L’organismo di vigilanza ex D.Lgs. 231/2001: le responsabilità penali dei membri alla luce della recente giurisprudenza di merito

Sommario:

  • Premessa
  • Sulla sussistenza di una posizione di garanzia
  • Le sentenze n. 13490/2019 e n. 1074/2021 del Tribunale di Milano

Premessa

Il D.Lgs. 8 Giugno 2001, n. 231 ha rappresentato, di fatto, nel nostro ordinamento, un autentico spartiacque: per la prima volta viene riconosciuta la responsabilità da reato anche degli enti, dotati o meno di personalità giuridica, che divengono così, anch’essi, potenziali destinatari di sanzione in sede penale; si assiste, in tal modo, ad un epocale tramonto del tradizionale principio compendiato nel brocardo “societas delinquere non potest” e la nascita di una responsabilità che il legislatore ha dovuto qualificare come amministrativa, stante l’ineludibile principio di personalità della responsabilità penale scolpito dall’art. 27 cost. [1].

Affinché l’ente possa essere esentato dall’imputazione per responsabilità amministrativa, è necessario che lo stesso provi di aver adottato, prima, ed efficacemente attuato, poi, modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire la commissione di uno dei reati-presupposto.

L’efficacia esimente dei modelli di organizzazione e gestione si lega indissolubilmente, tuttavia, alla necessaria creazione, da parte dell’ente, di un organismo, che il legislatore definisce “di vigilanza”, il quale ha il precipuo compito di controllare che il modello organizzativo adottato dall’ente funzioni, che sia osservato e che risulti costantemente aggiornato (art. 6, comma 1, lett. b), del Decreto 231). 

Nonostante la centralità attribuita all’organismo di vigilanza, il legislatore non ha introdotto una disciplina di dettaglio dello stesso, con il proposito, da un lato di rispettare, quanto più possibile, l’autonomia privatistica degli enti, e dall’altro di consentire che l’organismo di vigilanza possa essere strutturato dall’ente tenendo conto della (diversa) complessità organizzativa, in assenza di stringenti vincoli normativi [2].

La disciplina del Decreto 231 sull’organismo di vigilanza è in effetti estremamente sintetica: mancano precise ed esaustive previsioni sulla composizione; sulla sua nomina; sulle regole di funzionamento; sui rapporti con soggetti apicali e con gli altri attori del sistema di controllo interno; del tutto sottaciuto dal legislatore è, poi, il tema delle responsabilità – segnatamente di natura penale – di cui possano essere eventualmente investiti i componenti dell’organismo di vigilanza, nell’ipotesi in cui vengano commessi reati nell’interesse o a vantaggio dell’ente a seguito dell’insufficiente (se non addirittura omessa) vigilanza sull’applicazione del modello da parte dello stesso OdV. Per tale ragione la dottrina si è interrogata – ed il relativo dibattito è stato invero alimentato da recenti pronunce giurisprudenziali sul punto (v. infra) – in ordine alla possibile sussistenza di una posizione di garanzia in capo ai membri dell’OdV rispetto ai reati-presupposto previsti dal Decreto 231. Si è posto pertanto il problema di una possibile configurabilità di una responsabilità dell’OdV per omesso impedimento dell’evento ai sensi dell’art. 40, comma 2, c.p. (“Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”) e, conseguentemente, il problema di una possibile punibilità dei componenti dello stesso organismo in base al combinato disposto del citato art. 40, comma 2, c.p., dell’art. 110 e ss. c.p. (concorso di persone nel reato) e della singola norma incriminatrice in relazione al particolare reato-presupposto consumato.

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Sulla sussistenza di una posizione di garanzia

La posizione di garanzia, com’è noto, si fonda tradizionalmente sull’obbligo, la cui fonte può essere tanto legislativa quanto contrattuale, di impedire un evento naturalistico penalmente rilevante e sulla parallela previsione di poteri cd. impeditivi volti, appunto, ad evitare la produzione di detto evento. Il tradizionale perimetro della posizione di garanzia, si è nel tempo esteso sino a ricomprendere, accanto all’obbligo originario – quello di impedire il verificarsi di un evento naturalistico –, l’obbligo di evitare la commissione di reati altrui mediante la figura del c.d. concorso omissivo nel reato commissivo altrui.

Si richiede, dunque, perché possa prefigurarsi un siffatto dovere, la sussistenza dei seguenti requisiti:

la giuridicità dell’obbligo: lo stesso, in ossequio al principio di legalità, deve cioè promanare da una determinata fonte formale;

il contenuto dell’obbligo: quest’ultimo, sia che si tratti di obbligo di protezione, sia che si tratti di obbligo di controllo, deve possedere un contenuto specifico, in ossequio al principio di determinatezza;

i “garanti”, rispetto al bene/interesse da proteggere o rispetto al pericolo da controllare, devono essere dotati di poteri impeditivi che consentano loro di vigilare sulle potenziali situazioni di pericolo e di intervenire sulle medesime per impedire eventi offensivi. È proprio la sussistenza di tali penetranti poteri, e quindi la possibilità del garante di poter “disporre” del bene giuridico da tutelare a distinguere l’“obbligo di garanzia” da un più generico “obbligo di sorveglianza”, e a fondare la clausola di equivalenza causale fissata dall’art. 40, comma 2, c.p.

Per tale ragione, la dottrina largamente maggioritaria, ed in senso analogo la prassi applicativa, con riferimento alle attribuzioni tipiche dell’OdV – vigilanza sul funzionamento ed osservanza del modello, aggiornamento dello stesso, informazione nei confronti dei vertici – ha escluso la sussistenza di una posizione di garanzia in capo ai componenti dell’OdV [3],[4]. Nel caso dell’OdV, infatti, difetterebbero entrambi i presupposti necessari a fondare un obbligo di garanzia, ovvero: 1) l’esistenza di una norma giuridica che codifichi, per i componenti dell’OdV, un obbligo di impedimento dell’evento; 2) l’esistenza di  un potere giuridico (e naturalistico) di impedimento dell’evento, posto che l’OdV è titolare di poteri di sorveglianza sul modello e di informazione, ma non può (non essendo peraltro neanche legittimato a farlo) intervenire sui comportamenti dei singoli da cui possano derivare reati rilevanti ai fini del Decreto 231, essendo tale potere tipicamente riservato ai detentori del potere di gestione all’interno dell’ente.

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Le sentenze n. 13490/2019 e n. 1074/2021 del Tribunale di Milano

Recenti pronunce della giurisprudenza di merito, tuttavia, sembrano aver incrinato, in qualche misura, la posizione, largamente maggioritaria assunta, dalla dottrina e tali pronunce sono state, invero, dalla stessa, largamente – e ad avviso di chi scrive, condivisibilmente – criticate.

La prima di tali pronunce è la sentenza n. 13490/2019 del Tribunale di Milano [5], resa in relazione ad una operazione di finanziamento della banca Monte dei Paschi di Siena e concernente l’adeguatezza ed appropriatezza delle misure adottate, ai sensi del Decreto 231, da altro istituto di credito che aveva partecipato alla sopracitata operazione finanziaria. Questa decisione pare inserirsi nel solco di una precedente pronuncia della Cassazione [6] che aveva censurato la mancata previsione di una dissenting opinion dell’OdV rispetto ad atti tipicamente di competenza degli organi di gestione (trattavasi, nel caso di specie, dei comunicati stampa emessi), così adombrando la necessità di affidare all’organismo di vigilanza anche compiti di sindacato attivo sulle determinazioni adottate dal potere gestorio. Tale pronuncia, pur muovendo dalla premessa che la responsabilità dell’Ente ex Decreto 231/2001 non può ravvisarsi nel non aver impedito la commissione del reato rischia tuttavia, relativamente alle conclusioni sottese alla decisione, di essere intesa “nel senso di legittimare l’Organismo di Vigilanza al controllo nel merito dell’operato degli amministratori della società, con la conseguente insorgenza, quantomeno potenziale, di un obbligo di impedimento” [7].

La sentenza n. 13490/2019 del Tribunale di Milano, ammettendo la possibilità che l’OdV possa validamente esercitare un sindacato attivo e diretto sulle decisioni che promanano del potere gestionale, portata alle sue estreme conseguenze, determinerebbe una vera e propria trasfigurazione dell’OdV, che, da controllore della compliance, diverrebbe “organo di prevenzione e repressione dei reati commessi dalla società” [8]. Di assoluto rilievo, nell’ambito di questa linea argomentativa assunta dalla giurisprudenza, è, da ultimo, la sentenza n. 10748/2021 [9] resa dal Tribunale di Milano che concerne, anche questa volta, l’operato della Banca Monte dei Paschi di Siena con riferimento, nel caso di specie, alle operazioni finanziarie “Santorini” ed “Alexandria”. La sentenza offre numerosi spunti di riflessione ma, per quanto in questa sede rileva, la stessa valorizzando l’operato dell’OdV e le supposte omissioni dello stesso sembra prospettare la possibilità di poter ascrivere una eventuale responsabilità dell’ente (anche) al grado di profondità dell’attività dell’Organismo di Vigilanza, ponendo così in secondo piano il contenuto MOG e le peculiari caratteristiche delle singole imprese. Con la conseguenza che la sentenza lascerebbe sottintendere un presupposto, tutt’altro che pacifico, ovvero “che compito dell’Organismo di Vigilanza sia quello di impedire la commissione di reati – e ciò per l’appunto giustificherebbe l’accentuazione dell’importanza riconosciuta all’operato (o all’inerzia) di tale soggetto ai fini della dichiarazione di responsabilità dell’ente collettivo” [10]. Questa incipiente, adombrata mutazione dello stesso DNA dell’OdV, rende auspicabile, a questo punto, in questo lento processo di trasfigurazione dei compiti dell’OdV, un intervento del legislatore che riconduca la fisionomia dell’organismo di vigilanza a quella originariamente pensata nella codificazione compiuta dal Decreto 231 laddove, in una lettura che sia aderente allo spirito della norma, l’ODV non sia chiamato a prevenire (esso stesso) concrete ipotesi di reato ma si limiti a relazionare all’organo gestorio al quale compete la potestà di sanzionare le violazioni del MOG ed adottare, a valle, delle necessarie misure correttive.

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NOTE

[1] Risulta decisamente interessante, sul punto, la relazione ministeriale di accompagnamento al Decreto 231 laddove, in relazione alla natura giuridica della responsabilità dell’ente, si afferma che “(…) può dirsi oltretutto superata l’antica obiezione legata al presunto sbarramento dell’art. 27 Cost., e cioè all’impossibilità di adattare il principio di colpevolezza alla responsabilità degli enti. Come risulterà meglio nella parte della relazione dedicata a questo aspetto, appare ormai recessiva una concezione “psicologica” della colpevolezza, che ne esaurisce cioè il contenuto nel legame psicologico tra autore e fatto; di contro, la rinnovata idea di una colpevolezza intesa (in senso normativo) come rimproverabilità sembra perfettamente attagliarsi al fenomeno nei termini in cui è stato poc’anzi descritto. Potrebbe anzi affermarsi che proprio la mancata previsione di una forma di responsabilità della persona giuridica in relazione a comportamenti in linea o comunque discendenti dalla politica aziendale, in uno con il suaccennato costume di rinnovare frequentemente e sistematicamente i centri di imputazione formali all’interno della stessa, si risolvesse – paradossalmente – nell’aggiramento di quel principio di “responsabilità personale” che ha rappresentato la remora più sensibile all’adozione da parte dell’Italia di nuovi modelli sanzionatori.”

[2] QUATRARO R., L’organismo di vigilanza nel D.Lgs. 231/2001: compiti e responsabilità, Roma, EPC, 2021, p. 18

[3] Cfr., ex plurimis: SFAMENI P., Responsabilità da reato degli enti e nuovo diritto azionario: appunti in tema di doveri degli amministratori ed organismo di vigilanza, in Rivista delle società, n. 1/2007, p. 185; ALESSANDRI A., I soggetti, in AA.VV., Il nuovo diritto penale delle società, a cura di A. ALESSANDRI, Milano, 2002, p. 42; FOGLIA MANZILLO F., Nessun obbligo per l’organo di vigilanza di impedire gli illeciti penali, in Diritto e pratica delle società, 2003, 5, p. 34 ss.

[4] In tal senso risultano orientate anche le linee guida di Confindustria secondo le quali “Dalla lettura complessiva delle disposizioni che disciplinano l’attività e gli obblighi dell’Organismo di vigilanza sembra evincersi che ad esso siano devoluti compiti di controllo in ordine non alla realizzazione dei reati ma al funzionamento e all’osservanza del Modello, curandone, altresì, l’aggiornamento e l’eventuale adeguamento ove vi siano modificazioni degli assetti aziendali di riferimento. Una diversa lettura, che attribuisse all’OdV compiti d’impedimento dei reati, mal si concilierebbe con la sostanziale assenza di poteri impeditivi, giacché l’Organismo di vigilanza non può neppure modificare di propria iniziativa i modelli esistenti e assolve, invece, a un compito consultivo dell’organo dirigente. Peraltro, l’obbligo d’impedire la realizzazione di reati equivarrebbe ad attribuire compiti e doveri simili a quelli che, nel nostro ordinamento, ha la polizia giudiziaria”.

[5] Tribunale di Milano, II sezione penale, sent. 08 novembre 2019, n. 13490

[6] Cass., Sez. V, 30 gennaio 2014, n. 4667.

[7] FUSCO – FRAGASSO, Sul presunto obbligo di impedimento in capo all’organismo di vigilanza: alcune note a margine della sentenza BMPS, in Sistema Penale, 10/2020, pag. 114

[8] Ivi, pag. 125

[9] Tribunale di Milano, II sezione penale, sent. 7 aprile 2021, n.10748

[10] SANTORIELLO C., Non c’è due senza tre: la giurisprudenza riconosce nuovamente in capo all’Organismo di Vigilanza un ruolo di sindacato sulle scelte di gestione dell’azienda, in giurisprudenza penale web, 2021, 5, pag.

Raffaele Quatraro

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