La disposizione di cui all’articolo 570, comma 2, numero 1, del codice penale è volta a tutelare, più che l’assistenza familiare, i beni del figlio minore e del coniuge, quindi il patrimonio appartenente a soggetti legati, all’autore del reato, da un particolare rapporto di fiducia.
In sostanza, si vuole assicurare un’onesta amministrazione del patrimonio dei figli minori o del coniuge.
A tal fine viene prevista la sanzione penale per quelle condotte di malversazione o dilapidazione poste in essere in danno dei beni appartenenti al soggetto passivo, approfittando del rapporto fiduciario in virtù del quale l’agente (coniuge o genitore che esercita la potestà) possiede o amministra detti beni.
La collocazione di tale ipotesi criminosa, che costituisce nella sua obiettività giuridica, un delitto contro il patrimonio, nell’art. 570 c.p., si giustifica in considerazione del rapporto fiduciario che lega il colpevole alla vittima, rapporto che trae origine da vincoli di parentela o coniugio, che, ex art. 649 c.p., sarebbero ostativi alla punibilità, se la norma fosse ricompresa nell’ambito dei reati contro il patrimonio.
Per la ricorrenza del delitto in esame occorre che il soggetto agente abbia il possesso dei beni di cui si tratta in virtù del rapporto di coniugio, ove si tratta dei beni del coniuge, o in conseguenza della potestà dai genitori dello stesso esercitata sui figli minori, ove si tratti di beni appartenenti a questi ultimi. In mancanza di tale requisito saranno configurabili altre ipotesi delittuose, come il furto, la truffa o l’appropriazione indebita, sempre che non ricorra la speciale causa di non punibilità prevista dall’art. 649 c.p.
La norma de qua contiene in sé tutti i requisiti dell’appropriazione indebita con in più elementi specializzanti di carattere soggettivo ed oggettivo, ragion per cui non può essere coperta dalla causa di non punibilità.
Oggi, dopo le modifiche apportate, alla disciplina del regime patrimoniale della famiglia, dalla novella del 1975, le possibili applicazioni della norma affidata al n. 1 del secondo comma dell’art. 570 c.p. sono marginali, e scarsissime, di conseguenza, le pronunzie giurisprudenziali su tale fattispecie. In cosa si distingue la condotta del reato di malversazione e di dilapidazione?
Sotto un primo profilo, la condotta costitutiva ex art. 570, prima parte del capoverso, c.p. si distingue per il suo essere contraria, oltre che alle regole di buona amministrazione, anche a quelle della morale e dell’ordine delle famiglie, regole che impongono l’onestà e la saggezza nell’amministrazione dei beni di cui la famiglia può disporre e che vengono pesantemente violate da chi dilapida o distrae quei beni a profitto proprio o di altri.
Sotto un secondo profilo, la condotta delittuosa in esame mette in evidenza il suo animus di assoluto disinteresse per una fisiologica vita della famiglia o la sua cupidigia che lo porta a calpestare i rapporti di sangue o di affetto che lo legano alle persone offese, a favore del suo personale tornaconto.
È indispensabile, inoltre, che l’agente abbia la possibilità di gestire il patrimonio del soggetto passivo.
La disposizione contempla un reato a fattispecie alternative, perché il malversare ed il dilapidare costituiscono condotte equivalenti e, pertanto, il delitto rimane unico, sia che l’autore malversi o dilapidi i beni a lui affidati, sia che, al contempo li malversi e li dilapidi. Stante la tassativa indicazione contenuta nella norma incriminatrice, in relazione ai figli, il reato è integrato solo se viene commesso su beni appartenenti a figli minorenni. Pertanto la malversazione o dilapidazione di beni appartenenti a figli maggiorenni potrà essere punita soltanto se integra altre figure criminose (furto, appropriazione indebita, truffa).
Il reato può essere commesso sia in relazione a beni mobili che a beni immobili e può attenere sia al capitale che alle rendite da essi prodotte nonché in relazione a qualsiasi altra attività patrimoniale valutabile da un punto di vista economico
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