L’art. 79 della suddetta legge, rubricato “Patti contrari alla legge” dispone la nullità di ogni patto diretto ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti, ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della stessa legge. Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale offre il quadro complessivo della normativa vigente in materia dei diversi tipi di locazione: Manuale delle locazioni commerciali e abitative
Indice
1. Il patto d’entrata
Una recente decisione di merito ha riconosciuto il diritto del conduttore ad ottenere la restituzione della c.d “fee di ingresso”, richiamando proprio l’art. 79 della L. 392/78 che sancisce la nullità di ogni pattuizione che consenta al locatore di pretendere dal conduttore un pagamento non giustificato dal sinallagma contrattuale (App. Milano 25 gennaio 2023, n. 135: nel caso di specie è stato chiarito che l’escamotage utilizzato dalle parti per supportare il pagamento, e cioè la previsione in contratto, a carico del locatore, della “fornitura dell’arredamento e locali in perfetto ordine per poter esercitare l’attività commerciale di vendita pubblico con immediatezza e senza ulteriori costi aggiuntivi”, non è una circostanza idonea a giustificare il pagamento della “fee”: infatti, secondo la Corte d’Appello, tale pattuizione avrebbe semmai potuto comportare/giustificare un incremento del canone, oppure la previsione di un deposito cauzionale o altra forma di garanzia.).
La vigente normativa, quindi, contenuta nella l. 27 luglio 1978 n. 392, consente ai contraenti la libera determinazione del canone iniziale, ma vieta al locatore di pretendere il pagamento di somme, diverse dal canone o dal deposito cauzionale, a fondo perduto o a titolo di “buona entrata”. Del resto, il pagamento della “fee” è sempre sprovvisto di causa giustificativa, considerata la natura del contratto (locazione). In altre parole, tale patto trova la sua unica ragion d’essere nella realizzazione, da parte di chi decida di locare il bene, di una “utilitas”, di un vantaggio, correlato al solo fatto della concessione, ad altri, del godimento della res locata.
L’autonomia contrattuale non vale a superare la barriera della nullità indicata nell’art. 79 della L. 392/1978.
Accertare la natura, l’entità, le modalità e le conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. In ogni caso, il conduttore, con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell’immobile locato, può ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge (art. 79, l. 392/78). Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale offre il quadro complessivo della normativa vigente in materia dei diversi tipi di locazione: Manuale delle locazioni commerciali e abitative
2. Patto d’entrata stipulato con il terzo
Come detto costituisce “buona entrata” l’esborso preteso dal locatore per stipulare il contratto di locazione, allorché esso non abbia alcuna causa giustificativa.
La nullità del patto d’entrata è applicabile anche al caso di patto stipulato dal locatore non con il conduttore, ma con un terzo, che ai sensi degli art. 1421 e 2033 c.c. potrà far valere la nullità dell’accordo e pretendere la restituzione delle somme indebitamente pagate. Come ha precisato la Cassazione, è necessario, però, che sia accertato un collegamento tra l’accordo e il contratto di locazione (Cass. civ., sez. III, 10/01/2022, n. 368). In ogni caso anche in questo caso il pagamento di una somma a titolo di buona entrata o di buona uscita, non avendo la funzione di integrare la misura del canone di locazione concretamente pattuito, costituisce un’attribuzione patrimoniale priva di causa e come tale ripetibile dal conduttore.
3. Patto d’entrata apparente: un caso recente
Una società sublocava ad altra società un locale commerciale, sito nell’atrio di una stazione ferroviaria, adibito alla rivendita di giornali. Successivamente la subconduttrice veniva citata in giudizio dalla predetta società affinché fosse convalidato lo sfatto per morosità intimatole in ragione della morosità nel pagamento di € 28.350,40, pari a tre mensilità del canone di sublocazione. Costituitasi in giudizio, l’intimata non negava di aver avuto difficoltà nel pagamento del canone, assumendo, però, di aver sanato la morosità. Inoltre, lamentava la nullità del contratto per violazione dell’art. 79 della legge 27 luglio 1978, n.392, per essere stata subordinata la sua conclusione alla condizione del preventivo versamento dell’importo di € 25.000,00, ad estinzione di un pregresso debito assunto verso la società sublocatrice dal marito della rappresentante legale della società subconduttrice. Il Tribunale dichiarava risolto, condannando il conduttore al pagamento dell’importo sopra detto, a titolo di canoni scaduti e non corrisposti fino ad aprile 2017, oltre interessi. La Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado. La subconduttrice ricorreva in Cassazione facendo presente che la titolare del locale commerciale aveva condizionato la conclusione del contratto di sublocazione al preventivo suo versamento della somma di € 25.000,00, da imputarsi a parziale pagamento di un debito pregresso, ma in realtà da intendersi come pagamento di una somma a titolo di buona entrata. La Cassazione ha dato torto alla ricorrente. Secondo i giudici supremi la somma di danaro versata dalla subconduttrice – lungi dal porsi come una “rendita” che viene lucrata dal locatore, per il sol fatto di immettere il conduttore nel godimento del bene – risulta essere stata pattuita per estinguere debiti facenti capo al marito della legale rappresentante della società locataria, sicché tale pattuizione, pur avendo condizionato la stipula del contratto, trova una giustificazione causale estranea al sinallagma della locazione e riconducibile, come ritiene la stessa ricorrente, alla fattispecie di cui all’art. 1272 c.c., dando così luogo ad un fenomeno di collegamento tra contratti (Cass. civ., sez. III, 26/02/2024, 4985).
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