La figlia di una paziente morta per uno shock settico presso l’Ospedale locale, adiva il Tribunale di Bologna, chiedendo la condanna della struttura sanitaria al risarcimento dei danni subiti dalla madre e trasmessole per via ereditaria, sia i danni subiti in via diretta per la perdita del rapporto parentale. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: la malpractice medica e la morte della paziente
La figlia di una paziente morta per uno shock settico presso l’Ospedale locale, adiva il Tribunale di Bologna, chiedendo la condanna della struttura sanitaria al risarcimento dei danni subiti dalla madre e trasmessole per via ereditaria, sia i danni subiti in via diretta per la perdita del rapporto parentale.
In particolare, l’attrice esponeva che la madre era stata ricoverata nel reparto di dermatologia dell’ospedale per una eritrodermia psoriasica e dopo poco più di 2 settimane di ricovero presso l’ospedale stesso la paziente decedeva con diagnosi di sepsi severa, insufficienza renale acuta e respiratoria, embolia polmonare e infarto polmonare.
La struttura sanitaria si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea, ritenendola infondata. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno, spettante iure proprio alla attrice, per perdita del rapporto parentale, il Tribunale affermava che il relativo diritto era prescritto al momento della proposizione di detta domanda, che quindi rigettava.
Per quanto riguarda, invece, il danno non patrimoniale trasmesso iure hereditario all’attrice dalla propria madre e relativo alla morte della predetta paziente, il Tribunale ha ritenuto di accogliere la relativa domanda risarcitoria formulata dall’attrice, ritenendo che detta morte sia causalmente riconducibile alle condotte dei medici dell’ospedale.
In particolare, dalla CTU svolta nel giudizio è emerso che i registri sanitari relativi al ricovero della paziente presso l’ospedale presentavano diverse e gravi carenze documentali (soprattutto era assente totalmente la descrizione obiettiva della paziente al momento del suo ingresso nella struttura sanitaria). Inoltre, era emersa anche la censurabilità della terapia adottata dai sanitari, che risultava confusa e caotica con farmaci che cambiavano via di prescrizione e dosaggio senza un apparente motivo. Infine, anche le prescrizioni di antibiotico erano risultate inadeguate e quindi la relativa terapia per far fronte all’infezione della paziente era del tutto inidonea.
Le suddette carenze documentali hanno portato i CTU ad ipotizzare quale sia stata la causa della morte della paziente, ma senza averne certezza: un decesso da shock settico, senza riuscire ad individuare con certezza da dove questo shock sia partito, ma potendo presumere che si sia trattata di una infezione dei tessuti molli da staffilococco che poi si è estesa in profondità.
Secondo il giudice quindi la causa della morte della paziente è ravvisabile in una infezione sistemica contratta all’interno della struttura ospedaliera, che, a prescindere dall’origine del ceppo batterico che ha determinato la sepsi, si è sviluppata per le gravi inadeguatezze operative dei sanitari dell’ospedale.
Ciò valutato in punto di sussistenza di una responsabilità della struttura sanitaria, il giudice è passato ad esaminare la sussistenza dei danni invocati dall’attrice.
In particolare, la stessa ha chiesto il risarcimento del danno biologico terminale e morale, in quanto ha affermato che la madre nei quasi venti giorni di ricovero era stata in gran parte pienamente lucida ed avendo percepito l’aggravarsi quotidiano della situazione clinica.
Il Tribunale ha quindi passato in rassegna i criteri di liquidazione del danno terminale, come previsti dall’Osservatorio del Tribunale di Milano.
In primo luogo, il principio di unitarietà e omincomprensività del danno. In virtù del quale, detto danno deve ricomprendere al suo interno ogni aspetto biologico e sofferenziale connesso alla percezione della morte imminente:
in secondo luogo, la durata limitata del danno. In virtù del quale principio, si deve escludere che il danno terminale si possa protrarre per un tempo esteso (il numero massimo di giorni è convenzionalmente individuato in 100, al di là del quale il danno terminale non può prolungarsi) e si deve altresì escludere il danno terminale se la morte è stata immediata o è avvenuta a distanza di tempo breve dalla lesione.
In terzo luogo, l’intensità decrescente del danno. In virtù del quale principio, il danno tende a decrescere con il passare del tempo e vede il periodo di massima sofferenza subito dopo l’evento lesivo (nei primi giorni), mentre nei giorni successivi il dolore comincia a diminuire.
In quarto luogo, la personalizzazione del danno. In virtù del quale principio, il danno può essere personalizzato giorno per giorno in considerazione delle circostanze del caso concreto.
Detto danno terminale deve essere provato nella sua esistenza dall’attore, in quanto non può ritenersi un danno in re ipsa. In altri termini, deve darsi la prova, anche tramite presunzioni, che la vittima aveva consapevolezza della fina della vita.
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3. La decisione del Tribunale
In considerazione di quanto sopra, il giudice ha ritenuto che tra la condotta inadempiente dei sanitari e il decesso della paziente sia configurabile il nesso causale, secondo la regola del “più probabile che non”, e poiché non vi sono diversi fattori alternativi suscettibili di aver condotto la paziente alla morte.
Dalla predetta responsabilità deriva quindi la condanna della struttura sanitaria al risarcimento del danno biologico terminale e morale richiesto dalla attrice.
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che – secondo quanto emerso dalla CTU – il paziente, tre giorni dopo il ricovero, la paziente era vigile, collaborante e scarsamente orientata, mentre soltanto dopo ulteriori dieci giorni era stata riscontrata una precipitazione del deficit cognitivo.
Pertanto, il giudice ha ritenuto che non si può dubitare della consapevolezza della paziente del proprio inesorabile declino, almeno fino a che non è stata accertata la precipitazione del deficit cognitivo. Conseguentemente, il Tribunale ha riconosciuto un danno terminale complessivo per la durata di 18 giorni, che ha liquidato – in applicazione delle Tabelle dell’Osservatorio del Tribunale di Milano – in €.35.247,00 per i primi tre giorni, €. 11.252,00 per i successivi dieci giorni e €.2.500 per i successivi cinque giorni.
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