Lo “stato d’eccezione” dell’ordinamento giuridico italiano

1. Premessa

Soprattutto nelle ultime settimane si è acceso il dibattito sulla legittimità o meno dell’operato del Governo in questo periodo storico caratterizzato da una emergenza sanitaria determinatasi a seguito della diffusione del Covid-19 nel nostro Paese.

Dopo una prima fase di accettazione passiva della nuova situazione e delle disposizioni governative, smaltita la “sbornia” iniziale determinata dalla perdita di certezze e dalla paura delle conseguenze disastrose prospettate, ecco che la ragione è tornata a fare il suo dovere. Così, da alcune settimane si sono riaperte le riflessioni e numerosi interventi sono stati proposti dal mondo accademico e non solo. Numerose interpretazioni sono state suggerite da autorevoli commentatori riguardo all’operato del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Governo e delle altre istituzioni coinvolte e tanti sono stati i rilievi critici mossi. Non è certo possibile dire che vi sia una posizione unanime, tutt’altro, ma si può ritenere che moltissimi, con sfaccettature e sensibilità normali in un dibattito di tal fatta, hanno posto l’accento sul pericolo rappresentato dal modus operandi scelto dal Governo per fronteggiare questa crisi[1].

Nonostante la complessità delle questioni affrontate e nella problematicità delle diverse interpretazioni offerte, si ritiene di poter offrire due punti fermi.

Il primo è dato da una evidenza fattuale, ovvero la situazione particolare in cui si è trovato ad operare il Governo italiano.

Il secondo è dato dal fatto che in questo operare sono state imposte pesantissime limitazioni alle libertà personali dei cittadini, libertà riconosciute e garantite dalla Costituzione repubblicana (libertà di circolazione, libertà di soggiorno, libertà di riunione, libertà di impresa).

Rispetto a questi dati di certezza non si sta dando alcun tipo di giudizio politico. Lo scopo di questa analisi non è infatti offrire un giudizio politico, quello rimane nella libera determinazione di ogni singolo cittadino, piuttosto è analizzare i fatti e comprendere le criticità che una situazione di “stress” ha determinato sull’intero sistema democratico italiano.

Per fare questo però una domanda è ineludibile.

Possiamo ritenere accettabile una privazione delle principali libertà riconosciute e tutelate dalla Costituzione da parte del Governo (di qualsiasi Governo)?

Rispondere a questa domanda non è opera di poco conto in quanto le questioni giuridiche e anche politiche che vengono in rilievo sono molteplici.

Personalmente, anticipando quanto si dirà oltre, non ritengo che si possano giustificare limitazioni così pressanti della libertà personale e non ritengo che sia compito del Governo effettuare queste limitazioni.

Purtroppo il dibattito di questi mesi è stato viziato da una insana contrapposizione tra diritto alla salute e libertà personali. Una contrapposizione mal posta.

D’altra parte, lo stato di eccezione che ha vissuto e vive l’Italia non giustifica la creazione di una normazione di emergenza o di “guerra” (come pure è stato detto) perché proprio nei momenti di crisi è dovere di un Paese stringersi intorno alle certezze democratiche e costituzionali. Come è stato correttamente evidenziato la nostra Carta Costituzionale rimane la migliore bussola per affrontare le crisi e superare le tempeste più violente che possono abbattersi sulla nave Italia.

Fatte queste premesse è ora possibile dare un quadro più preciso della situazione che si è venuta a creare nel nostro Paese dal punto di vista giuridico a seguito del diffondersi del Coronavirus.

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2. Decreti Legge e DPCM: troppi problemi.

Con Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 7, comma 1, lettera c), e dell’articolo 24, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, è stato dichiarato per la durata di 6 mesi lo stato di emergenza inconseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili.

A seguito di questa fatidica dichiarazione sono letteralmente piovute sulle teste degli italiani numerosi provvedimenti emergenziali (Decreti Legge, Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, Ordinanze di Presidenti di Regione e Ordinanze di Sindaci). Una copiosa attività normativa che ha introdotto nel nostro ordinamento un diritto di emergenza (o dell’emergenza) in grado di incidere pesantemente sui diritti costituzionali e sulle libertà di ognuno di noi. Per il tramite di misure straordinarie ed eccezionali, ritenute necessarie per tutelare la salute pubblica, è stato disposto un lockdown sull’intero territorio nazionale e sono state di fatto limitate le principali libertà costituzionalmente riconosciute in capo ai cittadini (libertà di circolazione, libertà di riunione, libertà di impresa, libertà di culto, ecc.).

Questa scelta ha, come abbiamo detto, sollevato numerose critiche.

La critica più forte ha riguardato la decisione del Governo di ricorrere ad una serie di Decreti Legge e, soprattutto, ai Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) per normare la materia e limitare le libertà suddette. Si è osservato da più parti che gli strumenti utilizzati non sarebbero del tutto in linea con il dettame della nostra Carta Costituzionale. Come d’altra parte si è ritenuto che una così evidente e pesante limitazione delle libertà costituzionali (senza precedenti nella storia repubblicana) non doveva essere effettuata con il tramite di atti normativi a carattere amministrativo.
La mancata parlamentarizzazione della emergenza è stata vista da molti commentatori come un grave abuso da parte del potere esecutivo.

Se, infatti, è vero che il Decreto Legge prevede un passaggio Parlamentare successivo, è anche vero che invece l’utilizzo dei Dpcm è completamente fuori controllo. I Dpcm, in quanto atti normativi di carattere amministrativo sono sottratti al controllo del Parlamento (controllo politico) ma anche al controllo della Consulta (controllo di legittimità).

Nonostante le critiche, il Governo ha ritenuto di operare per mezzo di fonti normative secondarie prive di forza di legge e, cosa ancor più grave, ha ritenuto accettabile continuare lungo questa via anche per gestire il passaggio alla cosiddetta Fase 2.

L’utilizzo dei DPCM in materia di libertà personali “degrada e svilisce le libertà costituzionali ad un livello che non meritano; non da ultimo perché, dentro quella superiorità che il criterio di gerarchia delle fonti riconosce al decreto legge, vi è la garanzia suprema di un atto che, proprio per la sua delicatezza, passa nelle mani (e negli occhi) tanto del Capo dello Stato quanto, poi, del Parlamento, chiamato alla sua conversione[2]. D’altra parte, le stesse norme costituzionali che riconoscono e disciplinano le singole libertà prevedono la possibilità di una limitazione di queste ma sempre in casi eccezionali e mediante l’utilizzo della legge e non di atti amministrativi.

Peraltro, tale modus operandi, di fatto, ha acuito criticità già presenti nel nostro sistema politico e costituzionale esaltando alcune prassi già in voga in precedenza ed introducendone di nuove.

Nello specifico, la scelta di operare prevalentemente per il tramite di Dpcm, ha ingenerato l’idea di una “normazione di guerra” tipica dei momenti bui della storia dei popoli.

Una normazione caratterizzata da:

1. eclissi delle libertà;

2. centralizzazione;

3. personalizzazione del potere.

La “personalizzazione del potere” si traduce inevitabilmente in una vera e propria curvatura autoritaria del nostro ordinamento, nella ricerca dell’uomo forte, dell’amministratore dal pugno duro.

Ma non solo.

La personalizzazione si traduce anche in una marginalizzazione degli organi collegiali (aggiungerei democratici) ed in primis del Parlamento. In generale tutti gli organi collegiali hanno perso la voce, come sottolinea appunto Michele Ainis il quale evidenzia come a Milano non ci sia più una Giunta regionale ma esista solo il Governatore. Lo stesso accade nelle altre Regioni e nei tanti Comuni che costituiscono l’ossatura democratica del nostro Paese.

Una condizione che rende vero quanto sosteneva Carl Schmitt con la famosa espressione “Sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione[3]. Durante un’emergenza l’ordinamento si ritrae, il sistema democratico fa un passo indietro e lascia spazio al sovrano, al governatore, all’uomo solo al potere.

Nonostante il tentativo di sminuire questi fenomeni da parte di alcuni commentatori, è innegabile che quanto appena descritto corrisponda a quanto accaduto nel nostro Paese. Non è un caso che da diversi mesi a questa parte tutta l’attenzione sia focalizzata sul Presidente del Consiglio e sui Presidenti di Regione. Come non è un caso che alcuni Sindaci per attirare l’attenzione siano costretti ad alzare i toni e a mostrarsi al pubblico come veri e propri “giustizieri” che si aggirano nelle strade deserte in cerca di mal capitati trasgressori del lockdown.

Una gara a chi si mostra più forte, uno svilimento delle funzioni degli organi collegiali dove si esercita la democrazia rappresentativa, un lessico militare e l’idea di essere padroni di territori e delle libertà dei cittadini.

Diversamente da quanto si pensa, non dovrebbe affatto essere così.

Il timone della crisi dovrebbe essere nelle mani del Parlamento così come stabilito dall’articolo 78 della Costituzione e non in quelle del Governo.

Peraltro, pur volendo ammettere che ci possa essere una qualche forma di giustificazione derivante dal fatto che la situazione che si trovava ad affrontare il Paese era una situazione particolarmente complessa e decisamente eccezionale, non si può negare che questa crisi oggi riveste caratteri ben diversi e che, quindi, insistere lungo questa strada è assurdo.

Finanche un professore universitario come Gaetano Azzariti, che pure nei mesi scorsi ha difeso l’utilizzo dei Dpcm da parte del Governo, nei giorni scorsi ha evidenziato che “l’utilizzo di strumenti extra ordinem e autoritativi in questa nuova fase che segna il passaggio dal lockdown alla agognata ripresa non è più opportuno”[4]. Nel momento in cui si attenua lo stato di necessità e si imboccata la strada che porta alla riapertura del Paese e alla sua fase di “convivenza con il virus”, appare illogico e contraddittorio sostenere che si debba proseguire con provvedimenti assunti in deroga all’ordinamento vigente.

 

3. Il mancato bilanciamento delle opposte esigenze.

 

Nella pratica si contesta al Governo anche di aver operato senza un effettivo bilanciamento dei diritti in gioco.

Se, da un lato, infatti, vi era la necessità di tutelare la salute come diritto fondamentale di ogni cittadino e dello Stato nel suo complesso, dall’altro lato, i diritti che sono stati limitati pesantemente e sospesi con gli interventi governativi di questi mesi, hanno pari rilevanza.

A tale riguardo va ricordato che la Corte Costituzionale, nelle sentenze 16 e 17 del 2013 [in Giur. It. 2013, 24], ha affermato il principio per cui è necessario un ragionevole bilanciamento tra diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione (nella specie artt. 4 e 32), in quanto essi si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuarne uno che abbia la prevalenza assoluta sugli altri e che possa diventare “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette.

E’ difficile sostenere che la normativa di questi ultimi mesi si sia preoccupata di operare un ragionevole bilanciamento, atteso che la tutela della salute ha assunto una posizione “tiranna”, di preminenza assoluta. Ed infatti, in nome di questa tutela assoluta si è operato un lockdown totale sul territorio nazionale anche in zone che non sono state minimamente sfiorate dalla diffusione del virus, in province nelle quali la situazione era ampiamente sotto controllo, in comuni nei quali non si sono registrati casi di contagio. In questi casi giustificare la privazione della libertà di circolazione, ad esempio, diviene molto difficile.

4. Una delega in bianco.

 

Le misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 sono state introdotte, a seguito dell’emanazione del Decreto Legge 23 febbraio 2020 n. 6, successivamente convertito in Legge 5 marzo 2020 n. 13.

Con l’articolo 1 del Decreto Legge n. 6/2020 si prevedevano una serie di misure determinate per evitare la diffusione del Covid-19. Tra queste misure troviamo il divieto di allontanamento dal comune o dall’area interessata (il riferimento è alla famosa “zona rossa” creata a Codogno; il divieto di accesso al comune e all’area interessata; la sospensione di manifestazioni o di iniziative di qualsiasi natura o di eventi o riunioni in luogo pubblico o privato; la sospensione dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole; la chiusura di musei e luoghi di cultura; la sospensione di gite scolastiche e viaggi organizzate; la chiusura delle attività commerciali ad eccezione di quelle per la vendita di beni di prima necessità; la limitazione e la sospensione del trasporto pubblico; ecc..).

Con l’articolo 2 del medesimo Decreto, invece, veniva introdotta una clausola generale con la quale si dava potere alle autorità competenti di adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da COVID-19 anche fuori dai casi di cui all’articolo 1, comma 1.

Infine, l’articolo 3 stabiliva che l’adozione delle suddette misure (sia quelle di carattere particolare che quelle di carattere generale) sarebbero state concretamente adottate con uno o più Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Va osservato che il Decreto Legge 23 febbraio 2020 n. 6, convertito con modifiche con la Legge 5 marzo 2020 n. 13, si riferiva esclusivamente alle sole zone rosse inizialmente individuate dal Governo e non a tutto il territorio nazionale. La successiva estensione delle misure ivi previste non è avvenuta in sede di conversione in legge da parte del Parlamento e neppure a seguito dell’adozione di un nuovo Decreto Legge. Infatti le misure limitative della libertà di circolazione su tutto il territorio nazionale sono state assunte dal Governo mediante Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM). Tale estensione, non avendo alcun fondamento legislativo, ma essendo stata prevista solamente con atti di natura amministrativa rappresenta una palese violazione del disposto dell’art. 16 Costituzione e, pertanto, rappresenta una vera e propria violazione del principio della riserva di legge.

Ma non solo. Il precetto dell’art. 2, poc’anzi richiamato, ha un carattere assolutamente generale nella sua previsione e rimanda a “ulteriori misure” senza però fornire alcuna specificazione. Anche questa formulazione è da ritenere posta in violazione dei principi della riserva di legge appena richiamati.

Questi dati non sono affatto di poco conto e non possono essere sminuiti dal fatto che la crisi in corso necessitava di interventi rapidi. La stessa rapidità si poteva soddisfare con l’utilizzo del Decreto Legge senza andare ad intaccare il necessario rispetto delle regole base del nostro ordinamento.

D’altra parte la ratio della riserva di legge è quella di consentire al Parlamento di intervenire in certi processi decisionali proprio perché il Parlamento rappresenta il popolo e la sua volontà. Non si tratta di una semplice questione di forma ma attiene alla sostanza del nostro sistema che prevede appunto un controllo da parte del Parlamento sugli atti assunti e la possibilità anche che le opposizioni siano chiamate a svolgere il ruolo di controllo loro demandato.

Sempre con riferimento all’art. 2 citato, si deve considerare che l’aver previsto una clausola così ampia, è stato sicuramente un errore che fa pensare a possibili profili di incostituzionalità proprio dal punto di vista della mancanza di urgenza. Infatti i decreti legge possono essere adottati in casi straordinari di necessità ed urgenza (art. 77 Cost.). Per le misure espressamente elencate nulla quaestio, essendo una pandemia evidentemente un caso di urgenza. Per le altre misure invece il problema è molto diverso. Se ci fossero state misure urgenti da adottare perché la loro adozione non è stata prevista proprio nel Decreto Legge 23 febbraio 2020 n. 6. La decisione invece di demandare la loro individuazione ad un futuro e ad uno o più atti successivi può essere interpretato appunto come una mancanza di urgenza.

5. La mancata previsione di termini certi.

 

Molte osservazioni hanno riguardato il merito dei singoli DPCM e le misure in questi contenuti. Ma, ancora prima, si è contestata che i Dpcm presenterebbero delle mancanze tali da renderli illegittimi.  Sul punto, il Presidente Emerito della Corte Costituzionale, Annibale Marini, ha specificato nel corso di un articolo pubblicato il 29 aprile su Adnkronos che “il decreto della presidenza del Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto fissare, come tutte le ordinanze urgenti e in considerazione del rischio e della grave limitazione di libertà, termini finali differenziati nelle singole misure di sospensione dei diritti di libertà. Invece non lo ha fatto. C’è un vizio nel fondamento costituzionale del decreto della presidenza del Consiglio dei Ministri, e anche una irregolarità di contenuto“.

La circostanza poi di aver individuato al momento della dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria il termine finale del 30 luglio non pone rimedio a questa irregolarità evidenziata dal Presidente Marini in quanto appunto il termine finale avrebbe dovuto essere riferito ad ogni singola misura.

Si tratta di rilievi di non poco conto perché non si può negare che in questo campo la forma è anche sostanza. Soprattutto in un momento di crisi come quella affrontata, nel momento in cui il Governo assume su di sé poteri che per molti vanno anche oltre i limiti riconosciuti dall’impianto costituzionale, è necessario che tale potere sia esercitato nel migliore modo possibile. Evidentemente ciò non è avvenuto e questo aggrava la situazione.

 

6. Le sanzioni.

Altra questione affrontata nelle settimane scorse è stata quella della legittimità delle sanzioni penali previste nel caso di trasgressione degli obblighi previsti dalla normativa emergenziale.

A partire dai primissimi interventi governativi per contrastare l’emergenza epidemiologica e almeno fino al Decreto Legge n. 19 del 25.3.2020, sono state infatti previste sanzioni penali per la violazione degli obblighi imposti. Sia il Decreto Legge n. 6 del 23.02.2020 che il DPCM 8 marzo 2020 n. 6 prevedevano l’applicazione di sanzioni penali ai trasgressori. Nello specifico, poi, l’art. 3, co. 4 del d.l. n. 6/2020 prevedeva che salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale.

L’utilizzo del decreto legge in materia penale ha sempre posto non pochi problemi di carattere teorico e pratico. È opinione largamente accolta in dottrina che, nella materia penale, la riserva di legge sia tendenzialmente assoluta: vale a dire maggiormente improntata ai caratteri dell’assolutezza che della relatività, sia pure con ristretti margini di co-integrazione della fonte subordinata. In particolare, si ritengono ammissibili limitati spazi d’intervento della fonte subordinata sulla parte eminentemente precettiva, e non sanzionatoria, della norma penale. A questo riguardo consolidata dottrina, suffragata dal costante insegnamento della Corte costituzionale, esclude radicalmente la legittimità di una delega integrale alla fonte subordinata per la descrizione della fattispecie; ritenendo costituzionalmente legittimi i soli casi in cui la legge, nel delegare alla fonte subordinata la costruzione del precetto, indichi però in modo analitico e preciso i criteri cui essa dovrà attenersi; ovvero i casi in cui la legge contenga già una descrizione essenziale del precetto e si limiti a delegare alla fonte subordinata le sole integrazioni di carattere tecnico necessarie per tenere aggiornata la norma, soprattutto nei settori in continua evoluzione sociale qual è ad esempio quello dei reati in materia di stupefacenti. Sono questi appunto i parametri di giudizio per valutare la legittimità dell’integrazione del precetto da parte di atti amministrativi (regolamenti e decreti ministeriali).

Fatte queste premesse è legittimo domandarsi se le disposizioni richiamate avrebbero superato il vaglio della Corte costituzionale. Sicuramente non è facile rispondere a tale domanda, ma sicuramente sono molti i dubbi sul punto.

 

7. Conclusioni.

Alla luce di quanto si è detto, si deve ritenere che nel complesso l’operato del Governo in questa fase di emergenza non sia del tutto in linea con i dettami costituzionali e con i principi cardine del nostro ordinamento. Una forzatura del sistema che purtroppo rappresenta un precedente molto grave.

Una forzatura che ha travolto le istituzioni democratiche, i partiti politici, il sistema dell’informazione non necessariamente in mala fede.

Il filosofo Giorgio Agamben, alcuni mesi or sono, ha cercato di mettere in guardia contro “lo stato di eccezione permanente” nel quale rischiano di precipitare le procedure democratiche investite dalla pandemia. L’accostamento ideale che si è fatto tra la crisi sanitaria vissuta dal nostro Paese e la guerra è stata la giustificazione più forte alle limitazioni delle libertà e alla sospensione dei vincoli democratici. Ma la guerra è lo stato di eccezione per definizione e difronte alla guerra ogni scrupolo democratico è considerato un cedimento rispetto alla battaglia da portare avanti. Ed infatti, dopo il suo intervento, Agamben è stato vittima di un vero e proprio attacco scomposto e molto poco democratico da parte di chi ha definito le sue esternazioni semplici farneticazioni. Ecco appunto che anche il livello del dibattito pubblico e “intellettuale” diviene il segno della deriva poco confortante di questi mesi.

Minimizzare gli aspetti di criticità evidenziati non è segno di lungimiranza e di buon senso. Ritenere che la Costituzione debba essere difesa solamente quando a metterla in pericolo sono alcuni soggetti politici è una grave miopia democratica che tocca anche personaggi illustri in questo Paese.

Tutti quanti, invece, sulla scorta di quanto accaduto in questi mesi, dovremmo porci una semplice ma fondamentale domanda: è accettabile che una compromissione così massiccia delle libertà individuali venga operata in uno Stato democratico come il nostro da parte del Governo?

Il senso più profondo della discussione è proprio la risposta a questa domanda e pensare che il nostro Paese sia immune da possibili derive autoritarie è da irresponsabili.

Ha scritto Sabino Cassese, ex giudice della Corte Costituzionale, “neppure la più terribile delle dittature ha interdetto la libertà di andare e venire, e di uscire da casa, per di più selettivamente limitata, per categorie di persone o a titolo individuale, indicate in atti amministrativi” [5].  A questo possiamo aggiungere che peraltro il criterio utilizzato per limitare ad alcune categorie di persone le libertà di spostarsi e ad altre no è stato determinato dalla semplice utilità di questa al sistema di produzione e, quindi, al “valore economico” rivestito dalla persone.

In più, non ritengo sia un caso che l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani – Michelle Bechelet – abbiamo ammonito i Paesi (tutti i Paesi) a rispettare lo stato di diritto, limitando nel tempo le misure eccezionali, al fine di evitare una catastrofe dei diritti. “Se lo Stato di diritto non è rispettato – ricorda Bechelet – l’emergenza sanitaria può diventare una catastrofe per i diritti umani, i cui effetti dannosi supereranno a lungo la pandemia stessa” [6].

In ultimo, mi preme ricordarlo, non è compito dei Governi consentire l’esercizio delle libertà da parte dei cittadini. Le libertà ci vengono riconosciute e garantite dalla Costituzione e non dai Governi. Le libertà di cui siamo stati privati sono il frutto di lunghe e sanguinose battaglie e non certo concessioni da parte di questo o quel “sovrano”.

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Note

[1] Si segnalano alcune delle posizioni assunte in queste settimane da autorevole dottrina. Il presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, nella relazione sull’attività della Corte costituzionale nel 2019, ha osservato che: «La piena attuazione della Costituzione richiede un impegno corale con l’attiva, leale collaborazione di tutte le Istituzioni, compresi Parlamento, Governo, Regioni, Giudici. Questa cooperazione è anche la chiave per affrontare l’emergenza. La Costituzione, infatti, non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali, e ciò per una scelta consapevole, ma offre la bussola anche per navigare per l’alto mare aperto nei tempi di crisi, a cominciare proprio dalla leale collaborazione fra le istituzioni, che è la proiezione istituzionale della solidarietà tra i cittadini».

Vincenzo Lippolis, docente di diritto costituzionale e comparato all’Unint e costituzionalista, nel corso di una intervista pubblicata il 30 aprile da Formiche precisa che: <<Un meccanismo come quello descritto è al limite perché lo strumento previsto dalla Costituzione per situazioni di straordinaria necessità e urgenza è il decreto-legge che è emanato dal Presidente della Repubblica e deve essere convertito in legge dal parlamento entro sessanta giorni. Al contrario, come dicevo prima, si è attribuito al Presidente del Consiglio un potere di emanare atti che limitano libertà fondamentali senza che tali atti siano sottoposti al vaglio del Presidente della Repubblica e delle Camere. Si deve anche tener presente che i Dpcm possono essere emanati ancor prima che il Parlamento si sia pronunciato>>.

Ancora: Il Presidente Emerito della Corte Costituzionale Baldassare ha parlato addirittura di atti contro la Costituzione e di una curvatura autoritaria delle nostre istituzioni.

Di diverso avviso invece Gustavo Zagrelbeskj che sostiene come i divieti imposti siano giusti se servono a salvare vite umane.

[2] cfr. F. Clementi “Quando l’emergenza restringe le libertà meglio un decreto legge che un Dpcm” sul Sole 24 Ore del 13.03.2020.

[3] Cfr Karl Schmitt, Teologia politica

[4] Cfr articolo scritto per “Il Manifesto” – Per la transizione decreti-legge e leggi ordinarie – di Gaetano Azzariti – 30.04.2020

[5] Cfr. https://www.ildubbio.news/2020/04/14/cassese-la-pandemia-non-e-una-guerra-pieni-poteri-al-governo-sono-illegittimi/

[6] Cfr. https://www.onuitalia.com/covid-19-bachelet-onu-attenzione-a-rispettare-lo-stato-di-diritto/

Arturo Raffaele Covella

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