Lo stalking: dalla molestia agli atti persecutori

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La storia dell’istituto
Per definire questo fenomeno si usa il termine stalking preso in prestito dalla attività venatoria, perché il “fare la posta” rende esattamente l’idea sia del comportamento del molestatore assillante che delle reazioni fisiche e psichiche che questo scatena nella sua vittima.
Il fenomeno non è nuovo: di stalking si è cominciato a parlare sin dagli anni ’80, anche se limitatamente ai casi in cui in cui la molestia assillante colpiva le celebrità dello spettacolo e dello sport. Tuttavia, nell’ultimo decennio, il moltiplicarsi di denunce e di decisioni giudiziarie rivela che la sindrome del molestatore assillante è diventata un problema esteso e diffuso, che può coinvolgere chiunque, a causa della sempre maggiore frequenza con la quale i molestatori assillanti prendono di mira persone “comuni”.
In alcuni Paesi (Stati Uniti, Inghilterra, Canada e Australia) il fenomeno ha assunto dimensioni preoccupanti, tanto da rendere indispensabile l’adozione di una disciplina apposita sin dagli anni ’90.
In Italia, invece, probabilmente per ragioni culturali e sociali, lo sviluppo, la consapevolezza e l’adeguata valutazione di questo problema sono stati decisamente più lenti. Ecco perché, sino a questo momento, non esistendo una specifica fattispecie di reato, le vittime dei molestatori assillanti potevano solo chiedere tutela contro i singoli comportamenti, penalmente o civilmente rilevanti, costituenti la manifestazione della persecuzione.
In particolare le condotte di stalking (complessivamente considerate), se capaci di integrarne gli estremi, vengono per lo più fatte confluire nella fattispecie prevista dall’art. 660 c.p. ossia il reato di “Molestia o disturbo alle persone” (“Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a € 516”).
Purtroppo, spesso, lo stalker non si limita a molestare la vittima ma pone in essere comportamenti illeciti ulteriori, costituenti autonome figure di reato oggetto di specifica sanzione, quali: l’omicidio (art. 575 c.p.), le lesioni personali (art. 582 c.p.), l’ingiuria (art. 594 c.p.), la diffamazione (art. 595 c.p.), la violenza privata (art. 610 c.p.), la minaccia (art. 612 c.p.), la violazione di domicilio (art. 614 c.p.) il danneggiamento (635 c.p.).
Moltissimi casi di stalking e di violenza si consumano all’interno delle mura domestiche. In questi casi il coniuge o il convivente che subisce condotte pregiudizievoli per l’integrità fisica, morale o per la libertà da parte dell’altro coniuge o convivente può chiedere al Giudice l’adozione dei cosiddetti “ordini di protezione” (ordine di cessazione della condotta, allontanamento dalla casa familiare, prescrizione di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima quali il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia d’origine, di altri prossimi congiunti, la scuola dei figli, etc…). Anche questi strumenti di tutela sono relativamente recenti: gli artt. 342 bis e 342 ter, che li disciplinano, sono stati inseriti nel codice civile nel 2001 dalla legge n. 154.
L’emergenza scatenata dalla frequenza quotidiana di episodi di cronaca legati direttamente o indirettamente alle molestie assillanti ha mostrato l’insufficienza di questi strumenti rispetto alla peculiarità, all’entità e alla gravità del fenomeno e ha reso pressante l’esigenza di un intervento specifico.
L’evoluzione normativa recente
Sotto la pressione di questa emergenza, dal più ampio pacchetto antiviolenza (tuttora al vaglio ordinario delle Camere) le disposizioni relative al nuovo reato “atti persecutori” (unitamente a quelle che prevedono l’estensione della legge Mancino ai reati d’odio perpetrati contro le persone per il loro orientamento sessuale e identità di genere) sono state stralciate e devolute all’esame e all’approvazione delle Commissioni Giustizia del Parlamento. Questo iter, caratterizzato da maggiore rapidità, ha già prodotto (il 15 gennaio 2008) la approvazione del disegno di legge da parte della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati. Di seguito si riporta il testo delle nuove disposizioni attualmente all’esame ed in attesa di approvazione da parte del Senato.
 
TESTO UNIFICATO
MISURE CONTRO GLI ATTI PERSECUTORI E LA DISCRIMINAZIONE FONDATA SULL’ORIENTAMENTO SESSUALE O SULL’IDENTITÀ DI GENERE

Art. 1.
(Modifiche al codice penale).
1. Dopo l’articolo 612 del codice penale sono inseriti i seguenti:
«Art. 612-bis. – (Atti persecutori). – Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a quattro anni.
La pena è aumentata fino a due terzi se il fatto è commesso da persona già condannata per il delitto di cui al primo comma.
La pena è aumentata fino alla metà e si procede d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore ovvero se ricorre una delle condizioni previste dall’articolo 339.
Si procede altresì d’ufficio se il fatto è commesso con minacce gravi ovvero nei casi in cui il fatto è connesso con altro delitto per il quale è prevista la procedibilità d’ufficio.
Art. 612-ter. – (Diffida). – La persona che si ritiene offesa da condotta che può presentare gli elementi del reato di cui all’articolo 612-bis può presentare all’autorità competente richiesta di diffida all’autore della stessa.
Quando sussistono specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di reiterazione del reato di cui all’articolo 612-bis, l’autorità di pubblica sicurezza, su autorizzazione del pubblico ministero che procede, diffida formalmente l’indagato dal compiere ulteriori atti persecutori.
La diffida è notificata all’indagato con le forme di cui agli articoli da 148 a 171 del codice di procedura penale.
Se nonostante la diffida formale l’indagato commette nuovi atti persecutori espressamente denunciati all’autorità, il reato è perseguibile d’ufficio e la pena detentiva prevista dal primo comma dell’articolo 612-bis è aumentata fino a sei anni.».
2. All’articolo 577 del codice penale, primo comma, dopo il numero 4), è aggiunto il seguente: «5) a seguito degli atti persecutori di cui all’articolo 612-bis».
3. All’articolo 609-ter del codice penale, dopo il secondo comma, è aggiunto il seguente: «La pena è della reclusione da quattro a quattordici anni se il fatto è commesso in seguito ad atti persecutori di cui all’articolo 612-bis».

Art. 2.
(Modifiche al codice di procedura penale).
1. All’articolo 266, comma 1, lettera f), dopo la parola: «minaccia,» sono inserite le seguenti: «atti persecutori,».
2. All’articolo 392, il comma 1-bis, la parole 609-bis è aggiunta la seguente: «612-bis».
3. Al comma 5-bis dell’articolo 398 dopo la parola: «609-octies» è aggiunta la seguente: «612-bis».
4. Al comma 4-ter dell’articolo 498 dopo la parola: «609-octies» è aggiunta la seguente: «612-bis».
5. Dopo l’articolo 282-bis è inserito il seguente: «Art. 282-ter. – (Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa). – 1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa.
2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi.
3. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
4. I provvedimenti di cui al presente articolo sono comunicati all’autorità di pubblica sicurezza competente, ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni, e ai servizi socio-assistenziali del territorio».

Art. 3.
(Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654 ed al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205).
1. All’articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, lettera a), le parole: «o religiosi» sono sostituite dalle seguenti: «, religiosi o fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere»;
b) al comma 1, lettera b), le parole: «o religiosi» sono sostituite dalle seguenti: «, religiosi o fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere»;
c) al comma 3, le parole: «o religiosi» sono sostituite dalle seguenti: «, religiosi o fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere».
2. La rubrica dell’articolo 1 del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, è sostituita dalla seguente: «Discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere».
3. All’articolo 3, comma 1, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, le parole: «o religioso» sono sostituite dalle seguenti: «, religioso o motivato dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere».
4. All’articolo 6, comma 1, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, dopo le parole: «comma 1,» sono inserite le seguenti: «ad eccezione di quelli previsti dall’articolo 609-bis del codice penale,».

Diversamente dal reato di cui all’art. 660 c.p. che rientra tra le “contravvenzioni concernenti l’inosservanza dei provvedimenti di polizia e le manifestazioni sediziose e pericolose”, il nuovo reato di cui all’art. 612 bis c.p. è concepito come un delitto contro la libertà morale. Una ipotesi specifica del più generale reato di minaccia, disegnata traendo spunto dal vasto repertorio di comportamenti minacciosi e persecutori e delle conseguenti ripercussioni fisiche e psichiche sulle vittime, passati al vaglio della giurisprudenza chiamata a pronunciarsi su questi casi. In genere, la procedibilità è a querela della persona offesa. La tutela è rafforzata, e si procede d’ufficio, se il fatto è commesso nei confronti di un minore ovvero se ricorre una delle condizioni previste dall’articolo 339 c.p., oppure se il fatto è commesso con minacce gravi ovvero nei casi in cui il fatto è connesso con altro delitto per il quale è prevista la procedibilità d’ufficio. Il successivo art. 612 ter consegna alla vittima, che abbia già subito e denunciato condotte persecutorie e che abbia fondato motivo di temerne la ripetizione in futuro, uno strumento “cautelare” che consente di intervenire tempestivamente e preventivamente nella speranza di evitare ulteriori comportamenti più gravi e magari irrimediabili. E’ la diffida formale del persecutore dal compiere ulteriori atti persecutori che la vittima può chiedere e ottenere dall’Autorità di P.S. competente previa autorizzazione del PM procedente. Con finalità dissuasive la disposizione stabilisce anche che se, nonostante la diffida formale, l’indagato commette nuovi atti persecutori (espressamente denunciati), il reato è perseguibile d’ufficio e la pena detentiva è aumentata fino a sei anni. Inoltre gli atti persecutori, di cui alla fattispecie in questione, divengono circostanza aggravante per i reati di violenza sessuale e di omicidio.
Il fenomeno e i suoi protagonisti
Lo stalker. Lo stalking non è un fenomeno omogeneo sicché non è possibile tracciare un identikit del tipico stalker. Sono le denunce e i casi risolti dalla giurisprudenza a rivelare le caratteristiche di questi individui e il tipo di relazioni in virtù delle quali scelgono la loro vittima. I comportamenti assillanti possono provenire indistintamente da un uomo o da una donna, anche se nella maggior parte dei casi (il 70-80%) si tratta di un uomo, partner o ex partner della vittima. Il persecutore, tuttavia, può essere un amico, un conoscente, un collega, un compagno di classe, un vicino di casa, un collaboratore, un ammiratore, un cliente o ex cliente della vittima o addirittura un completo estraneo, uno sconosciuto incontrato per caso, magari per motivi di lavoro. Può anche trattarsi di un individuo con un vita apparentemente normale, infatti non sempre il molestatore assillante è una persona con precedenti penali, affetta da disturbi mentali o dedita all’abuso di sostanze stupefacenti o alcoliche.
Il comportamento dello stalker. La gamma delle condotte che possono essere qualificate come molestia assillante (o “atto persecutorio”, seguendo la nuova terminologia) è piuttosto varia e comprende: il sorvegliare, aspettare, inseguire, raccogliere informazioni sulla vittima e sui suoi movimenti, le intrusioni, gli appostamenti sotto casa o nel luogo di lavoro, i pedinamenti, i tentativi (anche indiretti) di comunicazione e di contatto ad esempio con lettere, telefonate, e-mail, chat-lines (il cosiddetto cyberstalking), sms, graffiti o murales, lasciare messaggi a casa, in ufficio o sull’auto, inviare fiori e regali, fare visite a sorpresa, incontrare “casualmente” la vittima nei luoghi da essa abitualmente frequentati, rubare e leggere la corrispondenza della vittima, ordinare merci e servizi a nome della vittima, diffondere dichiarazioni diffamatorie e oltraggiose a carico della vittima, minacciare di usare violenza contro la vittima, i suoi familiari, altre persone o contro animali cari alla vittima, infiltrarsi negli spazi abitativi della vittima, danneggiare, imbrattare o distruggere le proprietà della vittima. Ovviamente questa elencazione è puramente esemplificativa e comprende i comportamenti “tipici”, ossia denunciati più frequentemente. Al di là delle modalità specifiche, che distinguono i singoli casi, in genere la persecuzione è il frutto della combinazione di più azioni moleste. E’ interessante notare come, ancora oggi, il telefono sia lo strumento prediletto per i primi contatti (nel 70% dei casi) anche se non è da trascurare il ruolo crescente del computer: nell’era informatica sono in aumento i cosiddetti cyberstalkers ossessionati dalla vittima “conosciuta” in chat. In campo professionale si possono verificare ipotesi definite di “stalking occupazionale” caratterizzate dal fatto che la causa delle persecuzioni sulla vita privata proviene dall’ambiente lavorativo della vittima[i]. L’esempio tipico di questo fenomeno è quello del dipendente che, mosso dal desiderio di vendetta nei confronti del superiore prepotente o limitante, non volendo colpirlo sul lavoro per paura delle conseguenze e dei testimoni, decide di perseguitarlo nella sua vita privata. Rientra in questa categoria anche il fenomeno opposto ove, ad un conflitto lavorativo già in atto, il persecutore aggiunge le molestie nella vita privata al fine di completare e/o rafforzare il suo progetto di mobbing, per esempio per costringere la vittima alle dimissioni o a rinunciare ad una promozione, nel caso in cui atteggiamenti di mobbing “puro” si siano rivelati inefficaci allo scopo. Infine sono stati registrati casi di “stalking occupazionale al rovescio”, in cui i protagonisti si scambiano i rispettivi ruoli: è il caso dei lavoratori “mobbizzati”, licenziati o allontanati, che per vendicarsi della persecuzione subita dall’ex datore di lavoro, lo molestano sulla vita privata. 
 
Alla base delle molestie assillanti c’è una ossessione “vivente”, dinamica e in continua crescita. Ciò dipende dalla costante esigenza dello stalker di alimentare le proprie emozioni, bisogni, impulsi, desideri e/o intenzioni con stimoli sempre nuovi alla ricerca di soddisfazione e appagamento. In un arco di tempo variabile e a volte imprevedibile comportamenti, da principio apparentemente innocui, possono trasformarsi sino a degenerare e diventare particolarmente aggressivi e violenti (violenza fisica di diversa entità, violenza sessuale, omicidio tentato o consumato). E’ importantissimo, quindi, non sottovalutare quelle singole condotte che rappresentano indizi della presenza del comportamento persecutorio, poiché una diagnosi tempestiva consentirà di prevedere le azioni dell’autore e le reazioni della vittima al fine di intervenite per evitare o quantomeno limitare i danni.
I comportamenti molesti diventano atti persecutori quando siano:
a) consapevoli e intenzionali.
b) reiterati, ripetuti e continuati, insistenti e duraturi (per settimane, mesi, a volte anni, spesso a qualsiasi ora del giorno e della notte). Si ritiene che debbano proseguire per un periodo minimo di 4 settimane ed essere replicati per un numero minimo di dieci manifestazioni. Questo è l’aspetto principale che differenzia lo stalking da un comportamento “normale”. Per esempio, se al tentativo di stabilire un rapporto con un’altra persona questa risponde negativamente, la persona normale capisce che l’altra non è interessata, lo stalker invece continua ad insistere. Oppure, alla fine di una relazione amorosa è normale che il partner abbandonato si senta turbato e tenti (per qualche tempo) di ristabilire un contatto con l’altra persona nella speranza di avere un’altra occasione di ricostruire il rapporto. Se l’altro partner ha chiarito espressamente il suo rifiuto, la persona normale si rassegna, lo stalker continua ad insistere ad oltranza.
c) naturalmente devono essere indesiderati, sgraditi e intrusivi tali, cioè, da creare disagio psichico e fisico e un ragionevole senso di timore, ansia o paura nella vittima.
 
I persecutori sono spinti dalle motivazioni più varie. Moltissimi sono risentiti che molestano per il desiderio di vendicarsi di un danno o di un torto, vero o presunto, che ritengono di aver subito. I molestatori risentiti sono piuttosto pericolosi sia perché i loro comportamenti appaiono (dall’esterno) socialmente accettabili (si pensi ai vari comportamenti ritorsivi in campo affettivo o lavorativo) sia perché agiscono per distruggere l’immagine della persona e, poi, la persona stessa. La maggior parte delle persecuzioni che vengono denunciate proviene dai respinti ossia da ex partner che vogliono ristabilire la relazione o vendicarsi per l’abbandono (dovuto alla rottura di un fidanzamento, alla separazione coniugale o al divorzio). La persecuzione può durare molto tempo poiché rappresenta un surrogato della relazione persa. La difficoltà ad instaurare relazioni sociali equilibrate caratterizza i bisognosi d’affetto che agiscono mossi dal desiderio di avere una relazione d’amicizia o d’amore. La scelta della vittima ricade sulla persona sconosciuta o conosciuta superficialmente che, valutata sommariamente, sembra il partner o l’amico/a ideale i cui gesti, parole e comportamenti vengono fraintesi tanto da interpretare il loro rifiuto come assenso o, peggio, come messaggio del desiderio dell’altro di essere corteggiato. Anche i corteggiatori incompetenti tengono comportamenti molesti a causa delle loro scarse abilità relazionali, diventando opprimenti, aggressivi e villani. Solitamente le molestie a carico della stessa persona non sono durature, ma essi tendono a cambiare spesso destinatario delle molestie. Infine i predatori predispongono un programma fatto di molestie e persecuzioni di varia natura, il cui fine è quello di preparare una aggressione sessuale ai danni della vittima[ii].
 
La vittima. Le molestie assillanti, che possono essere destinate tanto alle donne quanto agli uomini, colpiscono per lo più le donne (86%). Le persone più a rischio sono quelle che svolgono le cosiddette “professioni di aiuto”: l’ascolto e l’intervento su questioni particolarmente intime e delicate, l’interesse e la dedizione professionale, possono venire fraintese come interesse affettivo personale e amoroso da parte del professionista. Così di fronte alla delusione per il tradimento di una aspettativa eccessiva che si reputa tradita o alla realizzazione della obiettiva funzione del professionista, il comportamento persecutorio è un modo per attirare l’attenzione o per vendicarsi del (presunto) abbandono. Tipici sono i casi di avvocati molestati “per aver perso la causa” o di giudici per aver emesso sentenze di condanna o di chirurghi “per aver sbagliato l’operazione".
Lo stalking condiziona ogni aspetto della vita personale e professionale della vittima, ne limita la libertà e ne viola la privacy. Il dover subire la costante presenza e il controllo imposti dallo stalker pone la vittima in uno stato di perenne emergenza, e stress psicologico dovuti alla preoccupazione, all’angoscia e alla paura per la incolumità propria e dei propri cari.
Purtroppo in alcuni casi, o perché il comportamento aggressivo viene sottovalutato o perché si evolve troppo rapidamente, la gravità della situazione emerge quando è ormai troppo tardi, ossia dopo che gli atti persecutori sono sfociati nell’omicidio o nel suicidio. Nella maggior parte delle ipotesi gli effetti delle molestie sulla vittima, pur non arrivando a gesti estremi, sono, ciò nondimeno, numerosi e rilevanti sia sul piano fisico che su quello psichico. Tra questi i più frequenti sono i disturbi d’ansia, del sonno, della concentrazione e, in certi casi, anche il cosiddetto disturbo post – traumatico da stress che, spesso, non cessano in concomitanza con la cessazione delle molestie.
In certi casi la gravità della situazione impone alla vittima l’assunzione di scelte radicali (come lo stravolgimento dello stile e delle abitudini di vita) dettate esclusivamente dall’esigenza di sfuggire al persecutore: ne sono esempi il cambiamento del numero di telefono, l’uso del cognome da nubile sul lavoro o il cambiamento del lavoro, della casa, della città, il trasferimento in uno Stato estero, la frequentazione di corsi di autodifesa o l’acquisto di un arma, l’istallazione di apparecchi tecnologici o sistemi di allarme, la sostituzione della serratura della porta.
Oltre ai danni patrimoniali (per esempio quelli derivanti dal danneggiamento di beni della vittima), in presenza di prova idonea (quale è la documentazione medica attestante la dipendenza del processo psicopatologico dalle molestie e, in particolare, una perizia medico-legale che attesti l’entità dei postumi) è risarcibile anche il “danno esistenziale da stalking[iii].
 
L’approccio e le reazioni della vittima rispetto alla aggressione persecutoria, diversi da persona a persona, non possono e non devono essere trascurate se si vuole garantire una tutela tempestiva ed efficace.
Convenzioni sociali o familiari, coinvolgimento emotivo, sentimenti di varia natura (oltre alla paura di ritorsioni del persecutore, spesso si tratta di vergogna o timore di pregiudizi) privano la vittima della lucidità necessaria per valutare obiettivamente i comportamenti aggressivi, senza giustificarli o sminuirli e, quindi, ritardano la reazione e la denuncia. In molte vittime, ad esempio, si è riscontrato un progressivo isolamento sociale dovuto al desiderio di proteggersi dal molestatore ed una progressiva difficoltà a denunciare il fenomeno per paura di ulteriori aggravamenti. Probabilmente è per questo motivo che i casi denunciati alle Forze dell’Ordine sono solo il 20%[iv].
 
Si auspica che l’approvazione definitiva della nuova disciplina penalistica consenta interventi che, considerata l’importanza dei beni giuridici coinvolti, siano preoccupati più che del pedissequo, zelante (e, spesso, ottuso) attaccamento alle forme, della protezione sostanziale, tempestiva ed effettiva delle vittime, oggi rimesse in gran parte all’iniziativa, alla buona volontà e al coraggio dei singoli.
 
Manuela Gagliega
 


Note:
 
[i] Harald Ege, “Oltre il Mobbing. Straining, stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro”, Ed. Franco Angeli, 2005.
[ii] Mullen P.E., Pathè M., Purcell R., Stuart G.,“A study of stalker”, 1999.
[iii] Fernanda Vaglio, “Il danno esistenziale da stalking” in www.personaedanno.it
[iv] Le percentuali sono il frutto di una ricerca sullo stalking dell’Associazione italiana di psicologia e criminologia.
 
Siti di interesse:
www.psicologialegale.it
 

Gagliega Manuela

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