L’IVA nei contratti di “sale and lease back”: il fil rouge interpretativo tra giurisprudenza europea e nazionale  

Il presente elaborato si pone l’obiettivo di analizzare la complessa tematica relativa all’applicazione dell’IVA nell’àmbito dei contratti di sale and lease back.

L’annosa questione è stata oggetto di molteplici pronunce, sia a livello europeo che a livello nazionale, culminate poi in un avvicinamento, da parte della giurisprudenza nazionale, alla posizione assunta dalla Corte di Giustizia dell’UE.

Se da un lato la giurisprudenza domestica non ha fatto altro che dare seguito, nell’ordinamento giuridico interno, a quanto stabilito a livello unionale, dall’altro lato si assiste ad una divergenza di opinioni che permea il panorama dottrinale e giurisprudenziale, in spregio ai diritti dei contribuenti conformatosi ad una disposizione nazionale non collimante con il diritto dell’Unione Europea.

Prima di analizzare il fenomeno de quo è opportuno procedere ad una breve analisi del contratto di sale and lease back, al fine di comprendere maggiormente l’istituto.

In linea generale, il contratto di sale and lease back si presenta nel nostro ordinamento giuridico quale contratto atipico, mutuato dal diritto anglosassone. Si tratta, più nello specifico, di un contratto mediante il quale un’impresa- al fine di procurarsi liquidità senza “spogliarsi” dei beni necessari all’esercizio della propria attività- vende un bene ad una società di leasing, la quale a sua volta lo concede in locazione finanziaria alla stessa impresa alienante. Sulla base del contratto in esame, l’alienante è tenuta a corrispondere alla società di leasing dei canoni periodici, a fronte del godimento del bene, con la facoltà di poterne riacquistare la proprietà, alla scadenza del contratto previo pagamento del c.d. “prezzo di riscatto”.

Sotto il profilo strutturale, tale tipologia negoziale seppur presenti delle assonanze rispetto al contratto di locazione finanziaria (comunemente detto “leasing finanziario”) ne costituisce, al contempo, la variabile bilaterale; mentre il contratto di leasing finanziario si presenta morfologicamente quale rapporto trilaterale a cui partecipano la società di leasing (concedente), l’impresa interessata all’utilizzo del bene (utilizzatore) ed un’impresa di produzione e distribuzione (fornitore), nella locazione finanziaria di ritorno, invece, si assiste ad un rapporto bilaterale ove vi è coincidenza tra impresa che fornisce il bene ed impresa che lo utilizza.

    Indice

  1. Il contratto di “sale and lease back” e la disciplina dell’IVA nel panorama giuridico europeo.
  2. La nozione di “cessione di beni” secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia dell’UE e il disallineamento rispetto alla normativa nazionale.
  3. Il caso “Nuova Nautica”: la Suprema Corte segue il filo conduttore europeo. Le solite incertezze a danno del contribuente
  4. Considerazioni conclusive

1. Il contratto di “sale and lease back” e la disciplina dell’IVA nel panorama giuridico europeo

Dopo aver brevemente inquadrato il contratto di sale and lease back, si procederà all’esame della disciplina dettata in materia di IVA.

Nel panorama giurisprudenziale europeo, assume particolare importanza sul tema dell’IVA nei contratti di sale and lease back, la sentenza “Mydibel”, 27 marzo 2018, causa C-201/18, resa dalla Corte di Giustizia dell’UE.

Nella specie, la società Mydibel[1] nel 2009, al fine di incrementare le proprie liquidità, concludeva con due istituti finanziari operazioni di sale and lease back, non soggette ad IVA e aventi ad oggetto beni immobili, di cui la medesima era proprietaria.

A seguito di una verifica fiscale, l’Amministrazione tributaria belga negava il diritto alla detrazione dell’IVA, inizialmente operata dalla società, in virtù del mancato assoggettamento delle operazioni predette all’imposta. La Mydibel, dunque, proponeva ricorso al Tribunale di primo grado dell’Hainaut in Belgio, avverso la decisione di prime cure. Il Giudice d’appello, ravvisando un contrasto tra la normativa interna e quella europea, sospendeva il procedimento dinanzi a sé e rimetteva la questione alla Corte di Giustizia Ue, al fine di ottenere una interpretazione conforme al diritto europeo e, nello specifico, alla Direttiva IVA 2006/112/CEE.

I Giudici di Lussemburgo, in linea con altre pronunce[2], qualificano il contratto di leasing finanziario di ritorno quale operazione che non rientra nell’àmbito della nozione di cessione dei beni e, pertanto, non assoggettabile ad IVA.

Il ragionamento seguito dalla Corte, muove i propri passi dalla distinzione tra il leasing c.d. semplice e il leasing finanziario: nel contratto di leasing (semplice)  non si perviene necessariamente all’acquisto del bene, potendo il predetto contratto prevedere che il locatario possa scegliere anche di non acquistare il bene al termine del periodo di locazione; nel contratto di leasing finanziario, invece, si assiste alla traslazione dei rischi e dei benefici legati all’utilizzo del bene in capo al locatario. Pertanto, secondo la Corte, si configura una cessione di beni ogniqualvolta si può dedurre dalle condizioni finanziarie del contratto che l’esercizio di opzione di acquisto risulta essere l’unica scelta economicamente ragionevole che il locatario può intraprendere, giunto a conclusione del contratto.

Nella sentenza Mydibel, in linea teorica, si è data rilevanza, non già al trasferimento del bene ma al mero passaggio del potere sostanziale di disposizione sul bene. Allo stesso tempo, l’ininterrotta disponibilità del bene in capo all’alienante-utilizzatore impedisce di assimilare l’operazione ad una “cessione di beni” rilevante a fini IVA, in ragione dell’assenza di autorizzazione in capo all’acquirente-concedente di disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario.

Nella fattispecie in esame, gli immobili sono stati utilizzati dal locatario- concedente ininterrottamente e in modo duraturo nell’esercizio della sua attività e, pertanto, secondo la giurisprudenza unionale non dà luogo ad una cessione di beni.

2. La nozione di “cessione di beni” secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia dell’UE e il disallineamento rispetto alla normativa nazionale

La sentenza de qua permette di riflettere sulla nozione di “cessione di beni” delineata sia a livello europeo (cui all’art. 14, par. 1 della Direttiva IVA) sia a livello domestico (cui all’art. 2 del D.P.R.  n. 633/1972).

Il raffronto tra le due norme riporta in auge le ormai appurate diversità tra la normativa interna e quella dettata dall’Unione.

A livello UE per cessione di beni si intende “il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario”, pertanto, conformemente alla Direttiva IVA, così come interpretata dalla Corte di Giustizia Ue, ai fini della qualificazione di un’operazione come cessione di beni, non è necessario che l’acquirente diventi proprietario del bene ma piuttosto rileva che al medesimo vengano trasferiti effettivi poteri di disposizione e di godimento sulla cosa.  La normativa interna, invece, fornisce una visione diametralmente opposta rispetto a quella europea, ricomprendendo all’interno della nozione di cessione di beni tutti quegli “atti a titolo oneroso che importano il trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento su beni di ogni genere”.

Da tale disallineamento discende un diverso trattamento delle operazioni di leasing, che a livello nazionale sono (erano) collocate nell’àmbito della cessione dei beni. Differentemente a quanto previsto dalla giurisprudenza Ue, il legislatore interno è maggiormente concentrato sulle cause contrattuali anziché sugli effetti delle operazioni realizzate.


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3. Il caso “Nuova Nautica”: la Suprema Corte segue il filo conduttore europeo. Le solite incertezze a danno del contribuente

A livello domestico, risulta di fondamentale importanza la sentenza n. 11023 del 27 aprile 2021, resa nel procedimento che ha visto coinvolta la società “Nuova Nautica”. La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, enunciava due principi di diritto:

  • in materia di IVA, la nozione di “cessione di beni” imponibile si riferisce, in forza di una interpretazione adeguatrice del diritto interno a quello Ue, a qualsiasi operazione di trasferimento di bene materiale con la quale una parte autorizzi l’altra a disporne di fatto come se ne fosse il proprietario, spettando al giudice verificare, di volta in volta, se una data operazione comporti il trasferimento effettivo del detto potere;
  • in materia di IVA, non costituisce “cessione di beni” imponibile la vendita del bene nelle operazioni di sale and lease back. Tale complessa operazione negoziale, la cui causa ha natura finanziaria (aumento delle liquidità del venditore- utilizzatore), non consegue il trasferimento del bene materiale da una parta all’altra tale che quest’ultima possa dirsi autorizzata a disporne come se ne fosse il proprietario, in ragione della permanenza del bene stesso presso il venditore che lo utilizza ininterrottamente[3].

La posizione a cui è pervenuta la Corte, in linea con l’interpretazione della Direttiva IVA, esclude l’assoggettabilità ad IVA dell’operazione di sale and lease back, non figurando quale cessione di beni.

Con la sentenza in esame, la Cassazione ha voluto seguire quel fil rouge nato a livello europeo ove la nozione di “cessione di beni” viene intensa come qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale effettuata da una parte che autorizza l’altra a disporre di fatto di tale bene come se ne fosse proprietaria, abrogando improvvisamente la nozione fornita a livello nazionale che qualifica la “cessione di beni” quale trasferimento di proprietà nelle forme previste dal diritto nazionale.

Così facendo, la giurisprudenza di legittimità, se da un lato si mostra maggiormente sensibile all’impatto delle indicazioni interpretative offerte dai Giudici di Lussemburgo, dall’altro lato ha garantito l’automatico ingresso nell’ordimento interno alle norme della Direttiva, senza tener conto dei principi ormai consolidati che impediscono l’applicazione delle direttive stesse ove risultino dannose per i contribuenti che si sono affidati al diritto nazionale non conforme alle stesse.

Sul punto, è la stessa Corte di Giustizia a riconoscere sia che gli Stati membri sono tenuti ad interpretare le norme domestiche in modo da perseguire i risultati prefissati a livello Ue, ma anche e, soprattutto, che una direttiva non può imporre obblighi in capo ai soggetti privati e, laddove, ad una disposizione contenuta in una fonte del diritto dell’UE non sia stata data corretta attuazione, l’Autorità domestica non può invocarne l’effetto diretto c.d. orizzontale, in danno ai cittadini. Non solo, l’applicazione del diritto unionale incontra i suoi limiti nei principi generali del diritto, in particolare quelli di certezza del diritto e di non retroattività e non può fungere da criterio per un’interpretazione contra legem del diritto nazionale[4].

Alla luce delle considerazioni svolte, la qualifica del leasing finanziario quale operazione non rientrante nella categoria della “cessione di beni” e come tale non assoggettabile ad IVA, comporta un impatto notevole sui contribuenti. Tuttavia la posizione assunta dalla Corte non è sempre univoca, divergendo da quella assunta anche dall’Agenzia delle Entrate.

L’Agenzia delle Entrate ha, infatti, sempre considerato l’operazione di sale and lease back alla stregua di un’operazione complessa che si compone di tre distinte operazioni rilevanti ai fini IVA e, cioè:

  1. cessione, nei confronti della società di leasing, del bene oggetto del contratto. L’operazione, pertanto, è soggetta ad IVA ricorrendo sia il presupposto oggettivo (“cessione di beni o di servizi”) che quello soggettivo (l’utilizzatore è soggetto esercente un’attività commerciale), ai sensi dell’art. 1 del D.P.R. 633/1972;
  2. concessione in leasing del bene. L’operazione rientra nel campo di applicazione dell’IVA, ricorrendo sia il presupposto soggettivo che quello oggettivo (prestazione di servizi resa dietro corrispettivo), con applicazione dell’aliquota che sarebbe applicata cessione del bene oggetto del contratto;
  3. riscatto del bene. Se l’utilizzatore, a conclusione del contratto, si avvalga della facoltà di riscattare il bene, configurandosi una cessione di beni, l’operazione sarà rilevante ai fini dell’IVA.

4. Considerazioni conclusivi

In estrema sintesi, dall’analisi fin qui svolta, si evince la posizione assunta dalla Corte di Cassazione in materia di sale and lease back che si ripercuote anche sull’applicabilità o meno dell’IVA.

Già con la sentenza “Nuova Nautica” la Corte sembra allinearsi al filone giurisprudenziale nato in Europa e confermato, da ultimo, con la pronuncia “Mydibel”.

Tali sentenze, tracciando i confini dell’operazione di sale and lease back, la qualificano quale operazione non soggetta ad IVA, fuoriuscendo dal novero delle operazioni qualificabili come “cessione di beni”. Tale approdo ermeneutico, seppur apparentemente conforme al dettato europeo, stante quanto disposto dall’art. 14, par. 1 della Direttiva IVA, non collima con il tessuto normativo nazionale, profilandosi un alone di incertezza giuridica a danno dei contribuenti nazionali che hanno applicato legittimamente il diritto nazionale, poi dichiarato “non conforme” al diritto dell’UE.

Pertanto, volendo tirare le somme, si auspica per un intervento chiarificatore tale da rendere univoche e lineari le posizioni di tutti gli operatori del diritto.


Note

[1] Società che si occupa della fabbricazione dei derivati di patate e, in quanto tale, soggetta all’IVA.

[2] Cfr. Corte di Giustizia UE, Eon Aset Menidjmunt, C- 118/2011, 16 febbraio 2012; Corte di Giustizia UE, Mercedes- Benz Financial Services, C- 164/16, 4 ottobre 2017).

[3] La Suprema Corte, con sentenza n. 11023/2021, rileva che il “leaseback ha dunque una causa concreta diversa da quella del contratto di vendita puro e semplice, trattandosi di un’unica operazione complessa e con causa finanziaria (il fine di aumentare la liquidità del venditore-utilizzatore), da considerarsi nella globalità dei suoi elementi negoziali strettamente connessi onde scongiurarne un’artificiosa scomposizione a fini tributari”. La causa finanziaria del contratto in esame impedisce quindi di assimilare (a fini IVA) la somma corrisposta dall’acquirente-concedente al corrispettivo dovuto al venditore in forza del tipico contratto di vendita. Allo stesso tempo, l’ininterrotta disponibilità del bene in capo all’alienante-utilizzatore impedisce di assimilare l’operazione ad una “cessione di beni” rilevante a fini IVA, tanto per il diritto interno quanto per quello sovranazionale, in ragione dell’assenza di autorizzazione in capo all’acquirente-concedente di disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario.

[4]Cfr. Corte di Giustizia UE Impact, C- 268/06, 15 aprile 2008; Corte di Giustizia UE, C- 605/15, 21 settembre 2017).

Raffaella Ascolese

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