LSU: nozione (Cass. civ., n. 11448/2012)

 

Massima

In tema di lavori socialmente utili, l’art. 1 del D.Lgs. 468/1997 fornisce una definizione di portata generale dei l.s.u., comprensiva delle varie attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, nonché dei lavori di pubblica utilità mirati alla creazione di occupazione in particolari bacini d’impiego, in conformità all’intento demandato dalla legge delega – consistente nella revisione dell’intera disciplina dei lavori socialmente utili – e in vista di una configurazione unitaria di tutte le attività ivi descritte che ha, successivamente, trovato consolidamento nella nuova disciplina dettata in materia dal D.Lgs. 81/2000.

 

 

1. Evoluzione normativa e LSU

La L. 24 giugno 1997, n. 196, recante norme in materia di promozione dell’occupazione, ha previsto, agli artt. 22 e 26, la delega al Governo, rispettivamente, per la revisione della disciplina sui lavori socialmente utili, di cui all’art. 1, comma 1, del D.L. 1 ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, nella L. 28 novembre 1996, N. 608, e per la definizione di un piano straordinario di lavori di pubblica utilità e di borse di studio a favore di giovani inoccupati del Mezzogiorno. La delega è stata attuata con l’emanazione di due successivi decreti legislativi: il D.Lgs. 7 agosto 1997, n. 280, recante norme in materia di interventi a favore di giovani inoccupati nel Mezzogiorno; il D.Lgs. 1 dicembre 1997, n. 468, recante la revisione della disciplina sui lavori socialmente utili.

In particolare, l’art. 3 del D.Lgs. 280/1997, definisce i settori nei quali sono attivati i lavori di pubblica utilità (servizi alla persona, salvaguardia e cura dell’ambiente e del territorio, sviluppo rurale e dell’acquacoltura, recupero e riqualificazione degli spazi urbani e dei beni culturali), stabilendo la durata massima di dodici mesi per i relativi progetti e rinviando per le modalità di attuazione a quelle stabilite dall’art. 1 del D.L. 510/1996, (che, fra l’altro, ha previsto a carico dell’INPS un sussidio non superiore a L. 800.000 mensili).

L’art. 1 del D.Lgs. 468/1997 definisce come lavori socialmente utili le attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, mediante l’utilizzo di particolari categorie di soggetti, e ne distingue le diverse tipologie, prevedendo “lavori di pubblica utilità mirati alla creazione di occupazione, in particolare in nuovi bacini di impiego, della durata di 12 mesi”, “lavori socialmente utili mirati alla qualificazione di particolari progetti formativi volti alla crescita professionale in settori innovativi, della durata massima di 12 mesi”, “lavori socialmente utili per la realizzazione di progetti aventi obiettivi di carattere straordinario, della durata di 6 mesi”, “prestazioni di attività socialmente utili da parte di titolari di trattamenti previdenziali”; all’art. 2, in particolare, vengono definiti i settori nei quali sono attivati i lavori di pubblica utilità e se ne specificano gli ambiti in relazione alla cura della persona, all’ambiente e al territorio, allo sviluppo rurale, montano e idrico, al recupero e alla riqualificazione degli spazi urbani e dei beni culturali; l’art. 13, infine, dispone l’abrogazione di tutte le disposizioni in contrasto con il decreto, con particolare riguardo a quelle contenute nell’art. 1 del D.L. 510/1996, convertito nella L. 608/1996.

La ricognizione normativa consente di rilevare la portata e gli effetti della successiva disposizione dell’art. 45, comma 9, della L. 144/1999, (recante misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonchè disposizioni per il riordino degli enti previdenziali), secondo cui “dal 1 gennaio 1999, l’assegno per i lavori socialmente utili è stabilito in L. 850.000 mensili”. Infatti, come la decisione impugnata ha puntualmente osservato, i “lavori socialmente utili” comprendono le varie attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, secondo la definizione generale dell’art. 1 del D.Lgs. 468/1997, e comprendono, in virtù del secondo comma del medesimo articolo, anche i lavori di pubblica utilità mirati alla creazione di occupazione in particolari bacini di impiego. Com’è evidente, la definizione contenuta sì nel D.Lgs. 468/1997, ha una portata generale, come anche le diverse tipologie di attività ivi descritte, secondo gli intenti specificamente demandati dalla legge di delega, consistenti nella revisione dell’intera disciplina dei lavori socialmente utili dapprima dettata dal richiamato dell’art. 1 del D.L. 510/1996, convertito nella L. 608/1996, (espressamente abrogato dal D.Lgs. 468/1997), e secondo una configurazione unitaria di tutte le descritte attività che, infine, ha trovato consolidamento nella nuova disciplina delle “attività socialmente utili” dettata dal D.Lgs. 28 febbraio 2000, n. 81 (recante integrazioni e modifiche della disciplina dei lavori socialmente utili a norma dell’art. 45, comma 2, della L. 144/1999). Ciò spiega la sovrapponibilità dei settori di attività previsti per i “progetti di lavoro di pubblica utilità” dall’art. 2 del D.Lgs. 468/1997, e quelli oggetto di “lavori di pubblica utilità” secondo l’art. 3 del D.Lgs. 280/1997, siccome quest’ultima disposizione – corrispondendo ad una precisa intentio legis, manifestata nella legge di delega (art. 26 della L. 196/1997) – mira alla “creazione di occupazione” in uno specifico bacino di impiego, così come previsto, in generale, dal richiamato dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 468/1997. Consegue, da questo rilievo, che il rapporto fra le due previsioni di “lavori di pubblica utilità” – contenute nei due decreti legislativi attuativi delle deleghe di cui alla L. 196/1997 – si pone in termini di specificazione di intenti generali in ambiti territoriali determinati, all’interno di una medesima “tipologia” di attività e di una medesima finalità del Legislatore, connessa ad intenti di tutela dalla disoccupazione e di inserimento nel lavoro.

 

2. LSU e Corte Costituzionale

E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 21 della L.R. n. 12/2011, Sardegna, che consente l’attuazione di programmi volti alla creazione di posti di lavoro a favore dei cosiddetti lavoratori socialmente utili, anche con il coinvolgimento di società in house, e permette agli enti che li impiegano di continuare ad utilizzarli, accollando l’onere finanziario derivante dalla loro stabilizzazione all’amministrazione regionale. La circostanza che si tratti di una disposizione volta a favorire i cosiddetti lavoratori socialmente utili non esime il legislatore regionale dal rispetto delle norme costituzionali, le quali chiaramente prescrivono che si possa derogare al regime del pubblico concorso o prevedere una riserva di posti solo in presenza di puntuali requisiti, ossia la peculiarità delle funzioni che il personale deve svolgere o specifiche necessità funzionali dell’amministrazione. Requisiti che in ogni caso dovrebbero rispettare i limiti imposti dalla legislazione statale sul punto, la quale ha fissato nel limite del 30 per cento la quota di posti che può essere riservata ai cosiddetti lavoratori socialmente utili. Pertanto, la normativa impugnata non rispetta le condizioni già da tempo esplicitate dalla giurisprudenza costituzionale, instaurando un progetto di stabilizzazione sciolto da qualsiasi specifica finalità amministrativa, se non quella risolventesi nell’inserimento stabile nei ruoli dell’Amministrazione di lavoratori appartenenti a detta categoria (Corte cost., 20/04/2012, n. 99).

 

Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 11, comma 1 della L.R. 24 marzo 2011, n. 6 della Regione Molise, che consente, senza l’espletamento di alcuna procedura concorsuale, la stabilizzazione dei lavoratori impiegati nei lavori socialmente utili delle soppresse Comunità montane, in quanto tale norma viola sia l’art. 97 Cost. sia l’art. 117, comma secondo, lettera l), Cost.. Vi è infatti da un lato violazione dell’art. 97 Cost., in tutti i casi di disposizioni regionali che prevedano procedure di stabilizzazione di personale senza porre limiti percentuali al ricorso a tale tipo di assunzione e senza fornire indicazioni circa la sussistenza dei requisiti per poter ammettere deroghe al principio del concorso pubblico, vale a dire la peculiarità delle funzioni che il personale svolge o specifiche necessità funzionali dell’amministrazione. Dall’altro lato vi è violazione dell’art. 117, comma secondo, lettera l), Cost. in quanto la disciplina regionale, consentendo la trasformazione di contratti precari di lavoratori in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, incide sulla regolamentazione del rapporto precario già in atto (e, in particolare, sugli aspetti connessi alla durata del rapporto) e determina, al contempo, la costituzione di altro rapporto giuridico (il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, destinato a sorgere proprio per effetto della stabilizzazione) (Corte cost., 09/03/2012, n. 51).

 

E’ manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 3, del D.L. 366/1987 (Proroga del trattamento straordinario di integrazione salariale dei lavoratori dipendenti dalla GEPI, disciplina del reimpiego di dipendenti licenziati da imprese meridionali, misure per la soppressione di capacità produttive di fonderie di ghisa e di acciaio, norme per il finanziamento di lavori socialmente utili nell’area napoletana e per la manutenzione e salvaguardia del territorio e del patrimonio artistico e monumentale della città di Palermo, nonché interventi a favore dei lavoratori dipendenti da datori di lavoro privati operanti nelle province di Sondrio e di Bolzano interessate dagli eventi alluvionali del luglio 1987), convertito, con modificazioni, dalla L. 3 novembre 1987, n. 452 – che prevede l’esclusione del socio dalla società in caso di assenze dal lavoro superiori a quindici giorni – sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 Cost. La questione, infatti, è stata sollevata in un giudizio cautelare già definito dal giudice a quo con l’accoglimento dell’istanza di reintegrazione nel posto di lavoro proposta dal ricorrente ai sensi dell’art. 700 c.p.c., sicché il remittente ha, su questa domanda, esaurito la sua potestas iudicandi; d’altra parte, la questione risulta prematura in ordine al giudizio di merito, poiché il giudice l’ha sollevata prima di fissare l’udienza di discussione, per cui il rapporto processuale non si è ancora instaurato (Corte cost., 08/06/2011, n. 176).

E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 15, comma 5, della L.R. 26 febbraio 2010, n. 8 della Regione Calabria, il quale autorizza la Giunta regionale, su espressa domanda degli interessati facenti parti delle unità LSU/LPU in servizio presso gli uffici regionali che, alla data del 1 aprile 2008, non abbiano esercitato la facoltà di accedere al procedimento appositamente previsto, a stabilizzare senza concorso tutti i lavoratori socialmente utili già impiegati dalla Regione, senza porre limiti percentuali al ricorso a tale tipo di assunzione tali da non pregiudicare il prevalente carattere aperto delle procedure di assunzione nei pubblici uffici, in violazione del principio del pubblico concorso di cui art. 97 Cost. (Corte cost., 01/04/2011, n. 108).

Deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere nel giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Commissario dello Stato per la Regione Siciliana avverso l’art. 20 della delibera legislativa della Regione Siciliana del 25 marzo 2006 (disegno di legge nn. 1098-704-809) recante “Misure per la stabilizzazione del personale precario proveniente dal regime transitorio dei lavoratori socialmente utili. Disposizioni varie”, censurata in riferimento all’art. 97 Cost. Infatti, successivamente all’impugnazione, detta delibera è stata promulgata come L.R. 14 aprile 2006, n. 16, Regione Siciliana, con omissione della disposizione oggetto di censura, sicché l’intervenuto esaurimento del potere promulgativo, che si esercita necessariamente in modo unitario e contestuale rispetto al testo deliberato dall’Assemblea regionale, preclude definitivamente la possibilità che le parti della legge impugnate ed omesse acquistino una qualsiasi efficacia, privando, così, di oggetto il giudizio di legittimità costituzionale (Corte cost. (Ord.), 21/11/2006, n. 389).

 

 

Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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