L’intervento sanitario obbligatorio: il punto su TSO e ASO

L’intervento sanitario obbligatorio: contesto e profilo assiologico
 L’essere umano tra diritto e biologia: compromessi e problemi ancora aperti.

Indice

1. Il biodiritto

Che relazione sussiste tra norma giuridica e norma biologica? Deve esistere un limite alla possibilità di azione dell’operatore sanitario? In caso affermativo, tale vincolo è valido anche in situazioni di emergenza? La capacità di autodeterminarsi del singolo è sempre inviolabile? Nell’ipotesi di risposta negativa, quale soglia di non intervento deve essere posta?
            A tali interrogativi tenta di rispondere l’odierna disciplina del biodiritto, branca del diritto privato che pone al centro della propria indagine il bilanciamento tra garanzia del diritto soggettivo e esercizio della forza pubblica, quando esso implica l’uso di strumenti biotecnologici.
Sin dai tempi di Ippocrate (V-IV a.C.) gli esseri umani hanno avvertito l’urgenza di regolare il rapporto tra nomos e bios, quale endiadi antropologica primaria che disvela la propria essenzialità in particolare nel corso di episodi critici (su tutti: la nascita, la malattia e la morte).
            Dopo quasi 2500 anni dalla scomparsa del medico greco, il c.d. processo ai dottori (Norimberga, 1946-47) fece riemergere con crudezza il tema della tutela del corpo della persona soggetta a trattamenti biomedicali o scientifici in senso lato. Gli atti processuali mostrarono il livello di perversione cui poteva giungere una ricerca scientifica incondizionata e ciò condusse alla redazione del Codice di Norimberga, un decalogo contenente i diritti inderogabili di un individuo sottoposto a manipolazione scientifica. Da allora si sono succedute numerose dichiarazioni e convenzioni internazionali, dalla Dichiarazione di Helsinki (1964) alla Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina di Oviedo (1997), tese a regolamentare il legame più delicato: quello fra la vita umana e la tecnologia da essa prodotta.
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2. La fondazione costituzionale dell’intervento sanitario obbligatorio

Descritto molto sommariamente il contesto generale entro cui si innestano le questioni proposte in apertura dell’articolo, è necessario ora ricostruire la genesi dei due principali istituti in esame: il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) e l’accertamento sanitario obbligatorio (ASO).
L’art. 32 della Costituzione Italiana recita:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
            Nel primo comma si evidenzia come la salute costituisca un bene giuridico risultante dal bilanciamento di un diritto soggettivo e di un interesse collettivo. Come venne infatti ricordato durante i lavori in Assemblea Costituente: salus publica suprema lex. Ciò rende il diritto alla tutela della salute bivalente, rientrando sia nella dimensione privatistica che in quella pubblicistica. Esso è definito fondamentale in quanto rappresenta la condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per il godimento di tutti gli altri diritti costituzionali che nel complesso tendono al “pieno sviluppo della persona umana” (art. 3 Cost.). L’aggettivo rimanda inoltre alla categoria dei “diritti inviolabili dell’uomo” (art. 2 Cost.) riconosciuti e garantiti dalla Repubblica.
La nozione giuridica di salute si articola poi in due componenti: una negativa e una positiva. La prima fa riferimento ad una generica assenza di malattia, ad una globale mancanza di malessere. La seconda descrive invece il completo stato di benessere psicofisico raggiungibile da un individuo, il quale non coincide con la mera privazione da uno stato di bisogno, ma allude ad una situazione dinamica e proattiva di totale soddisfazione corporea. Giova inoltre notare che la norma si riferisce non al semplice diritto alla salute, bensì alla più complessa tutela della salute. Nella disposizione è difatti implicito il contenuto preventivo e non soltanto curativo di tale diritto.
            Il secondo comma introduce in primo luogo la riserva di legge per i trattamenti sanitari obbligatori, per poi fissare un limite operativo alla norma nel rispetto della persona umana. Non è possibile qui ripercorrere analiticamente le fasi che portarono alla formazione di questo enunciato costituzionale. È utile tuttavia ricordare che il 24 aprile 1947 ebbe luogo in Assemblea Costituente la discussione conclusiva sull’attuale articolo 32, e che la formula alternativa a quella infine votata così disponeva: “sono vietate le pratiche sanitarie lesive della dignità umana“. L’ambiguità e l’indeterminatezza intrinseche ad entrambe le proposte suggerirono al Presidente Terracini di porre in distinte votazioni le due parti di cui è composto il comma in esame. Il testo finale, che pone al centro del trattamento sanitario la persona umana, risente senza dubbio dell’influsso della Chiesa cattolica e del diritto canonico. Non a caso il promotore dell’emendamento da ultimo approvato fu il futuro Presidente della Repubblica Giovanni Leone.

3. Trattamento sanitario obbligatorio (TSO) e accertamento sanitario obbligatorio (ASO): il procedimento

L’art. 33 della legge 833/1978 (istitutiva del servizio sanitario nazionale), denominato “Norme per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari volontari e obbligatori”, è il genus della disciplina e fissa una serie di principi direttivi in materia:
a) gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono di norma volontari;
b) qualora TSO e ASO siano obbligatori devono comunque applicarsi avendo cura della minima invasività indispensabile al raggiungimento dell’operazione, ovvero nella garanzia dei diritti civili e politici che non ostino al fine sanitario perseguito;
c) TSO e ASO sono disposti con provvedimento del sindaco su proposta motivata di un medico;
d) TSO e ASO sono eseguiti dai presidi e servizi sanitari territoriali e, laddove sia necessaria la degenza del soggetto, in strutture pubbliche ospedaliere o convenzionate;
e) TSO e ASO devono essere seguiti da iniziative volte ad acquisire, migliorare o integrare il consenso informato del soggetto sottoposto ad intervento sanitario obbligatorio;
f) TSO e ASO costituiscono una soluzione straordinaria, le unità sanitarie locali si impegnano a favorire la prevenzione dell’utilizzo di questi strumenti;
g) durante un TSO è garantito all’infermo il diritto di comunicazione verso terzi;
h) il provvedimento con il quale è stato disposto o prolungato il TSO può essere revocato o modificato su richiesta di chiunque. A tale domanda il sindaco è tenuto a rispondere entro 10 giorni e, nell’ipotesi di accoglimento, adempie con la stessa forma del provvedimento originario adottato.
             L’art. 34 è in un rapporto di species con il precedente, ed è dedicato a TSO e ASO effettuati in caso di malattia mentale. Anch’esso offre un elenco di disposizioni direttrici:
a) viene demandata alla legge regionale la disciplina delle funzioni preventive, curative e riabilitative nell’ambito della salute mentale;
b) il TSO applicato in condizioni di degenza ospedaliera costituisce un’ipotesi residuale, qualora sussistano tre elementi: presenza di alterazioni psichiche tali da imporre urgenti interventi terapeutici, rifiuto dell’infermo a sottoporsi alle cure e impossibilità circostanziale di adottare le misure sanitarie idonee in sede extraospedaliera;
c) il TSO svolto in degenza ospedaliera deve essere proposto da un medico e convalidato da un altro medico appartenente ad un’unità sanitaria locale;
d) il ricovero per TSO è attuato negli ospedali generali, in appositi reparti psichiatrici specializzati in servizio di diagnosi e cura (SPDC).
             L’art. 35 descrive il procedimento di implementazione del TSO nell’ipotesi di degenza ospedaliera per malattia mentale e la relativa tutela giurisdizionale.
Vediamo i punti salienti della disposizione:
a) il sindaco ha a disposizione 48 ore dalla convalida descritta al punto c) precedente per emanare il provvedimento di ricovero coatto. Entro 48 ore dalla presa in carico del soggetto da parte dell’ospedale il messo comunale deve notificare al giudice tutelare della circoscrizione territoriale del Comune l’avvenuto TSO;
b) il giudice tutelare nelle successive 48 ore, assunte le informazioni e gli accertamenti utili alla decisione, con decreto motivato può convalidare o meno il provvedimento del sindaco. In caso di mancata convalida, quest’ultimo emana il provvedimento di cessazione del TSO in degenza ospedaliera;
c) nell’ipotesi in cui il trattamento debba prolungarsi oltre il settimo giorno, il sanitario responsabile del servizio psichiatrico dell’unità sanitaria locale è tenuto a formulare in tempo utile una proposta motivata al sindaco, il quale ne dà comunicazione al giudice tutelare mediante le stesse forme viste al punto a);
d) il sanitario responsabile del servizio psichiatrico dell’unità sanitaria locale è altresì tenuto a comunicare al sindaco, sia nell’ipotesi di dimissioni del ricoverato sia nel caso di continuità della degenza, la cessazione delle condizioni che richiedono il TSO o l’impossibilità sopravvenuta a proseguire il trattamento stesso. Entro le 48 ore successive dalla ricezione del comunicato, il sindaco deve informare il medesimo giudice tutelare;
e) l’omissione della comunicazione, fatti salvi gli eventuali effetti penali, comportano la cessazione del trattamento;
f) chiunque può proporre ricorso contro il provvedimento adottato dal giudice tutelare;
g) il sindaco può proporre, entro un termine di 30 giorni, analogo ricorso contro la mancata convalida del giudice tutelare;
h) le parti possono stare in giudizio senza assistenza del difensore;
i) il Presidente del Tribunale adito può sospendere il provvedimento di TSO anche anteriormente alla comparizione delle parti in giudizio. Sulla richiesta di sospensiva lo stesso decide entro 10 giorni dalla ricezione.

4. Riflessione conclusiva

Perché si rende necessaria l’obbligatorietà di un trattamento sanitario?
Prendendo in considerazione il solo profilo penalistico, l’assenza di tale previsione normativa potrebbe configurare il delitto di sequestro di persona (art. 605 c.p.) che punisce chiunque privi qualcuno della libertà personale. Oppure potrebbe integrarsi il delitto di violenza privata (art. 610 c.p.) che sanziona penalmente chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a compiere od omettere un’azione.
            D’altronde, argomentando a contrario, resterebbe effettiva l’ipotesi di omissione di soccorso (art. 593 c.p.), ove è previsto che “chiunque, trovando abbandonato o smarrito (…) persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all’Autorità è punito con la reclusione fino a un anno (…)”. O ancora, ad esempio, potrebbe perfezionarsi il reato di abbandono di persone minori o incapaci (art. 591 c.p.) in quanto “chiunque abbandona (…) una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni (…)”. Resterebbe pur sempre operativa la scriminante generale dello stato di necessità (art. 54 c.p.) in cui è esplicito che “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo (…)”.
            Gli artt. 33-35 rappresentano perciò un primo tentativo di bilanciamento tra esigenza di tutela della salute individuale e possibilità di autodeterminazione della persona. Il nodo più problematico è dato dal potere conferito al sindaco di adottare il provvedimento sanitario obbligatorio, che in astratto potrebbe contrastare almeno con l’art. 13 Cost., il quale sancisce l’inviolabilità della libertà personale fatta salva la riserva di giurisdizione.
In particolare la situazione del soggetto portatore di malattia mentale sottoposto ad intervento sanitario obbligatorio risulta essere altamente critica in due circostanze:
1.      il lasso di tempo massimo previsto per la convalida da parte del giudice tutelare del provvedimento dispositivo di TSO, che può arrivare a coprire 96 ore consecutive di restrizione della libertà personale non subordinate alle garanzie costituzionali necessarie;
2.      la fase di transito, in cui cioè il TSO cessa o diviene impossibile, non è ben regolamentata. Il responsabile sanitario infatti è tenuto ad avvisare il sindaco, ma la maglia temporale è anche in questa evenienza troppo larga e mal definita.
             Da ultimo si segnala che le disposizioni esaminate sono applicabili, mutatis mutandis, anche a persone già sottoposte a limitazioni della libertà personale, sia in regime ordinario che straordinario (ad es. art. 41 bis L. 354/75).
Allora si impongono ulteriori interrogativi, che si aggiungono a quelli già avanzati nell’incipit della presente disamina. Gli interventi sanitari obbligatori, oltre a ridurre la libertà personale, su quanti e quali altri diritti vanno ad incidere? Il diritto soggettivo alla comunicazione viene salvaguardato ma, ad esempio, ne è garantita anche la segretezza? Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, sotto ogni forma e con qualunque mezzo, viene tutelato? Il diritto di professare il proprio culto è realizzabile dalla normativa così come è stata concepita? E il diritto/dovere al lavoro? Il diritto ad avere una difesa qualificata non è fortemente indebolito? Non è forse anche a questa gamma di diritti cui ci si riferisce quando si affermano i limiti imposti dal rispetto della persona umana?

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Francesco Gandolfi

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