Mancata esecuzione affidamento minore: elemento soggettivo

Allegati

Quando non è configurabile l’elemento soggettivo del delitto di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di un figlio minore.
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 388, co. 2)
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Corte di Cassazione –sez. VI pen.- sentenza n.n. 23059 del 18-04-2023

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Indice

1. La questione


La Corte di Appello di Bari confermava una condanna, alla pena di 300 Euro di multa, a carico di persona accusata per mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388, comma 2, c.p.), per avere violato l’ordinanza con cui l’autorità giudiziaria aveva disposto l’affidamento condiviso dei figli, conviventi con il padre, impedendo alla madre di vederli nei giorni stabiliti.
Ciò posto, avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che, tra i motivi ivi addotti, deduceva erronea applicazione del delitto di cui all’art. 388 c.p. per difetto dell’elemento soggettivo, sostenendosi a tal proposito come non sarebbe configurerebbe il dolo intenzionale richiesto dalla fattispecie di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice.
Difatti, secondo il ricorrente, a fronte del fatto che la più recente giurisprudenza di legittimità (su tutte, era citata: Sez. U, n. 36692 del 27/09/2007) aveva precisato che la fattispecie in oggetto non mira ad assicurare il formale ossequio al contenuto del provvedimento giudiziario e neppure la tutela dell’interesse dell’altro coniuge, essendo invece preposta a tutelare l’interesse dei minori, l’istruttoria dibattimentale, dal canto suo, avrebbe escluso l’intenzione, in capo all’imputato, di eludere l’esercizio delle facoltà riconosciute alla moglie nel provvedimento giudiziale, considerato altresì che: era stata la parte civile a venir meno ai suoi obblighi familiari, abbandonando la casa per andare a vivere con un uomo la cui presenza l’imputato reputava nociva per i bambini; l’abitazione occupata dalla donna con il nuovo compagno era ritenuta dall’imputato inidonea ad ospitare bambini allora in tenera età (constava di una sola stanza ed era abitata altresì da un grosso cane); lo stesso imputato, quando i suoi impegni glielo consentivano, accompagnava i figli agli incontri con la madre.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


Il motivo suesposto era ritenuto infondato.
In particolare, si rilevava prima di tutto come, ad avviso del Supremo Consesso, dovesse ritenersi inconferente il richiamo a Sez. U, n. 36692 del 27/09/2007, che, pur proponendo un’interpretazione “de-formalizzante” della fattispecie, riguardava una situazione non assimilabile a quella oggetto del presente giudizio (nel caso oggetto della pronuncia, la ricorrente si era rifiutata di ottemperare ad ordinanza possessoria di restituzione di un locale ma, di fronte al rifiuto, la rimozione degli oggetti presenti nel vano era stata comunque realizzata dall’ufficiale giudiziario), tenuto conto altresì del fatto che, sempre secondo la Suprema Corte, la sentenza delle Sezioni Unite esprime un principio diverso da quello ravvisato dal ricorrente, nel senso che è ivi chiarito che l’interesse tutelato dall’art. 388 c.p. non è l’autorità in sé delle decisioni giurisdizionali, bensì l’esigenza costituzionale di effettività della giurisdizione ed esclude la rilevanza penale del mero rifiuto di ottemperare ai provvedimenti giudiziali previsti dall’art. 388, comma 2, c.p., a meno che – tuttavia – l’obbligo imposto non sia coattivamente ineseguibile, poiché la sua attuazione richiede la necessaria collaborazione dell’obbligato.
Ciò posto, gli Ermellini osservavano altresì, una volta fattosi presente che la fattispecie in esame richiede un dolo generico che, quindi, non necessariamente deve assumere la forma intenzionale, che, se è vero che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il dolo richiesto per la configurabilità del delitto di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di un figlio minore (art. 388, comma 2, c.p.) non è integrato nel caso in cui ricorra un plausibile e giustificato motivo che abbia determinato l’azione del genitore affidatario a tutela esclusiva dell’interesse del minore (Sez. 6, n. 9190 del 28/02/2012), tuttavia, il plausibile e giustificato motivo in grado di costituire valida causa di esclusione della colpevolezza – che priva di rilievo il rifiuto di dare esecuzione al provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento dei figli minori – pur non richiedendo gli elementi tipici dell’esimente dello stato di necessità, deve essere determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell’interesse del minore in una situazione sopravvenuta che, per il momento del suo avverarsi e per il carattere meramente transitorio, non abbia potuto essere devoluta al giudice per la opportuna eventuale modifica del provvedimento, con la conseguenza che l’elusione del provvedimento giudiziale non può essere fondata su una mera valutazione soggettiva di situazioni preesistenti (siano esse note, dedotte o deducibili al giudice) circa la inopportunità dell’esecuzione, in quanto il dissenso sul merito del provvedimento manifesta la volontà del soggetto agente di eluderne l’esecuzione (in tal senso, Sez. 6, n. 17691 del 09/01/2004; Sez. 6, n. 27613 del 19/06/2006. Più di recente, Sez. 6, ord. n. 27705 del 22/01/2019).
In altre parole, il convincimento di aver agito nell’interesse dei figli minori non nega la sussistenza del dolo nel caso di specie, del resto desumibile, per la Corte di legittimità, pure dall’ampio lasso temporale per il quale l’imputato aveva impedito alla madre di vedere i figli e/o lo aveva consentito a condizioni restrittive, da lui soggettivamente decise ed imposte, che rende poco plausibile la tesi di un impedimento giustificato e meramente occasionale (a contrario, Sez. 6, n. 10905 del 31/01/2023) e destituiva, correlativamente, di fondamento la circostanza di fatto – già ritenuta irrilevante dal giudice dell’appello e, ciò nondimeno, reiterata, da ultimo, nelle conclusioni – che, per impedimenti lavorativi, l’imputato non avesse la possibilità di garantire i contatti tra la madre e i bambini, avendo affidato questi ultimi ai nonni paterni.

3. Conclusioni


La decisione desta un certo interesse, essendo ivi chiarito quando non è configurabile l’elemento soggettivo del delitto di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di un figlio minore.
Difatti, fermo restando che, come noto, l’art. 388, co. 2, cod. pen. dispone che la pena preveduta dal primo comma di tale articolo (ossia: reclusione fino a tre anni o multa da euro 103 a euro 1032) “si applica a chi elude l’ordine di protezione previsto dall’articolo 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito”, si afferma in siffatta pronuncia, dopo avere postulato che il dolo richiesto per la configurabilità del delitto di mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di un figlio minore (art. 388, comma 2, c.p.) non è integrato nel caso in cui ricorra un plausibile e giustificato motivo che abbia determinato l’azione del genitore affidatario a tutela esclusiva dell’interesse del minore, come siffatto motivo, perché possa ritenersi sussistente, nel senso che possa privare di rilievo penale il rifiuto di dare esecuzione al provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento dei figli minori, deve essere determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell’interesse del minore in una situazione sopravvenuta che, per il momento del suo avverarsi e per il carattere meramente transitorio, non abbia potuto essere devoluta al giudice per la opportuna eventuale modifica del provvedimento, con la conseguenza che l’elusione del provvedimento giudiziale non può essere fondata su una mera valutazione soggettiva di situazioni preesistenti (siano esse note, dedotte o deducibili al giudice) circa la inopportunità dell’esecuzione, in quanto il dissenso sul merito del provvedimento manifesta la volontà del soggetto agente di eluderne l’esecuzione.
Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di verificare la sussistenza, o meno, di questo motivo.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, dunque, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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