuridica, potrebbe servire taluni interessi che sono sulla stessa onda di frequenza della norma del diritto come il principio della trasparenza e l’articolazione di quei paradigmi giuridici generalmente applicabili. Tuttavia, potrebbe anche portare all’indebolimento del ben noto e più volte citato articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite. Quanto detto, potrebbe indicare il fatto di trovarsi dinanzi a un avanzamento di una nuova richiesta giuridica per consentire sempre più l’azione coercitiva della forza armata unilaterale e, quindi, andando oltre il meccanismo multilaterale di cooperazione. Anche se alcuni Stati non accogliessero per adesso tale richiesta, potrebbero maggiormente reclamarla con il solo obiettivo di motivare future azioni. Va, in ogni modo, fatto presente che gli Stati devono onorare il proprio impegno ad agire nel quadro multilaterale, accettando, volente o nolente, l’esclusiva autorità del Consiglio di Sicurezza per l’azione di misure coercitive atte a mantenere e ristabilire la pace e la sicurezza comuni e che l’interesse della comunità internazionale a favore della pace e della sicurezza internazionali debba essere accentrato nell’organo politico quale è, per l’appunto, il Consiglio di Sicurezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite[24]. Il governo statunitense, dopo tutto, avrebbe ribadito, mercé la lettera del Presidente Donald Trump, consegnata nelle mani del Congresso, che, “nel momento in cui la comunità internazionale non sia in grado di agire collettivamente, nel senso di venir meno alla propria funzione di mantenere l’ordine internazionale e la stessa sicurezza, allora ciascuno Stato ha il diritto di agire al di là del sistema multilaterale”[25]. Ergo, a parere della Casa Bianca, un intervento militare oltre l’ambito della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale è del tutto lecito, nel senso che gli Stati Uniti hanno agito a causa dell’incapacità della comunità internazionale nel trovare una soluzione alla crisi siriana.
Un aspetto che non può essere non ponderato riguarda il fatto che l’esecutivo Trump, anziché inviare, come la regola statuisce, la lettera che riporta l’intenzione degli Stati Uniti di giustificare l’intervento militare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, unico detentore dell’uso della forza, o al Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha preferito far prevalere il diritto interno su quello internazionale con la consegna della lettera posta nelle mani del Congresso, come è stato detto poc’anzi.
Nel contempo, proprio la mancanza di attenzione allo jus ad bellum, cioè a dire che ci si riferisce al diritto conferito agli Stati, in tempo di pace, di ricorrere alla guerra contro un altro Stato, ossia alla legittimità del ricorso allo strumento bellico[26], che si distingue dal c.d. jus in bello, con il quale s’intende, invece, il diritto che governa i conflitti armati e, pertanto, le regole che disciplinano la condotta delle ostilità, a partire dal momento in cui il conflitto ha inizio, ossia il diritto internazionale dei conflitti armati che ha come scopo proprio quello di vietare atti di coercizione violenta che sono inutili o sproporzionati rispetto al fine perseguito[27], rischia di portare verso una totale inerzia nei confronti del diritto stesso.
Ciò che la grande Potenza statunitense farebbe, poi, è porre in risalto il suo impegno e investimento totale nello jus ad bellum. Non solo, ma potrebbe farlo in molti modi, anche attraverso la pubblicazione di una dichiarazione del Presidente Donald Trump attorno al fondamento dell’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite e di dare delle risposte alle tematiche che concernono le sfide che girano attorno alla questione della sicurezza mediante l’organo deputato a far in modo che il filo sottile, che regge il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, non si spezzi ossia sia rafforzato sempre più, tale organo è il Consiglio di Sicurezza.
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L’uso dell’arma chimica: un problema e una violazione
“Dopo aver guardato le immagini dell’attacco chimico, il mio atteggiamento verso la Siria e Assad è cambiato”, parole pronunciate dallo stesso Donald Trump, durante la conferenza stampa, con il Re di Giordania Abdullah II, con le quali ha fatto scattare il semaforo verde, nella notte tra il 6 e il 7 aprile 2017, per l’inizio di un attacco a sorpresa nei riguardi dello Stato siriano[28]. Attacco che è avvenuto intorno alle 04,35 circa, dove due navi da guerra, battenti bandiera statunitense, dispiegate nel mare Mediterraneo orientale, come è stato già detto in un precedente paragrafo, hanno lanciato una serie di missili sulla base delle forze aeree dell’aviazione siriana.
Il governo statunitense, per il tramite del suo rappresentante in seno al Consiglio di Sicurezza, dichiarava che questo “attacco è stato necessario come risposta al comportamento che il governo di Bashar Hafiz al-Assad ha posto in essere, utilizzando una delle basi di velivoli dell’aviazione militare siriana per perpetrare l’attacco chimico nelle vicinanza di Khan Shaykhun, nel sud di Idlib, avvenuta il 4 aprile 2017, parte del territorio controllato dai ribelli”[29]. Di certo, l’attacco contro i cittadini siriani inermi con armi chimiche è stato subito condannato dalla comunità internazionale. L’atto ostile statunitense, al contrario, ha cagionato la spaccatura di essa pro o contro l’azione militare decisa da Trump. Ciò mi lascia sorpreso, dato che i due attacchi – quello chimico e quello statunitense – costituiscono entrambi una palese violazione delle disposizioni, aventi la loro importanza e il loro fondamento, del diritto internazionale generale. L’attacco “d’aggressione”compiuto dalle navi militari statunitensi, ad esempio, può potenzialmente essere l’inizio di una minaccia all’equilibrio della vita di relazioni internazionali, assieme ai valori che lo proteggono, ma non meno importante all’attacco con l’uso di armi chimiche.
Partendo dal paradigma dell’impiego delle armi chimiche, esse, assieme alle armi batteriologiche e nucleari, vengono fatte rientrare nella qualifica di armi di distruzione di massa, che rappresentano uno degli aspetti più spaventosi degli sviluppi tecnologici che sono intercorsi nell’ultimo secolo e che sono divise in diverse categorie: nonostante ogni nazione fornisca una propria definizione al riguardo, oggi come armi di distruzione di massa si indicano le armi nucleari, biologiche, chimiche e radiologiche (NBCR). L’elemento che le accomuna è comunque la capacità, almeno potenziale, di arrecare una quantità di danni decisamente superiori a qualsiasi dispositivo militare convenzionale oggi presente. Le armi chimiche possono causare la morte di un gran numero di persone contemporaneamente, i loro effetti sono ardui da contenere e controllare, poiché contengono sostanze chimiche pericolose che possono provocare il decesso di individui e animali, un’incapacità temporanea o danni permanenti[30]. Il primo massiccio uso delle armi chimiche, che avvenne durante il primo conflitto mondiale, provocò molti danni e produsse un forte shock sullo scacchiere internazionale che spinse l’allora comunità internazionale al tassativo e assoluto divieto di tali armi.
Il 17 giugno del 1925, si decise l’adozione di una Convenzione diretta a limitare l’uso di mezzi bellici come il Protocollo concernente la proibizione di usare in guerra gas asfissianti, tossici o simili e mezzi batteriologici, firmato a Ginevra, dove, nel paragrafo 3 del preambolo viene statuito che il divieto di armi chimiche sarà universalmente riconosciuto come incorporato nel diritto internazionale, che s’impone alla coscienza e alla pratica delle Nazioni[31]. Questo Protocollo venne definito dal capo della delegazione italiana presso la Società delle Nazioni, Vittorio Scialoja, una pietra miliare sulla via che conduce ad una maggiore giustizia internazionale nell’organizzazione della pace[32]. Va anche detto che, a livello internazionale, l’uso di armi chimiche è da tempo oggetto di normativa restrittiva, difatti, la sua nascita è da far risalire alla data del 22 aprile 1915, quando l’esercito tedesco, durante un attacco a Ypern, fece uso di gas di cloro, provocando la morte di migliaia di militari algerini francesi[33]. Su questo punto va menzionato che l’uso del gas era stato espressamente vietato dalla Convenzione dell’Aja del 1907 concernente le leggi e gli usi della guerra terrestre e regolamento annesso[34].
Nel Protocollo di Ginevra del 1925 è stato determinato il divieto dell’uso, durante un conflitto armato, di gas asfissianti, tossici o simili, che costituisce il primo fondamentale criterio dell’inibizione dell’utilizzo di armi chimiche. Sennonché il Protocollo de quo non contiene una definizione netta di arma chimica, né vieta l’impiego di quest’arma come strumento rientrante nell’istituto della rappresaglia armata[35].
Il divieto dell’impiego di quest’arma atroce e pericolosa venne del tutto rispettato, durante il secondo conflitto mondiale, come pure nell’era della Guerra fredda tra il blocco sovietico e quello occidentale, con qualche eccezione – come, ad esempio, l’utilizzo di gas durante la guerra civile nello Yemen negli anni sessanta del XX secolo – e con alcuni Stati che hanno fatto uso di sostanze chimiche non qualificabili per se come armi chimiche – l’esempio tipico si ritrova nell’uso del napalm da parte delle forze militari statunitense durante la guerra di Corea nel 1950[36], e in Vietnam tra il 1960 e il 1970[37].
La questione delle armi chimiche è stata definitivamente messa al bando attraverso l’adozione di un nuovo strumento convenzionale[38], di cui si è più volte accennato in precedenza, approvato nella capitale francese il 13 gennaio del 1993, ed entrato in vigore il 29 aprile del 1997, con il deposito del 67° strumento di ratifica, il quale determina severe procedure di controllo e verifica sulle armi chimiche, ma stabilisce anche che gli Stati sono vincolati non solo a non produrle e a distruggere gli stock esistenti, ma pure a non farne alcun utilizzo in ogni circostanza, con ciò vietandone l’uso anche a titolo di rappresaglia[39].
Questo Protocollo o Convenzione, che è stato voluto per rafforzare quello del 1925, in particolar modo per rispondere alla violazione del divieto del loro utilizzo sia durante il conflitto Iran – Iraq contro i curdi iracheni[40], sia durante lo scoppio della prima guerra del Golfo del 1990[41], obbliga gli Stati parti a non usarle mai e che non possono essere neppure utilizzate a titolo di rappresaglia. Inoltre, tale disciplina pattizia riafferma la totale natura del divieto dell’uso di queste armi ed estende quest’inibizione assoluta di intraprendere ogni preparativo militare per tale impiego e di sviluppare, produrre, acquisire, immagazzinare, detenere o trasferire direttamente o indirettamente armi chimiche a chiunque, compreso gli attori non statali[42].
È stato, inoltre, istituita un’organizzazione internazionale speciale, che ha il compito di far rispettare il divieto delle armi chimiche, essa è la c.d. Organization for the Prohibition of Chemical Weapons (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche – OPCW-OPAC)[43]. L’OPAC, organismo internazionale, che raggruppa gran parte degli Stati a livello di comunità internazionale, rappresenta l’organo attuativo della Convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione, stoccaggio e uso delle armi chimiche e sulla loro distruzione[44]. Essa è considerata alla pari di una vera e propria autorità sovranazionale con il compito di vigilare sui patti concordati.
La Repubblica Araba siriana ha ratificato il Protocollo di Ginevra del 1925 nel 1968, e, inseguito, il 14 ottobre del 2013, è divenuta parte della Convenzione di Parigi sulle armi chimiche del 1993, essendo stata costretta ad aderire sotto la pressione congiunta della Federazione russa e degli Stati Uniti, in seguito agli orrori suscitati dall’attacco chimico del 21 agosto 2013 a Ghouta, effettuato dall’esercito siriano mercé l’uso di missili terra-terra[45], contenenti gas sarin che ha causato la morte di molti cittadini siriani[46]. Lo sdegno della comunità internazionale è stato forte a partire dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon, definendo tale azione come il più orribile atto chimico, come pure dal Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il quale ha dichiarato che si era andato oltre la c.d. linea rossa[47] da parte del regime di Bashar Hafiz al-Assad, con l’intenzione di mostrare i muscoli bellici per una questione di responsabilità morale[48].
Da qui, la comunità internazionale decide di attuare un’azione concertata attraverso l’adozione della risoluzione n.2118, che ha accolto l’accordo concluso tra le due super Potenze, inerente lo smantellamento chimico della Siria sotto la supervisione dell’OPAC-OPWC, conformemente alla coeva decisione del Consiglio esecutivo di questo organismo indipendente e sovranazionale, cui spetta, come ben è noto, il compito di effettuare le ispezioni per verificare i siti dichiarati dalla Siria e sovrintendere il processo di distruzione[49]. È d’uopo menzionare che questa risoluzione non opera sotto il Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, bensì decide di ricorrere alle misure statuite nel Capitolo VII in caso di mancato rispetto delle misure disposte da quanto determinato dalla risoluzione de quo[50].
Adottata all’unanimità, si può dire che tale risoluzione è stata celebrata, assieme all’intesa di Ginevra, sorta da una conferenza internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite, con un successo della diplomazia e del multilateralismo sull’unilateralismo e che ha evitato il rischio di un attacco unilaterale da parte statunitense e ha reso più solido il regime di controllo degli armamenti chimici[51]. Da qui, si evince per il tramite di questa risoluzione che la messa in atto delle armi chimiche, in qualsiasi angolo del pianeta, comporta un pericolo per la pace e la sicurezza dell’ordine globale, nel senso che ogni azione coercitiva, che riguarda l’uso dello strumento chimico, condotta da qualunque attore statale, come pure da quello non statale (si pensi ai gruppi terroristici), in qualunque luogo perpetrato, verrà reputato, in modo automatico, come una vera e propria minaccia alla vita di relazione internazionale della famiglia umana o comunità internazionale[52].
Va, ancora, menzionato che questa risoluzione è stata approvata sulla base del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite e che impone erga omnes, cioè a dire a ciascuno Stato membro ovvero alla comunità internazionale nel suo complesso, dei vincoli che hanno come scopo quello di prevenire la proliferazione di queste armi, considerate pericolose, e che possano finire nelle mani di gruppi terroristici. Infine, tale risoluzione, dopo aver rammentato che gli Stati hanno l’obbligo di accettare ed eseguire, a norma dell’articolo 25 della Carta delle Nazioni Unite, le risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza, norma questa che si applica alle misure coercitive vincolanti per gli Stati membri ai sensi del Capitolo VII, decide che la Siria osservi in ogni aspetto il piano dettagliato, disposto dal Consiglio esecutivo dell’Organizzazione speciale per il disarmo chimico[53].
L’Organizzazione per il disarmo, nell’aprile 2014, costituisce la missione per le attività di indagini – il c.d. Fact Finding Mission – per la Siria, al fine di indagare sulle dichiarazioni dell’impiego di sostanza chimiche tossiche in Siria[54]. Tra il 2014 e il 2016, questa missione per le attività di indagini rendeva pubblico alcuni dossier, in cui venivano confermati che tali sostanze chimiche sono state continuamente poste in essere durante il conflitto domestico siriano, ma che hanno dimostrato che tali documenti non sono riusciti a identificare i responsabili di questi atti.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il 7 agosto 2015, istituiva, attraverso l’adozione della risoluzione n.2235(2015), un meccanismo d’inchiesta congiunta ovvero un comitato investigativo – il c.d. Joint Investigative Mechanism – fra le stesse Nazioni Unite e l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche in Siria[55]. Chiaramente, va sottolineato che per l’organo politico, id est il Consiglio di Sicurezza, era d’uopo intervenire, mediante l’adozione di questa risoluzione, in merito alla guerra civile della Siria, per la ragione che era stata accertata la responsabilità delle autorità governative della Repubblica Araba di Siria nell’aver utilizzato le armi chimiche, assieme a quelle batteriologiche, contro la propria popolazione inerme. Per queste ragioni, l’organo principale delle Nazioni Unite – menzionando il Protocollo di Ginevra del 1925, la Convenzione di Parigi del 1993 e una serie di risoluzioni come la n.1540 (2004), la n.2118 (2013) e la n.2009(2015) – ha ponderato la necessità di procedere alla istituzione di questa nuova entità, cioè a dire la missione d’inchiesta congiunta, al fine di verificare se vi siano stati casi in cui siano state utilizzate le armi chimiche come pure la responsabilità di tali atti[56].
L’obiettivo della risoluzione, della quale si sta trattando, consiste nell’identificare soggetti privati, gruppi, entità o governo che si comportano come veri e propri sostenitori dell’impiego delle armi chimiche in Siria[57]. Questo documento risolutivo, oltretutto vincolante, oltre ad aver trovato una soluzione all’impasse diplomatico, che ha cagionanto il blocco sulle varie indicazioni risolutive al conflitto interno siriano, presenta già in nuce una serie di limiti come, ad esempio, il problema dell’investigazione circoscritta per la ragione che viene a delinearsi il fatto che il territorio ponderato è solo quello all’interno della Repubblica Araba di Siria e anche per la ragione che il comitato investigativo non potrebbe entrare o fare il suo ingresso in lembi territoriali siriani in quanto occupate dai jihadisti dello Stato islamico; come pure quello che questo comitato, condotto dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, abbia la possibilità di entrare in aree territoriali occupati dall’ISIS, considerato attore non statale; e, infine, come quello di procedere a segnalare un probabile impiego delle armi chimiche[58].
Nella risoluzione de quo era stato previsto che il mandato sarebbe durato sino al 2016, ma è stato deciso, per il tramite del negoziato tra il Direttore generale dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche e il Segretario Generale delle Nazioni Unite di prorogare tale mandato mercé l’adozione da parte del Consiglio di Sicurezza di un’ulteriore risoluzione, id est la n.2319 del 17 novembre 2016, che rinnova, per un nuovo periodo di un anno, il mandato del meccanismo inchiesta congiunto[59]. Essendo i due organismi ancora attivi, cioè l’FFM e il JIM, entrambi hanno avuto l’incarico di indagare intorno all’accaduto avvenuto il 4 aprile nell’area di Khan Sheikoun[60].
Ogni forma che si viene a concretizzare dell’impiego delle armi chimiche, come pure dell’utilizzo di sostanze chimiche contro dei civili inermi, va, in maniera assoluta e netta, reputata una violazione del diritto internazionale umanitario, come pure la violazione del diritto internazionale dei conflitti armati, e cercare, in qualche modo, di far rientrare nell’ambito d’umanità ogni genere di conflitto. Queste forme possono essere iscritte nella lista dei crimini di guerra, che dà luogo alla responsabilità individuale sul piano penale di gruppi di soggetti privati che hanno cagionato, progettato e dato l’ordine di rendere concreto l’attacco. La concretezza di tale attacco è per sua natura un fatto collettivo, mentre la colpa e la pena non sono più colpa o pena dell’agglomerato gruppo, ma devono concernere unicamente il singolo individuo ritenuto responsabile[61].
Ergo, questo non è in alcun modo riservato all’impiego delle armi chimiche. Ciascuna grave violazione del diritto internazionale d’umanità – come, ad esempio, l’utilizzo di strumenti impiegati durante un conflitto bellico tipo quelle biologiche, di armi concepite per provocare inutili sofferenze, di armi laser destinate a causare la cecità a visione non protetta e via discorrendo[62]; l’impiego di metodi inibiti durante un conflitto armato, come quello di colpire in modo intenzionale dei civili o delle strutture ospedaliere e così via; la mancanza di rispetto delle persone protette, come l’attuazione dell’omicidio volontario o la messa in atto dello strumento della tortura sui prigionieri di guerra o la deportazione, il trasferimento o detenzione di civili nemici – comporta le medesime conseguenze[63]. Non esiste alcuna red line (linea rossa) sulle armi chimiche nell’ambito del diritto internazionale. La linea rossa che ha un significato, nella teoria del gioco, di una minaccia dove un attore intraprende un’azione contro un altro attore per fermare il suo comportamento non lecito. Nella teoria politica, una linea rossa rappresenta una posizione ufficiale adottata da uno Stato, che si distingue dalla quella giuridica che riflette, invece, le norme determinate dal diritto internazionale generale[64]. La sola linea rossa che vige nel diritto internazionale d’umanità si trova fra le gravi violazioni di questo diritto, paragonabili ai crimini di guerra.
Gravi violazioni del diritto d’umanità, inglobando anche la messa in opera delle armi chimiche, comportano la totale responsabilità della parte rilevante a un conflitto bellico, sia esso uno Stato, sia un’entità non statale. L’attore che si considera essere colpevole deve fermare la violazione, fornire assicurazioni, affinché non si ripeta, e riparare attraverso la restitutio in integrum quanto commesso per l’illecito cagionato con la violazione. Nel caso in cui l’attore responsabile dovesse non fare quanto detto poc’anzi, allora è ragionevole che ogni Stato, qualunque sia il suo ruolo in un conflitto bellico, possa imporre sanzioni unilateralmente sul soggetto statale e non. Il Consiglio di Sicurezza, il quale agisce ai sensi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, ha il potere di imporre delle sanzioni collettive alle quali ogni Stato membro della comunità internazionale è in dovere di attuare e rispettare. In aggiunta, lo stesso organo politico può autorizzare l’uso dell’azione coercitiva militare contro l’attore reputato responsabile. L’intervento coercitivo armato unilaterale, cioè a dire l’impiego di esso senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, che ha la responsabilità del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, secondo quanto enunciato nella stessa Carta delle Nazioni Unite, rientra nella sfera dell’illegittimità – come, per l’appunto, è avvenuto nel caso statunitense che ha attaccato la Siria non rispettando e, quindi, andando al di là del sistema autorizzativo delle Nazioni Unite –, tranne nel caso in cui lo Stato dimostri di essere stato oggetto di un attacco da parte di un altro Stato, tanto da costringerlo a ricorrere alla misura necessaria quale quella dell’impiego dell’azione coercitiva armata per autotutelarsi.
Nel contempo, la responsabilità individuale all’impiego delle armi chimiche o di ogni altra grossa violazione del diritto internazionale d’umanità può essere tenuta in considerazione e, ovviamente, perseguita prima dai tribunali domestici o interni in ogni Stato. In alcuni casi, l’individuo responsabile di crimini contro l’umanità può essere perseguito dalla Corte Penale Internazionale che, pur non esercitando una competenza territoriale predeterminata, possiede una giurisdizione speciale ratione materiae, ma anche ratione personae. Sulla prima, questa Corte esercita tale criterio su quattro paradigmi, rientranti nella sfera dei c.d. crimini internazionali, come il genocidio, il crimine di aggressione, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra[65]. Sulla seconda, nello Statuto di Roma del 1998, viene enunciato che questa Corte Penale Internazionale può portare in giudizio unicamente gli individui che sono accusati di aver messo in atto dei crimini che abbiano una mera rilevanza sul piano internazionale, indipendentemente se abbiano operato nella veste ufficiale di organi di uno Stato o come persone private[66]. Possono esserci dei dubbi sul fatto che un numero grave di violazioni delle norme di diritto d’umanità, come le violazioni delle disposizioni molto fondamentali del diritto internazionale contemporaneo – tipo i crimini contro la popolazione che costituiscono un atto contro l’umanità, la violazione dei diritti dell’uomo e via discorrendo – siano state commesse nel contesto del conflitto civile in Siria, in cui il regime siriano corse, nel 2013, il rischio di un intervento coercitivo armato aereo da parte degli Stati Uniti, che non si concretizzò grazie a un accordo raggiunto fra la Casa Bianca e il Cremlino, cioè a dire fra Barack Obama e Vladimir Putin, con l’assenso del presidente siriano Bashar Hafiz al-Assad, che impegnava la Siria a distruggere ogni deposito e armamento chimico, accompagnato dall’impegno a sottoscrivere la Convenzione di Parigi del 1993, di cui si è già ampiamente dibattuto, che vieta l’uso di armi chimiche[67]. Possono anche manifestarsi delle perplessità intorno al fatto che, sebbene tutte le Parti coinvolte nel conflitto, come la Russia e l’Iran, che sono intervenuti per sostenere il regime di Bashar Hafiz al-Assad o a favorire dei movimenti di opposizione all’esecutivo siriano, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia e via dicendo, hanno contribuito in buona sostanza a far emergere queste violazioni, anche il governo di Damasco ha un’ampia gamma di responsabilità.
Giacché le violazioni del diritto d’umanità, che vengono attribuite alle autorità governative del regime di Bashar Hafiz al-Assad, includendo anche l’attacco chimico sia del 2013, sia del 2017, entrambi di certo considerati illeciti, è stato statuito dagli organismi indipendenti come il meccanismo d’inchiesta congiunto e il comitato investigativo che ha accertato e continua il suo compito di verifica dei fatti. Su questo punto, la Francia, invece, è convinta della piena responsabilità del regime siriano di aver utilizzato il gas sarin, che ha paralizzato il sistema nervoso di molti civili siriani il 4 aprile 2017. Lo ha fatto presentando un minuzioso dossier contenente prove schiaccianti della colpevolezza del regime di Bashar Hafiz al-Assad[68]. Altro aspetto da tenere presente sta nella questione che, anche se il risultato dei due organismi internazionali possano dimostrare che l’attacco chimico non sia stato voluto dalle forze aeree siriane, non esenterebbe di molto dal fatto che, dopo alcuni anni di guerra civile in Siria, scoppiata nel 2011, il regime di Bashar Hafiz al-Assad ha le sue responsabilità e che, a prescindere il problema delle armi chimiche, solo questo punto basta a legittimare l’imposizione delle misure di cui si è delineato prima. Nello stesso tempo, va precisato che, nell’ipotesi reale che l’attacco con sostanze chimiche fosse stato dato dalle autorità di Damasco, ciò non servirebbe per giustificare l’attacco statunitense contro uno Stato sovrano e indipendente, violando le norme del diritto internazionale.
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Aggressione degli Stati Uniti alla Siria. Violato il diritto internazionale
Con gli attacchi statunitensi lanciati verso il territorio siriano, considerati atti inaccettabili e illegittimi, si è assistito ad una piena inerzia del rispetto che ciascuno Stato, membro della vita di relazioni internazionali e della famiglia umana, deve porre in essere, ma che di sovente snobba. Non solo, ma anche – mi si consenta di passare un’espressione poco consona di chi si occupa di diritto – il continuo schiaffeggiare le norme del diritto internazionale, in particolar modo, quelle disposizioni che afferiscono al divieto assoluto dell’uso della forza militare contro la sovranità di un altro Stato membro della comunità internazionale, porta a un ritorno al passato prima che la norma sull’inibizione dell’intervento coercitivo armato divenisse norma di jus cogens erga omnes.
Punto importante per comprendere l’origine del divieto dell’impiego della forza lo si può ricercare nella considerazione che sono stati gli Stati stessi a voler creare una molla di sicurezza, già a partire dalla fine del primo conflitto mondiale, attraverso la firma del ben noto Patto di Parigi, detto anche Patto Briand-Kellog del 27 agosto 1928[69], ovvero l’accordo franco-statunitense che impose, in un certo senso, a ciascuno Stato di rinunciare alla guerra o al ricorso della forza militare come strumento per la soluzione delle controversie internazionali[70]. Oggi, tale concetto è stato rafforzato e ribadito nella Carta di San Francisco del 1945, in cui si evince che l’intero sistema di sicurezza del diritto internazionale contemporaneo è fondato proprio non solo alla rinuncia totale della forza, ma anche al divieto stesso dell’impiego dell’atto coercitivo armato. Il suo impianto normativo viene costituito dall’inibizione del ricorso all’uso della forza come statuito dall’articolo 2, paragrafo 4, della Carta delle Nazioni Unite, ma che consente l’intervento coercitivo militare esclusivamente in forma di legittima difesa, previsto dall’articolo 51 della stessa Carta, lasciando di regola l’utilizzo lecito dell’azione di intervento coercitivo armato monopolio dell’organo politico delle Nazioni Unite, cioè il Consiglio di Sicurezza[71]. In poche parole, questa disposizione indica che l’uso unilaterale della forza armata può essere trasferito nel quadro della liceità solo nel momento in cui uno Stato debba essere costretto ad adottare tutti i mezzi necessari per difendersi da un’aggressione posta in essere da un altro Stato, ma diversamente, come ho già ribadito poc’anzi, l’uso della forza è di sola esclusiva competenza del Consiglio di Sicurezza, il quale detiene il monopolio, sebbene è considerato l’unico responsabile a dover garantire il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali[72]. Tale monopolio sta a indicare che non vi deve essere alcuna interferenza con il potere e la responsabilità affidati al Consiglio stesso di stabilire la natura di ogni particolare situazione, ai sensi dell’articolo 39 della Carta delle Nazioni Unite[73]. In questo articolo si è inteso ribadire che, anche di fronte a situazioni riportabili al Capitolo VII, il Consiglio di Sicurezza può esercitare la sua funzione conciliativa[74].
In un certo senso, l’inibizione della forza si scolla da quell’assolutezza dello jus ad bellum ovvero dal far ricorso all’intervento armato, per cui gli Stati debbono astenersi, con completa costanza dal ricorrere allo strumento militare, ribadito dalla Corte Internazionale di Giustizia sul caso delle attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro il Nicaragua, del 27 giugno 1986, che ha voluto evidenziare la considerazione secondo la quale la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale cogente s’ispirino al principio comune che bandisce l’uso della forza nelle relazioni internazionali[75], nel senso che vi sono due eccezioni che possono sospendere il contenuto ormai consuetudinario, sancito nell’articolo 2, paragrafo 4.
La prima eccezione è rappresentata dal riconoscimento in capo allo Stato vittima di un attacco armato del diritto naturale di legittima difesa individuale o collettiva, diritto che, in conformità all’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, è destinato a eclissarsi o, meglio, a cessare non appena il Consiglio di Sicurezza abbia preso delle misure efficaci e necessarie per il ristabilimento della pace. In concreto, si può asserire che tale norma costituisce una specie di clausola di chiusura del sistema di sicurezza per il malfunzionamento dello stesso, posto come strumento di garanzia allo Stato che, oggetto di un’aggressione armata, non possa fruire del tempestivo intervento del Consiglio di Sicurezza, nel senso che il diritto dello Stato, vittima di un attacco armato, di autotutelarsi per il tramite dell’impiego delle armi, sussiste sino al momento in cui l’organo esecutivo delle Nazioni Unite non abbia esercitato effettivamente la sua funzione di custodire la pace attraverso l’adozione di strumenti che siano realmente efficaci per fermare un attacco armato. Concretamente, è plausibile anche sostenere che nell’ambito della Carta delle Nazioni Unite, il diritto dello Stato, il quale agisce per via unilaterale, è, in un certo senso, limitato per la ragione che vige un meccanismo istituzionale della forza, ovviamente sul piano internazionale, per cui lo Stato che è spinto a doversi difendere da un attacco armato è tenuto a notificare la propria azione all’organo principale delle Nazioni Unite, id est il Consiglio di Sicurezza, sino a quando questi non abbia adottato delle misure necessarie per riportare allo status quo ante la pace nell’ambito del sistema di sicurezza internazionale[76].
La seconda eccezione è costituita dalle misure coercitive che sono autorizzate direttamente dal Consiglio di Sicurezza, quest’ultimo chiamato a gestire l’ordine e la funzione pubblica internazionale[77], ai sensi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, per far in modo che la tutela della pace e il sistema di sicurezza internazionale non siano messe in pericolo, dato che è stato assegnato proprio a quest’organo politico la responsabilità principale di tenere le fila dell’equilibrio del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale[78]. Qui ci troviamo dinanzi al fatto che viene, in un certo senso, sottratto a ogni Stato il diritto di ricorrere unilateralmente all’azione coercitiva, in quanto l’azione unilaterale costituisce una violazione del diritto internazionale, affidando all’organo principale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite il compito di intervenire all’interno del sistema della gestione della reazione armata, al fine di tutelare quell’interesse comune che abbraccia l’intera comunità internazionale, che concerne difatti la pace violata o minacciata. Un punto da tenere in evidenza sta nella ragione che, essendo il Consiglio di Sicurezza un organo politico, come soventemente in precedenza sottolineato, l’impianto del sistema di sicurezza collettiva rischi di essere compromesso da elementi di natura politica, che ne possano causare l’impasse del funzionamento della macchina di sicurezza attraverso l’applicazione del diritto di veto, strumento privilegiato che detengono i cinque membri permanenti (Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti).
Da qui, si può dedurre che l’atto di aggressione commesso dagli Stati Uniti è reputato illegittimo in violazione della norma che bandisce l’uso dell’intervento coercitivo armato, sancito dalla Carta di San Francisco, non solo, ma la disposizione è contornata anche dalla Risoluzione 3314, adottata dall’Assemblea Generale l 14 dicembre 1974, in cui si precisa che per aggressione s’intende “l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato o in qualsiasi altro modo che vadano oltre quelli che sono i fini delle Nazioni Unite”[79]. Accanto a quest’ultima, si può anche menzionare la Dichiarazione sulle relazioni amichevoli e la cooperazione fra gli Stati del 24 ottobre 1970, cioè la Risoluzione 2665(XXV), sempre adotta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, pur non essendo vincolante, statuisce che il ricorso alla minaccia o all’uso della forza costituisce una violazione del diritto internazionale e una guerra d’aggressione rappresenta un crimine contro la pace, comportante una responsabilità di diritto internazionale generale[80]. Infine, è d’uopo citare un’altra fondamentale Dichiarazione relativa al rafforzamento dell’efficacia del principio di non ricorrere alla minaccia o al’impiego della forza nei rapporti fra gli Stati, essa è allegata alla Risoluzione[81]n.42/22 dell’Assemblea Generale del 11 novembre 1987. Ergo, i lanci di missili statunitensi dalle proprie navi militari contro lo Stato siriano, come un vero e proprio attacco efferato, sono fuori dalla sfera delle due importanti eccezionalità circa il divieto dell’uso della forza e che costituiscono un netta azione unilaterale che pongono in serio pericolo la pace e la sicurezza internazionale, pilastri della vita di relazione internazionale. Tuttavia, questi attacchi, perpetrati da uno Stato straniero contro la sovranità e l’indipendenza di un altro Stato, non sono stati autorizzati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e, inoltre, non possono inquadrarsi come atto o intervento per motivi che concernono il diritto all’autotutela, dato che il ricorso alla forza non è lecito, tranne quando interviene la necessità naturale, come extrema ratio, di respingere un imminente attacco armato per difendersi, come sancito proprio dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite e nel momento in cui vi sia l’esplicita autorizzazione di una tale misura da parte del Consiglio di Sicurezza[82], sebbene spetti a quest’ultimo, come più volte scritto, la responsabilità di far in modo che il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale non siano messe in pericolo.
È pur vero che il Consiglio di Sicurezza si è sempre occupato del conflitto civile in Siria, in numerosi casi dallo scoppio della guerra domestica siriana iniziato nel 2011[83]. Un gruppo di adolescenti, nella città di Daroa, scrisse su un muro la seguente dicitura “vogliamo che il regime se ne vada”, scritta che diede l’occasione di manifestare, in tutto il Paese, contro il regime di Baššār Hafiz al-Assad che spinse quest’ultimo a usare maniere forti e brutali. Le manifestazioni mutarono in vere e proprie ribellioni contro la dittatura alawita[84], che soffiarono sullo scatenarsi di una guerra civile, che è ancora in corso[85]. Quanto accadde in Siria, mise in moto la macchina del Consiglio di Sicurezza che ebbe delle difficoltà ad adottare una prima risoluzione contro il regime siriano di Baššār Hafiz al-Assad, a causa del veto della Federazione di Russia e della Cina, per accertare l’esistenza di gravi violazioni dei diritti fondamentali della popolazione civile siriana e a pianificare forme di sanzioni contro il governo siriano. La proposta venne rigettata dal Consiglio di Sicurezza, poiché le autorità di Mosca asserivano che la situazione in Siria non costituiva una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali[86]. La bozza della risoluzione, presentata in seno al Consiglio di Sicurezza dalla Francia, Germania, Portogallo e Regno Unito del 4 ottobre 2011, venne accantonata e, quindi, respinta dal veto dei due membri permanenti di cui si è già detto sopra[87]. Va anche considerato la questione che il Consiglio di Sicurezza ha il suo spirito tempestivo a intraprendere azioni sanzionatorie conformemente alle proprie risoluzioni con mezzi necessari nel quadro del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Ampiamente dipeso o al rischio o all’esercizio del diritto di veto da parte della Repubblica Popolare di Cina e della Federazione di Russia, detentori di porre il veto a bozze di risoluzioni, in quanto membri permanenti, tuttavia,il Consiglio di Sicurezza ha subito molte volte l’impasse nella procedura di azionare le sanzioni economiche sul regime di Baššār Hafiz al-Assad, per non parlare di autorizzazione dell’azione coercitiva armata contro lo Stato siriano.
La legittima difesa è soltanto possibile attuarla quando un soggetto internazionale, vittima di un attacco armato o aggressione già sferrato possa reagire impiegando la forza militare a titolo di autotutela individuale e che la reazione armata sia altresì consentita a tutti gli altri Stati, membri della comunità internazionale e, quindi, soggetti di diritto internazionale, diversi dallo Stato aggressore, purché sussista il consenso dello Stato vittima dell’aggressione a titolo di legittima difesa collettiva[88]. Tale divieto, inoltre, oramai consolidato come parametro cogente, si arresta in ipotesi di esercizio da parte dello Stato della legittima difesa individuale o collettiva, ai sensi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite[89].
Può essere fortemente reclamato, ma in questo caso non reso accoglibile, il fatto che l’attacco chimico, probabilmente perpetrato su ordine di Baššār Hafiz al-Assad, su Khan Sheikoun è stato un attacco contro gli Stati Uniti, nel senso che quest’ultimi non potevano appellarsi alla formula contenuta nell’Istituto della legittima difesa, sebbene la Siria non ha sferrato alcun tipo di attacco nei confronti degli statunitensi. Perciò l’eccezione, statuita dalla norma contenuta all’interno dell’articolo 51 della Carta, non può essere invocabile come giustificazione dell’attacco aggressivo da parte degli Stati Uniti d’America contro la sovranità e l’integrità territoriale della Repubblica Araba di Siria[90]. Le autorità della Casa Bianca non hanno ancora presentato le ragioni giuridiche circa i loro attacchi contro la Siria, Stato sovrano e indipendente. Difatti, le dichiarazioni rilasciate dal Presidente Donald Trump e dal Segretario di Stato Rex W. Tillerson stanno a significare che gli Stati Uniti non vedono l’attacco come un atto autorizzato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o come un’azione in legittima difesa, ma come la retorica che si riferisce “all’interesse vitale della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, al fine di prevenire e fermare la diffusione e l’uso delle armi chimiche proibite(…), faccio appello a tutte le nazioni civilizzate affinché si uniscano a noi nel tentativo di porre fine al massacro e allo spargimento di sangue in Siria e di porre fine al terrorismo di ogni tipo”[91]. Il Segretario di Stato, capo della diplomazia statunitense, ha sostenuto sulla necessità “di qualche azione che doveva essere adottata intorno all’atteggiamento della comunità internazionale di rendere chiaro che l’uso delle armi chimiche continua ad essere una violazione delle norme internazionali”[92], ci porta alla mente la dottrina della legittima difesa preventiva, dell’intervento di diritto internazionale umanitario o le contromisure armate, come pure le rappresaglie armate. La legittima difesa c.d. preventiva o anticipata consiste nell’uso dell’intervento coercitivo armato contro le minacce non imminenti che potrebbero concretizzarsi in seguito ovvero la reazione armata alla mera minaccia o pericolo di un attacco armato altrui, come, a titolo emblematico, un futuro attacco con le armi di distruzione di massa[93]. Si può, pertanto, ritenere che tale difesa preventiva può, in via prettamente eccezionale, essere accettata quando l’attacco è già iniziato o è in fieri, anche se non ha ancora raggiunto l’obiettivo colpendolo o nel momento in cui esistano prove tangibili da far credere che l’attacco sia imminente[94].
L’intervento d’umanità o umanitario comporta l’atto con la forza militare che serve a fermare gravi violazioni dei diritti della persona che vengono perpetrati all’interno di un altro Stato. Qui, ci troviamo nella situazione nella quale necessita l’intervento coercitivo armato dello Stato A al fine di proteggere i cittadini dello Stato B, sul cui territorio è attuato, a causa di violazioni inaccettabili che calpestano il sistema dei diritti fondamen-tali della persona poste in essere dalle loro stesse autorità governative[95].
Le contromisure armate, che comportano la violazione di un obbligo giuridico, sono quelle misure di selfhelp che mirano a sanzionare le offese precedenti lanciate da un altro Stato a rispettare nuovamente le norme di diritto internazionale[96]. Tali contromisure, chiaramente, consistono in un comportamento dello Stato leso che in sé sarebbe lecito, ma che si tramuta nella forma di legittima difesa, poiché rappresenta la risposta a un illecito altrui, cioè a dire che lo Stato offeso può, per rispondere allo Stato che gli ha cagionato l’offesa, violare, a sua volta, nei suoi confronti, le norme vincolanti che gli derivano da quelle di jus cogens[97]. Sebbene, in qualche occasione, invocato da taluni Stati, in particolar modo da Stati che hanno un ampio potenziale militare, queste dottrine, riportate antecedentemente, sono state consistentemente accantonate da gran parte della comunità internazionale[98]. Il divieto di porre in atto ogni tipo di rappresaglia armata è nettamente confermata, come già accennato in questo scritto, nella Dichiarazione sulle relazioni amichevoli del 1970, alla già, più volte, citata Risoluzione n.2625 che è stata uniformata come un’interpretazione della Carta delle Nazioni Unite.
È possibile ritenere che gli attacchi, perpetrati contro il territorio siriano da parte delle forze militari statunitensi, non hanno un terreno solido per motivarli nell’ottica delle norme di diritto internazionale ed è, dunque, da considerarli pienamente illegittimi. Pertanto, è d’uopo asserire a chiare lettere che l’attacco costituisce una mera azione aggressiva alla pari di un vero e proprio attacco armato in concerto con quanto statuito nella disposizione dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite.
Il portavoce del Dipartimento alla Difesa (corrispondente al nostro Ministero della Difesa), il capitano Jeff Davis, durante la dichiarazione alla conferenza stampa, per giustificare gli attacchi ordinati dal Comandante in capo e Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ha affermato che “l’attacco è stato una risposta proporzionale all’atteggiamento atroce commesso contro dei civili, tra cui molti bambini, nei confronti del regime di Baššār Hafiz al-Assad”[99]. La misura inerente la proporzionalità ha avuto il suo eco da parte di alcuni Stati, che sono coalizzati con gli Stati Uniti nella lotta contro l’ISIS in territorio siriano e iracheno, come la Francia e la Germania che hanno congiuntamente dichiarato che “la responsabilità di quanto accaduto in Siria è solo colpa del presidente Baššār Hafiz al-Assad per i ripetuti attacchi chimici usati contro il suo stesso popolo”; il Regno Unito ha dichiarato, attraverso il proprio Ministro della Difesa Michael Fallon, che “le incursioni statunitensi, mercé il lancio di missili, sono pienamente leciti nei confronti del regime siriano e del suo presidente, che, con l’impiego delle armi chimiche, ha cagionato molte vittime, facendo appello alla Russia affinché faccia pressione sul presidente Baššār Hafiz al-Assad perché faccia smettere la guerra civile nel suo Paese”[100]; anche l’Italia, per bocca del Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, ha considerato che “l’azione di questa notte, come noto, si è sviluppata nella base aerea da cu erano partiti gli attacchi con l’utilizzo di armi chimiche nei giorni scorsi”, puntualizzando che “gli Stati Uniti hanno definito la loro azione come puntuale e limitata e non come una tappa di un’escalation militare”[101]. Da questi interventi, tra cui quello del premier italiano, si può ben evincere che alcuni Stati hanno ritenuto che l’intervento di coercizione armata statunitense contro lo Stato siriano è lecito, mentre altri sono concordi che esso è del tutto illegittimo. Da qui, si denota la dicotomia della comunità internazionale nel non essere sulla stessa onda del rispetto delle norme di diritto internazionale. Si assiste alla debolezza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, massimo organo sovranazionale che dovrebbe essere il perno del sistema del mantimento della pace e della sicurezza internazionali affinché non sia messo in pericolo in modo serio, che sta divenendo sempre più un’Organizzazione delle Nazioni (Dis)Unite ovvero una comunità internazionale disorganizzata, a causa della loro fragilità nel saper gestire totalmente e in maniera compatta situazioni che possano davvero portare a un nuovo disordine mondiale e, quindi, verso dei conflitti bellici in varie parti del pianeta. Non si può non dare ragione al Sommo Pontefice Francesco che ha evidenziato, durante la sua conferenza stampa, al suo rientro dalla visita pastorale in Corea del Sud, che “siamo già entrati nella Terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti, a capitoli”[102]. Tutto ciò sta a dimostrare un malinteso di come fa fatica lo stesso diritto internazionale a essere rispettato e onorato dagli Stati membri della famiglia umana.
Il criterio della c.d. proporzionalità viene applicato unicamente quando esiste realmente il presupposto giuridico di ricorrere all’intervento coercitivo armato. Un atto di legittima difesa può essere proporzionale o sproporzionale. Un atto di aggressione è meramente un’azione comportante l’aggressività, è illecito per sua natura, per cui nessun criterio di proporzionalità si applica in questo caso[103].
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L’ordinamento giuridico internazionale in bilico
“È stato rilevato che le autorità statunitensi hanno reputato il loro intervento coercitivo militare, mediante il lancio di una serie di missili dalle loro due navi da guerra, rientrante nella piena liceità e, a livello morale, del tutto corretto, per la ragione che il diritto internazionale contemporaneo ha un sistema giuridico che non opera in modo efficiente e le grosse violazioni, commesse in violazione delle più importanti norme dell’ordinamento giuridico internazionale, che regolano la vita di relazioni internazionali nel contesto della comunità internazionale, restano di sovente impunite o non sanzionate”. Su questa linea si è espressa, qualche giorno prima degli attacchi statunitensi contro la Siria, l’ambasciatrice Nikky Haley, rappresentante della delegazione degli Stati Uniti presso le Nazioni Unite, la quale ha voluto sottolineare anche, durante la seduta del Consiglio di Sicurezza, del 5 aprile 2017, che, nel momento in cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite si rivela, in modo sistematico, non in grado di agire collettivamente, ci sono momenti, nella vita di relazioni internazionali, in cui, qualche volta, è necessario per gli Stati agire al di fuori del sistema onusiano[104].
Questo punto merita di avere una certa e minuziosa attenzione, come pure un’ampia considerazione, in quanto sembra che persino le Nazioni Unite siano divenute vittime del criterio unable or unwilling, cioè a dire dell’ingranaggio bloccato dell’incapacità o della mancanza di volontà nel saper adottare delle misure collettivamente, dato che la struttura stessa di quest’importante Organizzazione internazionale è stata concepita proprio per difendere i fini, la pace e la sicurezza dell’intero pianeta e, come pure, dei diritti dell’uomo, non solo ma va ricordato che i principi fondamentali dell’ordinamento internazionale, come l’uguaglianza sovrana degli Stati membri, l’obbligo di risolvere le controversie in maniera pacifica e il divieto dell’uso della forza, su cui si poggiano le Nazioni Unite, costituiscono i canoni fondamentali ossia gli insopprimibili parametri giuridici dell’intero sistema normativo internazionale, al punto da poter essere ponderati come dei veri e propri principi costituzionali dell’intera famiglia umana[105]. Oggi, invece, si assiste ad una controversia tra le Nazioni Unite contro le Nazioni (Dis)Unite, in cui tutti sono contro tutti, senza avere riguardo e rispetto delle norme che gli Stati stessi decisero di darsi sul piano internazionale, con lo scopo di mantenere l’ordine mondiale.
Si ritiene che le norme del diritto internazionale siano soventemente rispettate e nei casi in cui non vengano tollerate, allora scattano le c.d. sanzioni. A maggior ragione non va trascurato che gli organismi internazionali non sono la perfezione assoluta, anche se ad essi spetta il compito di promuovere e rendere sempre più saldo il diritto internazionale generale, compresi il diritto delle Nazioni Unite e il Consiglio di Sicurezza, che è stato concepito come un organo a composizione ristretta. Di certo, non è possibile avere la certezza piena che questa organizzazione universale possa concretamente espletare del tutto al compito che le è stato affidato dalla Carta di San Francisco, in riferimento ai fini o agli scopi, a causa dello strumento usato dai cinque Stati membri permanenti – di cui si è già avuto modo di affrontare in precedenza – vale a dire il c.d. diritto di veto[106], che ha condizionato l’esistenza stessa delle Nazioni Unite come pure dell’ordinamento giuridico internazionale ponendoli in bilico, come purtroppo sta accadendo anche in questo XXI secolo, e che costituisce un potere affidato solo alle cinque Grandi Potenze. Potere a cui uno dei cinque Stati membri permanenti può, con questo meccanismo, trovarsi impegnato in un’azione che va contro il suo gradimento, giocando un ruolo positivo e costituendo una sorta di fusibile che impedirebbe ogni scalata e l’esplosione dell’intero sistema. Punto saliente, difatti, si trova nella questione che questi cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, detentori di questo importante e complesso strumento, sebbene devono assumere la responsabilità molto fondamentale, è logico che abbiano un controllo sull’intera struttura delle Nazioni Unite rispetto agli altri Stati membri, considerati non permanenti in seno al Consiglio di Sicurezza, che non godono di questo diritto[107]. Circa il Consiglio di Sicurezza, pure essendo stato creato dalla Carta di San Francisco, come strumento giuridico quasi universale, è un vero e proprio organo politico, come più volte evidenziato in questo mio contributo, nel senso che, di sovente influenzato dal diritto internazionale, può creare dal diritto internazionale stesso ma non agisce come organo giurisdizionale. Esso può subire o essere influenzato da precedenti ma non vede alcuna connessione con la prassi del passato. Del resto, non è vincolato a dover agire. La prassi è ricca di quest’altalenante del Consiglio di Sicurezza dinanzi alle crisi internazionali. Si menzioni, ad esempio, la decisione che quest’organo delle Nazioni Unite adottò con lo scopo di intervenire in Libia per prevenire i massacri di Bengasi[108] nel 2011, contro il regime di Gheddafi, e non essere in grado o mancante di volontà di agire qualche mese più tardi dello stesso anno in Siria, sebbene la popolazione è stata vittima di atrocità di ampio spessore, rientrante nella sfera del crimine contro l’umanità.
Gli ambasciatori che occupano il seggio del Consiglio di Sicurezza – permanente o non permanente – soventemente hanno denunciato dinanzi all’opinione pubblica mondiale tali incoerenze per lanciare un atto d’accusa nei riguardi di quegli Stati che sono stati considerati responsabili, come accadde quando fu posto il veto sulla questione siriana negli anni 2011[109], 2012[110], 2014[111] e 2017. Si pensi alla bozza di risoluzione preparata e presentata dalla Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America del 12 aprile 2017, che non è passata a causa dell’atteggiamento contrario della Federazione di Russia che pose, per l’appunto, il c.d. veto[112]. Ci si trova di fronte a un organo che rappresenta un forum, in cui le cinque super Potenze, id est i P-5, devono cercare di trovare un’intesa, dove i loro punti di vista devono convergere verso una linea unanime, da cui dipende l’intero corpus strutturale della sicurezza collettiva[113]. Potevano esserci dei casi nel momento in cui gli Stati, che si sono trovati dinanzi all’inefficienza del sistema ordinamentale giuridico internazionale, decidono di girarci attorno a quest’ordine dell’ordinamento giuridico internazionale ossia di bypassarlo e andare per conto proprio, uscendo dallo schema vincolante delle regole sancite dal diritto internazionale e dalla stessa Carta delle Nazioni Unite. La loro azione, pur considerata illegittima, potrebbe divenire la migliore o, viceversa, la peggiore – opzione che hanno a disposizione. Il recente caso di cui si sta trattando, in questo mio breve saggio, non può che essere rappresentato dall’intervento coercitivo militare posto in essere dagli Stati Uniti, attraverso l’attacco perpetrato il 7 aprile del 2017, contro un altro Stato sovrano e indipendente, cioè a dire la Repubblica Araba di Siria, il quale attacco, almeno in apparenza, potrebbe sostenere il divieto dell’impiego delle armi chimiche, mandando un preciso messaggio in cui si pone in chiaro che alcuni atti non sono consentiti in ogni circostanza, come pure durante un conflitto bellico, senza dover rendere fragili altre disposizioni del sistema giuridico internazionale. Quest’aspetto, a mio parere, creerebbe delle ambiguità, ma anche delle problematiche, per una serie di ragioni.
In primo luogo, la norma che concerne l’inibizione dell’intervento coercitivo armato, che è stata violata dall’attacco armato statunitense contro la Siria, è tanto essenziale per l’ordinamento giuridico internazionale quanto la norma che viola l’attacco cercato per sanzionare l’entità statale – in questo caso il regime di Baššār Hafiz al-Assad – che ha violato il divieto dell’impiego delle armi chimiche. Entrambi i parametri normativi sono parti integranti del nucleo dispositivo del diritto internazionale generale o jus cogens.
Nel caso in questione, inoltre, la violazione è talmente rischiosa per la mera ragione delle implicazioni che ogni relativizzazione del divieto dell’uso della forza possa comportare. Tale relativizzazione apre la strada ad una serie di casi o esempi circa l’utilizzo dello strumento della forza militare e, di conseguenza, a molti conflitti armati. Molte guerre comportano molte sofferenze degli esseri umani ed anche in quei casi in cui il conflitto bellico viene combattuto, pur applicando le norme del diritto internazionale dei conflitti armati: sia nessun mezzo vietato sia i metodi di guerra che vengono adottati. È ben nota la triste realtà siriana da quel 2011, quando scoppiò la guerra civile che ha causato tantissimi morti, anche se molti di loro possano essere stati uccisi lecitamente e con strumenti convenzionali – id est un danno collaterale[114] –, resta sempre il fatto che sono vittime innocenti di questa assurda guerra che pare non aver fine, raggruppando anche quei siriani uccisi con armi chimiche a Khan Sheikhoun nell’aprile 2017.
Va anche indicato che l’inibizione erga omnes dell’uso dello strumento coercitivo armato non può essere considerato una disposizione incidentale e formalistica, che possa essere accantonata ogni volta che gli Stati ritengano opportuno e quando sono in gioco interessi o valori importanti. La norma di cui si sta argomentando è una specie di ombrello che protegge i più importanti pilastri che sostengono la vita di relazioni internazionali su cui si poggia la comunità degli Stati, la stessa pace, la vita umana considerata fortemente sacra e inviolabile. Gli Stati, dunque, ci penserebbero non un paio di volte, ma molte volte, prima di intraprendere la decisione di violare la norma che concerne appunto il divieto di usare la forza militare. L’evitare, da parte di qualsiasi Stato, di andare contro tale norma, violandola, eviterebbe di mettere in serio pericolo la pace e la sicurezza internazionale. In aggiunta, nel momento in cui le azioni unilaterali diventino molto comuni, ponendo in paralisi il criterio unable or unwilling delle Nazioni Unite, rischiando di mutare l’attuale sistema collettivo e facendolo lavorare meglio le norme che concernono il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale nei rapporti interstatali per evitare che siano compromessi.
In secondo luogo, le linee essenziali della disciplina dell’uso della forza armata nel diritto internazionale odierno non costituiscono delle soluzioni straordinarie perché si possano dare delle soluzioni ai tanti problemi, come neppure quello di ripristinare il rispetto del diritto internazionale. La discussione non si focalizzerebbe solamente sul se un intervento di tipo militare sia legittimo o no, ossia lecito o illecito, ma pure sul se, e in quali condizioni, possano raggiungere i loro obiettivi e se possono fare ciò senza produrre tante disastrose conseguenze.
La Siria e il Medioriente, a grandi linee, hanno testimoniato molti interventi di carattere militare consumati da molti Stati e anche da attori non statali sia dall’interno, sia dall’esterno della regione dagli anni del secolo XX sino a quello del XXI. La ragione di ciò si è trovata in un labirinto senza legge, dove la forza brutale ha preso il soppravvento in modo continuo. Si può dire che è divenuto davvero arduo credere che ciò possa aiutare a rendere migliore la situazione o a garantire il rispetto del diritto internazionale.
In terzo luogo, il divieto dell’uso della forza bellica, qualificato correntemente come principio fondamentale o essenziale del diritto internazionale e, quindi, esempio tra i maggiori di norma di jus cogens[115], come viene delineato, non è scolpito sulla roccia, assieme a quelle già ben note come la legittima difesa e le azioni collettive delle Nazioni Unite, che possono emergere entrambi mediante un nuovo trattato internazionale e tramite la prassi che, in un primo momento, sarebbe strano con il regolamento esistente ma che , in seguito, avrebbe qualora un’ampia gamma di Stati, la trovi accettabile o persino desiderabile nel modificare tale norma. Le violazioni avvenute nel mondo contemporaneo possono divenire norme del domani. Gli Stati, nel momento in cui si discostano dalle disposizioni già in vigore o sono compiacenti da trasgredirle, seguono soventemente quanto ebbe a dire nell’imperativo categorico di Kant, cioè a dire che “gli Stati agirebbero soltanto secondo quella massima che, al tempo stesso, puoi volere che divenga una legge universale”[116]. Dovrebbero anche considerare se un nuovo diritto universale dovesse essere migliore rispetto a quello già vigente.
Visto da quest’angolatura, l’attacco statunitense contro la Siria risulta abbastanza problematico. Il nuovo diritto universale, che sembrano voler promuovere gli Stati stessi, comporterebbe che uno Stato che abbia un sospetto che un altro Stato abbia assunto una grave violazione nei riguardi del diritto internazionale, potrebbe nell’immediato e in maniera unilaterale far ricorso allo strumento della forza armata contro quest’ultimo. Nessuna condizione sarebbe applicabile, ad eccezione del requisito della proporzionalità formulata in maniera ambigua. Ciò implica che non vi sarebbe la necessità di attendere i risultati di un’indagine sulla causa della violazione ab origine e anzi non è d’uopo esaminare una simile inchiesta.
L’ultimo criterio, che faceva parte della regolamentazione delle contromisure armate, quando erano lecite prima dell’entrata in vigore della Carta di San Francisco[117], sarebbe forse stato del tutto depennato. Infine, la decisione sarebbe lasciata a ciascuno Stato, senza il bisogno di consultare il Consiglio di Sicurezza, un organo importante dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, a composizione ristretta – come già ribadito –, ma considerato rappresentativo nella vita di relazioni internazionali della società umana e che agisce a nome degli Stati membri o qualsiasi altro organismo internazionale.
Suggerendo, seppure semplicemente, che una tale regola dovrebbe emergere e far parte del diritto internazionale, o che questo diritto debba essere ignorato e sovrastato da decisioni unilaterali, può risultare pericoloso. A condizione che, difatti, l’attacco chimico, pienamente considerato illecito, non sia stato almeno accompagnato dai tentativi di porre in discussione la norma sottostante che vieta l’uso delle armi chimiche, mentre l’attacco statunitense, ugualmente illecito, è stato presentato come il ben venuto ed appropriato, non pare azzardato dover concludere che i due attacchi costituiscono una grave minaccia per l’equilibrio dell’ordinamento giuridico internazionale e anche ai valori più elevati che il diritto internazionale cerca di tutelare a favore della pace e della vita umana.
[1] Gli Stati Uniti hanno condotto questa notte un attacco con missili Tomahawk contro una base militare siriana vicino a Homs, sospettata di essere coinvolta nel raid con armi chimiche di martedì. Navi nel Mediterraneo hanno lanciato alle 4 e 40 ora siriana 59 missili che hanno colpito installazioni militari, dell’aviazione e depositi di carburanti. G. STABILE, Gli Usa attaccano l’arsenale chimico di Assad: “Pronti a fare di più”. Mosca: “Aggressione”. Damasco: “Risponderemo”, in La Stampa, 7/04/2017.
[2] Statement from Pentagon Spokesman Capt. Jeff Davis on U.S. strike in Syria, No: NR-126-17, del 6 aprile 2017, in https://www.defense.gov/News/News-Releases/News-Release-View/Article/1144598/statement-from-pentagon-spokesman-capt-jeff-davis-on-us-strike-in-syria/.
[3] La contromisura consiste in un comportamento dello Stato leso, che in sé sarebbe illecito, ma che diviene lecito in quanto costituisce reazione a un illecito altrui. A. GIANELLI, Adempimenti preventivi all’adozione di contromisure internazionali, Giuffrè, Milano, 1997, p.305 ss.; Cfr. B. CONFORTI, Diritto Internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2002, p. 379.
[4] G. CARELLA, La responsabilità dello Stato per crimini internazionali, Editore JOVENE, Napoli, 1985, p.117 ss.
[5] G. VENTURINI, Necessità e proporzionalità nell’uso della forza militare in diritto internazionale, Giuffrè, Milano, 1988, p.12; C. FOCARELLI, Le contromisure nel diritto internazionale, Giuffrè, Milano, 1994, p.439 ss.; A. TANZI, Introduzione al Diritto Internazionale Contemporaneo, CEDAM, Padova, 2016, p.423 ss.
[6] V. CANNIZZARO, Diritto Internazionale, Giappichelli, Torino, 2016, p.29; M. S. MESSINA, Compendio di Diritto Internazionale Pubblico, Primiceri editrice, Padova, 2016, p.175 ss.
[7] M. ARCARI, Il mantenimento della pace e l’uso della forza, T. SCOVAZZI (a cura di), Corso di Diritto Internazionale, Parte I, Giuffrè, Milano, 2014, p.308 ss.; G. PACCIONE, Azione militare statunitense contro la Siria è illecita, 08/04/2017, in http://formiche.net/2017/04/09/azione-militare-statunitense-la-siria-illecita/.
[8] P. G. LUCIFREDI, Appunti di Diritto Costituzionale comparato. Il sistema statunitense, Giuffrè, Milano, 1989, p.59 ss.; H. H. KOH, Not illegal: but now the hard part begins, del 07/04/02017, reperibile in https://www.justsecurity.org/39695/illegal-hard-part-begins/#more-39695.
[9] I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite.
[10] I.C.J., Reports, 2005, paragrafi n.146-148-161 ss., in http://www.icj-cij.org/docket/files/116/10455.pdf; V. CANNIZARO, op. cit., Torino, 2016, p.28
[11] N. RONZITTI, L’intervento USA e la legalità internazionale, 10/04/2017, in www.affarinternazionali.it.
[12] H. H. KOH, op.cit., in https://www.justsecurity.org/39695/illegal-hard-part-begins/#more-39695, del 7/04/2017.
[13] N. RONZITTI, Diritto Internazionale dei Conflitti Armati, Giappichelli, Torino, 2014, p.384 ss.
[14] M. SOSSAI, La prevenzione del terrorismo nel diritto internazionale, Giappichelli, Torino, 2012, p.304 ss.; C. FOCARELLI, Trattato di Diritto Internazionale, Utet Giuridica, Torino, 2015, p.1915 ss.
[15] Il primo report ufficiale delle Nazioni Unite sul bombardamento che si è verificato, lo scorso 4 aprile, presso il villaggio di Khan Shaykhun, nella provincia siriana di Idlib; l’incursione armata in questione, è divenuta tristemente famosa per via del presunto attacco con il gas sarin che avrebbe ucciso almeno 86 persone, gran parte di questi bambini. Gli Usa, per quell’attacco, hanno subito accusato il governo di Damasco partendo dai report del cosiddetto “Osservatorio siriano dei diritti umani” e delle fonti locali collegate all’opposizione islamista che, è bene ricordarlo, controlla gran parte della provincia di Idlib dal 2012; come ben si sa, le accuse mosse sia da Washington che da gran parte dei paesi europei, hanno poi provocato il bombardamento della base militare siriana di Shayrat con il lancio di 59 missili Tomahawk provenienti dalle navi americane presenti nel Mediterraneo. Il rapporto ONU però, smentisce la prima ricostruzione dei fatti. Questo rapporto delle Commissione delle Nazioni Unite è arrivato dopo circa venti giorni dai fatti di sangue avvenuti a Khan Shaykun; l’intervento dell’ONU, nelle scorse ore, era stato richiesto dallo stesso governo di Bashar Al Assad e dalla Russia, che sostiene politicamente e militarmente il presidente siriano. Secondo Damasco, il bombardamento con armi chimiche è stato inventato dall’opposizione per dare pretesto all’occidente ed agli USA in primis di intervenire militarmente in Siria; da Mosca, è stato lo stesso Vladimir Putin, lo scorso 11 aprile, a bollare come ‘fake news’ la ricostruzione fornita dall’Osservatorio siriano dei diritti umani sui gravi fatti di Khan Shaykhun e dal Cremlino, nelle ore immediatamente successive al bombardamento, si parlava di un’incursione convenzionale che ha colpito depositi di armi chimiche in mano ai ribelli presenti ad Idlib.Vedi l’articolo che è stato pubblicato in: http://www.occhidellaguerra.it/siria-rapporto-onu-vittime-idlib-non-colpite-da-gas-sarin/.
[16] M. VALSANIA, Siria, accordo Usa-Russia su consegna lista armi chimiche e uso forza con mandato Onu, 13/09/2013, articolo reperibile nella pagina http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-09-14/siria-accordo-meta-russia-122717.shtml?uuid=AbCbrfWI&refresh_ce=1.
[17] Sostiene la decisione adottata dal Consiglio Esecutivo dell’OPAC il 27 settembre 2013 che prevede procedure speciali per il tempestivo smantellamento, e conseguente stretta verifica, del programma di armi chimiche della Repubblica Araba di Siria, e che esorta alla piena attuazione delle stesse nel modo più rapido e sicuro; Decide che la Repubblica Araba di Siria non userà, svilupperà, produrrà o acquisirà in altro modo, immagazzinerà o deterrà armi chimiche, né le trasferirà, direttamente o indirettamente, ad altri Stati o ad attori non statali (S/RES/2118 (2013). Cfr. M. SOSSAI, Ipoteca dell’ONU sulla Siria, del 02/10/2013, in http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2424; S. M. CARBONE, R. LUZZATO, S. BARIATTI, Istituzioni di Diritto Internazionale, Giappichelli, Torino, 2016, p.356 ss.
[18] B. TAUB, Does Anyone in Syria Fear International Law?, del 31/08/2016, articolo reperibile nella seguente: http://www.newyorker.com/news/news-desk/does-anyone-in-syria-fear-international-law; Editor, Assad kills at least 85 with chemical weapons, dell’08/04/2017, reperibile nella seguente pagina, in http://www.economist.com/news/21720252-dictator-defies-world-bashar-al-assad-kills-least-72-chemical.
[19] Su questo punto si sta cercando di fare chiarezza circa la responsabilità del vile gesto messo in atto non si sa da chi se dalle forze militari del governo siriano o dai ribelli o dagli uomini dell’ISIS. Cfr. il Verbatim della riunione del Consiglio di Sicurezza del 05/04/2017 S/PV.7915
[20] Si leggano due interessanti articoli: Saudi Arabia, Iran, others react to US strike in Syria, del 07/04/2017, si consulti la pagina seguente, in http://www.aljazeera.com/news/2017/04/saudi-arabia-iran-react-strike-syria-170407054521418.html; Syriawar: World reaction to US missile attack, del 07/04/2017, in http://www.bbc.com/news/world-us-canada-39526089.
[21] G. PACCIONE, op. cit., dell’08/04/2017, in http://formiche.net/2017/04/09/azione-militare-statunitense-la-siria-illecita/.
[22] D. KRITSIOTIS, The legality of the 1993 U.S. missile strike on Iraq and right of self-defence in international law, in International and Comparative Law Quarterly, 1996, p.173; U. VILLANI, L’ONU e la Crisi del Golfo, Cacucci, Bari, 2005, p.122.
[23] N. RONZITTI, op. cit., 10/04/2017, in www.affarinternazionali.it.
[24] E. SCISO, L’uso della forza nella (mancata) riforma delle Nazioni Unite, in La Comunità Internazionale, 1/2006, p.17 ss.
[25] Si veda il contenuto della lettera inviata dal Presidente Donald Trump l’8 aprile 2017 ai presidenti del Senato e della Casa sei rappresentati, in https://www.whitehouse.gov/the-press-office/2017/04/08/letter-president-speaker-house-representatives-and-president-pro-tempore.
[26] G. PIAZZI, Diritto Internazionale Umanitario, Edizioni Camilliane, Torino, 1991, p.8 ss.
[27] C. FOCARELLI, op. cit., Utet Giuridica, Torino, 2015, p.1171 ss.
[28] G. SARCINA, Gli USA: opzione militare contro Assad, Xi in Florida, un’altra prova per Trump, in Corriere della Sera, del 07/04/2017, p.10.
[29] L’intervento del rappresentante statunitense presso il Consiglio di Sicurezza del 07/04/2017, consultabile nella pagina ufficiale dell’ONU, in http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/PV.7919.
[30] Le armi chimiche sono inquadrabili in modi diversi a seconda dei particolari che si considerano. Ad esempio, riguardo allo stato, gli aggressivi possono presentarsi in tutti e tre i modi conosciuti: solidi, liquidi ed aeriformi. Con riguardo al tempo, essi possono agire immediatamente o richiedere un periodo più lungo per essere efficaci. R. E. LANGFORD, Introduction to weapons of mass destruction Radiological, Chemical and Biological, Wiley & Sons, Hoboken, 2004, p.7 ss.; P. GARGIULO, Non proliferazione delle armi di distruzione di massa e lotta al terrorismo, in S. MARCHISIO (a cura di), La crisi del disarmo nel diritto internazionale, nel quarto centenario della morte di Alberico Gentile, Editoriale Scientifica, Napoli, 2009, p.325 ss.; ABC del diritto internazionale umanitario, Dipartimento Federale degli Affari Esteri – DFAE – Berna, 2014, p.11.; R. LUZZATO, F. POCAR, Codice di Diritto Internazionale Pubblico, Giappichelli, Torino, 2016, p.313 ss.
[31] V. EYSINGA, La guerre chimique et le mouvement pour sa répression, in Recueil des Coursde l’Académie de Droit International, The Hague, 1927, p.329; A. P. SERENI, Diritto Internazionale, conflitti internazionali, Giuffré, Milano, 1965, IV vol., p.1983.
[32] G. SALVEMINI, Mussolini Diplomatico (1922-1932), Laterza, Bari, 1952, p.92; E. COSTA BONA, La “Società delle Nazioni”: Pace? Democrazia?, in G. ANGELINI (a cura di), Nazione democrazia e pace, tra ottocento e novecento, Franco Angeli, Milano, 2012, p.179 ss.
[33] B. H. LIDDEL HART, La prima guerra mondiale, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1999, p.235 ss.; J. LE GOFF, Storia illustrata della Prima Guerra mondiale, Giunti, Milano, 1999, p.69; G. DE LUCCHI, Prima Guerra Mondiale, Giunti, Milano, 2001, p.28.; G. VENTURINI, Le armi biologiche, in S. MARCHISIO (a cura di), La crisi del disarmi nel diritto internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli, 2009, p.121 ss.,; P. HART, La Grande Storia della Prima Guerra Mondiale, Newton Compton Editori, Roma, 2013, p.65 ss..
[34] C. ROUSSEAU, Le droit des conflits armés, Pedone, Paris, 1983, p.23 ; M. MANCINI, Stato di Guerra e Conflitto Armato nel Diritto Internazionale, Giappichelli, Torino, 2009, p.21 ss.; U. MONTUORO, Contrad-dizione in termini nel titolo del convegno, in I. CARACCIOLO, U. MONTUORO (a cura di), Conflitti armati interni e regionalizzazione delle guerre civili, Giappichelli, Torino, 2016, p.15.
[35] N. RONZITTI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2014, p.384; C. FOCARELLI, op. cit., Utet Giuridica, Torino 2015, p.1914.
[36] J. G. KOLKO, I limiti della Potenza americana, Einaudi, Torino, 1975, p.701 ss.; H. KISSINGER, Diplomacy, Easton Press, New York, 1994, p.473 ss.
[37] E. DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali, Editori Laterza, Roma-Bari, II Vol., 2015, p.384 ss.
[38] La Convenzione di Parigi è stata ratificata dall’Italia l’8 dicembre 1995 (l’ordine di esecuzione è contenuto nella legge 18 novembre 1995, n.496, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n.276 del 25 novembre 1995). A. ANNONI, L’occupazione “ostile” nel diritto internazionale contemporaneo, Giappichelli, Torino, 2012, p.42 ss.
[39] N. RONZITTI, Introduzione al Diritto Internazionale, Giappichelli, Torino, 2016, p.498.
[40] M. MANCINI, Stato di Guerra e conflitto armato nel diritto internazionale, Giappichelli, Torino, 2009, p.123 ss.
[41] M. PANEBIANCO, La Crisi del Golfo, Elea Press, Salerno, 1991, p.7 ss.
[42] A. CANNONE, Armi vietate, diritto internazionale dei conflitti armati e crimini di guerra, Cacucci, Bari, 2013, p.26 ss.
[43] V. TERZUOLO, L’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, in P. FORLATI (a cura di), Controllo degli armamenti e lotta al terrorismo, tra Nazioni Unite Nato e Unione Europea, CEDAM, Padova, 2007, p.217 ss.
[44] L’Opcw – che lavora a stretto contatto con le Nazioni Unite – oltre a vigilare sul rispetto della Convenzione sulle armi chimiche fornisce un foro di dialogo e di consultazione fra i paesi membri nell’impegno alla lotta contro la proliferazione. Come stabilito dalla Convenzione, l’Opcw provvede a un sistema di verifiche internazionali, non soltanto dei siti conosciuti per la produzione di armi chimiche, ma anche di tutte quelle sostanze chimiche ad uso civile che potenzialmente potrebbero essere utilizzate anche per fini bellici, mettendo in atto una procedura di controllo simile a quella esistente nel campo della tecnologia nucleare. Consultabile in http://www.treccani.it/enciclopedia/organization-for-the-prohibition-of-chemical-weapons-organizzazione-per-la-proibizione-delle-armi-chimiche_%28Atlante-Geopolitico%29/; si può consultare anche la pagina ufficiale dell’OPAC: https://www.google.it/?gws_rd=ssl#q=organizzazione+per+la+proibizione+delle+armi+chimiche.
[45] Il regime di Assad mediante l’uso di armi chimiche ha violato anche i principi generali del diritto internazionale umanitario, inclusa la proibizione dell’uccisione indiscriminata di civili durante conflitti armati non-internazionali, codificati all’art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e nel secondo Protocollo addizionale del 1977 (“Protocol Additional to the Geneva Conventions of 12 August 1949, relating to the Protection of Victims of Non-International Armed Conflicts, Protocol II, 8 June 1977”). La Siria, anche se non vincolata dal II Protocollo del 1977 non essendone Parte, ha tuttavia violato le norme consuetudinarie di cui esso è riproduttivo. La Camera di Appello del Tribunale per l’ex Jugoslavia, nel caso Tadić (sentenza del 2 ottobre 1995), ha affermato che non solo i principi umanitari contenuti nell’art. 3 comune alle Convenzioni di Ginevra (dedicato ai conflitti armati non-internazionali), ma anche quelli del II Protocollo addizionale costituiscono norme inderogabili del diritto internazionale generale. Per approfondimenti, cfr. M. CASTELLANETA, Conflitti armati (diritto internazionale), in Enciclopedia Diritto, Annali V, 2012, 370 ss.
[46] Il regime al potere dal 1971 ha storicamente represso duramente ogni forma di opposizione. Già nel 1982, sotto la presidenza di Hafiz la rivolta orchestrata dai Fratelli musulmani nella città di Hamah provocò migliaia di morti. L’eccidio passò alla storia come il massacro di Hamah. Il rapporto finale degli ispettori dell’ONU (United Nations Mission to Investigate Allegations of the Use of Chemical Weapons in the Syrian Arab Republic. Final Report) è stato presentato dal Segretario Generale dell’ONU ai Presidenti di Assemblea Generale e Consiglio di Sicurezza il 13 dicembre 2013, (UN Doc. A/68/663-S/2013/735). Il documento afferma che ci sono probabili prove dell’utilizzo dei gas in 5 dei 7 casi analizzati dagli esperti ONU da ambedue le parti del conflitto e conferma alcuni dei primi riscontri, riportando chiari e convincenti indizi dell’utilizzo di armi chimiche contro bambini ed altri civili a Ghouta nel mese di agosto ed informazioni credibili del loro uso contro soldati e civili a Khan Al Asal,non lontano da Aleppo, da parte degli insorti.
[47] G. KESSLER, President Obama and the ‘red line’ on Syria’s chemical weapons, del 6 settembre 2013, in https://www.washingtonpost.com/; M. TALEV, N. RAZZOUK, Obama Says Chemical Weapons Use by Syria ‘Red Line’ for U.S., Bloomberg 21 agosto 2012, in http://www.bloomberg.com/news/2012-08-20/obamasays-any-chemical-weapon-use-in-syria-red-line-for-u-s-.html; J. BLACK, A. MAHMUD, A Legal ‘Red Line’?: Syria and the Use of Chemical Weapons in Civil Conflict, in Ucla Law Review, 2013, 245 ss.
[48] I. R. PAVONE, La Siria e le armi chimiche: la risoluzione del Consiglio di Sicurezza 2118 (2013), in La Comunità Internazionale, 4/2013, p.715 ss.
[49] N. RONZITTI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2016, p.500.
[50] A. MATTIELLO, L. FORMOSA. B. GATTA, Quadro di legalità internazionale del Consiglio di Sicurezza dell’ONU per contrastare le minacce alla sicurezza internazionale provenienti dall’area di crisi del Medi-terraneo allargato (2011-2015), in Servizi Studi del Senato, 3/2015, Dossier 202, p.15 ss.
[51] M. CASTELLANETA, Consiglio di Sicurezza, armi chimiche e crisi siriana: luci ed ombre, in Diritti Umani e Diritto Internazionale, 2013, p.793 ss.
[52] C. STAHN, Syria, Security Resolution 2118 (2013) and Peace versus Justice: Two Steps Forward, One Step Back?, in https://www.ejiltalk.org/syria-security-resolution-2118-2013-and-peace-versus-justice-two-steps-forward-one-step-back/, del 3/10/2013.
[53] S. MARCHISIO, L’ONU, il diritto delle Nazioni Unite, Il Mulino, Bologna, 2000, p.191; J. P. COT, A. PELLET, M. FORTEAU, La Charte des Natioins Unies, Commentaire article par article, Economica, Paris, 2005, p.909 ss.; R. PAVONE, The Crisis of the “Responsibility to Protect” Doctrine in the Light of the Syrian Civil War, in Yearbook of International Law and Jurisprudence, 2014, p.103 ss.
[54] La Convenzione attribuisce all’OPAC la facoltà di condurre verifiche nel territorio degli Stati Parte al fine di accertare il rispetto degli obblighi in essa previsti, sia sotto il profilo del disarmo (distruzione delle armi chimiche) sia sotto il profilo della non proliferazione (non diversione degli impianti e dei processi produttivi a livello industriale). Le ispezioni, condotte dall’OPAC con proprio personale nei territorio degli Stati Parte, si suddividono in due tipologie: le ispezioni “di routine” effettuate in base alle dichiarazioni rese dagli Stati e le ispezioni “su sfida” su richiesta di un altro Stato Parte. Cfr. Relazione sullo stato di esecuzione della Convenzione sulle armi chimiche e sugli adempimenti effettuati dall’Italia, del 5 maggio 2015, p.6 in https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/919824.pdf.
[55] Si legga il seguente comunicato stampa sull’istituzione del comitato d’inchiesta congiunto del 7 agosto del 2015 in http://www.un.org/press/fr/2015/cs12001.doc.htm.
[56] E. VINCENT, La risoluzione n.2235 del Consiglio di Sicurezza e la questione delle armi chimiche, in http://croie.luiss.it/archives/548.
[57] “…d’identifier dans toute la mesure possible les personnes, entités, groupes ou gouvernements qui ont perpétré, organisé ou commandité l’utilisation comme armes, en République arabe syrienne…”, La risoluzione è reperibile in http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/RES/2235(2015), del 17 agosto 2015.
[58] E. VINCENT, op.cit., in http://croie.luiss.it/archives/548.
[59] “…de renouveler, pour une nouvelle période d’un an à compter de la date d’adoption de la présente résolution, le mandat du Mécanisme d’enquête conjoint,…”, La risoluzione, del 17 novembre 2016 è reperibile in http://www.un.org/fr/documents/view_doc.asp?symbol=S/RES/2319(2016).
[60] The Director-General shared with the Executive Council the immediate steps taken by Technical Secretariat experts to analyse the available information and their preliminary assessment that this was a credible allegation. He also shared that the OPCW Fact-Finding Mission has focused its work to investigate the incident in Khan Sheikhun and that it has collected samples, which have been sent to OPCW Designated Laboratories for analysis. OPCW experts are currently analysing all information gathered from various sources. The Director-General reiterated his call for States Parties that are in a position to do so to share with the Secretariat any relevant information without delay and allow the FFM to complete its work within the next two to three weeks. Si veda in https://www.opcw.org/news/article/opcw-executive-council-meets-to-address-alleged-use-of-chemical-weapons-in-the-syrian-arab-republic/.
[61] C. SCHMITT, La guerra di aggressione come crimine internazionale, Il Mulino, Bologna, 2015, p.109.
[62] HENCKAERTS, DOSWALD-BECK, Customary International Comitee of Red Cross, Cambridge, 2005, p.292; GREPPI, G. VENTURINI, Codice di Diritto Internazionale Umanitario, Giappichelli, Torino, 2012, p.245 ss.; A. CANNONE, op. cit., Cacucci, Bari, 2013, p.13 ss.
[63] A. ANNONI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2012, p.103; N. RONZITTI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2014, p.213 ss.
[64] T. ROBINSON, P. F. DIEHL, T. PACK, Crossing the Red Line: International Legal Limits on Policy Options, in Yale Journal of International Affairs, 2014, p.58 ss.; G. GOULD, Red lines: filling the gaps in international law enforcement, in Georgetown Journal of International Law, 2015, p.524 ss.; P. J. CROWLEY, Red Line: American Foreign Policy in a Time of Fractured Politics and Failing States, Rowman & Littlefield, Lanham, 2017, p.1 ss.
[65] J. P. PIERINI, L’oggetto della giurisdizione e l’ammissibilità del caso, in V. FANCHIOTTI (a cura di), in La Corte Penale Internazionale, profili sostanziali e processuali, Giappichelli, Torino, 2014, p.33 ss.; G. ACQUAVIVA, La repressione dei crimini di guerra nel diritto internazionale e italiano, Giuffré, Milano, 2014, p.279 ss.
[66] A. LANCIOTTI, La Corte Penale Internazionale e la repressione delle gravi violazioni del diritto umanitario, Giappichelli, Torino, 2013, p.29 ss.; A. DEL VECCHIO, I Tribunali internazionali tra globalizzazione e loca-lismi, Cacucci, Bari, II Ed., 2015, p.42 ss.
[67] E. DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali, dalla fine della guerra fredda a oggi, Editori Laterza, Roma-Bari, III Vol., 2016, p.272 ss.
[68] P. WECKEL, Massacre chimique de Khan Cheikhoun: La preuve matérielle de l’attribution des faits à la Syrie, 30/04/2017, reperibile in http://sentinelle-droit-international.fr/?q=content/massacre-chimique-de-khan-cheikhoun-la-preuve-mat%C3%A9rielle-de-lattribution-des-faits-%C3%A0-la.
[69] È così chiamato il patto di Parigi del 1928, con il quale la guerra fu dichiarata fuori dell’ordinamento giuridico degli Stati. Kellog ricevette per questo il premio Nobel per la pace nel 1929. Lo spunto al Patto Briand-Kellog fu dato da un messaggio diretto da A. Briand al popolo americano il 6 apr. 1927 in occasione del decimo anniversario dell’entrata degli USA nella Prima guerra mondiale. La Francia dichiarava di essere pronta a sottoscrivere con gli USA un solenne impegno di rinuncia alla guerra, come strumento di politica nazionale, nei rapporti fra i due Paesi. In seguito il governo americano si rese iniziatore, con note identiche, inviate (1928) alla Gran Bretagna, all’Italia, alla Germania e al Giappone, di un accordo per la rinuncia pura e semplice alla guerra. Le risposte dei governi interpellati furono in linea di massima favorevoli e, estese le trattative alle potenze minori e raggiunto l’accordo sul progetto americano, si giunse alla sottoscrizione del trattato, che ebbe luogo a Parigi il 27 ag. 1928, fra 15 Stati; molti altri aderirono in seguito. L’entrata in vigore del patto fu annunciata ufficialmente a Washington nel 1929. Il patto constava di un preambolo e di tre articoli; le potenze contraenti dichiaravano di condannare il ricorso alla guerra per il regolamento delle controversie internazionali e di rinunciarvi come strumento di politica nazionale nelle loro mutue relazioni. Cfr. in http://www.treccani.it/enciclopedia/frank-billings-kellogg_%28Dizionario-di-Storia%29/; si veda anche Abuso di posizione dominante. Vertici internazionali, in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, Vol. V, 2012, p.1320 ss.
[70] R. ALBRECHT-CARRÉ, Storia Diplomatica d’Europa, Laterza, Bari, 1973, p.495; J. L. BRIERLY, La Società delle Nazioni, in Storia del Mondo Moderno, I Grandi conflitti, Garzanti, Milano, 1988, p.303 ss.; A. A. STANIMIR, Self-defense against the use of force in International law, Kluwer Law International, Boston, 1996, p.52 ss.; J. B. DUROSELLE, Storia Diplomatica dal 1919 ai nostri giorni, Led Edizioni Universitarie, Padova, 1998, p.98 ss.; E. DI NOLFO, op. cit., I Dalla Pace di Versailles alla Conferenza di Potsdam, 1919-1945, Editore Laterza, Bari, 2015, p.82 ss.
[71] A. TANZI, Riflessioni introduttive per un dibattito sull’uso della forza armata e la legittima difesa nel diritto internazionale contemporaneo, in A. LANCIOTTI, A. TANZI (a cura di), Uso della forza e legittima difesa nel diritto internazionale contemporaneo, Jovene Editore, Napoli, 2012, p.4 ss.
[72] G. PACCIONE, Gli Stati Uniti aggrediscono la Siria. Diritto internazionale violato, dell’08/04/2017, in https://it.sputniknews.com/opinioni/201704084321224-usa-aggrediscono-siria-opinione/.
[73] “Il Consiglio di Sicurezza accerta l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazione o decide quali misure debbano essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”. Cfr. R. CADIN, I presupposti dell’azione del Consiglio di Sicurezza nell’articolo 39 della Carta delle Nazioni Unite, Giuffrè, Milano, 2008, p.249 ss.
[74] E. DE WET, The Chapter VII Powers of the United Nations Security Council, Hart Publishing, Oxford & Oregon, 2004, p.133 ss. ; B. CONFORTI, C. FOCARELLI, Le Nazioni Unite, IX Edizione, Cedam, Padova, 2012, p.236 ss.; N. RONZITTI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2016 p.355.
[75] La question soulevée par cet argument est donc de savoir si les dispositions des traités multilatéraux en cause, et en particulier celles de la Charte des Nations Unies, diffèrent des règles coutumières pertinentes au point qu’un arrêt par lequel la Cour statuerait sur les droits et obligations des parties au titre du droit international coutumier sans tenir compte du contenu des traités multilatéraux les liant réciproquement aurait un caractère totalement académique et ne serait pas (< susceptible d’application ou d’exécution )) (Cameroun septentrional, C. I.J. Recueil 1963, p. 37). La Cour n’est pas d’avis qu’il en soit ainsi. Comme il a été rappelé à propos de l’emploi de la force, les Etats-Unis eux-mêmes soutiennent qu’il y a identité totale entre les règles pertinentes du droit international coutumier et les dispositions de la Charte. La Cour n’a pas fait sienne une thèse aussi extrême, puisqu’elle a conclu (paragraphe 174) que sur plusieurs points les domaines réglementés par les deux sources de droit ne se recouvrent pas exactement et que les règles substantielles qui les expriment n’ont pas un contenu identique. Toutefois, fort loin d’avoir pris ses distances avec un droit international coutumier qui subsisterait tel quel, la Charte a, dans ce domaine, consacré des principes qui se trouvaient déjà dans le droit international coutumier, et celui-ci s’est développé dans les quarante années suivantes sous l’influence de la Charte, au point que bien des règles énoncées dans la Charte ont maintenant acquis un statut indépendant de celle-ci. La considération essentielle est que la Charte et le droit international coutumier procèdent tous deux d’un principe fondamental commun bannissant l’emploi de la force des relations internationales. De l’avis de la Cour, les différences éventuelles entre leurs contenus propres ne sont pas telles qu’un arrêt limité au domaine du droit international coutumier se révélerait inefficace ou inadapté, ou encore insusceptible d’application ou d’exécution. Cfr., Sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 27 giugno 1986 nel caso delle Attività militari e paramilitari degli Stati Uniti in Nicaragua e contro il Nicaragua, paragrafo n.181 in http://www.icj-cij.org/docket/files/70/6503.pdf.
[76] S. MARCHISIO, Corso di Diritto Internazionale, Giappichelli, Torino, 2014, p.314 ss.; M. ARCARI, op. cit., in T. SCOVAZZI (a cura di), Corso di Diritto Internazionale, Parte I, Giuffrè, Milano, 2014, p.277 ss.; T. BALLARINO, Diritto Internazionale Pubblico, CEDAM, Padova, 2014, p.193 ss.; V. CANNIZZARO, op. cit., Giappichelli, Torino, 2016, p.44 ss.
[77] P. BARGIACCHI, La riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Giuffrè, Milano, 2005, p.25 ss.
[78] Al fine di assicurare un’azione pronta ed efficace da parte delle Nazioni Unite, i Membri conferiscono al Consiglio di Sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, e riconoscono che il Consiglio di Sicurezza, nell’adempiere i suoi compiti inerenti a tale responsabilità, agisce in loro nome (articolo 24 della Carta delle Nazioni Unite).
[79] E. SCISO, L’aggressione indiretta nella definizione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in Rivista di Diritto Internazionale, 1983, p.253 ss.; E. GREPPI, I crimini dell’individuo nel diritto internazionale, UTET, 2012, p.281 ss.
[80] T. TREVES, Diritto Internazionale. Problemi fondamentali, Giuffrè, Milano, 2005, p.449ss.
[81] T. TREVES, La déclaration des Nations Unies sur le renforcement de l’efficacité du principe du non-recours à la force, in Annuaire Français de Droit International, 1987, p.1286ss.
[82] B. KI MOON, Conferenza stampa presso il Quartiere Generale delle Nazioni Unite, del 3 settembre 2013, in SG/SM/ 15251 sulla Siria.
[83] La guerra civile siriana (in arabo: الحرب الأهلية السورية, al-Ḥarb al-ahliyya al-sūriyya), o crisi siriana, ha avuto inizio il 15 marzo 2011 in Siria con le prime dimostrazioni pubbliche contro il governo centrale, parte del contesto più ampio della primavera araba, per poi svilupparsi in rivolte su scala nazionale e quindi in una guerra civile nel 2012. Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_civile_siriana.
[84] Gli Alauiti, o Alawiti, ossia i seguaci della Alawiyya (Arabo ﻋﻠﻮﻴـة ʿAlawiyya), altrimenti detti Nusayri, sono un gruppo religioso vicino-orientale, diffuso principalmente in Siria. Non vanno confusi con gli Aleviti, gruppo presente in Turchia. Alauita è Baššār al-Asad, presidente siriano dal 2000, così come, prima di lui, suo padre Hafiz al-Asad. Gli alauiti si fanno chiamare ʿAlawī (Arabo ﻋﻠﻮﻱ). Il termine ʿAlawī fu riconosciuto dai francesi quando questi occuparono la regione nel 1920. Storicamente venivano chiamati Nuṣayrī, Nāmiriyya, o Anṣāriyya. Il termine ʿAlawī per mostrare la loro reverenza ad ʿAlī, cugino e genero del profeta Maometto. Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/alawiti/.
[85] E. DI NOLFO, op. cit., Editore Laterza, Bari, III Vol., 2016, p.271 ss.
[86] Si legga il Verbatim del Consiglio di Sicurezza del 27/04/2011 in S/PV.6524, che è reperibile nella pagina seguente del Consiglio di Sicurezza, in http://www.securitycouncilreport.org/atf/cf/%7B65BFCF9B-6D27-4E9C-8CD3-CF6E4FF96FF9%7D/Syria%20S%20PV%206524.pdf; M. SAIRA, The United Nations Security Council and the crisis in Siria, in www.asil.org, vol.16 del 26/03/2012; E. CANNIZZARO, Diritto Internazionale, Giappichelli, Torino, 2016, p. 86.
[87] La bozza di risoluzione S/2011/612 rigettata, in http://www.securitycouncilreport.org/atf/cf/%7b65bfcf9b-6d27-4e9c-8cd3-cf6e4ff96ff9%7d/syria%20s2011%20612.pdf.
[88] L’articolo 20 del Progetto di articoli sulla Responsabilità dello Stato della Commissione del diritto internazionale indica che il consenso validamente dato da uno Stato alla commissione da parte di un altro Stato di un atto determinato esclude l’illiceità di tale atto nei confronti del primo Stato sempre che l’atto medesimo resti nei limiti del consenso; C. FOCARELLI, op. cit., Giuffrè, Milano, 1994, p.287 ss.
[89] L. SALVADEGO, Struttura e funzioni della necessità militare nel diritto internazionale, Giappichelli, Torino, 2016, p.30-31.
[90] G. PACCIONE, op. cit., 08/04/2017, reperibile in http://formiche.net/2017/04/09/azione-militare-statunitense-la-siria-illecita/
[91] Dichiarazione di Donald Trump, in The White House, Office of the Press Secretary, del 6 aprile 2017, in https://it.usembassy.gov/it/dichiarazione-del-presidente-trump-sulla-siria/?_ga=2.120373899.2026241867.1494070338-1998716789.1494070238.
[92] Conferenza stampa del Segretario di Stato Rex W. Tillerson tenuta a Palm Beach (Flordia), il 6 aprile 2017, in https://www.state.gov/secretary/remarks/2017/04/269543.htm.
[93] C. AVENA, La legittima difesa e diritto internazionale, ARACNE, Roma, 2012, p.166 ss.; S. MARCHISIO, op. cit., Giappichelli, Torino, 2013, p.318 ss.; V. CANNIZARO, op. cit., Giappichelli, Torino, 2016, p.49 ss.
[94] C. FOCARELLI, op. cit., UTET, Torino, 2015, p.1778.
[95] P. PICONE, Considerazioni sulla natura della risoluzione del Consiglio di Sicurezza a favore di un intervento umanitario, in Diritti dell’Uomo e Diritto Internazionale, 2011, p.213 ss.
[96] La contromisura consiste in un atteggiamento dello Stato leso che in sé sarebbe illecito, ma che diventa lecito giacché costituisce una reazione a un illecito altrui, cioè a dire che lo Stato offeso può reagire contro lo Stato offensore, violando a sua volta un obbligo internazionale. Cfr. A. GIOIA, Manuale breve di Diritto Internazionale, Giuffrè, Milano, 2013, p.416 ss.
[97] B. CONFORTI, op. cit., Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, p.379.
[98] C. GRAY, International law and the use of force, Oxford University, 2008, p.15 ss.
[99] Dichiarazione del portavoce Jeff Davis del Pentagono del 7 aprile 2017, US Pentagon: Missile at Syria Proportional, in www.marketnews.com.
[100] J. KU, Almost every agrees that the US strikes against Syria are illegal, except for most governments, in www.opiniojuris.org, del 7/04/2017.
[101] Si legga la conferenza stampa del Primo ministro Paolo Gentiloni del 07 aprile 2017, reperibile nella pagina della testata giornalistica seguente: http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2017/04/07/siria-gentiloni-azione-usa-limitata_e87ebc09-2a37-4011-8766-1473404b7496.html.
[102] Si legga in https://www.radicicristiane.it/2015/10/editoriali/la-terza-guerra-mondiale/.
[103] L. ZANARDI, La legittima difesa nel diritto internazionale, Giuffrè, Milano, 1972, p.267 ss.; E. CANNIZ-ZARO, Il principio di proporzionalità nell’ordinamento internazionale, Giuffrè, Milano, 2000, p.324 ss.
[104] L’ONU a dû, au cours de son histoire, prendre des mesures collectives, et je vais ajouter ce qui suit: lorsque l’ONU se révèle systématiquement incapable d’agir collectivement, il s’avère parfois nécessaire pour les États d’agir par eux-mêmes. Si veda nella pagina ufficiale delle Nazioni Unite, in http://www.un.org/fr/documents/view_doc.asp?symbol=S/PV.7915, della seduta del 5/04/2017, p.20.
[105] A. CASSESE, Diritto Internazionale. I lineamenti, Il Mulino, Bologna, Vol. I, 2003, p.61 ss.
[106] Il termine veto indica la facoltà di impedire una deliberazione da parte della maggioranza, riservato in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU a ciascuno dei cinque membri permanenti (Stati Uniti, Russia – che l’ha ereditata dall’URSS -, Regno Unito, Francia e Cina), in base allo Statuto delle Nazioni Unite. In realtà il diritto di veto non è esplicitamente menzionato nello Statuto delle Nazioni Unite (art. 27 c.3) che recita testualmente: Le decisioni del Consiglio di Sicurezza su ogni altra questione sono prese con un voto favorevole di nove Membri, nel quale siano compresi i voti dei Membri permanenti…; ma il fatto che nel voto debbano essere necessariamente compresi i voti dei Membri permanenti porta implicitamente al veto ad esempio quando uno dei suddetti membri si opponga alle deliberazioni del consiglio facendo mancare il suo voto. Cfr. M. PANEBIANCO, G. MARTINO, Elementi di diritto dell’Organizzazione Internazionale, Giuffrè, Milano, 1997, p.113 ss.; B. CONFORTI, C. FOCARELLI, op. cit., CEDAM, Padova, 2012, p.81 ss.; C. ZANGHÌ, Diritto delle Organizzazioni Internazionali, Giappichelli, Torino, III Edizione, 2013, p.291 ss.
[107] C. FOCARELLI, op. cit., UTET, Torino, 2015, p.150.
[108] La reazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite alla grave crisi determinatasi in Libia, a partire dai moti del 15 febbraio 2011 a Bengasi contro il regime di Gheddafi e dalla loro repressione, è parsa a molti sollecita e conforme al suo ruolo di organo responsabile del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Altrettanto rapida è stata l’iniziativa militare di un gruppo di Stati, operanti – da un certo momento in poi – nell’ambito della NATO, conseguente alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Almeno a prima vista, l’intervento militare – a differenza dell’aggressione anglo-statunitense all’Iraq del 2003 – sembra riconducibile al sistema della Carta e, quindi, legittimo. Peraltro, un più attento esame della vicenda libica (per come sinora si è sviluppata) induce, a mio avviso, a nutrire dubbi sulla legittimità dell’azione militare, nonché sulla condotta dello stesso Consiglio di sicurezza. Cfr. U. VILLANI, Aspetti problematici dell’intervento militare nella crisi libica, in Diritti Umani e Diritto Internazionale, 2/2011, p.369 ss.; C. FOCARELLI, La crisi libica: un punto di svolta nella dottrina della responsabilità di proteggere?, in Diritti Umani e Diritto Internazionale, 5/2011, p.587 ss.; N. RONZITTI, Intervento in Libia, cosa è permesso e cosa no, del 20/03/2011, in http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=1699.
[109] Bozza di risoluzione non approvato per il veto della Repubblica Popolare di Cina e della Federazione di Russia reperibile in http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2011/612, del 4/10/2011.
[110] Bozza di risoluzione non approvato per il veto della Repubblica Popolare di Cina e della Federazione di Russia reperibile in http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2012/538, del 19/07/2012.
[111] Bozza di risoluzione non approvato per il veto della Repubblica Popolare di Cina e della Federazione di Russia reperibile in http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2014/348, 22/05/2014.
[112] La bozza di risoluzione concerneva la condanna sulle armi chimiche usate in Siria il 4 aprile 2017, essa è reperibile in http://www.un.org/en/ga/search/view_doc.asp?symbol=S/2017/315, del 12/04/2017.
[113] J.M. DE LA SABLIÈRE, Le Conseil de Sécurité des Nations Unies, LARCIER, Bruxelles, 2015, p.43 ss.
[114] N. RONZITTI, op. cit., Giappichelli, Torino, 2014, p.265 ss.
[115] V. STARACE, L’azione militare della NATO contro la Jugoslavia nel diritto internazionale, in Filosofia dei diritti umani, 1999, p.38 ss.
[116] A. DA RE, Filosofia morale, teorie e argomenti, Bruno Mondadori, Milano, 2003, p.94.
[117] A. GIANELLI, op. cit., Giuffrè, Milano, 1997, p.187 ss.
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