Liquidazione societaria e valutazione dello stato d’insolvenza

“Quando la società è in liquidazione la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 l. fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, in quanto — non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci — non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte”.

     Indice

  1. La vicenda
  2. La censura
  3. La pronuncia della Suprema Corte

1. La vicenda

I giudici d’Appello respingevano il reclamo ex art. 18 l. fall. proposto dalla società Alfa, in liquidazione, avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento, emessa dal giudice di primo grado su istanza di alcuni lavoratori subordinati. Innanzitutto, i giudici di merito condividevano le deduzioni delle parti resistenti incentrate sull’assenza di dati patrimoniali certi, relativi agli elementi dell’attivo e passivo societario e sull’inattendibilità e aleatorietà di quelli forniti dal reclamante in sede di reclamo; in secondo luogo, rilevavano l’incompletezza contabile, nonché un indebitamento complessivamente maggiore rispetto al valore dichiarato – tra l’altro soltanto presuntivo – del patrimonio liquidabile. Infine, ritenevano che non vi fosse ragionevole prospettiva di un’agevole alienabilità dell’unico cespite aziendale – peraltro, gravato da ipoteca legale – e, quanto ai presunti crediti derivanti da due procedimenti giudiziari di natura risarcitoria in corso, che fosse analoga la prognosi negativa di conseguimento di liquidità dagli stessi.


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2. La censura

Davanti alla Suprema Corte, la società Alfa, lamentava, in particolare, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5 l. fall.; secondo parte ricorrente, era stato erroneamente valutato lo stato di insolvenza della società in liquidazione, le cui condizioni economiche erano riconducibili ad una situazione di difficoltà superabile, piuttosto che ad un’impotenza patrimoniale coincidente con il presupposto oggettivo del fallimento.

3. La pronuncia della Suprema Corte

La Cassazione, ritenendo la censura inammissibile, ribadiva consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale “Quando la società è in liquidazione la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione dell’art. 5 l. fall., deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, in quanto — non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, ed alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci — non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte”.

Difatti, i giudici di secondo grado, nel caso in disamina, avevano desunto in maniera corretta lo stato d’insolvenza sulla base della pluralità non soltanto degli inadempimenti, ma anche degli indici fattuali emersi in istruttoria, vale a dire cessazione dell’attività, mancato deposito dei bilanci, debito ipotecario, aleatorietà della prospettiva liquidatoria e inattendibilità dei giudizi recuperatori.

In virtù di ciò, il Tribunale Supremo dichiarava il ricorso inammissibile e condannava parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Sentenza collegata

121881-1.pdf 189kB

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Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

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