ll procedimento relativo ai figli nati fuori del matrimonio

Redazione 15/02/19
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L’art. 3, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219, ha innovato il testo dell’art. 38 disp. att. c.c. (successivamente integrato dall’art. 96, lett. c, del d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154), introducendo, nei commi 2 e 3, alcuni principi di carattere generale, che da un lato attribuiscono alla competenza del tribunale ordinario tutti i provvedimenti relativi ai figli minori per i quali non sia espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria, e che dall’altro prevedono l’applicazione degli artt. 737 ss. c.p.c., in quanto compatibili, nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori.

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Il provvedimenti nei confronti dei minori

Art. 38, commi 2 e 3, disp. att. c.c. Sono emessi dal tribunale ordinario i provvedimenti relativi ai minori per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria. Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli artt. 737 e seguenti c.p.c. Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente. Con queste essenziali disposizioni sono regolati anche i procedimenti relativi all’affidamento ed al mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio (la cui disciplina sostanziale è prevista dagli artt. 337 bis ss. c.c.), per i quali trovano applicazione le norme generali del rito camerale dettate dagli artt. 737 ss. c.p.c. Il capo VI sulle “Disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio” – sebbene collocato nel titolo II del libro quarto del codice, che riguarda i “procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone” – è composto da articoli che non disciplinano un particolare procedimento speciale ma dettano regole di carattere generale che “si applicano a tutti i procedimenti in camera di consiglio” (art. 742 bis c.p.c.).

Con questa espressione si indicano i procedimenti speciali che – diversamente dal processo ordinario di cognizione, il quale si articola in una serie di fasi in cui è garantita alle parti la possibilità di partecipare all’attività processuale secondo forme e termini prefissati dalla legge, e si conclude con una sentenza idonea a dar luogo al giudicato – si svolgono davanti al giudice in camera di consiglio, dove le esigenze di celerità prevalgono sulle garanzie del contraddittorio, in assenza di una rigida predeterminazione delle modalità di partecipazione delle parti al processo, con un rito semplificato non preordinato all’accertamento di diritti, caratterizzato dalla discrezionalità del giudice nella determinazione dello svolgimento dell’attività processuale e destinato a concludersi con un decreto motivato (salvo che la legge disponga altrimenti: v. art. 737 c.p.c.) revocabile e modificabile in ogni tempo (art. 742 c.p.c.); in tale procedimento gli atti sono compiuti senza specifici vincoli formali e la decisione del giudice non è preceduta dalla discussione in pubblica udienza (art. 128 c.p.c.) (Cass. civ., 30 dicembre 2015, n. 26200). La disciplina dei procedimenti camerali va dunque ricostruita integrando e coordinando le disposizioni comuni, dettate dagli artt. 737 ss. c.p.c., con le norme espressamente previste dal codice di procedura civile, dal codice civile e dalle leggi speciali, in riferimento allo specifico procedimento. Le lacune riscontrabili nella disciplina del rito camerale debbono colmarsi, in mancanza di deroghe esplicite o implicite, con il ricorso alle norme del rito ordinario di cognizione, che costituisce il paradigma procedimentale dell’ordinamento (Cass. civ., 16 luglio 2005, n. 15100, in Foro it., 2006, I, 476). I procedimenti relativi all’affidamento dei figli nati fuori del matrimonio rientrano tra i procedimenti camerali bilaterali, in cui la domanda è proposta nei confronti di un’altra parte, o di più parti, ed il provvedimento richiesto è volto a produrre effetti anche nella sfera giuridica di altri soggetti, nei cui confronti è chiesta la pronuncia del provvedimento. In tali procedimenti deve essere osservato il principio del contraddittorio di cui all’art. 101 c.p.c., espressione della garanzia costituzionale posta dall’art. 111, comma 2, Cost., e del diritto di difesa previsto dall’art. 24 Cost., con la conseguenza che tutti i soggetti nei cui confronti il provvedimento è destinato a produrre effetti debbono essere previamente sentiti dal giudice o quantomeno debbono essere posti in condizione di far valere le loro ragioni; tuttavia nel rito camerale, regolato da scarne disposizioni sullo svolgimento del procedimento, il contraddittorio si attua in maniera informale ed attenuata rispetto al processo ordinario di cognizione.

Il procedimento camerale

Si tratta, in particolare, di procedimenti di natura contenziosa, che incidono su diritti soggettivi o status, situazioni nelle quali il procedimento camerale, caratterizzato dall’indeterminatezza ed informalità del procedimento, nonché dall’assenza di preclusioni, non appare pienamente idoneo a garantire il rispetto dei principi costituzionali in tema di tutela giurisdizionale e di diritto di difesa, essendo regolato da disposizioni che non attuano una predeterminazione delle forme e dei termini, rispetto alle garanzie offerte dal procedimento ordinario di cognizione. In applicazione dell’art. 737 c.p.c., la domanda rivolta ad ottenere un provvedimento in materia di affidamento e di mantenimento dei figli minori nati fuori del matrimonio si propone con ricorso al tribunale ordinario territorialmente competente (in riferimento al luogo di residenza del minore: art. 709 ter c.p.c.); il presidente nomina il giudice relatore che riferisce in camera di consiglio. Sul punto la Corte di Cassazione ha precisato che: Il procedimento ex art. 317 bis c.c. (oggi 337 ter c.c.), riguardante i provvedimenti adottati dal giudice con riferimento ai figli minori, si instaura nel luogo di residenza abituale del minore, da identificarsi in quello in cui costui ha consolidato, consolida o potrà consolidare una rete di affetti e relazioni, tali da assicurare un armonico sviluppo psicofisico, sicché, nei casi di recente trasferimento, occorre una prognosi sulla probabilità che la nuova dimora diventi l’effettivo, stabile e duraturo centro di affetti e di interessi del minore, nonché che il cambiamento della sede non rappresenti un mero espediente per sottrarlo alla vicinanza dell’altro genitore o alla disciplina generale sulla competenza territoriale (Cass. ord., 20 ottobre 2015, n. 21285).

La Corte ha chiarito: Il procedimento di cui all’art. 337 ter c.c. è devoluto alla competenza del tribunale ordinario del luogo di residenza abituale del minore, non potendo subire la vis actractiva del tribunale per i minorenni, al quale l’art. 38 disp. att. c.c. attribuisce competenze tassativamente individuate, tra le quali non figura il predetto procedimento (Cass. ord., 22 novembre 2016, n. 23768; cfr. Cass. ord., 31 marzo 2016 n. 6249). Precisa ancora la Corte: Il procedimento ex 337 ter c.c. si instaura nel luogo di residenza abituale del minore, da identificarsi in quello in cui costui ha consolidato, consolida o potrà consolidare una rete di affetti e relazioni, tali da assicurare un armonico sviluppo psicofisico, sicché, nei casi di recente trasferimento, occorre una prognosi sulla probabilità che la nuova dimora diventi l’effettivo, stabile e duraturo centro di affetti e di interessi del minore e che il cambiamento della sede non rappresenti un mero espediente per sottrarlo alla vicinanza dell’altro genitore o alla disciplina generale sulla competenza territoriale. (Nella specie, la Corte ha escluso che la minore, di pochi mesi, avesse consolidato una rete di affetti nella città in cui aveva vissuto con la madre dalla nascita e ha dichiarato la competenza territoriale del tribunale della città in cui si trovava la nuova sede lavorativa della madre e dove quest’ultima aveva iscritto la figlia in un asilo, così dimostrando la chiara intenzione di un definitivo trasferimento suo e della minore) (Cass. ord., 15 novembre 2017, n. 27153).

Il procedimento, cui deve partecipare il pubblico ministero, si svolge nel contraddittorio delle parti davanti al tribunale, riunito in camera di consiglio in composizione collegiale, che può assumere informazioni e compiere attività istruttoria. La decisione è pronunciata nella forma di decreto motivato, soggetto a reclamo da proporre alla Corte d’appello, a norma dell’art. 739 c.p.c., nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione eseguita su istanza della parte interessata. Nei procedimenti propriamente contenziosi, in cui i genitori formulano richieste contrapposte, il tribunale pronuncia il provvedimento nel contraddittorio tra le parti, avuto riguardo all’interesse superiore dei figli. Peraltro, anche in materia di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, il procedimento può essere introdotto dalle parti con ricorso congiunto; in tal caso il tribunale, valutata la corrispondenza delle condizioni concordate all’interesse dei minori, dispone che i rapporti tra i genitori nei confronti dei figli siano regolati dagli accordi sottoscritti (pronunciando un decreto i cui effetti sono assimilabili all’omologazione della separazione consensuale, di cui all’art. 711 c.p.c.).

In applicazione del principio enunciato dall’art. 710, comma 3, c.p.c., si ritiene che, quando non sia possibile definire immediatamente il procedimento, il tribunale possa adottare provvedimenti provvisori – peraltro non immediatamente reclamabili – e modificarne ulteriormente il contenuto nel corso del procedimento. È ugualmente sottoposto al rito camerale, ed alle relative norme processuali, anche il procedimento volto alla modifica dei provvedimenti giudiziali concernenti l’affidamento dei figli. La Suprema Corte ha inoltre precisato che: La controversia relativa alla modifica delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, ai sensi dell’art. 337 quinquies c.c., appartiene all’esclusiva competenza del tribunale ordinario territorialmente individuato in base alla residenza dei figli minori, così come determinata dal provvedimento giudiziale di cui si chiede la modifica (Cass. ord., 14 dicembre 2016, n. 25636).

La scelta operata dal legislatore, con l’art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, di applicare il rito camerale rende evidente il perdurare dell’attenuazione delle garanzie nei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Tuttavia, la parificazione della tutela sostanziale riconosciuta in favore di tutti i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, permette di allontanare i dubbi di costituzionalità della normativa introdotta della legge 10 dicembre 2012, n. 219, sotto il profilo della disparità di trattamento, con riferimento alle differenti discipline processuali applicabili nelle controversie familiari riguardanti i figli di genitori non coniugati – sottoposte dall’art. 38, comma 2, disp. att. c.c. al rito camerale regolato dagli artt. 737 ss. c.c. – rispetto ai giudizi di separazione e divorzio, che, seppure caratterizzati da elementi di specialità, assicurano comunque il rispetto di tutte le garanzie proprie del processo ordinario di cognizione.

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