Le norme comunitarie
La Direttiva 2008/52/CE ha imposto ai Governi nazionali di regolare in maniera uniforme tale particolare materia. Detta direttiva del Parlamento europeo è stata attuata dall’Ordinamento italiano con la legge delega 69/2009 ed il d.lgs. 28/2010, le quali hanno rappresentato il punto di arrivo di un articolato processo che si è sviluppato nel quadro delle iniziative comunitarie in materia di accesso alla Giustizia. Nella realtà italiana la Mediazione è stata a lungo considerata come un ostacolo all’esercizio dei diritti, nonché come una forma di privatizzazione della Giustizia e non come un’estensione della ordinaria procedura di risoluzione delle controversie nella quale centrale è la figura delle parti del procedimento che sono e divengono protagonisti di un processo di efficientamento del sistema giudiziario. L’istituto della Mediazione, coerentemente con le linee direttrici europee all’azione del Governo, non costituisce, oggi, un vuoto ed oneroso adempimento burocratico, bensì un effettivo momento di composizione delle possibili e future controversie giudiziarie. La Conciliazione è, pertanto, oggi, l’esito positivo di un procedimento di mediazione finalizzato alla composizione delle controversie che, nonostante la sua natura informale, ha precise regole. L’obiettivo primario perseguito dalla suddetta direttiva europea è la promozione di formule di composizione amichevole delle liti e la predisposizione di mezzi finalizzati a garantire l’accesso a queste, dei cittadini dell’Unione Europea che desiderino beneficiarne.
L’introduzione, in taluni casi, dell’obbligatorietà della Mediazione, non è stata imposta dalla direttiva dell’Unione Europea, ma costituisce, invero, una scelta del nostro Legislatore, il quale deve sottostare ai vincoli derivanti dalle norme sull’effettività del diritto all’azione e della ragionevole durata del processo. Le prime subordinano a specifici presupposti i casi di obbligatorietà della domanda, le seconde, invece, circoscrivono i tempi di durata della Mediazione in ossequio ai principi di ragionevolezza, congruità e proporzionalità. La Direttiva 2008/52/CE impone agli Ordinamenti degli Stati la tipizzazione dell’istituto della Mediazione civile e commerciale, la quale è definita dall’art. 3, come “un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un Mediatore”. L’esperienza giuridica italiana prevedeva già dei meccanismi di promozione consensuale delle controversie che, tuttavia, non trovavano la loro regolamentazione in un corpo normativo unitario, ma che erano singolarmente disciplinati nelle singole normative settoriali, basti pensare ai procedimenti di A.D.R. coordinati dalle Authorities, come l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico. La Direttiva comunitaria ha richiesto, invece, la previsione di una procedura di mediazione unitaria accessibile a ciascun consociato e regolata da una disciplina omogenea e indipendente, tale da garantire elevati livelli di qualità, efficienza e riservatezza. La predisposizione di codici di condotta vincolanti, la cui osservanza sia controllata da organi esterni e la promozione di corsi aggiornamento professionale per Mediatori assicurano, infatti, la qualità della procedura conciliativa.
L’immediata efficacia esecutiva dell’accordo eventualmente raggiunto, oltre che la previsione che in pendenza del procedimento di mediazione non possano maturarsi i termini di prescrizione e di decadenza per l’esercizio delle correlate azioni giudiziarie, unitamente all’assegnazione, a beneficio
dei Mediatori e dei soggetti coinvolti nell’amministrazione del servizio, del diritto di non testimoniare sui fatti appresi nel contesto medesimo, salvo che ciò non sia necessario per la protezione di valori di ordine pubblico, dei superiori interessi dei minori, dell’incolumità fisica o psicologica delle persone ovvero per la concreta attuazione dell’accordo, sono, invero, previsioni a garanzia dell’efficacia e della riservatezza della procedura. Il diritto comunitario detta, altresì, ulteriori limitazioni alla potestà normativa degli Stati nazionali. Qualsivoglia provvedimento che permetta o favorisca il ricorso alla Mediazione solo per la tutela di diritti riconosciuti dalla legge nazionale, escludendo o sottoponendo a regime deteriore, quelli direttamente protetti dalla fonte comunitaria, è, infatti, contrario alla normativa europea.
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Il principio di equivalenza
Dette previsioni, per quanto detto, violerebbero il principio di equivalenza, in forza del quale gli Stati membri sono tenuti a proteggere i diritti di matrice comunitaria con mezzi identici a quelli predisposti per la garanzia dei diritti di fonte interna. In capo agli Stati membri è posto, altresì, il divieto di rendere impossibile, diseconomica o eccessivamente onerosa la tutela giurisdizionale dei diritti spettanti ai singoli in forza della Legge comunitaria, in ossequio al principio di effettività.
Conseguentemente a quanto detto, emerge l’indole squisitamente volontaria dell’istituto della Mediazione prevista dal Legislatore comunitario. Alle parti è riconosciuta, infatti, massima libertà nella scelta dell’utilizzo dello stesso, quale strumento di risoluzione delle controversie, nella gestione del conflitto e nell’interruzione del procedimento prima del raggiungimento di una soluzione conciliativa. La finalità perseguita dal Legislatore comunitario è l’attribuzione alle parti del diritto di accedere ad un procedimento caratterizzato da economicità, celerità e riservatezza che li agevoli nella risoluzione consensuale della controversia in essere. L’effetto del contenimento del contenzioso è, pertanto, un mero esito della procedura e non anche la finalità della stessa.
Il Legislatore italiano ha, tuttavia, introdotto dei meccanismi eteronomi, introducendo l’obbligatorietà della Mediazione in taluni casi e prevedendo delle sanzioni in capo alla parte che non partecipa al procedimento. Il d.lgs. 28/2010 ha, infatti, previsto l’improcedibilità dell’azione giudiziale e la condanna al pagamento, in favore dell’erario, di una somma corrispondente al valore del contributo unificato, della parte che senza giustificato motivo, abbia disertato la Procedura di Mediazione. Detto decreto ha previsto, altresì, in tale circostanza, la possibilità da parte del Giudice di poter desumere argomenti di prova, ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c. A dette previsioni si aggiunge che ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. 28/2010, qualora il Mediatore formuli una proposta, questa, debba essere valutata dalle parti con attenzione, in quanto il rifiuto della stessa, può comportare delle conseguenze in tema di ripartizione delle spese processuali nel successivo giudizio.
Ulteriore tratto autoritativo introdotto dalla disciplina italiana sulla Mediazione civile e commerciale è rappresentato dal potere del Giudice, sia in primo grado sia nel processo d’appello, di disporre l’introduzione del procedimento conciliativo a pena di improcedibilità della domanda giudiziale (Mediazione delegata). Ragionevolmente, alla luce di quanto detto, è plausibile ipotizzare come i numerosi tentativi legislativi di indurre le parti ad avvalersi dell’istituto giuridico in questione e ad informare le stesse circa le potenzialità dell’accordo amichevole siano stati dettati dall’ intenzione di ridurre il contenzioso. Il ricorso alla procedura conciliativa è facilitato, infatti, anche dall’obbligo, posto a carico dell’Avvocato, a pena di annullabilità del contratto tra quest’ultimo e il suo assistito, di informare il cliente, all’atto del conferimento dell’incarico, della possibilità o dell’obbligatorietà del procedimento di mediazione, oltre che delle agevolazioni fiscali proprie dell’istituto giuridico in questione.
Conseguentemente a quanto detto, quello che nelle intenzioni del Legislatore comunitario era un effetto della novità legislativa introdotta, per il Legislatore nazionale è divenuta la finalità primaria della normativa di recepimento. La Corte Costituzionale con sentenza n. 272 del 2012, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’introdotto carattere dell’obbligatorietà della Mediazione per eccesso di delega, in quanto la legge 69/2009 non aveva previsto alcun principio o criterio direttivo sul punto.
La rilevata illegittimità costituzionale è stata superata dal Governo introducendo la Mediazione obbligatoria con il presupposto che, questa, non presenti altri vizi di costituzionalità, ovvero non pregiudichi il diritto d’azione, la ragionevole durata del processo ed il principio di uguaglianza. La disciplina nazionale della Mediazione civile e commerciale di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, come modificato dalla conversione del decreto – legge n. 69 del 2013, ha previsto che il procedimento di mediazione possa essere obbligatorio o facoltativo. Lo svolgimento della Mediazione integra una condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativamente alle materie di cui all’art. 5 bis d.lgs. 28/2010, (mediazione obbligatoria in senso stretto), ed in caso di mediazione delegata o demandata ai sensi dell’art. 5, comma 2 d.lgs. 28/2010, nonché, laddove il Giudice, già investito della lite, ne ordini l’esperimento. Il Giudice, anche in sede d’appello, infatti, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del suddetto comma 2 dell’art. 5 d.lgs. 28/2010. Rientrano nel novero delle materie per le quali il procedimento di mediazione è obbligatorio in senso stretto quelle relative a condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di azienda, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. L’improcedibilità della domanda giudiziale derivante dal mancato esperimento della Mediazione deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza.
Le disposizioni sulla Mediazione obbligatoria non si applicano: – ai procedimenti per ingiunzione, per convalida di sfratto, possessori, di opposizione o incidentali relativi all’esecuzione forzata, ai procedimenti in Camera di Consiglio. In tali casi, infatti, un preventivo tentativo obbligatorio di mediazione appare inutile o controproducente, a fronte di una tutela giurisdizionale che è, invece, in grado di assicurare una celere soddisfazione degli interessi medesimi; – alle controversie per le quali sia stata attivata la «consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite», di cui all’art. 696 – bis del codice di procedura civile; – all’azione civile esercitata nel processo penale. Nell’ambito della Mediazione facoltativa rientrano, invece, tutti i procedimenti che sono liberamente introdotti dalle parti per risolvere i conflitti tra gli stessi insorti e, per i quali, il loro esperimento non costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Detto strumento di risoluzione del conflitto non può essere utilizzato, invece, per le controversie aventi ad oggetto i diritti indisponibili, dei quali, tuttavia, il d.lgs. 28/2010 non fornisce alcuna precisa definizione. L’art. 1966 c.c., a tal proposito, rileva ai fini di una corretta interpretazione del dato normativo. Detta norma, infatti, con riguardo alla materia della transazione, ne sancisce la nullità, ove, queste, intervengano su diritti che, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti. La genericità della previsione normativa in questione non offre criteri di selezione dei diritti indisponibili, pertanto, il Giudice, nella maggior parte dei casi, sarà chiamato ad individuarli sulla base di considerazioni di carattere sistematico.
Sul punto, la Cassazione con sentenza sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22601, ha precisato che il potere di transigere, pur non potendo incidere sui diritti indisponibili singolarmente considerati, è comunque esercitabile per la regolazione delle conseguenze patrimoniali cagionate dalla lesione di tali diritti. Ulteriore tipologia di Mediazione è quella contrattuale o statutaria prevista dal comma 5 dell’art. 5 del d.lgs. 28/2010. Il contratto, lo statuto, ovvero l’atto costitutivo dell’ente possono prevedere una clausola di mediazione ed il Giudice o l’Arbitro, qualora il tentativo di conciliazione non risulti esperito su eccezione di parte proposta nella prima difesa, assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione, fissando l’udienza successiva dopo la scadenza del termine di cui all’art. 6 del d.lgs. 28/2010. In caso di Mediazione contrattuale o statutaria, l’improcedibilità della domanda non può essere rilevata d’ufficio dal Giudice, nè può essere eccepita dall’attore, il quale, instaurando direttamente la causa, rinunzia implicitamente a beneficiare della parentesi conciliativa. Detta improcedibilità deve, pertanto, essere eccepita dal convenuto alla prima difesa utile.
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