L’ordinanza 27142/2024 della Cassazione interviene sul tema della malpractice medica, riconoscendo la presunzione del danno parentale e approfondendo il criterio del “più probabile che non” nell’accertamento del nesso causale.
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Indice
1. I fatti di causa
Un paziente affetto da una grave patologia era stato sottoposto a quattro interventi chirurgici presso una struttura sanitaria. Secondo i familiari, i trattamenti medici erano stati compromessi da errori diagnostici. Nonostante le cure ricevute, le condizioni del paziente erano peggiorate fino al decesso, avvenuto dieci mesi dopo l’ultima operazione, a causa di un infarto al miocardio.
La moglie e i due figli dell’uomo avevano deciso di agire contro la struttura sanitaria, chiedendo il risarcimento del danno da perdita parentale. Il Tribunale aveva inizialmente rigettato la domanda, ritenendo non dimostrato il nesso causale tra la condotta dei medici e il decesso. In secondo grado, la Corte d’Appello aveva invece riconosciuto la responsabilità della struttura sanitaria, condannandola al risarcimento, ma limitandolo alla moglie convivente.
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La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. I motivi del ricorso
I figli del defunto, esclusi dal risarcimento dalla Corte d’Appello, hanno deciso di impugnare la sentenza, lamentando che il giudice di merito avesse trascurato alcuni elementi fondamentali come la convivenza con il genitore, la loro età relativamente giovane e il legame affettivo che li univa al padre. A loro avviso, la decisione violava l’art. 2059 c.c., in quanto il danno parentale, anche se non patrimoniale, può essere riconosciuto attraverso presunzioni semplici, come previsto dagli artt. 2727 e 2729 c.c.. Tali presunzioni consentono infatti di desumere il danno sulla base di circostanze evidenti e prevedibili, come il criterio del “id quod plerumque accidit“.
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3. Il ragionamento giuridico della Cassazione sulla malpractice medica
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso principale dei figli, ribadendo che in materia di danno parentale è applicabile una presunzione iuris tantum. Questo principio, già sancito dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (cfr. corte cass. sent. n. 26972/2008), si fonda sull’idea che la perdita di un rapporto parentale, specie con un genitore convivente, comporti di norma un pregiudizio relazionale e affettivo, che non necessita di una prova analitica salvo contestazione concreta del danneggiante.
Richiamando il criterio del “id quod plerumque accidit”, i giudici hanno sottolineato che la sofferenza e il mutamento delle condizioni di vita derivanti dalla perdita di un familiare stretto sono eventi prevedibili e presunti. Nel caso in esame, la convivenza dei figli con il genitore defunto, la loro giovane età e l’esistenza di un legame affettivo intenso erano elementi sufficienti per ritenere dimostrato il diritto risarcitorio.
Sul tema del nesso causale, la Cassazione ha confermato che, in ambito medico, deve applicarsi il principio del “più probabile che non”, principio già consolidato in giurisprudenza. Questo criterio non richiede una certezza assoluta, ma impone al giudice di valutare, sulla base della preponderanza dell’evidenza, se la condotta medica negligente abbia contribuito in misura determinante al danno.
Nel caso concreto, gli errori medici accertati, tra cui la mancata applicazione dello stent intestinale, avevano significativamente ridotto le possibilità di sopravvivenza del paziente, configurando una perdita di chance. La struttura sanitaria non era riuscita a dimostrare che la morte fosse dovuta esclusivamente a fattori indipendenti, non riconducibili alla condotta negligente.
4. Conclusioni
La Corte di Cassazione ha chiarito che il danno da perdita di un genitore convivente può essere accertato anche attraverso presunzioni semplici, salvo prova contraria.
Sul piano del nesso di causalità, la pronuncia ribadisce che, in ambito sanitario, il criterio del “più probabile che non” consente di riconoscere il collegamento tra condotta negligente ed evento dannoso senza richiedere una certezza assoluta, valorizzando anche la perdita di chance.
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