L’ordinanza del magistrato di sorveglianza che decide sull’istanza di concessione della liberazione anticipata deve sempre essere notificata al difensore del condannato

(Annullamento con rinvio)

(Riferimento normativo: Ord. penit., art. 69-bis)

Il fatto

Il Tribunale di Sorveglianza di Roma dichiarava inammissibile il reclamo proposto personalmente dal detenuto avverso una ordinanza con la quale il Magistrato di Sorveglianza di Viterbo aveva parzialmente rigettato l’istanza di liberazione anticipata in relazione ad alcuni dei semestri indicati dal detenuto.

Il Tribunale di Sorveglianza aveva osservato a tal proposito come il reclamo fosse stato proposto personalmente dal detenuto senza indicazione dei motivi mentre la memoria contenente varie censure, presentata da uno dei difensori di fiducia successivamente nominati, era stata depositata a molti mesi di distanza dalla proposizione del reclamo.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso l’ordinanza summenzionata, ossia quella emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma, veniva proposto ricorso per cassazione per il tramite del difensore denunciando come l’ordinanza di rigetto fosse stata notificata solo al detenuto e non ai suoi difensori in violazione dell’art. 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.) che, richiamando l’art. 127 cod. proc. pen., prevede la notificazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza anche al difensore per garantire al detenuto la difesa tecnica in un procedimento a contraddittorio differito.

Osservava inoltre il ricorso che la memoria presentata dai difensori nominati dal detenuto, con la quale erano stati indicati i motivi a sostegno del reclamo, doveva essere considerata come autonomo atto di impugnazione del difensore e non poteva essere ritenuta tardiva perché, in assenza di notificazione del provvedimento oggetto di reclamo al difensore stesso, per quest’ultimo il termine per la presentazione del reclamo non era ancora decorso.

Le questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione 

Investita della cognizione del ricorso, la Prima Sezione penale ravvisava un contrasto potenziale tra l’indirizzo fin qui seguito dalla giurisprudenza di legittimità e l’orientamento sostenuto dalla stessa ordinanza di rimessione.

Secondo il primo indirizzo, nel procedimento ex art. 69-bis Ord. pen. in tema di istanza di liberazione anticipata, non è necessario l’intervento del difensore con la conseguenza che il giudice procedente, in mancanza di nomina fiduciaria, non è tenuto a designare un difensore d’ufficio.

In tale caso, quindi, le comunicazioni e le notificazioni sono necessariamente limitate ai soggetti, protagonisti del procedimento, legittimati al reclamo (interessato e P.M.) e determinano la decorrenza del termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo mentre non è consentito riaprire detto termine con la nomina tardiva di un difensore (ex plurimis, Sez. 1, n. 21350 del 06/05/2008).

Ciò posto, osservava l’ordinanza di rimessione come sia possibile attribuire al reclamo natura di atto che sollecita il contraddittorio differito a fronte di un provvedimento adottato senza la presenza delle parti mentre una diversa ricostruzione potrebbe attribuire al reclamo stesso la natura di atto di impugnazione.

Muovendosi in quest’ultima prospettiva e, dunque, riconoscendo natura di mezzo di impugnazione al reclamo ex art. 69-bis, comma 3, Ord. pen., l’ordinanza di rimessione non condivideva l’orientamento ricordato ma rileva come il detenuto, sulla base dell’indirizzo criticato, fosse stato privato dell’assistenza del difensore nella delicata fase dell’impugnazione del provvedimento reiettivo del magistrato di sorveglianza.

Orbene, valorizzando il rinvio operato dall’art. 69-bis, comma 1, Ord. pen. ai soggetti indicati dall’art. 127 cod. proc. pen. e, dunque, anche al difensore, l’ordinanza di rimessione propendeva per la tesi secondo cui il provvedimento del magistrato di sorveglianza deve in ogni caso essere notificato al difensore del detenuto, se del caso, nominato allo scopo.

Ulteriori argomentazioni sostenute dalla difesa

Il difensore del ricorrente depositava anche una memoria con la quale, in adesione all’impostazione dell’ordinanza di rimessione, concludeva per l’annullamento dell’ordinanza impugnata e, in subordine, eccepiva l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 27 Cost., dell’art. 69-bis Ord. pen., nella parte in cui non consente l’esercizio effettivo della difesa in un procedimento giudiziario che prevede un beneficio premiale concernente la finalità rieducativa della pena.

La richiesta formulata dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

Il Sostituto Procuratore generale, condividendo l’indirizzo delineato dall’ordinanza di rimessione, concludeva per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, prima di entrare nel merito della questione, procedevano alla sua delimitazione nei seguenti termini: “Se l’ordinanza adottata dal magistrato di sorveglianza sull’istanza di concessione della liberazione anticipata (art. 69-bis Ord. pen.) debba essere notificata in ogni caso anche al difensore dell’istante, sicché, ove questi ne sia privo, la notifica debba avvenire al difensore d’ufficio appositamente nominato”.

Premesso ciò, gli Ermellini osservavano come tale questione fosse stata affrontata in termini fin qui concordi dalla giurisprudenza di legittimità essendo stato affermato che l’intervento del difensore nel procedimento ex art. 69-bis Ord. pen. non è necessario e che, in mancanza di nomina di un difensore di fiducia, il magistrato di sorveglianza non è tenuto a nominare un difensore d’ufficio fermo restando che in tale ipotesi le comunicazioni e le notifiche prescritte dal comma 1 dell’art. 69-bis cit. devono essere effettuate nei confronti dei soli soggetti – effettivi protagonisti del procedimento – legittimati a proporre il reclamo, ossia all’interessato e al pubblico ministero, dando luogo alla decorrenza del breve termine di dieci giorni concesso dalla legge per la proposizione del gravame, termine che non può essere “riaperto” con la nomina tardiva di un difensore (Sez. 1, n. 21350 del 2008; conf. Sez. 7, n. 9623 del 17/06/2015; Sez. 7, n. 49859 del 26/06/2014; Sez. 7, n. 45260 del 20/10/2009).

Oltre a ciò, veniva fatto altresì presente che, sempre nella prospettiva dell’orientamento in esame, la giurisprudenza di legittimità ha ribadito che l’intervento del difensore nel procedimento ex art. 69-bis Ord. pen. non è necessario e che, di conseguenza, in mancanza di nomina fiduciaria per la specifica procedura, il giudice procedente non è tenuto a designare un difensore d’ufficio mentre le comunicazioni e le notificazioni ai sensi dell’art. 69-bis, comma 1, cit. devono essere limitate ai soggetti che, al momento della decisione, risultavano legittimati a proporre reclamo (l’interessato e il pubblico ministero) e danno luogo alla decorrenza del termine breve di dieci giorni per la proposizione del reclamo ossia per la forma di impugnazione stabilita dall’ordinamento avverso il provvedimento di diniego del beneficio della liberazione anticipata (Sez. 1, n. 47481 del 06/10/2015).

Di conseguenza, ferma restando l’esclusione della necessità di nominare un difensore d’ufficio da parte del magistrato di sorveglianza all’esito del procedimento senza la presenza delle parti nel caso in cui l’istante abbia, invece, nominato un difensore di fiducia, l’ordinanza reiettiva del magistrato di Sorveglianza – oltre che comunicata al pubblico ministero e notificata all’interessato – deve essere notificata anche al già nominato difensore di fiducia, ossia a tutti i soggetti legittimati all’impugnazione (Sez. 1, n. 92 del 27/09/2011).

Ebbene, esaurita la ricognizione delle decisioni espressive dell’orientamento contrastato dall’ordinanza di rimessione, una considerazione generale si imponeva per la Suprema Corte, vale a dure la seguente: “Lungi dall’attribuire al reclamo previsto dall’art. 69-bis, comma 3, Ord. pen. natura di mero atto sollecitatorio del contraddittorio differito rispetto a un provvedimento – quello del magistrato di sorveglianza – adottato senza la presenza delle parti, tutte le decisioni passate in rassegna attribuiscono al reclamo stesso natura di mezzo di impugnazione, ora qualificandolo, in termini generali, come gravame (Sez. 1, n. 21350 del 2008, omissis, cit.; Sez. 7, n. 45260 del 2009, omissis, cit.; Sez. 7, n. 49859 del 2014, omissis, cit.; Sez. 7, n. 9623 del 2015, dep. 2016, omissis, cit.), ora definendolo espressamente, appunto, come mezzo di impugnazione (Sez. 1, n. 47481 del 2015, omissis, cit.; Sez. 1, n. 92 del 2011, dep. 2012, omissis, cit.)”.

Fatta questa considerazione, i giudici di legittimità ordinaria evidenziavano come la diversa impostazione seguita dall’ordinanza di rimessione condivida dunque con l’orientamento appena passato in rassegna il riconoscimento al reclamo ex art. 69-bis, comma 3, Ord. pen. della natura di mezzo di impugnazione; riconoscimento, questo, dal quale discende l’applicazione della disciplina generale in materia di impugnazioni e, segnatamente, dell’art. 581, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in forza del quale l’atto di impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’enunciazione dei motivi, con l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto a sostegno della richiesta, previsione la cui inosservanza è sanzionata dall’inammissibilità a norma dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen..

Dalla natura di impugnazione rivestita dal reclamo di cui all’art. 69-bis, comma 3, Ord. pen., però, osservavano le Sezioni Unite, l’ordinanza di rimessione fa discendere la necessità di assicurare la piena garanzia del diritto di difesa anche nella fase iniziale «interpretando il richiamo operato dall’art. 69-bis, comma 1, cit. come riferito a tutti “soggetti indicati nell’art. 127 cod. proc. pen.” e, quindi, anche al difensore» mentre le pronunce espressive dell’orientamento prima richiamato, osservava ancora l’ordinanza di rimessione, non tengono conto del fatto che la nomina di un difensore d’ufficio, nel caso di mancanza di un difensore di fiducia, è prevista dalla norma codicistica non al solo fine dello svolgimento dell’udienza (art. 127, comma 1, cod. proc. pen.), ma anche per far decorrere il termine per il ricorso per cassazione avverso il provvedimento (art. 127, comma 7, cod. proc. pen.) e che tale esigenza, correlata con la decorrenza del termine per la presentazione del reclamo, resta intatta anche qualora il magistrato di sorveglianza provveda de plano atteso che essa riguarda non la regolarità formale della procedura ma la possibilità per il richiedente di essere assistito da un difensore anche in questa fase.

Orbene, terminate anche queste valutazioni, le Sezioni Unite ritenevano di dover aderire all’orientamento delineato dall’ordinanza di rimessione convergendo verso questa soluzione sia argomenti incentrati sul dato letterale delle disposizioni in esame, sia argomenti di carattere sistematico.

Si notava a tal riguardo prima di tutto che, on limine, occorrevano doversi richiamare, in estrema sintesi, alcuni profili della disciplina procedimentale relativa alla concessione della liberazione anticipata, così come modificata dalla legge 19 dicembre 2002, n. 277.

Oltre a stabilire un allargamento dell’ambito di operatività della liberazione anticipata con la previsione che ai fini delle riduzioni di cui all’art. 54 Ord. pen. possono essere presi in considerazione anche i semestri espiati dal condannato in affidamento in prova al servizio sociale (art. 47, comma 12-bis, Ord. pen., aggiunto dall’art. 3 della legge n. 277 del 2002), si rilevava come la novella avesse modificato funditus il procedimento per la decisione sull’istanza di concessione della liberazione anticipata fermo restando che, all’originaria attribuzione della competenza in ordine a tale decisione al tribunale di sorveglianza (competenza tenuta ferma per la revoca della riduzione di pena per la liberazione anticipata: art. 70, comma 1, Ord. pen., come modificato dall’art. 2 della legge n. 277 del 2002), si sostituisce un procedimento bifasico a contraddittorio eventuale e differito che, dunque, si discosta dal modello “tipico” delineato dagli artt. 678 e 666 cod. proc. pen..

Orbene, competente a decidere sull’istanza di concessione della liberazione anticipata (che può essere avanzata anche dal gruppo di osservazione e trattamento e dai prossimi congiunti del condannato: cfr. art. 57 Ord. pen.) è ora il magistrato di sorveglianza che si pronuncia con ordinanza adottata in camera di consiglio «senza la presenza delle parti» (art. 69-bis, comma 1, Ord. pen., inserito dall’art. 1 della legge n. 277 del 2002) tenuto conto altresì del fatto che il procedimento è talora descritto come de plano ma, a differenza del procedimento de plano previsto, ad esempio, per il giudizio di legittimità dall’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., in cui la Corte di cassazione decide «senza formalità» (e, quindi, senza alcuna interlocuzione con le parti), nel procedimento per la concessione della liberazione anticipata, il magistrato di sorveglianza decide non prima di quindici giorni dalla richiesta di parere al pubblico ministero, termine il cui decorso fa sì che il giudicante possa pronunciarsi anche in assenza di detto parere.

Il contraddittorio (non più “asimmetrico“, ossia limitato al parere del pubblico ministero, come nella fase monocratica, ma) pieno è assicurato, per il Supremo Consesso, dalla fase eventuale introdotta dal reclamo al tribunale di sorveglianza di cui non può far parte il Magistrato di Sorveglianza già pronunciatosi sull’istanza (cfr. il richiamo all’art. 30-bis, quinto e sesto comma, Ord. pen. ad opera del comma 4, ultima parte, dell’art. 69-bis cit.).

Detto questo, si faceva inoltre presente come il primo segmento del procedimento bifasico disciplinato dall’art. 69-bis Ord. pen. abbia suscitato dubbi di legittimità costituzionale, dubbi disattesi dal giudice delle leggi in quanto, muovendo dal rilievo che la legge n. 227 del 2002 rispondeva a esigenze di snellimento procedurale fortemente avvertite nella prassi, anche in considerazione dell’elevato numero di istanze di concessione della liberazione anticipata, la Corte costituzionale ha rimarcato che, in particolare, «veniva avvertita come fonte di ingiustificato aggravio la previsione di un procedimento in contraddittorio, in vista dell’adozione di un provvedimento che ben poteva essere (ed in larga parte dei casi era) di segno positivo e, dunque, consentaneo alla richiesta dello stesso interessato» mentre, di contro, appariva «assai più ragionevole che l’instaurazione di un contraddittorio pieno fosse contemplata solo nel caso di eventuale insoddisfazione del richiedente (o del pubblico ministero) per la decisione assunta»; da questa premessa, muove il giudice delle leggi per ribadire «la piena compatibilità con il diritto di difesa di modelli processuali a contraddittorio eventuale e differito: i quali, cioè, in ossequio a criteri di economia processuale e di massima speditezza, adottino lo schema della decisione de plano seguita da una fase a contraddittorio pieno, attivata dalla parte che intenda insorgere rispetto al decisum» (Corte cost., ord. n. 352 del 2003).

E’ dunque per la Corte la seconda fase, introdotta dal reclamo della parte che intenda censurare la decisione del magistrato di sorveglianza, a garantire la tenuta complessiva del procedimento bifasico delineato dal legislatore del 2002 sotto il profilo del principio del contraddittorio e del diritto di difesa che, a sua volta, peraltro, trova ulteriore conferma nelle peculiarità e nelle particolari esigenze applicative della liberazione anticipata che, tra l’altro, «si differenzia, già sul piano strutturale, dal complesso delle misure alternative alla detenzione in senso stretto (concesse dall’organo collegiale con l’osservanza della procedura di cui agli artt. 666 e 678 cod. proc. pen.), traducendosi in una mera riduzione quantitativa della pena, finalizzata a “premiare” il condannato che abbia dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione, cui non si accompagna alcun regime “alternativo” a quello carcerario» (Corte cost., ord. n. 291 del 2005).

Concludendo sul punto, per il miglior inquadramento della disciplina in esame, si riteneva utile una sia pure schematica rassegna di alcune “figure” di reclamo previste dalle norme di ordinamento penitenziario e caratterizzate da – più o meno accentuati – profili distintivi rispetto al modello “tipico” di procedimento di sorveglianza delineato, con l’avvento del nuovo codice di rito, dagli artt. 678 e 666 cod. proc. pen. a presidio di quella garanzia di giurisdizionalità sancita dal legislatore delegante fermo restando che a sua volta il procedimento di sorveglianza “tipico” si distingue – per così dire, “a monte” – dal procedimento camerale ex art. 127 cod. proc. pen. per vari aspett, tra i quali la previsione di casi e forme della declaratoria d’inammissibilità della richiesta e la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore, tesa a rafforzare, rispetto al procedimento camerale generale, la garanzia del contraddittorio (cfr. Sez. U, n. 26156 del 28/05/2003, omissis, Rv. 224612) mentre “a valle” del procedimento di sorveglianza “tipico” disciplinato dagli artt. 678 e 666 cod. proc. pen. si colloca, invece, una costellazione di procedimenti relativi all’esecuzione della pena, caratterizzati da differenze, più o meno rilevanti, rispetto al modello “tipico” e anche rispetto al modulo procedimentale prefigurato per la concessione della liberazione anticipata dall’art. 69-bis Ord. pen..

In particolare, guardandosi a quest’ultimo, per la Suprema Corte, vengono in rilievo, innanzitutto, i procedimenti relativi a provvedimenti adottati dall’autorità penitenziaria quali il reclamo avverso il provvedimento dell’amministrazione penitenziaria che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare (art. 14-ter Ord. pen.) ovvero quello ex art. 41-bis, comma 2-quinquies, Ord. pen. contro il provvedimento con il quale è disposta o prorogata l’applicazione del regime di cui al comma 2 della medesima disposizione.

Oltre a ciò, si notava che, a differenza del reclamo ex art. 69-bis Ord. pen., nei casi ora richiamati, il primo segmento del procedimento è costituito da un provvedimento non del magistrato di sorveglianza ma dell’autorità penitenziaria rispetto al quale il reclamo assume la fisionomia dell’impugnativa di un atto amministrativo sicché non si è in presenza di un procedimento bifasico (pur attribuendo la giurisprudenza di legittimità agli indicati reclami natura di mezzi di impugnazione: per il reclamo ex art. 14-ter Ord. pen., cfr. Sez. 1, n. 1781 del 25/03/1998; per il reclamo ex 41-bis Ord. pen., cfr. Sez. 1, n. 46904 del 10/11/2009; Sez. 1, n. 41321 del 06/05/2003).

Invece, in altri casi di procedimenti “atipici” rispetto al modello generale di procedimento di sorveglianza, il reclamo ha ad oggetto un provvedimento del giudice di sorveglianza tenuto altresì conto che, in questo ambito, un’altra ipotesi di contraddittorio eventuale e differito è delineata dall’art. 667, comma 4, cod. proc. pen. che stabilisce la disciplina procedimentale in tema di dubbio sull’identità fisica del condannato, disciplina, tuttavia, applicabile anche ad alcune materie attribuite al magistrato di sorveglianza (art. 678, comma 1-bis, cod. proc. pen.) e alle misure alternative (artt. 678, comma 1-ter e 656, comma 5, cod. proc. pen.).

A differenza, però, del procedimento per l’applicazione della liberazione anticipata, osservavano le Sezioni Unite, il passaggio dalla prima fase alla seconda (eventuale) è qui scandito non già da un reclamo bensì da un’opposizione dinanzi allo stesso giudice che ha adottato la decisione contestata mentre, al contrario, maggiori affinità, rispetto al procedimento dettato in tema di liberazione anticipata, si rinvengono nel procedimento di cui all’art. 30-bis Ord. pen. relativo ai permessi, anch’esso articolato in due fasi, la prima davanti al magistrato di sorveglianza, la seconda, introdotta da un reclamo alla sezione di sorveglianza (al quale è comunemente riconosciuta natura di mezzo di impugnazione: ex plurimis, Sez. 1, n. 15982 del 17/09/2013; Sez. 1, n. 37332 del 26/09/2007) che la più recente e consolidata giurisprudenza di legittimità esclude possa svolgersi de plano (ex plurimis, Sez. 1, n. 37044 del 20/11/2020; Sez. 1, n. 37527 del 07/10/2010).

Ad ogni modo, la disciplina in materia non contiene alcun rinvio al procedimento in camera di consiglio ex art. 127 cod. proc. pen., ma, sulla scorta della decisione della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – anche – dell’art. 30-bis Ord. pen. nella parte in cui non consentiva «l’applicazione degli artt. 666 e 678 del codice di procedura penale nel procedimento di reclamo avverso il decreto del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della detenzione il periodo trascorso in permesso-premio» (Corte cost., sent. n. 53 del 1993), la giurisprudenza di legittimità ritiene che il reclamo in materia di permessi debba seguire il procedimento di sorveglianza “tipico” di cui agli artt. 666 e 678 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 4867 del 07/10/1998; Sez. 1, n. 49343 del 17/11/2009).

In questa prospettiva, tesa a rafforzare l’effettività del diritto di difesa del condannato, si evidenziava come la Corte costituzionale avesse di recente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30-ter, comma 7, Ord. pen. nella parte in cui prevede, mediante il rinvio al precedente art. 30-bis, che il provvedimento relativo ai permessi premio sia soggetto a reclamo al Tribunale di Sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di quindici giorni (Corte cost., sent. n. 113 del 2020).

Richiamati i tratti essenziali della disciplina procedimentale relativa alla concessione della liberazione anticipata e dedicati rapidi cenni ad altre figure di reclamo (o istituti affini), per gli Ermellini, a questo punto della disamina, era ora possibile dar conto delle ragioni che convergono verso l’adesione all’orientamento delineato dall’ordinanza di rimessione iniziando dagli argomenti che valorizzano il dato letterale offerto dall’art. 69-bis Ord. pen..

Ebbene, a norma del comma 1 dell’art. 69-bis cit., l’ordinanza del magistrato di sorveglianza, che ha deciso sull’istanza di concessione della liberazione anticipata, è comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nell’art. 127 cod. proc. pen. fermo restando che il rinvio va riferito al comma 1 della disposizione codicistica che indica, quali destinatari dell’avviso dell’udienza in camera di consiglio, le parti (nonché le altre persone interessate) e i difensori precisando al contempo che se l’imputato è privo di difensore l’avviso è dato a quello di ufficio.

Da qui una prima, significativa, indicazione a favore della tesi secondo cui tra i destinatari della notificazione dell’ordinanza (in tutto o in parte) reiettiva dell’istanza di concessione della liberazione anticipata va incluso il difensore d’ufficio, nominato dal magistrato di sorveglianza al condannato che ne sia privo, indicazione immediatamente evincibile dalla disciplina generale del procedimento in camera di consiglio richiamata dall’art. 69-bis, cit. e, segnatamente, dall’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 127 cod. proc. pen..

Da questo punto di vista, ad avviso delle Sezioni Unite, l’orientamento qui disatteso, in buona sostanza, finisce con l’“amputare“, in modo del tutto ingiustificato, il rinvio al comma 1 dell’art. 127 cod. proc. pen. nell’ultima parte della disposizione del codice di rito relativa appunto alla necessaria nomina del difensore d’ufficio al condannato che ne sia privo.

Dagli ulteriori commi dell’art. 127 cod. proc. pen., invece, sempre per la Suprema Corte, non si traggono indicazioni contrastanti con la ricostruzione indicata posto che, anzi, a venire in rilievo potrebbe essere solo il comma 7 (in tema di comunicazione o notificazione dell’ordinanza adottata all’esito dell’udienza camerale) che, però, fa riferimento al comma 1.

La lettura coordinata dell’art. 69-bis, comma 1, Ord. pen. e dell’art. 127, comma 1, cod. proc. pen. induce allora per la Corte a doversi ritenere che il difensore – d’ufficio nel caso in cui il condannato ne sia privo – vada considerato tra i destinatari della notificazione dell’ordinanza del magistrato di sorveglianza.

La conclusione appena raggiunta, secondo la Suprema Corte, trova riscontro nella positiva definizione dei soggetti legittimati all’impugnazione del provvedimento adottato dal magistrato di sorveglianza, soggetti che il comma 3 dell’art. 69-bis Ord. pen. individua nell’interessato, nel pubblico ministero e nel difensore fermo restando che quest’ultima figura è quella che, alla luce del precedente rilievo, include non solo il difensore di fiducia designato dal condannato prima della decisione sull’istanza ma anche – nel caso in cui alla nomina fiduciaria non abbia provveduto l’interessato – quello d’ufficio nominato dal magistrato di sorveglianza e destinatario della notificazione del suo provvedimento.

Oltre a ciò, veniva altresì fatto presente che, anche sul piano sistematico, la soluzione prospettata dall’ordinanza di rimessione incontra significative conferme.

Si evidenziava a tal proposito come l’orientamento finora seguito dalla giurisprudenza di legittimità e quello prospettato dall’ordinanza di rimessione condividano l’attribuzione al reclamo ex art. 69-bis, comma 3, Ord. pen. della natura di mezzo di impugnazione e, dunque, nella stessa prospettiva, muovendo dal rilievo che il reclamo avverso l’ordinanza in tema di concessione della liberazione anticipata ha natura di mezzo di impugnazione, la giurisprudenza di legittimità ritiene che il reclamo stesso, essendo assoggettato alle regole generali che disciplinano le impugnazioni, debba essere sostenuto, a pena di inammissibilità, da motivi (Sez. 1, n. 993 del 05/12/2011; Sez. 1, n. 48152 del 18/11/2008) e che, da un lato, rispetto ad esso trovino applicazione le norme relative alle modalità di presentazione (Sez. 1, n. 23371 del 15/05/2015, in tema di presentazione del reclamo presso la cancelleria del tribunale dove si trovava il difensore; Sez. 1, n. 2150 del 11/10/2018, in tema di presentazione del reclamo per il tramite del servizio postale), dall’altro, al tribunale di sorveglianza spettino poteri istruttori integrativi (Sez. 1, n. 23934 del 17/05/2013, omissis, Rv. 256142).

Del resto, per gli Ermellini, sintomatica della natura di mezzo di impugnazione rivestita dal reclamo ex art. 69-bis, comma 3, Ord. pen. è l’esplicita previsione che del collegio del Tribunale di Sorveglianza chiamato a pronunciarsi sul reclamo non può far parte il magistrato che ha adottato il provvedimento impugnato (art. 30-bis, quinto comma, Ord. pen., richiamato dall’art. 69-bis, comma 4, Ord. pen.).

La natura impugnatoria rivestita dal reclamo ex art. 69-bis, comma 3, Ord. pen. si salda quindi con la centralità che esso riveste nell’assicurare alla disciplina introdotta dalla legge n. 277 del 2002 la necessaria consonanza con i princìpi costituzionali e, segnatamente, con il diritto di difesa trovando così conferma la necessità dell’intervento del difensore già nella fase immediatamente successiva all’adozione dell’ordinanza del magistrato di sorveglianza, così da consentire al condannato di avvalersi del contributo del difensore – di fiducia o, in mancanza, d’ufficio – nella scelta relativa all’an della presentazione del reclamo e, poi, nella predisposizione dell’atto di impugnazione posto che la Corte costituzionale ha affermato, in tema di esecuzione penale, che il diritto di difesa «comprende in sé, oltre la facoltà di difendersi riconosciuta al cittadino, anche, ove egli non la eserciti, l’obbligo per lo Stato di provvedere alla difesa di lui, con la nomina di un difensore» e questa esigenza, sul piano del diritto costituzionale, trova «tutela nell’art. 24, ove questo sia letto in collegamento con l’art. 13, che proclama l’inviolabilità della libertà personale e con l’art. 3 che, tutelando il principio di eguaglianza, postula che, in quel processo, la difesa d’ufficio debba essere sempre, sussidiariamente, presente, in tutti i casi che siano da considerarsi equivalenti sul piano della tutela della libertà dell’inquisito» (Corte cost., sent. n. 69 del 1970, che dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 del previgente codice di rito, nella parte in cui non prevedeva che, nel procedimento per incidenti di esecuzione, all’interessato fosse nominato d’ufficio un difensore, ove egli non avesse provveduto a nominarne uno di fiducia).

Pertanto, venendo in rilievo «l’interesse umano oggetto del procedimento, vale a dire quello supremo della libertà personale» (Corte cost., sent. n. 53 del 1968), l’assistenza tecnica del difensore deve essere obbligatoria e, quindi, prevedere anche, se necessario, la nomina dello stesso d’ufficio.

Del resto, il punto 96 dell’art. 2 della legge di delegazione 16 febbraio 1987, n. 81 (recante «Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale») prescrive «garanzie di giurisdizionalità nella fase della esecuzione, con riferimento ai provvedimenti concernenti le pene e le misure di sicurezza», «necessità del contraddittorio nei procedimenti incidentali, in materia di esecuzione» e «impugnabilità dei provvedimenti del giudice», in una prospettiva descritta dal giudice delle leggi come finalizzata al rispetto integrale delle «garanzie costituzionali del diritto di difesa e della tutela della libertà personale anche nella fase esecutiva della pena, in coerenza con il progetto rieducativo che questa sottende» (Corte cost., sent. n. 53 del 1993).

Una prospettiva, questa, che, per il Supremo Consesso, non può rinunciare alla presenza del difensore, se del caso d’ufficio, al momento, sia delle determinazioni in ordine alla presentazione del reclamo avverso l’ordinanza, anche in parte, reiettiva dell’istanza di concessione della liberazione anticipata, sia dell’individuazione dei contenuti del reclamo che il condannato abbia deciso di presentare.

La Suprema Corte, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, formulava il seguente principio di diritto: «L’ordinanza del magistrato di sorveglianza che decide sull’istanza di concessione della liberazione anticipata (art. 69-bis, comma 1, Ord. pen.) deve essere in ogni caso notificata al difensore del condannato, se del caso nominato d’ufficio, legittimato a proporre reclamo. Quest’ultimo è soggetto alla disciplina generale delle impugnazioni».

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante in quanto, componendo un pregresso contrasto giurisprudenziale, da un lato, afferma che l’ordinanza del magistrato di sorveglianza che decide sull’istanza di concessione della liberazione anticipata (art. 69-bis, comma 1, Ord. pen.) deve essere in ogni caso notificata al difensore del condannato, se del caso nominato d’ufficio, legittimato a proporre reclamo, dall’altro, che quest’ultimo è soggetto alla disciplina generale delle impugnazioni.

Tale arresto giurisprudenziale, dunque, deve essere preso nella dovuta considerazione laddove siffatta notifica non avvenga in quanto ben potrà eccepirsi tale violazione procedurale nei modi e nelle forme previste dal codice di rito penale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in cotale pronuncia, proprio perché fa chiarezza su questa tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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