Ludopatia. Riflessioni su sentenza n. 546/2022 del Consiglio di Stato

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A cura di Moroni, Avv. Francesca e Cimica, Dott. Arrigo

      Indice

  1. Fatti di causa
  2. In diritto. Bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco
  3. I poteri de Sindaco e l’interpretazione dell’art. 50, comma 7, TUEL
  4. Conclusioni

1. Fatti di causa

La sentenza in commento[1] riguarda la questione della regolazione del gioco per fasce orarie che deve trovare necessaria armonizzazione con la necessità di rispettare l’equilibrio tra esigenze pubbliche (prevenzione della ludopatia) ed esigenze private (iniziativa economica, libero accesso al gioco)[2].

Nel caso di specie, la società appellata, operante nel settore delle sale da gioco, impugnava l’ordinanza emessa dal Sindaco del Comune di xxxx avente ad oggetto la limitazione oraria delle attività di gioco lecito per il contrasto al fenomeno del gioco d’azzardo patologico.

Successivamente, con sentenza n. 837/2021 il Tar Lombardia, annullava l’ordinanza sindacale impugnata e, di conseguenza, con rituale e tempestivo atto di appello, il Comune chiedeva la riforma della sentenza di prime cure; resisteva dunque al gravame la società appellata, chiedendone il rigetto e riproponendo motivi su cui il giudice di primo grado non si è pronunciato.

2. In diritto. Bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco

Tralasciando le questioni procedurali e soffermandosi sul merito della pronuncia, si evidenzia come il Consiglio di Stato da subito riporti l’attenzione sui dati forniti dal Comune appellante, che dimostrano un forte incremento del volume complessivo delle giocate nel territorio di riferimento, nonostante il calo del numero totale degli apparecchi. Ad avviso del Collegio giudicante, questo elemento risulta essere rappresentativo della gravità della ludopatia in quel contesto territoriale tanto da giustificare la necessità della limitazione oraria, anche alla luce dell’elevato numero di giocatori problematici benché non ufficialmente riconosciuti come malati.

Inoltre, si sottolinea come non sia corretta la posizione del Tar quando afferma la necessità “che l’ADM venga consultata dagli enti locali prima dell’introduzione della disciplina restrittiva” sugli orari. Infatti, quanto al coinvolgimento preventivo dell’A.D.M., non vi è in realtà nessuna previsione, nemmeno nell’ambito della Conferenza unificata del 7 settembre 2017, che imponga al singolo Comune di consultare tale Agenzia prima di emettere l’ordinanza regolatoria degli orari.

In riferimento, invece, alla questione degli orari di apertura e chiusura delle sale gioco autorizzate, i Giudici sostengono che questo rappresenta “un terreno particolarmente sensibile e delicato nel quale confluiscono e devono essere adeguatamente misurati una pluralità di interessi”. Nello specifico, risultano direttamente coinvolti gli interessi privati dei gestori delle predette sale che, in quanto titolari di una concessione con l’amministrazione finanziaria e di una specifica autorizzazione di polizia, tendono a perseguire la massimizzazione dei loro profitti per ottenere la remunerazione dei loro investimenti economici, proprio attraverso la più ampia durata giornaliera dell’apertura dell’esercizio; in tal caso trovano applicazione i princìpi costituzionali di libertà di iniziativa economica e di libera concorrenza nonchè il principio dell’affidamento, connesso al rilascio dei titoli, concessorio e autorizzatorio, necessari alla tenuta delle sale da gioco.

Di contro, non si possono trascurare gli interessi soprattutto pubblici e generali, non ricollegabili soltanto a quelli economico-finanziari (tutelati dalla concessione) o relativi alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica (tutelati dall’autorizzazione questorile), ma estesi anche alla quiete pubblica (in ragione dei non improbabili disagi derivanti dalla collocazione delle sale gioco in determinate zone cittadine più o meno densamente abitate a causa del possibile congestionamento del traffico o dell’affollamento dei frequentatori) e alla salute pubblica, quest’ultima in relazione al pericoloso fenomeno, sempre più evidente, della ludopatia[3].

Alla luce di queste considerazioni, il Consiglio di Stato, nella pronuncia de quo, ritiene legittima l’ordinanza sindacale che stabilisce per tali tipologie di gioco delle fasce orarie fino a quattro ore complessive di interruzione quotidiana[4].


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3. I poteri del Sindaco e l’interpretazione dell’art. 50, comma 7, TUEL

La sentenza qui in commento si sofferma anche sulla corretta interpretazione dell’art. 50, comma 7, del TUEL, che conferisce al Sindaco potere di adottare provvedimenti funzionali a regolamentare gli orari delle sale giochi e degli esercizi pubblici in cui sono installate apparecchiature da gioco[5].

Del resto, detta disposizione normativa considera congiuntamente esercizi commerciali e servizi pubblici, senza alcun riferimento al titolo su cui si basa l’attività. La prospettiva assunta dal legislatore risulta infatti quella di tutelare le esigenze complessive degli utenti, di cui il Comune si fa interprete, in quanto ente esponenziale della collettività. Anche gli orari di gioco sono, quindi, un aspetto dell’ordinaria regolazione dell’offerta dei servizi sul territorio[6].

Si tratta di questione su cui non è dato dubitare e che si ricava anche da recenti orientamenti della giurisprudenza costituzionale. Al riguardo, la Consulta[7] ha dichiarato inammissibile proprio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000, sollevata con riferimento agli artt. 32 e 118 della Costituzione, nella parte in cui disciplina i poteri normativi e provvedimentali attribuiti al sindaco, senza prevedere che tali poteri possano essere esercitati con finalità di contrasto del fenomeno del gioco di azzardo patologico.

Sul piano generale, la prevenzione della ludopatia è, senza dubbio, una competenza distinta e trasversale, fondata, da un lato, sul potere attribuito ai Comuni di individuare in autonomia gli interessi della collettività ex art. 3, comma 2, D.lgs. n. 267/2000 e dall’altro sul potere di regolazione degli orari degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici ai sensi dell’art. 50, comma 7, D.lgs. n. 267/2000[8].

Senza trascurare il fatto che un’ordinanza sindacale di regolazione degli orari delle sale da gioco non può considerarsi viziata da deficit di istruttoria o di motivazione soltanto perché il numero dei giocatori ludopatici non sia in assoluto elevato; occorre, infatti, in primis valutare la tendenza registrata nel periodo considerato, qualora induca allarme negli enti pubblici preposti alla tutela della salute e giustifichi pertanto l’adozione di misure restrittive.

Nella valutazione del Collegio giudicante vengono bilanciati, come sopra evidenziato, da un lato gli interessi privati dei gestori delle sale che tendono a perseguire la massimizzazione dei loro profitti per ottenere la remunerazione dei loro investimenti economici attraverso la più ampia durata giornaliera dell’apertura dell’esercizio e, dall’altro gli interessi soprattutto pubblici e generali attinenti al contrasto del fenomeno della ludopatia.

Ne consegue che la riduzione degli orari di gioco non deve mai spingersi fino al punto da cancellare il valore economico della concessione. Risulta, comunque, fondamentale trovare un equilibrio che massimizzi l’interesse pubblico riducendo al minimo le perdite per i privati e di conseguenza per le finanze pubbliche. Anche in presenza di una situazione di ludopatia diffusa e documentata, quindi, gli interventi limitativi devono calcolare le conseguenze negative sul fatturato dei concessionari[9].

Due variabili legate in maniera dicotomica che richiedono l’individuazione di un punto di equilibrio tra la misura del grado di “regolamentazione” che comprime il fenomeno patologico della ludopatia e il livello di “sacrificio” pagato in termini di riduzione della libera iniziativa imprenditoriale. Una soluzione che, necessariamente, dovrà individuare la migliore combinazione che, da un lato garantisca la “massimizzazione dei profitti dei gestori dei locali” e, dall’altro, assicuri quella forza legislativa idonea a realizzare un grado di contaminazione della salute pubblica tollerabile per la società e ravvisabile nella condizione di dipendenza patologica dal gioco d’azzardo.

Ciò premesso, risulta d’obbligo la chiamata in causa del “principio di proporzionalità” al quale dovrà assurgere il legislatore nella statuizione della norma atta ad individuare il suddetto punto di equilibrio tra le due variabili in oggetto[10]. Originatosi nel diritto tedesco, detto principio, attraverso la giurisprudenza della Corte di giustizia UE, si è successivamente diffuso anche all’interno di altri ordinamenti nazionali[11].  Ispirato al rispetto dell’equilibrio tra gli obiettivi perseguiti ed i mezzi utilizzati, il principio di proporzionalità, ha l’obiettivo di limitare quanto più possibile gli effetti che possono prodursi sulla sfera giuridica dei destinatari di un provvedimento. Integrando inoltre un criterio universale di giustizia, rientra sicuramente tra i princìpi generali del diritto ed è destinato come tale ad investirne tutti gli aspetti.

In altre parole, quanto più incisivo risulti essere il pregiudizio arrecato al singolo, tanto più importante dovrà essere l’interesse generale prefisso. La proporzionalità si rivela, quindi, come lo strumento idoneo, più di ogni altro, a meglio dosare la discrezionalità normativa del legislatore[12].

Con riferimento in particolare all’ordinamento italiano, in cui tale principio era del tutto sconosciuto, si evidenzia come lo stesso nel tempo venga comunque progressivamente applicato in modo estensivo anche per fattispecie senza alcuna diretta rilevanza per il diritto U.E.  Effetto che nel nostro ordinamento è stato, peraltro, largamente amplificato dalla previsione di cui all’art. 1, comma 1 della l. n. 241/90, come modificata nel 2005.

Infatti, secondo quanto affermato dalla Corte di giustizia nella sua giurisprudenza, a tale principio spetta “rango costituzionale”, in quanto finalizzato a limitare le misure comunitarie restrittive, comprese quelle adottate dal legislatore[13]. Al riguardo, proprio nell’art. 41 della Costituzione si ravvisa la volontà del legislatore affinché la libertà economica privata non venga sproporzionatamente limitata dal perseguimento di un eventuale interesse generale[14].

Il principio di proporzionalità, quindi, “impone all’amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto risulti opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato; definito quindi lo scopo, il richiamato principio di proporzionalità risulta rispettato se la scelta concreta dell’amministrazione è potenzialmente capace di conseguire l’obiettivo (idoneità del mezzo) e rappresenta il minor sacrificio possibile per gli interessi privati attinti (stretta necessità), tale, comunque, da poter essere sostenuto dal destinatario (adeguatezza)”[15].

In definitiva, il principio di proporzionalità va inteso “nella sua accezione etimologica e dunque da riferire al senso di equità e di giustizia, che deve sempre caratterizzare la soluzione del caso concreto, non solo in sede amministrativa, ma anche in sede giurisdizionale[16].

Nella specie, proseguono i Giudici nella sentenza qui in commento, la limitazione oraria mira a contrastare il fenomeno della ludopatia inteso come disturbo psichico che spinge l’individuo a concentrare ogni suo interesse sul gioco, in maniera ossessiva e compulsiva, con ovvie ricadute sul piano della vita familiare e professionale, oltre che con innegabile dispersione del patrimonio personale.

In definitiva, concludono i Giudici aditi, la scelta del Comune xxxx risulta proporzionata poiché capace di conseguire l’obiettivo prefissato. L’ordinanza inoltre non sconta alcun deficit istruttorio, partecipativo e motivazionale. Alla luce di queste considerazioni, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.

4. Conclusioni

A causa dell’assenza di una vera cultura del gioco, propria dei paesi anglosassoni, ma anche dall’inerzia legislativa che spesso ha generato situazioni confuse e contraddittorie, la mania del gioco si è sviluppato in maniera esponenziale favorendo la criminalità, il vizio ma soprattutto la dipendenza[17].

Il diffondersi della nuova patologia, cosiddetta ludopatia, desta forte preoccupazione da parte della Società Italiana di Psicopatologia. Non per nulla in America, fin dal 1980 è considerata come malattia mentale; del resto, come per la tossicodipendenza, si inizia “con piccole dosi”, per poi aumentare fino a non riuscire più a smettere cadendo, inevitabilmente, nella spirale dei debiti, degli usurai e, infine, della delinquenza.

Nasce quindi la necessità di effettuare un’attenta analisi dei costi e benefici che soddisfi la crescente domanda di giochi d’azzardo (assicurando anche un considerevole introito per l’erario, elemento non di poco conto) e allo stesso tempo limiti le esternalità negative come l’“inquinamento territoriale” e la ludopatia.

Dal momento che non esistono, inoltre, forme di prevenzione della ludopatia risulta dunque auspicabile che, in particolare nell’opera di prevenzione, lo Stato adotti iniziative idonee a contrastare il diffondersi della patologia attraverso un monitoraggio costante e con campagne di comunicazione e di sensibilizzazione.

Nel caso in questione e in linea con le richiamate considerazioni, i Giudici hanno a ragione ritenuto che l’ordinanza emessa dal Comune xxxx a tutela dell’interesse pubblico rappresenti una misura idonea a non condizionare in modo sproporzionato la libertà operativa dei soggetti coinvolti, come da disposizione costituzionale. Infatti, la limitazione oraria ivi contenuta è volta a contrastare il fenomeno della ludopatia, che attualmente deve essere inteso come disturbo psichico che spinge l’individuo a concentrare ogni suo interesse sul gioco, in maniera ossessiva e compulsiva, con ovvie ricadute sul piano della vita familiare e professionale, oltre che con innegabile dispersione del patrimonio personale.

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Note

[1] Cfr. Consiglio di Stato, sent. n. 546, 26 settembre 2022.

[2] La questione è già stata oggetto di numerose pronunce; v., ex multis, TA.R. Milano, sez. I, 23/02/2022, n.437; T.A.R. Brescia, sez. II, 04/10/2021, n.837; T.A.R. Brescia, sez. II, 16/11/2021, n.962.

[3] Sulla tematica, in dottrina, v. S. Grieco, Gli strumenti giuridici nella cura delle nuove dipendenze: il disturbo da gioco d’azzardo, Cedam, 2021; P. Costanzo (a cura di), Giochi e scommesse sotto la lente del giurista, Genova University Press, 2021; A.A. Bonforte et al., Ludopatia. Aspetti psicologici, sociologici, penali e amministrativi, Primiceri Editore, 2020; S. Memoli, La ludopatia. Le conseguenze civili e penali della patologia, Maggioli, 2020; M. Lipari, Gioco d’azzardo, poteri amministrativi e tutela della salute: l’evoluzione della normativa e della giurisprudenza, in Corti supreme e salute, 1 2020; U. Conti, Vite in gioco. Ludopatia e gioco d’azzardo come emergenze sociali, Carocci, 2019; R. Bianchetti, Gioco d’azzardo patologico ed imputabilità. Note criminologiche alla luce della giurisprudenza di merito e di legittimità, in Diritto penale contemporaneo, 2014; A. Cimica, La trasformazione dell’industria del gioco, in Quaderni di dipartimento n. 14, Dipartimento di Istituzioni Economiche e Finanziarie, Università degli Studi di Macerata, 2002.

[4] Conforme Consiglio di Stato, sez. V, 26 agosto 2020, n. 5223. V. anche T.A.R. Brescia, (Lombardia) sez. II, 16/11/2021, n. 962: “La regolazione del gioco per fasce orarie è maggiormente giustificabile se inserita in strumenti con efficacia temporalmente circoscritta, come le ordinanze contingibili e urgenti, sul presupposto di un’emergenza sanitaria da gioco d’azzardo patologico accertata dall’autorità sanitaria. Lo strumento ordinario della regolazione degli orari ex art. 50, comma 7, d.lgs. n. 50/2000 rimane certamente utilizzabile, ma deve farsi carico della necessità di rispettare l’equilibrio tra esigenze pubbliche (prevenzione della ludopatia) ed esigenze private (iniziativa economica, libero accesso al gioco)”.

[5] In altri termini, risulta pacifico che, in forza della generale previsione dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000, il Sindaco possa disciplinare gli orari delle sale giochi e degli esercizi nei quali siano installate apparecchiature per il gioco e che ciò possa fare anche per esigenze di tutela della salute e della quiete pubblica.

[6] Cfr. T.A.R. Brescia, sez. II, 16/11/2021, n. 962. Sul tema, v. S. Villamena, Le ordinanze di «ordinaria amministrazione» del Sindaco (spunti problematici), in Nuove Autonomie, III, 2009, pp. 637 – 673; Id., Le ordinanze del Sindaco dopo la riforma del 2008: tra conferme e (problematiche) novità, in Il diritto penale municipale, EUM, 2009.

[7] Cfr. Corte Cost., sent. 18 luglio 2014, n. 220.

[8] Cfr. T.A.R. Milano, sez. I, 23/02/2022, n.437, nella pronuncia si conferma come “il potere del Sindaco di cui all’art. 50, comma 7, del D.lgs. 267/2000, a fini di tutela della salute e della quiete pubblica, legittima l’adozione di provvedimenti funzionali a regolamentare gli orari delle sale giochi e degli esercizi pubblici in cui sono installate apparecchiature da gioco; tale principio è stato chiaramente affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 18 luglio 2014, n. 220, che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 7, del D.lgs. n. 267 del 2000, sollevata con riferimento agli artt. 32 e 118 della Costituzione, nella parte in cui disciplina poteri normativi e provvedimentali attribuiti al sindaco, senza prevedere che tali poteri possano essere esercitati con finalità di contrasto del fenomeno del gioco di azzardo patologico”.

[9] Cfr. T.A.R. Brescia, (Lombardia) sez. II, 16/11/2021, n.962.

[10] In dottrina, S. Villamena, Contributo in tema di proporzionalità amministrativa. Ordinamento comunitario, italiano e inglese, Giuffrè, 2008.

[11] Cfr. S. Cognetti, Principio di proporzionalità. Profili di teoria generale e di analisi sistematica, Giappichelli, Torino, 2010, p. 224.

[12] Cfr. N. Di Franceso, Azione amministrativa e principio di proporzionalità: l’intervento di Palazzo Spada (Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 26/02/2015 n° 964), in Altalex, 17 settembre 2015. Sottolinea l’A. che “il principio di proporzionalità dell’attività amministrativa, in funzione del quale i diritti e le libertà dei cittadini possono essere limitati solo nella misura in cui ciò risulti indispensabile per proteggere gli interessi pubblici. In ragione di tale principio, quindi, ogni provvedimento utilizzato dalla pubblica amministrazione, specialmente se sfavorevole al destinatario, dovrà essere allo stesso tempo necessario e commisurato al raggiungimento dello scopo prefissato dalla legge. Conseguentemente, ogniqualvolta sia possibile operare una scelta tra più mezzi alternativi, tutti ugualmente idonei al perseguimento dello scopo, andrebbe sempre preferito quello che determini un minor sacrificio per il destinatario, nel rispetto del giusto equilibrio tra vari interessi coinvolti nella fattispecie concreta”.

[13] Ibidem.

[14] L’art. 41 Cost. statuisce, infatti, che: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

[15] L’art. 50 comma 7 è un paradigma di norma attributiva di potere. La questione non si pone quindi sul “se” il potere esiste ma sul “come” esso viene esercitato. La norma attribuisce il potere per una causa (l’interesse pubblico specifico); questo interesse è modellato dagli elementi del potere, definiti dalla norma (oggetto, soggetto e fine). Il fine ultimo emerge dalla definizione causale del potere, il quale affiora dall’indicazione di tutti i suoi elementi, per come sono riflessi nel provvedimento e, soprattutto, nei suoi presupposti di esercizio, nel modo in cui la norma li dispone, dirigendoli verso un fine specifico.

[16] Cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 21 gennaio 2015, n. 284.

[17] Cfr. A. Cimica, L’economia d’azzardo, in Professione professore, supplemento alla Rivista di economia aziendale, Diritto, Scienza delle finanze, Economia politica, Anno VI, n.3, casa editrice Tramontana, 2001.

Sentenza collegata

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Francesca Moroni

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