Indice
1. Il caso concreto
La vicenda in scrutinio riguarda una lavoratrice, beneficiaria dei permessi per assistenza ai disabili (Legge 5 febbraio 1992, n. 104), che rifiutando il trasferimento da una sede di lavoro all’altra (nello specifico da Roma a La Spezia) veniva pertanto licenziata. Conseguenzialmente, la lavoratrice provvedeva ad impugnare il licenziamento sostenendo che in quanto lavoratrice beneficiata dei permessi per assistenza ai disabili non possa essere traferito, anche se il soggetto assistito è affetto da disabilità non grave. Testualmente, l’art. art. 33, c. 5, L.N. 104/92 dispone che: “Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.
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2. La decisione della Corte di Appello
I giudici di secondo grado premettendo che la garanzia di cui all’art. 33, c. 5, L.N. 104/92 non richiede una situazione di gravità dell’handicap del familiare assistito. Nondimeno, ha ritenuto che la dipendente non avesse adempiuto all’onere di documentare la serietà e rilevanza dell’handicap e ha respinto, sulla base delle documentazioni prodotte, che la madre della dipendente si trovasse, già all’epoca del trasferimento in una condizione di limitata autonomia personale tale da rendere necessaria un assistenza di natura continuativa. La Corte di Appello ha constatato la sussistenza di ragioni di natura produttiva e organizzativa posta a fondamento del trasferimento ed ha dimostrato l’esigenza del datore di lavoro di spostare la ricorrente presso la sede di La Spezia. Infine, sempre ad avviso della Corte di Appello, il godimento di ferie e permessi non autorizzati, l’assenza ingiustificata dinanzi all’invito a prendere servizio nella nuova sede nonché le assenze per congedo straordinario non autorizzato (condotte poste in essere dalla dipendente dopo il rifiuto al licenziamento) comportano la giusta causa del licenziamento, come sanzione adeguata.
3. La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione, nel valutare il ricorso proposto dalla lavoratrice, si ricollega al principio secondo cui il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che viene assistito, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, che non possono essere diversamente soddisfatte. I Giudici di Piazza Cavour hanno censurato la sentenza di secondo grado per non aver ritenuto provata la severità e la consistenza dell’handicap, e pertanto la necessità di assistenza della madre.
Tutto ciò osservato, invero, la Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dalla dipendente in quanto carente dei necessari requisiti di specificità.
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