L’uso promiscuo dell’appartamento condominiale anche come ambulatorio medico saltuario non contrasta con la clausola del regolamento che consente solo l’uso ai fini residenziali e abitativi

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Avv. Pier Paolo Muià – Dott.ssa Maria Muià

 

riferimenti normativi: artt. 1138, 1362, 1363, 1367, 832 del Codice Civile

precedenti giurisprudenziali: Cass. n. 19229 del 11/09/2014; Cass. n. 21307 del 20/10/2016; Cass. n. 9564 del 01/10/1997;

Fatto

Un condominio congiuntamente a due condomini citava in giudizio la proprietaria di uno degli appartamenti facente parte lo stabile condominiale al fine di chiedere al Giudice di primo grado di dichiarare l’illegittimità dell’utilizzo che quest’ultima faceva di una stanza dell’appartamento di cui era proprietaria.

In particolare, la parte attrice sosteneva che la convenuta utilizzasse una stanza del proprio appartamento come studio medico, in violazione delle disposizioni contenute nel regolamento condominiale, secondo cui è consentito solo l’uso ai fini residenziali e abitativi dei singoli appartamenti, escludendo qualsiasi altro tipo di utilizzo. Il condominio, congiuntamente ai due condomini, aveva asserito la correttezza della loro pretesa sulla base della clausola contrattuale che in via esemplificativa elencava tra i divieti posti a carico dei condomini l’utilizzo dei singoli appartamenti per lo svolgimento di attività commerciali.

Chiamato a pronunciarsi in ordine a tale controversia il Giudice di primo grado rigettava la domanda avanzata dal condominio e dai due condomini. Secondo la valutazione di questo giudice, infatti, l’utilizzo della stanza come luogo in cui la proprietaria dell’appartamento svolgeva occasionalmente visite mediche non identificava l’appartamento come infrastruttura logistica, e pertanto il tale uso occasionale non rientrava nel divieto posto dal regolamento condominiale. Il Tribunale si spingeva, inoltre, a dichiarare che una eventuale interpretazione contraria avrebbe comportato una abnorme limitazione dei diritti del proprietario del singolo appartamento sia nella sistemazione del proprio alloggio che nelle proprie relazioni. Sulla base di tali motivazioni, quindi, il giudice di primo grado aveva ritenuto di non accogliere la domanda formulata dagli attori.

Decisamente non soddisfatti della suddetta pronuncia del Tribunale di primo grado, che ha dunque riconosciuto la legittimità dell’adibizione a studio medico di una stanza dell’appartamento da parte della condomina proprietaria di questo (convenuta nel giudizio di primo grado), il Condominio e congiuntamente i due condomini, si rivolgevano alla Corte d’appello per chiedere la riforma della sentenza di primo grado, che li aveva visti soccombenti.

Nel secondo grado di giudizio la parte attrice trovava soddisfazione alla propria domanda, vedendosi accogliere l’appello proposto.

Diversamente dal convincimento maturato dal Giudice di primo grado, infatti, la Corte d’Appello aveva ravvisato nell’utilizzo della stanza come ambulatorio dove visitare i pazienti, una violazione del regolamento condominiale.

Secondo questo giudice il divieto disposto dalla clausola contenuta nel citato regolamento condominale doveva essere considerato assoluto, e come tale il fatto che solo parzialmente l’abitazione era utilizzata per fini diversi da quelli abitativi non poteva essere considerato rilevante.

L’elencazione contenuta all’ interno del regolamento condominiale, poi, delle attività vietate doveva essere considerata come mera elencazione esemplificativa e non esaustiva di ciò che rientrava nel divieto.

Il Giudizio di secondo grado si concludeva, dunque, con l’accoglimento della domanda formulata dal condominio e dai due condomini, con dichiarazione di illegittimità dell’adibizione a studio medico di una stanza dell’appartamento abitato dalla condomina convenuta, e dalla propria famiglia, per violazione della clausola del regolamento condominiale.

La proprietaria dell’appartamento, risultata soccombente nel giudizio di secondo grado, si rivolgeva alla Corte di Cassazione lamentando la violazione della legge sostanziale in riferimento alle disposizioni contenute nel codice civile e relative al regolamento di condominio, interpretazione dei contratti, e diritti di proprietà.

La decisione della Corte di Cassazione

Esaminato il motivo di ricorso proposto dalla proprietaria del bene del cui utilizzo si discute, la Suprema Corte ha ritenuto il motivo di doglianza fondato, accogliendo così il ricorso e rinviando ad altro giudice la decisione sul merito, sulla base del principio enunciato.

In particolare, nella formulazione del principio di diritto, che dovrà delineare il percorso decisionale della Corte d’Appello del riesame, la Corte di Cassazione parte dall’analisi della decisione del Giudice di secondo grado, e, dunque, dal convincimento dell’illegittimità dell’utilizzo della stanza per visite ambulatoriali, illegittimità dovuta all’esistenza all’interno del regolamento condominiale di una clausola di divieto assoluto di adibizione degli appartamenti condominiali ad altro uso se non a quello residenziale e abitativo,  a nulla rilevando che, nel caso di specie, la destinazione diversa da quella abitativa fosse solo parziale.

Esaminata la decisione e l’iter logico che ha portato la Corte d’appello a questo convincimento, i Giudici Ermellini hanno ritenuto che questa fosse effettivamente caduta in errore, in quanto, da un lato, aveva accertato fattualmente la destinazione limitata di una stanza a studio medico, ma, dall’altro lato, aveva escluso in via complementare che si trattasse di un vero e proprio ambulatorio. Secondo la Suprema Corte, così facendo i Giudici di secondo grado avevano limitato la propria opera interpretativa della nozione di “uso residenziale abitativo”, rigettando la possibilità che in tale nozione fossero ricompresi usi promiscui compatibili con la funzione dell’abitare. Traendo, altresì, dalla natura esemplificativa dell’elencazione delle attività espressamente vietate (attività commerciali, esalazioni nocive, immissioni di fumi, gas, scarichi, rumori) la conclusione della sostanziale irrilevanza dell’elencazione stessa.

La Corte di Cassazione ha riconosciuto nella decisione pronunciata dalla Corte d’Appello una violazione di quei principi giurisprudenziali da Essa stessa elaborati in tema di ambito applicativo del regolamento condominiale ex art. 1138 cod. civ. e di uso dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ. in materia di clausole di regolamento condominiale di divieto di destinazione delle unità immobiliare a determinati usi.

E’ sulla base di questa valutazione che la Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso proposto dalla proprietaria dell’appartamento, rinviando la decisone nel merito ad altra Corte d’Appello che dovrà, nel decidere la vicenda, ampliare la propria opera interpretativa della nozione di “uso residenziale abitativo”, valutando in particolare se in esso siano ricompresi usi promiscui compatibili con la funzione dell’abitare e se, stante l’elencazione delle attività espressamente vietate, seriamente invasive rispetto alle esigenze abitative degli altri compartecipi – attività commerciali, esalazioni nocive, immissioni di fumi, gas, scarichi, rumori – sia da ritenersi proscritta quella in esame.

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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