. La risoluzione del Parlamento Europeo
. Lo stato dell’arte nei Paesi Membri
. La parte “operativa”, tra richieste di proposte alla Commission e inviti ai Paesi membri
. Effetti giuridici della risoluzione
. L’approvazione della risoluzione
La risoluzione del Parlamento Europeo
Il Parlamento Europeo, in data 10 ottobre 2019, ha adottato la risoluzione n. 2019/2111 sull’occupazione e le politiche sociali della zona euro.
È un documento che fa il punto di quella che è, in generale nell’Unione, la situazione attuale dell’occupazione, delle condizioni lavorative, delle misure a sostegno dei disoccupati e di quelle per favorire l’occupazione, in particolare giovanile, delle politiche sociali per i poveri.
Il Parlamento Europeo si rivolge quindi alla Commissione, chiedendone l’intervento su alcuni aspetti per i quali ritiene necessaria l’adozione di strumenti comuni; in altri casi chiede/invita gli Stati membri a fare o a fare di più per risolvere situazioni di criticità’ che riguardano il loro livello o che il Parlamento ritiene che questo possa esser il livello adeguato di soluzione.
Lo stato dell’arte nei paesi membri
Nell’ampio Preambolo, Il Parlamento rileva che persistono grandi disparità relativamente ai tassi di occupazione, non solo tra Stati membri, ma altresì tra Regione e gruppi di popolazione; che ci sono paesi, regioni e gruppi di popolazione il cui vantaggio principale o anche solo competitivo sul mercato del lavoro dell’UE è costituito dal basso reddito e/o dalle condizioni di lavoro non dignitose.
Ci sono lavoratori poveri, in particolare a tempo parziale, autonomi, temporanei, i giovani, soprattutto donne, lavoratori poco qualificati, i più anziani, disabili e gli immigrati e ancora persiste un significativo divario di genere nei livelli di occupazione, anche perché’ sulle donne continua ancora a gravare la maggiore responsabilità di assistenza.
Il continuo aumento del tasso di posti di lavoro vacanti conferma lo squilibrio tra domanda ed offerta di lavoro quale causa di disoccupazione in molti stati membri; ciò riguarda molti settori tra cui turismo, artigianato tradizionale o il settore delle TIC (Testing inspection and certification).
Più di un europeo su 5 è a rischio di povertà e di esclusione sociale e ciò riguarda in particolare i bambini, i genitori soli, i disabili, gli ammalati cronici, gli immigrati, i Rom, le minoranze etniche, i disoccupati di lunga durata e i senzatetto; su questo fronte, si evidenzia che vi sono significative differenze tra i paesi in materia di trasferimenti sociali per la riduzione della povertà.
Si rileva la insufficienza della protezione sociale per le nuove forme di lavoro, in particolare per i lavoratori atipici e i lavoratori autonomi e che questi ultimi spesso sono tali fittiziamente; anche l’assistenza sanitaria continua a rimanere carente per le famiglie con redditi più bassi.
Si individua anche nell’erosione della contrattazione collettiva, avvenuta in vari stati membri, una causa dell’aumento delle basse retribuzioni; al riguardo, si segnala che l’incremento di reddito dovuto alla ripresa ha raggiunto il reddito delle famiglie in misura limitata e che nel 2017 le retribuzioni medie sono cresciute meno della produttività.
Si ritiene essenziale aumentare il potere di acquisto dei lavoratori, rafforzare la contrattazione collettiva e definire un sistema forte ed armonizzato di diritti e tutele per tutte le forme di lavoro.
Si evidenzia che gli sviluppi globali quali la digitalizzazione e la transizione ambientale sottolineano la necessità di un approccio comune nella UE; in questi settori si prevede la necessità di riqualificare circa il 25% della manodopera nell’UE oggi impiegata in settori che emanano CO2 e le politiche climatiche generano occupazione e crescita.
Si segnala come, al di là di un generale miglioramento della situazione economica dell’Unione e della crescita continua dell’occupazione complessiva, permangano criticità in tutti i settori, dal lavoro giovanile, all’occupazione delle donne, all’impiego di lavoratori non più giovani, al livello dei salari ecc..la disoccupazione giovanile, disoccupazione di lunga durata, inclusione di gruppi vulnerabili, povertà lavorativa, bassa crescita dei salari reali a livello di unione inferiore a quanto potrebbe consentire le performance positive nell’ambito del mercato del lavoro e dell’economia.
La parte “operativa”, tra richieste di proposte alla Commission e inviti ai Paesi membri
Su tali premesse, sopra brevemente riportate, il Parlamento esprime la propria posizione rivolgendosi talora direttamente alla Commissione, in altri casi alla Commissione e agli Stati membri, in altri casi ancora agli Stati membri.
Rivolgendosi direttamente alla Commissione, si invita questa Istituzione a:
. presentare un sistema europeo di riassicurazione dell’indennità di disoccupazione per proteggere i cittadini e ridurre la pressione sulle finanze pubbliche durante gli shock esterni (p.1 della risoluzione);
. fare pressione nei confronti degli Stati membri per l’attuazione delle raccomandazioni specifiche per paese sinora pubblicate, in particolare in materia di salute e assistenza a lungo termine (p.2 r).;
. redigere una strategia di pianificazione a lungo termine per l’integrazione delle minoranze etniche nel mercato del lavoro al fine di combattere la discriminazione, e, insieme agli stati membri, a intensificare gli sforzi per combattere le discriminazioni (p.12 r.);
. proporre una direttiva sulla trasparenza retributiva al fine di colmare rapidamente il divario retributivo di genere (p.8 r.);
. presentare uno strumento giuridico volto a garantire che ogni lavoratore nell’unione abbia un salario minimo equo, definibile in base alla prassi nazionali o attraverso contratti collettivi o disposizioni giuridiche (p.30 r.).
In altri casi si tratta di inviti rivolti congiuntamente alla Commissione e agli Stati membri:
. a rendere la lotta contro la disoccupazione giovanile una priorità (p.7 r.);
. a stimolare la produttività attraverso riforme che elimino la regolamentazione superflua (p.10 r.);
. a intensificare gli sforzi volti a favorire l’occupazione di lavoratori più anziani, i genitori soli, i prestatori di assistenza a titolo informare, gli ammalati cronici ecc. cioè le categorie a rischio di esclusione (p.13 r.).
Ci sono poi inviti diretti ai Paesi membri:
. a spostare la pressione fiscale dalla manodopera ad altri fattori meno pregiudizievoli per una crescita sostenibile p.3 r.);
. a intensificare gli sforzi per ridurre il divario retributivo tra uomini e donne, come il divario pensionistico e i disincentivi al lavoro (p.8 r.);
. a intensificare gli sforzi per migliorare l’equilibrio tra vita professionale e e vita privata, anche attuando pienamente e rapidamente la recente direttiva in materia, a favorire l’accesso ai servizi di assistenza all’infanzia a costi accessibili, a migliorare la formazione e le condizioni di lavoro nei servizi di assistenza all’infanzia e in quelli sanitari (p.9 r.)
. ad attivare misure volte ad affrontare le questioni poste dei casi di occupazione atipica e precaria, in particolare con riferimento all’inadeguatezza dei sistemi di protezione sociale, così come anche per i lavoratori autonomi, nonché’ per i lavoratori su piattaforme online (p.15 e 16 r.);
. ad adottare un’azione decisa intesa a garantire che le retribuzioni possano consentire ai lavoratori e alle loro famiglie di vivere una vita dignitosa (p.30 r.)
Effetti giuridici della risoluzione
Val la pena qui di ricordare brevemente cosa rappresenta, nell’ordinamento giuridico europeo, una “risoluzione”.
L’art. 288 Testo di Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) stabilisce che le Istituzioni, per esercitare le competenze dell’UE, adottano regolamenti, direttive, decisioni, nonché raccomandazioni e pareri che però sono dichiarati espressamente non vincolanti.
Secondo l’art. 289 TFUE il regolamento, la direttiva, la decisione, rappresentano l’esito della procedura legislativa ordinaria, da parte del Parlamento Europeo e del Consiglio, su proposta della Commissione secondo la procedura definita dall’art. 294.
Occorre altresì citare l’art. 225 TFUE, che riconosce al Parlamento il potere di promuovere l’iniziativa legislativa, potendo chiedere alla Commissione di presentare proposte adeguate quando reputi necessaria l’adozione di un atto dell’Unione Europea; se la Commissione non presenta la proposta, ne comunica le motivazioni al Parlamento Europeo.
In tal senso, nelle premesse della relazione è richiamato l’art. 54 del Regolamento del Parlamento Europeo, “Relazioni di iniziativa”, che disciplina l’elaborazione di una iniziativa non legislativa o di una iniziativa a norma dell’art. 46 (diritto del Parlamento di presentare proposte) o 47(richieste alla Commissione di presentare propose ex art. 225 TFUE).
Quindi gli inviti e le richieste rivolte nei confronti della Commissione possono avere, a seconda del contenuto, anche la valenza di una richiesta di presentazione di una proposta.
Nei confronti degli Stati membri la risoluzione esprime la posizione politica del Parlamento sull’argomento e gli inviti agli stessi rivolti hanno la forza, politica, che promana dal ruolo di Istituzione rappresentante dei Cittadini dell’Unione, di interprete dei loro interessi. Quindi possono avere valore indicativo ma non certamente vincolante.
L’approvazione della risoluzione
Sotto questo aspetto vale la pena di andare a vedere come è stata approvata questa risoluzione: 422 voti favorevoli, 131contrari, 101 astenuti.
Considerato che i temi trattati sono di primaria importanza per la vita delle persone, per la stragrande maggioranza dei cittadini dell’Unione, ci si poteva aspettare che un documento di così “buoni intenti” venisse approvato quasi all‘unanimità’.
Forse non ha favorito questo risultato lo scetticismo di quanti vedono in questo documento i soliti grandi proclami, aggravati dalla burocrazia che circonda tutto quello che promana dall’Unione, nonché’ un forte contrasto tra parole e fatti laddove si pensi alle misure di austerità imposte dall’Unione e il potere che è stato sottratto agli Stati Nazionali che non possono decidere le loro politiche economiche, dovendo in primis salvaguardare i vincoli di bilancio (vedi in tal senso la dichiarazione di voto della Deputata Claire Fox, N.I.) .
In sede di Commissione, la Risoluzione era stata così votata:
. 35 voti favorevoli da P.P.E. (gruppo del Partito Popolare Europeo, cui appartengono gli eletti di Forza Italia), Renew Europe Group, S & D ovvero gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento europeo (cui appartengono gli eletti del Partito Democratico), Verts/Ale ossia gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea;
. 9 voti contrari da GUE/NGL (Gruppo confederale della Sinistra Unitaria europea/Sinistra Verde nordica, ID Gruppo Identità e Democrazia (cui appartiene la Lega), N.i. non iscritti (cui appartengono gli eletti del Movimento 5 stelle);
. 9 astenuti da Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (cui appartengono gli eletti di Fratelli d’Italia), N.I. Non iscritti (c.s.), P.P.E., Renew.
Conclusioni
Si potrebbe dire che, a proposito di disoccupazione, salari adeguati, condizioni di lavoro ecc., non importa come se ne parla purché’ se ne parli, quantomeno in attesa di tempi migliori.
Questo perché si tratta di temi che richiedono prima di tutto risorse, proprio quello che spesso manca ai paesi, stante gli obblighi di bilancio. Va poi considerato che in altri casi gli interessi di un paese sono contrari a quelli di un altro, per cui l’armonizzazione delle politiche, per esempio in tema di livello di salari, potrebbe rappresentare un danno per la economia di un paese e, inoltre, richiedere che tutto il sistema economico e di protezione sociale muti, e questo può richiedere tempi lunghi e la volontà dell’Unione, vale dire degli altri stati, di impiegare risorse dei fondi comuni per facilitare queste transizioni.
È interessante il riferimento ad un sistema europeo di riassicurazione dell’indennità di disoccupazione, per cui si è richiesto alla Commissione la presentazione di una proposta; con un sistema del genere, si perverrebbe ad una condivisione dei rischi tra cittadini di paesi diversi ed evitando di gravare su un unico paese, in un momento storico in cui il paese potrebbe avere difficoltà di bilancio.
Dal sito del CEPS di Bruxelles, risulta che è già stato presentato alla Commissione un lavoro su questo tema, autori Miroslav Beblavy e Karolien Lenaerts: FEASIBILITY AND ADDED VALUE OF A EUROPEAN UNEMPLOYMENT BENEFITS SCHEME,
Come si legge nella presentazione dell’e-book, si tratta di uno studio finalizzato a valutare la fattibilità giuridica e operativa dell’introduzione di un regime europeo di prestazioni di disoccupazione (EUBS), nonché il valore aggiunto economico che tale sistema potrebbe apportare. Sono state analizzate circa 18 diverse varianti di un EUBS, per ognuna delle quali è stato esaminato l’impatto sui singoli Stati membri, sull’UEM e sull’UE.
Per quanto riguarda la richiesta alla Commissione finalizzata a far sì che ogni paese stabilisca un tetto di salario minimo “equo” , la precisazione che esso sarà definibile in base alla prassi nazionali o attraverso contratti collettivi o disposizioni giuridiche, chiarisce che siamo ben lontani dal concetto di salario minimo “europeo”, quale primo passo verso la eliminazione della concorrenza al ribasso del mercato del lavoro, tra paesi in cui il lavoro è mal pagato e senza garanzie e gli altri invece in cui la maturità sindacale ha garantito una serie di sicurezze al lavoratore, anche relativamente alle condizioni di lavoro, ma ha reso il lavoro più costoso. Pertanto, questo strumento riguarderà comunque i paesi più poveri, posto che, nonostante se ne parli anche da noi, non ne siamo sprovvisti, se non forse per alcune categorie residuali o relativamente ai lavori atipici o ai finti lavoratori autonomi! Infatti, oltre ai contratti di categoria, che coprono quasi tutto il versante del lavoro dipendente, c’è sempre sullo sfondo l’importo minimo fissato dall’Inps per definire la base su cui calcolare i contributi di previdenza e assistenza sociale. Da noi, eventualmente, si pone un problema di adeguamento dell’importo del salario minimo, con tutti i problemi che pone in un momento storico in cui si sono create le condizioni per una concorrenza tra lavoratori di vari paesi e, forse, un domani, un surplus di lavoratori!
Quindi, bene rendere obbligatoria la fissazione di un salario minimo per paese, purché sia obbligatorio il rispetto di parametri di condizioni di vita migliori rispetto a quelle attualmente vigenti nei paesi più interessati, altrimenti si avrà solo una legittimazione dello sfruttamento, per lo più cristallizzato per chissà quanti anni a venire.
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