ll Principio processuale della ragione più liquida

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ll Principio processuale della ragione più liquida quale declinazione del principio della ragionevole durata del processo ex art. 111, Co.2, Cost.

Indice

1. L’ordine delle trattazioni delle questioni sancito dall’art. 276, coma 2, C.p.c. Il decidere la “causa per gradi”.

Questa breve dissertazione non può non partire dallo scrutinio d’una norma tecnica di matrice processuale, vale a dire dall’art. 276, comma 2, C.p.c., il quale stabilisce un ordine che il giudicante deve osservare per giungere alla decisione di merito. Precisamente, la prefata norma impone, al Giudicante, d’affrontare, dapprima, le questioni preliminari di rito, sollevate dalle parti o rilevate d’ufficio, e, di poi, le questioni di merito in senso stretto.
La norma in commento stabilisce una sequenza logico giuridica nell’ordine delle trattazioni delle questioni che, all’interno d’una causa, si presentano, via, via, al Giudicante. Si perviene, dunque, ad una decisione nel merito soltanto dopo aver affrontato e deciso tutte le altre questioni che, rispetto a quella, si pongono in maniera preliminare, come un antecedente logico razionale.
Su questa riga, emerge, quindi, che il Giudicante, onde poter pronunciarsi su merito della domanda, dovrà verificare che sia stato instaurato correttamente il contradditorio, ed, ancor prima, indagare se egli sia munito di competenza, ed, prima ancora, se sia dotato di giurisdizione.
Come in una sorta di un’opera “d’ingegneria processuale”, il meccanismo, evocato dall’art. 276, comma 2, C.p.c., come un percorso a tappe, ove le questioni pregiudiziali, di rito, si pongono come l’antecedente logico di quelle di merito. Si potrebbe dire che il Giudicante in tanto ha il potere di pronunciarsi sulla domanda in quanto sia munito di giurisdizione e di competenza.
Il meccanismo processuale così disegnato, consente al Giudice di poter esercitare la sua potestas iudicandi sulle questioni di merito soltanto dopo aver mostrato le sue “credenziali”, e, cioè, aver affrontato, preliminarmente, le questioni sulla giurisdizione e sulla competenza.
V’è quindi, nel sistema processuale in esame, manente il disposto del secondo comma dell’art. 276, C.p.c., un meccanismo che impone al Giudice di “decidere per gradi”, e, cioè, per l’appunto, dapprima le questioni che gettano le basi della sua potestà di giudicare, vale a dire la giurisdizione e la competenza, e, poi, di volta, in volta, le questioni di merito.
Ogni statuizione del Giudice contiene, in sé, quella sull’antecedente logico da cui è condizionata, quella sull’esistenza della giurisdizione, senza la quale non avrebbe potuto pronunciarsi sul merito della causa.
Sul punto, a confermare che quello della c.d. decisione per gradi, sia il sistema processuale designato per il Giudice Ordinario, vien rafforzato dalle Sezioni Unite Civili, le quali statuiscono che “…Vi è dunque un preciso obbligo di legge di decidere prima (“gradatamente”) le questioni pregiudiziali (logiche o tecniche) e poi (“quindi”) il merito (…) …l’art. 279 c.p.c., comma 2, e art. 187 c.p.c., commi 2 e 3, indicano quale sia la progressione naturale che il giudice deve seguire nel decidere le questioni, nella quale quelle di merito vengono sempre dopo quelle attinenti alla giurisdizione.”. (Cass. civ., Sez. Un., n. 24883 del 23 settembre 2008).
Colla pronuncia da ultimo in rassegna, il Supremo Collegio, nel ribadire che per il Giudicante v’è un obbligo processuale di giudicare per gradi, rammenta come l’obbligo primario di questi sia accertare se sia munito o meno di giurisdizione prima di passare all’esame delle questioni di merito.
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2. Il Principio della Ragione più Liquida.

Eppur tuttavia, in subiecta materia, emerge un principio che consentirebbe, al Giudicante, di decidere la causa sulla base d’una questione evidente, pur presentandosi essa subordinata rispetto alle altre.
Tal principio assume la denominazione di “principio della ragione più liquida”.
Il principio in questione è stato utilizzato dalla giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, onde consentire al giudice di pronunciarsi celermente sul giudizio, incentrando la sua pronuncia su d’una questione, d’agevole soluzione, rendendo, pertanto, superflua la necessità di pronunciarsi su tutte le altre.
Un’attività del genere è orientata costituzionalmente, nel senso, cioè, che s’ispira al principio dell’economia processuale. In questa direzione, infatti, la compressione della durata del giudizio, consentirebbe un risparmio dell’attività istruttoria.
Il principio della ragione più liquida assicurando l’attuazione del canone costituzionale del giusto processo e della sua durata ragionevole, avrebbe fondamento costituzionale negli artt. 111, comma 2, 24, Cost.
Il principio così tratteggiato si annovera in diverse pronunce della Suprema Corte, ove si afferma che “… il principio della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo cui la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza necessità di esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c.”. (Cass. Civ., Sez. Lavoro, Ord. n. 9309 del 20 maggio 2020).
Ecco, attingendo dal principio tratto dalla pronuncia in scrutinio, quello della ragione più liquida consente al Giudicante, laddove vi sia una questione di più agevole risoluzione, pur essendo quest’ultima successiva, nella progressione logico giuridica, rispetto alle altre, di spegnere il giudizio.
Il principio di diritto licenziato dalla pronuncia, ora, commentata, richiama quanto già statuito dalla Sezioni Unite Civili nel 2014, le quali, in applicazione del principio processuale della ragione più liquida, nell’ambito d’un giudizio vertente sul risarcimento del danno da cose in custodia ex art. 2051, C.c., pur in presenza d’una questione pregiudiziale di rito afferente al difetto di giurisdizione del giudice adito, hanno ritenuto di pronunciarsi direttamente sulla questione di merito, il cui esame ha condotto, poi, al rigetto della domanda risarcitoria, ascrivendo la responsabilità al danneggiato con conseguente lacerazione del nesso causale, con consequenziale effetto assorbente dell’eccezione di giurisdizione. (Cass. Civ., Sez. Un., n. 9936 dell’8 maggio 2014).
A tal riguardo, statuiscono le Sezioni Unite in commento che “…ritiene di poter esaminare (nonostante la pregiudizialità della prima censura, che pone al collegio una questione di giurisdizione) il secondo motivo di ricorso, la cui fondatezza conduce ad una decisione di merito di rigetto della domanda risarcitoria.”. (Cass. Civ., Sez. Un., n. 9936, cit.).

3. Cenni di casistica della giurisprudenza di legittimità.

La casistica del formante giurisprudenziale, ci offre diverse occasioni ove, in ossequio al principio del giusto processo, s’è fatta corretta applicazione del principio della ragion più liquida.
Ed, allora, valga in tal senso la pronuncia della Suprema Corte che, chiamata a pronunciarsi sulla notifica dell’avviso di liquidazione d’imposta di successione all’erede, il quale aveva accettato l’eredità col beneficio d’inventario, rigetta il ricorso dichiarando l’illegittimità della cartella di pagamento impugnata, essendo stata notificata quando la procedura di liquidazione dei beni ereditari non si era ancora conclusa. (Cass. civ., Sez. V, Sent. n. 11458 dell’11 maggio 2018).
Sarebbe stato superfluo esaminare la questione della notifica dell’avviso di liquidazione dell’imposta, una volta accertato che la procedura di liquidazione dei beni ereditari non si era affatto conclusa al tempo della notifica dell’atto in questione.
Il principio della ragione più liquida consente al Giudicante d’esaminare questioni di merito, pur in presenza di questioni pregiudiziali, che, rispetto alle prime, si offrono come un antecedente logico giuridico, dovendo prediligere un’interpretazione che imponga “…una verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, ex art. 276…”. (Cass. civ., Sez. III, Ord. N.26214 del 6 settembre 2022; Idem, VI, n. 2805 del 31 gennaiom2022).
Sicché proprio con riguardo alla pronuncia da ultimo evocata, si apprende che, onde adottare sul piano operativo una questione che offrisse una pronuncia di pronta soluzione, il Supremo Collegio rigetta il ricorso, ritenendo che il Giudice d’Appello avesse fatto corretta applicazione del principio della ragione più liquida pronunciandosi direttamente sull’omessa allegazione della quantificazione dell’entità del danno asseritamente lamentato dal conduttore d’uno immobile, prescindendo dall’accertamento pregiudiziale sull’esistenza del medesimo.
Ed, ancora, sulla base della ragione più liquida, la Suprema Corte rigetta il ricorso esaminando la questione di merito, in ordine ad un’opposizione frapposta ad un decreto monitorio, con il quale si ingiungeva il pagamento della provvigione d’un mediatore immobiliare, omettendo di pronunciarsi sulla questione preliminare afferente all’integrazione del contraddittorio eccepito dall’opposta, ritenendo che tal attività, anche laddove fosse stata adempiuta, sarebbe stata comunque ininfluente sulla decisone del merito. (Cass. civ., Sez. II, Ord. n. 3049 del 10 febbraio 2020).
Nello stessa direzione, la Suprema Corte statuisce che “…la corte stessa è esentata dal valutare le questioni processuali sollevate in ordine alla regolarizzazione del contraddittorio, ovvero altre relative all’esercizio di facoltà defensionali da parte degli intimati o intimandi, dovendo farsi applicazione del principio della “ragione più liquida”, in base al quale – quand’anche dei relativi adempimenti sussistesse effettiva necessità – la loro effettuazione pur nell’ ininfluenza sull’esito del giudizio sarebbe lesiva del principio della ragionevole durata del processo…”. (Cass. civ, Sez. II, Ord. n. 10839 del 18 aprile 2019).
Anche l’esame della questione di merito della prescrizione del diritto di credito azionato si offre, al Supremo Collegio, quale soluzione più evidente, più liquida, potremmo dire, al fine di rigettare il ricorso senza indagare, a monte, la validità del titolo giuridico azionato, e, cioè, senza esaminare la questione pregiudiziale della validità del contratto. (Cass. civ., Sez.II, Sent. n. 20555 del 29 settembre 2020). Sul punto, tuttavia, il Supremo Consesso, precisa che la pronuncia, resa sulla base del principio della ragione più liquida, non consente, però, il formarsi del giudicato implicito sulla nullità del contratto.
Anche con riguardo al tema della pignorabilità del Trattamento di Fine Rapporto d’un dipendente del MIUR ancora in servizio, la Suprema Corte, appellandosi al principio della ragione più liquida, ha esaminato la questione della pignorabilità del detto trattamento, pronunciandosi in senso favorevole, prescindendo da questioni preliminari. (Cass. Civ., Sez. VI, 3, Ord. n. 19708 del 25 luglio 2018).
 

4. Cenni di casistica della giurisprudenza di merito.

Cosicché, transitando dalla giurisprudenza di legittimità a quella di merito, apprendiamo, per esempio, che il Giudicante, nell’ambito d’un giudizio d’opposizione ad un decreto ingiuntivo, incardinato a fronte di un’ingiunzione di pagamento per la fornitura di merci e d’altre opere, accogliendo l’eccezione di decadenza sollevata dall’opposta dalla garanzia per vizi per omessa tempestiva denuncia degli stessi nel termine di 60 giorni ex art. 1667, C.c., rigettava l’opposizione, ritenendo fondata l’eccezione di decadenza. (Trib. Reggio Emilia, Sez. II, n. 1327 del 7 dicembre 2017).
Facendo corretta applicazione del principio in parola, il Giudicante, nel caso sopra scrutinato, ha ritenuto di decidere la causa sulla base d’una questione di più facile soluzione, nel senso, cioè, di pronunciarsi su d’una questione, id est quella sull’eccezione di decadenza dalla garanzia per vizi dell’opera, che si offriva quale ragione più evidente per l’estinzione immediata del giudizio, eccepita dall’opposta società creditrice.
Invertendo l’ordine del c.d. “decidere per gradi”, il Giudicante si è pronunciato, con effetto assorbente, su d’una questione che, nella progressione logico giuridica del percorso motivazionale, si sarebbe posta come dipendente rispetto a quella preliminare, incentrata sull’esistenza del fatto costitutivo del diritto azionato, vale a dire l’esistenza dei vizi di cui all’art. 1667, C.c.
Il principio della ragione più liquida ha consentito al Giudicante, adito per la domanda del risarcimento dei danni patrimoniali e non asseritamente subiti a seguito d’una illegittima segnalazione presso una Centrale Rischi Finanziari, di rigettarla non avendo l’attore allegato e provato i danni lamentati. (Trib. Benevento, Sez. II, Sent. n. 153 dell’1 febbraio 2021).
Il Giudicante, facendo applicazione della ragione più evidente, anziché esaminare la questione preliminare sull’ammissibilità e fondatezza della domanda di risarcimento del danno, si è direttamente pronunciato sulla quantificazione del danno, poste risarcitorie di cui l’attore non aveva in alcun modo fornito la prova.
Tra le diverse soluzioni che la causa decidendi offriva al Giudicante, quest’ultimo ha previlegiato quella che sul piano operativo offriva una soluzione rapida. Difatti, nel caso in esame, sarebbe stato superfluo esaminare l’ammissibilità della domanda di risarcimento se, comunque, l’attore non ne aveva fornito la benché minima prova sotto il profilo dell’esistenza e della sua asserita quantificazione.
Nell’ambito d’un giudizio ove l’attore, a valle, esperiva sia un’azione revocatoria ordinaria, ex art. 2091, C.c., sia un’azione di simulazione, ex art. 1414, C.c., avverso le donazioni immobiliari disposte in favore dei figli legittimi dal supposto padre rispetto al quale il medesimo, a monte, aveva incardinato l’azione di riconoscimento della paternità, ex art. 269, C.c., ivi reclamando il risarcimento del danno endofamiliare (c.d. danno da privazione del rapporto genitoriale), il Giudicante riportava  quanto statuito nell’ultimo giudizio poc’anzi citato, ove si estingueva la causa rilevando che non era stato allegato e provato dall’attore alcun elemento atto a dimostrare la componente soggettiva dell’invocato risarcimento di natura extracontrattuale. (Trib. Vicenza, Sez. II, n. 312 del 25 febbraio 2022).
Posto che nel giudizio concernente l’azione revocatoria, si rilevava la maturata prescrizione quinquennale della detta azione, nell’incardinato giudizio per il riconoscimento della paternità, il Giudice, facendo applicazione del principio della ragione più liquida, decideva la causa constatando che l’attore non aveva dato prova della componente soggettiva dell’invocato risarcimento del danno endofamiliare, di natura extracontrattuale e non patrimoniale, ex artt. 2043, 2059, C.c.,  essendo irrilevante accertare, finanche, la componente oggettiva del lamentato danno (condotta, evento e nesso causale), una volta verificato, per l’appunto, sul piano d’una soluzione che abbia il miglior impatto sul piano operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, che alcuna prova era stata fornita dal danneggiato del dolo ovvero della colpa.
In un giudizio volto ad ottenere, tra l’altro, la rimozione di manufatti costruiti in violazione delle norme sulle distanze legali, il Giudicante, si appella al principio della ragione più liquida  affermando che “… la controversia può essere decisa con l’applicazione del principio della “ragione più liquida”, il cui pregio è stato, ancora di recente, riconosciuto dalla Corte di legittimità.”. (Trib. Cassino, Sent. n. 183 del 22 febbraio 2022).
In tal giudizio, offrendo una soluzione che abbia un impatto operativo, prescindendo dalla coerenza logico sistematica, il Giudicante accerta, tra l’altro, che, invero, tal manufatti non possono esser considerati come opere edilizie stabilmente infisse al suolo, sicché l’assenza del presupposto giuridico e fattuale per la concessione dell’invocata tutela.
Ed, ancora, sempre nel solco della giurisprudenza di merito, il Giudicante afferma che “…non è affatto tenuto ad esaminare specificamente ed analiticamente tutte le quaestiones sollevate dalle parti, ben potendosi limitare alla trattazione delle questioni, di fatto e di diritto, rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata (…) secondo il noto principio della “ragione più liquida della decisione”…”. (Trib. Piacenza Sent. n. 39 del 4 febbraio 2022).
Nel giudizio d’opposizione ad un decreto con il quale s’ingiungeva il pagamento di canoni impagati per una locazione commerciale, il Giudicante rigettava l’opposizione esperita dalla società opponente rilevando che la garanzia personale fideiussoria prestata dai due soci della detta società non s’era affatto estinta nei confronti della beneficiata società locatrice opposta.
Ed, ancora, presso l’organo d’appello, si afferma “…di non avere ritenuto necessario affrontare la questione della correttezza delle valutazioni espresse dagli organi medico legali nel caso di specie sul presupposto che dovesse farsi applicazione del principio processuale, ormai consolidato, della “ragione più liquida”…”. (Corte d’Appello, Cagliari, Sez. Lavoro, Sent. n. 79 del 3 giugno 2022).
Nel caso in esame, la Corte d’Appello, nell’ambito d’un giudizio impugnato di primo grado concernente la reintegrazione d’una insegnante in servizio, in applicazione del principio della ragione più liquida, rigettava la richiesta di risarcimento del danno, di natura patrimoniale e non, in quanto ritenuta infondata, e ciò prescindendo dalla questione della valutazione espressa dagli organi medico legali il cui esame, pur se logicamente sovraordinato rispetto a quella risarcitoria, si palesava superfluo alla luce dell’infondatezza della pretesa risarcitoria.
È sempre il Giudice d’Appello ad affermare che ““In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” – desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. – deve ritenersi consentito al giudice esaminare un motivo di merito, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio, anche in presenza di una questione pregiudiziale…”. (Corte d’Appello, Milano, Sez. I, Sent. n. 1826 del 27 maggio 2022).
Nel caso appena scrutinato, la Corte d’Appello conferma la sentenza del Giudice di prime cure, avente, ad oggetto, la revoca d’un decreto ingiuntivo poiché la società opposta cessionaria del credito non aveva offerto alcuna allegazione del credito azionato (i singoli contratti stipulati dalla cedente con la cessionaria) nel giudizio monitorio e d’opposizione, sottraendosi, altresì, all’assolvimento dell’onere probatorio nella comparsa di costituzione e risposta oltre che nella prima memoria istruttoria ex art. 183, C.p.c,
 

5. Cenni di casistica nella giurisprudenza amministrativa.

Il principio della ragione più liquida ha trovato applicazione anche presso la giurisprudenza amministrativa. Per il Giudice amministrativo di primo grado “…ove sussistono cause che impongono di disattendere il ricorso, il giudice è esentato, in applicazione del ‘principio della ragione più liquida’, dall’esaminare le questioni processuali””. (Tar, Lazio, Roma, Sez.III, Sent. n. 14557 dell’8 novembre 2022). Il Tar rigetta il ricorso ritenendolo infondato nel merito, relativamente alla qualità dei diplomi di laurea richiesti per partecipare ad un bando indetto dal M.I.T., omettendo di scrutinare la questione pregiudiziale attinente alla tardività del ricorso.
Cosicché, il predetto giudice,  prescindendo dall’eccezione d’inammissibilità del gravame per carenza di interesse ad agire, rigetta il ricorso avverso il provvedimento demolitorio d’un manufatto illegale licenziato dall’amministrazione capitolina, ritenendo di pronunciarsi direttamente sul merito, e ciò in quanto “…il ricorso introduttivo è infondato, sicché il Collegio individua nell’infondatezza dell’ impugnazione la ‘ragione più liquida’ che meglio può realizzare l’economia dei mezzi processuali…”. (Tar, Lazio, Roma, II, Stralcio, Sent. n. 2465 del 13 febbraio 2023).
Anche presso il Consiglio di Stato, si afferma che “…Il principio della ‘ragione più liquida’, corollario del principio di economia processuale, consente di derogare all’ordine logico di esame delle questioni…”. (Consiglio di Stato, Sez.VI, Sent. n. 8238 del 26 settembre 2022). Il giudice d’appello respinge l’interposto gravame avverso la sentenza di prime cure che aveva rigettato l’impugnazione avverso il provvedimento comunale demolitorio di manufatti illegali edificati su d’una terrazza di proprietà privata, pronunciandosi sul merito della lite, prescindendo, pertanto, da questioni preliminari.
Ed è, ancora, il giudice d’appello a respingere il gravame avverso la sentenza di prime cure rigettando nel merito il proposto ricorso non sussistendo i requisiti di legge che avrebbero consentito all’ente comunale di indire, autonomamente, una gara per un appalto di servizi di pulizia svincolandosi dalla gara indetta dal soggetto aggregatore, anch’esso ente comunale (Consiglio di Stato, Sez. V, Sent. n. 3650 del 10 maggio 2022).

6. Il Principio della Ragione più Liquida quale principio applicabile soltanto alle questioni di merito.

Mette conto evidenziare che, proprio in seno alla giurisprudenza di legittimità, si registra un orientamento difforme rispetto a quello prevalente ora esaminato tramite le pronunce innanzi scrutinate.
Secondo tal orientamento, il principio della ragione più liquida dovrebbe esser impiegato dal giudice soltanto per le questioni di merito, giammai per quelle di rito.
In altri termini, per tal orientamento giurisprudenziale, l’art. 276, comma 2, C.p.c., stabilisce un ordine rigido, gerarchico, delle questioni da trattare, nel senso, cioè, che devono dapprima esser trattate le questioni preliminari di rito, e, di poi, quelle di merito.
Il Giudicante, se da una parte, può scegliere l’ordine delle questioni di merito da trattare, proprio in virtù del principio della ragione più liquida, dall’altra, gli sarebbe precluso d’applicar siffatto principio per quelle di rito, e ciò in quanto al medesimo sarebbe precluso d’esaminare una questione di merito senza aver prima esaminato quelle pregiudiziali.
In questa direzione, “…stabilisce una   tra l’esame delle questioni di rito e l’esame di quelle di merito, stabilendo che non possa mai esaminarsi il merito d’una domanda, se prima non vengano affrontate e risolte “le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d’ufficio””. (Cass. Civ., Sez. VI, 3, Ord. n. 30745 del 26 novembre 2019).
 

7. Le Sezioni Unite riaffermano l’obbligo di decidere la causa per gradi.

Nonostante l’orientamento di quella giurisprudenza scrutinata che riconosce al Giudicante d’applicare il principio della ragione più liquida, sicché di poter decidere la causa sulla base d’una questione di merito benché logicamente subordinata ad un antecedente pregiudiziale di rito, seppur con qualche distinguo al riguardo, relativamente a quel filone giurisprudenziale citato per il quale tal principio sarebbe applicabile soltanto per le questioni di merito, giammai per quelle di rito, le Sezioni Unite Civili, nondimeno, riaffermano che, nel nostro sistema processual civilistico, vige l’aurea regola, inderogabile, del decidere per gradi sancita dall’art. 276, comma 2, C.p.c.
In tal senso, il Supremo Collegio afferma, tra l’altro, che “…l’art. 276, stabilisce un ordine delle questioni in base al quale il giudice deve esaminare prima le eccezioni di rito e poi il merito…”. (Cass. civ., Sez. Un., n. 11799 del 12 maggio 2017).
L’organo nomofilattico, dunque, riafferma, convintamente, che il Giudicante deve, dapprima, esaminare le questioni di rito, vale a dire le pregiudiziali di rito, e, di poi, le pregiudiziali di merito, ed, infine, il merito in senso stretto, ossia pronunciarsi sulla fondatezza o meno della domanda.
Pertanto, il Giudicante che omettesse di pronunciarsi su di un’eccezione di rito, come per esempio, quella sul difetto di giurisdizione, antecedente logico giuridico senza la quale, per l’appunto, egli non avrebbe potestas iudicandi, incorrerebbe in un errore in procedendo, stante la violazione dell’ordine per gradi nel trattare le questioni posto dall’art. 276 C.p.c.
E ciò in quanto “…l’eccezione di rito doveva esaminarsi prima del merito e ne condizionava l’esame, il silenzio del giudice si risolve (…) in un error in procedendo, cioè nell’ inosservanza della regola per cui il merito si sarebbe potuto esaminare solo per il caso di infondatezza dell’eccezione di rito”. (Cass. Civ. Sez. Un., n. 11799 del 2017, cit.).

8. Conclusioni

In questa breve dissertazione, abbiam avuto modo d’apprendere come dall’elaborazione giurisprudenziale quivi rassegnata, si sia introdotto il principio processuale della “ragione più liquida”, che consentirebbe al Giudicante, disattendendo l’ordine delle questioni da trattare posto dall’art. 276, comma 2, C.p.c., di scrutinare questioni di merito pur prescindendo da quelle di rito che, rispetto alle prime, si porrebbero come un antecedente logico giuridico.
Dell’applicazione di tal principio, s’è visto come esso abbia cittadinanza non soltanto nella giurisprudenza di legittimità, ma anche in quella di merito ed in quella amministrativa. Che, in senso alla giurisprudenza, si è registrato anche un orientamento per il quale il principio in questione possa applicarsi soltanto per le questioni di merito, giammai per quelle di rito.
Abbiamo avuto modo d’osservare, finanche, che, nonostante l’orientamento giurisprudenziale favorevole al principio della ragione più liquida, nondimeno, le stesse Sezioni Unite del 2017, sono ancor a ribadire che, invero, l’ordine delle questioni posto dalla norma innanzi citata è inderogabile.
Eppure, al netto di tutto ciò, alcune riflessioni si offrono nella misura in cui l’applicazione “operativa” del principio in discorso possa collidere con alcuni principi costituzionali. Sovvien alla mente, per esempio, l’art. 25, comma 1, Cost., in forza del quale nessuno può esser distolto dal giudice precostituito per legge, nella misura in cui la pronuncia nel merito giustifichi, sulla base della ragione di più facile soluzione, l’omessa pronuncia sulle credenziali del giudice, vale a dire sulla sua giurisdizione, la quale, pur rappresentandosi come una questione preliminare di rito, resterebbe assorbita dal merito d’una lite sol perché la domanda sarebbe comunque infondata. Parimenti, egual riflessione potrebbe adombrarsi con il principio del contradditorio, ex art. 111, comma 2, Cost.

Giovanni Stampone

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