Lo stoccaggio di prodotti senza il consenso del titolare del marchio

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a cura della dott.ssa Serena Biondi

Sentenza della corte di giustizia dell’unione europea, 2 aprile 2020

 

Si premette un breve

Inquadramento normativo

L’articolo 9 del Regolamento, numero 207/2009 è stato abrogato ed il contenuto sostanzialmente ripreso dall’articolo 9 del Regolamento, numero 1001/2017.

In questo ultimo articolo si legge che la registrazione di un marchio dell’Unione Europea conferisce al titolare un diritto esclusivo. La norma fa salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o di priorità del marchio UE, per il resto chiarisce che il titolare di un marchio UE ha il diritto di vietare, salvo proprio consenso, di usare in commercio qualsiasi segno, in relazione a prodotti o servizi, quando:

– questo è identico al marchio UE ed è usato per prodotti o servizi identici ai prodotti o servizi per i quali il marchio UE è registrato;

– il segno è identico o simile al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici o simili ai prodotti o ai servizi per cui il marchio UE è stato registrato se vi è rischio di confusione per il pubblico, comprendente anche il rischio di associazione tra segno e marchio;

– il segno è identico o simile al marchio UE a prescindere dal fatto che sia stato usato per prodotti o servizi identici, simili o non simili a quelli per i quali il marchio UE è stato registrato, se il marchio gode di notorietà nell’UE e se l’uso senza giusto motivo consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio UE o reca a questi pregiudizio.

Nel medesimo articolo, al paragrafo 3, lettera b, si legge che possono essere vietati l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali fini oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno.

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Queste premesse sono utili per analizzare la

Sentenza della corte di giustizia europea del 2 aprile, 2020

relativa alla causa:

  1. C- 567/18:

In detto procedimento, la Corte Federale di Giustizia Tedesca ha sopposto alla Corte di Giustizia Europea, nell’ambito del procedimento coinvolgente la società titolare del marchio Davidoff (Coty) e due società del gruppo Amazon la seguente:

Questione pregiudiziale

«Se una persona che conserva, per conto di un terzo, prodotti che violano un diritto di marchio, senza essere a conoscenza di tale violazione, effettui lo stoccaggio di tali prodotti ai fini dell’offerta o dell’immissione in commercio, nel caso in cui solo il terzo, e non anche essa stessa, intenda offrire o immettere in commercio detti prodotti».

Con detta questione il Giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del Regolamento n. 207/2009 e l’articolo 9, paragrafo 3, lettera b), del Regolamento 2017/1001 debbano essere interpretati nel senso che occorre ritenere che una persona che conservi per conto di un terzo prodotti che violano un diritto di marchio, senza essere a conoscenza di tale violazione, stocchi tali prodotti ai fini della loro offerta o immissione in commercio ai sensi delle citate disposizioni, anche quando non persegue essa stessa dette finalità.

Ebbene dette norme fanno un elenco non tassativo dei tipi di uso che possono essere vietati dal titolare di un marchio. Tra questi ultimi figura, l’offerta dei prodotti, la loro immissione in commercio oppure il loro stoccaggio a tali fini.

Nel caso di specie risulta, da un lato, che le resistenti nel procedimento principale si sono limitate al magazzinaggio dei prodotti in questione, senza averli offerti in vendita o averli immessi in commercio esse stesse, e, dall’altro, che esse non intendevano offrire tali prodotti in vendita o immetterli in commercio.

Una tale operazione di magazzinaggio può essere considerata un «uso» del marchio? e, in particolare, si configura uno «stoccaggio» dei prodotti ai fini della loro offerta o della loro immissione in commercio?

A tal riguardo occorre chiarire che nessuno dei due regolamenti definisce la nozione di «usare». La Corte ha tuttavia avuto occasione di sottolineare che il verbo «usare» implica un comportamento attivo e un controllo, diretto o indiretto, sull’atto che costituisce l’uso.  La Corte ha inoltre dichiarato che il divieto di usare un segno identico o simile al marchio del titolare, da parte di un terzo implica, quanto meno, che quest’ultimo utilizzi il segno nell’ambito della propria comunicazione commerciale. Creare le condizioni tecniche necessarie per l’uso di un segno e essere remunerati per tale servizio non significa che chi rende tale servizio usi egli stesso il segno.

Inoltre affinché il magazzinaggio di prodotti rivestiti di segni identici o simili ad altri marchi possa essere qualificato come «uso», occorre pure, che l’operatore economico che effettua tale magazzinaggio persegua in prima persona le finalità cui si riferiscono tali disposizioni.

Alla luce di quanto detto ed argomentato:

La riposta della corte di giustizia dell’unione europea

è stata la seguente:

l’articolo 9, paragrafo 2, lettera b), del Regolamento n. 207/2009 e l’articolo 9, paragrafo 3, lettera b), del Regolamento 2017/1001 devono essere interpretati nel senso che una persona che conservi per conto di un terzo prodotti che violano un diritto di marchio, senza essere a conoscenza di tale violazione, non effettua lo stoccaggio di tali prodotti ai fini della loro offerta o della loro immissione in commercio ai sensi delle succitate disposizioni, qualora non persegua essa stessa dette finalità.

Orbene, nel caso di specie il Giudice del rinvio ha indicato che le resistenti non hanno offerto in vendita i prodotti né li hanno immessi in commercio, precisando, che è solo il terzo che intendeva offrire i prodotti o immetterli in commercio. Ne consegue che le resistenti non fanno, di per sé, uso del segno nell’ambito della loro comunicazione commerciale.

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