L’istituto scolastico non è riconducibile alla nozione di privata dimora

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Cassazione penale, sez. VI, 14 febbraio 2019 (ud. 22 gennaio 2014 febbraio 2019, dep. 1 aprile 2019), n. 14150 (Presidente Paoloni, Relatore Vigna)

(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Riferimento normativo: C.p. artt. 614, 624-bis; C.p.p. art. 266, c. 2)

Il fatto

Il Tribunale di Bari, in funzione di tribunale del riesame, accoglieva, con riguardo alla tipologia di misura applicata, la richiesta di riesame presentata nell’interesse di M.L. avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari del 19 ottobre 2018 con la quale era stata applicata la misura degli arresti domiciliari in relazione al concorso, anche mediante omissione, nel reato di maltrattamenti ai danni dei minori della scuola materna per l’infanzia ove la stessa svolgeva le funzioni di insegnante (artt. 110 e 572 c.p. tra il 18 settembre 2017 e il 10 aprile 2018), sostituendo la misura con quella del divieto di esercitare la professione di insegnante e di educatore per un periodo di dodici mesi.

Con concorde valutazione di entrambi i giudici della fase cautelare era stata ritenuta sussistente la gravità indiziaria dell’indicato delitti, con riguardo a una serie di episodi di maltrattamenti perpetrati da quattro insegnanti, due titolari e due supplenti, della scuola materna in danno di alcuni minori dell’età di età compresa tra tre e quattro anni loro affidati.

Secondo il Tribunale, gli illeciti erano stati svelati a seguito delle indagini avviate sulla scorta della denuncia della madre di un minore arricchite dalle dichiarazioni di altri genitori nonchè dalle intercettazioni audio-video operate presso la struttura educativa.

Ad avviso del Tribunale del riesame, le testimonianze raccolte e la visione dei video esprimevano il clima di tensione emotiva sistematicamente instaurato all’interno della scuola, connotato da urla, reazioni esagerate aventi ad oggetto la punizione e la correzione degli alunni, nonchè episodi di compressione della libertà di locomozione, caratterizzati non da comportamenti isolati, ma da condotte ripetute nel tempo nei confronti di una pluralità di minori affidati alle cure delle insegnanti) condotte che avevano costituito risposte certamente sproporzionate rispetto alle cause e alle finalità perseguite.

In particolare, le condotte delineate nei resoconti dei genitori e quelle estrapolate dei video descrivevano dettagliatamente, secondo il tribunale del riesame, l’utilizzo in funzione educativa da parte delle insegnanti di metodi di natura fisica, psicologica e morale lesivi della dignità dell’alunno e umilianti per le modalità di esecuzione che trasmodano dal contesto di una risposta educativa dell’istituzione scolastica proporzionata alla gravità del comportamento deviante dell’alunno.

I giudici della cautela avevano, perciò, ritenuto di essere al cospetto di comportamenti esorbitanti dai limiti del mero rinforzo della proibizione o del messaggio educativo, esorbitanza derivante dall’assenza di gravi presupposti legittimanti e dall’eccesso nella misura della risposta correttiva anche tenuto conto della tenera età dei bambini.     

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso questo provvedimento, proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge, in relazione all’art. 266 c.p.p., con riguardo alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni che, pur autorizzate, erano state effettuate in un luogo di privata dimora, tale dovendosi qualificare la struttura scolastica, e perciò in violazione di legge; 2) violazione di legge, in relazione all’art. 273 c.p.p., e il vizio della motivazione con riguardo ai gravi indizi di colpevolezza stante il fatto che, ad avviso della ricorrente, la lettura delle dichiarazioni dei genitori e la visione dei video non consentivano di ritenere sussistente l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 572 c.p..

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile alla stregua delle seguenti considerazioni.

Gli ermellini osservavano prima di tutto come fosse inammissibile il primo motivo di ricorso poichè generico e reiterativo di argomentazioni già sviluppate nel giudizio di merito motivatamente respinte dal Tribunale del riesame con puntuale applicazione del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che il ricorso contesta.

Si faceva presente a tal proposito come, conformemente ai principi espressi dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 31345 del 23/03/2017, la giurisprudenza di legittimità avesse affermato, proprio con riguardo agli istituti scolastici di istruzione, che “non è configurabile il reato di violazione di domicilio, qualora, nel corso di una manifestazione di protesta, taluni soggetti, interrompendo l’attività didattica, accedano nella sede di un istituto scolastico, poichè tale luogo non è riconducibile alla nozione di privata dimora, nell’ambito della quale rientrano esclusivamente i luoghi non aperti al pubblico, nè accessibili a terzi senza il consenso del titolare e nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata” (Sez. 5, n. 10498 del 16/01/2018, omissis, Rv. 272667) così come era stato analogamente affermato che “non è configurabile il reato previsto dall’art. 624-bis c.p. qualora il furto sia commesso nel corridoio di un istituto scolastico, trattandosi di luogo non riconducibile alla nozione di privata dimora, nell’ambito della quale rientrano esclusivamente i luoghi non aperti al pubblico, nè accessibili a terzi senza il consenso del titolare e nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata” (Sez. 5, n. 51113 del 19/10/2017, omissis, Rv. 271629).

Posto ciò, analizzando il caso di specie, i giudici di piazza Cavour rilevavano che, come correttamente rilevato dal Tribunale di Bari, il provvedimento autorizzativo posto a fondamento delle attività di intercettazione audio e video eseguite presso l’istituto di istruzione ove si erano svolti i fatti fosse stato rispettoso dei limiti stabiliti dall’art. 266 c.p.p. perchè, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità appena citata, non trattandosi di una privata dimora non ricorreva l’ipotesi prevista dal comma 2 del citato articolo.

Oltre a ciò, si stimava inammissibile anche il secondo motivo di ricorso perchè considerato generico e assertivo e perchè non si confrontava con la motivazione del provvedimento impugnato e, in particolare: con riguardo al requisito della abitualità e all’elemento soggettivo, che secondo il ricorso non sarebbero stati ravvisabili per la variabilità della persona offesa, la Cassazione precisava che la contestazione riguardasse gli atti di maltrattamento posti in essere in danno dei minori affidati alle insegnanti nell’ambito di una specifica classe dell’istituto d’istruzione sicchè, a prescindere dall’eventuale assenza di specifiche condotte violente in danno di alcuni minori, restava pur sempre posta a fondamento dell’ipotesi accusatoria la commissione di condotte in grado di determinare in tutti i minori un grave stato di soggezione psicologica in relazione al quale il Tribunale del riesame appresta un’adeguata motivazione, evidenziando in particolare quanto riferito dai genitori in ordine alle ansie, alle paure e ai timori dei figli rilevandosi al contempo come il ricorso fosse sul punto del tutto silente e perciò inammissibile per genericità in quanto non si confrontava con la motivazione del provvedimento impugnato che aveva ricostruito un grave quadro di sofferenze e di soggezione psicologica con effetti traumatici sui minori, venendo tra l’altro evidenziato che quasi la metà di essi aveva abbandonato la classe nel periodo in cui si erano svolti i fatti.

Si affermava inoltre come fossero del pari inammissibili le doglianze relative alla adeguatezza del panorama indiziario (non probatorio, come lo qualifica il ricorso) derivante dalle dichiarazioni dei genitori e dalle intercettazioni audio e video perchè introducevano censure in fatto, peraltro contraddette dall’ampio apparato motivazionale dell’ordinanza impugnata, in quanto se, per un verso, era erronea l’affermazione contenuta nel ricorso secondo la quale il nominativo della ricorrente non sarebbe comparsi mai nelle dichiarazioni dei genitori, risultando la medesima invece chiaramente indicata dai testi F. e L., per altro verso, l’ampia illustrazione delle risultanze delle videoriprese, con specifica ricostruzione e valutazione in fatto dei singoli episodi in esse ritratti, rendeva evidente, ad avviso della Corte, la inammissibilità della deduzione la quale, dopo avere estrapolato alcuni video nell’ambito di quelli posti a fondamento dell’ordinanza, era finalizzata unicamente a fornire una diversa ricostruzione e valutazione degli stessi, così investendo la Corte di legittimità di questioni estranee a questo giudizio.

Terminata la disamina di queste doglianze, il Supremo Consesso reputava manifestamente infondata pure quella che riguardava la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui aveva arricchito la descrizione contenuta nell’ordinanza genetica, descrivendo ulteriori condotte rispetto al Giudice per le indagini preliminari, avendo la giurisprudenza di legittimità postulato che il Tribunale del riesame può procedere a colmare un’eventuale carenza della motivazione del G.i.p. (Sez. 6, n. 10590 del 13/12/2017, omissis, Rv. 272596; Sez. 5, n. 643 del 06/12/2017 dep. 2018, omissis, Rv. 271925), e dunque il giudice di secondo grado aveva correttamente proceduto nella fattispecie in esame, arricchendo la descrizione del primo giudice, a una valutazione complessiva dei vari elementi probatori disponibili nel procedimento e noti alla ricorrente; del resto, sempre ad opinione della Corte, non essendo stata formulata in sede di riesame una specifica questione di nullità dell’ordinanza genetica, la deduzione di imprecisione e incompletezza di detta ordinanza, perchè avrebbe descritto – rispetto a quella stesa dal tribunale del riesame – un numero minore di episodi, era generica perchè non deduceva alcuna specifica nullità, e comunque manifestamente infondata perchè l’arricchimento dell’apparato motivazionale non determinava alcuna violazione in quanto finalizzato a fornire risposta alla richiesta di riesame che contestava la gravità indiziaria.

Si considerava infine inammissibile, perchè generica, la doglianza concernente la responsabilità ex art. 40 c.p., comma 2, derivante dalla posizione di garanzia ricoperta rispetto alle condotte poste in essere dall’altra insegnante, come documentate dalle riprese audio-video atteso che il ricorso non si confrontava con l’ampia motivazione stesa dal tribunale del riesame che aveva evidenziato i comportamenti (spesso violenti e comunque qualificati come vessatori e umilianti) posti in essere dall’altra insegnante, qualificandoli alla stregua dell’art. 572 c.p., in presenza e sotto la vigilanza della ricorrente che, proprio perchè insegnante di ruolo e destinataria di una specifica posizione di garanzia, che peraltro il ricorso non contestava, avrebbe dovuto indurla a far cessare nell’immediatezza detti comportamenti della collega supplente o comunque, come correttamente evidenziato dal giudice di merito, a riferire – anche quale insegnante vicario del direttore dell’istituto – ai superiori tali accadimenti invece di negarne l’esistenza ai genitori che li avevano evidenziati in occasione della riunione scolastica del 6 dicembre 2017.

Conclusioni                           

La sentenza in commento è assai interessante specialmente nella parte in cui si postula che l’istituto scolastico non è un luogo di priva dimora.

Un’affermazione di tal fatta, invero, ha evidenti ricadute applicative sul piano del diritto penale, sia sostanziale, che processuale.

Difatti, l’impossibilità di ritenere l’istituto un luogo di privata dimora da un lato, comporta che non possano rilevare quegli illeciti penali a cui si fa riferimento a questo luogo quali possono essere, come evidenziato dalla stessa Cassazione in questa pronuncia, il reato di violazione di domicilio e quello di furto abitazione, dall’altro, esclude l’applicabilità di quelle norme procedurali che fanno anch’esse riferimento a questo posto quale ad esempio, come anche in tale ipotesi evidenziato in questa medesima pronuncia, l’art. 266, c. 2, c.p.p. il quale, come è noto, dispone che, qualora l’intercettazione di comunicazioni fra presenti avvenga nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice penale, l’intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.

Tale decisione, pertanto, non può che essere presa nella dovuta considerazione ogniqualvolta si affrontano situazione analoghe a quella trattata nel caso di specie.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale pronuncia, dunque, per la precisazione ivi compiuta in questi termini, non può che essere positivo.

 

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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