Le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire in astratto comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno
Se, infatti, come è stato detto sopra, anche prima dell’entrata in vigore dell’art. 30 cod. proc. amm. poteva essere chiesto innanzi al giudice amministrativo il risarcimento del danno senza la preventiva impugnazione del provvedimento ritenuto illegittimo e dannoso, purché entro il termine prescrizionale di cinque anni (cfr. Cons. Stato, A.P., 24 marzo 2011 n. 3), rimaneva comunque ferma – e rimane ferma a tutt’oggi, nell’attuale assetto normativo – la necessità di comprovare l’elemento dell’antigiuridicità, indefettibilmente richiesto agli effetti della stessa qualificabilità del danno come arrecato contra ius e, quindi, come risarcibile.
Nel caso di specie i ricorrenti in primo grado, nonché attuali appellanti, hanno allegato la mera circostanza dell’avvenuta imposizione dei vincoli sulla loro proprietà e dell’avvenuta reiterazione degli stessi, ma non hanno dedotto alcunché in ordine ai vizi che avrebbero concretamente contraddistinto tali atti, con particolare riguardo al loro contenuto motivazionale, pur da essi indubitabilmente conosciuto.
In tal senso, pertanto, i Ricorrente non hanno minimamente soddisfatto in punto di allegazione dell’antigiuridicità il generale principio di cui all’art. 2697 c.c., il quale deve per contro trovare integrale applicazione anche nel processo amministrativo ogniqualvolta non ricorra disuguaglianza di posizioni tra pubblica amministrazione e privato, laddove – come, per l’appunto, nel caso di specie – si verte esclusivamente sulla spettanza, o meno, di un risarcimento del danno: con la conseguenza che, a pena di un’inammissibile inversione del regime dell’onere della prova, non è consentito al giudice amministrativo di sostituirsi alla parte onerata quando quest’ultima si trovi nell’impossibilità di provare il fatto posto a base della sua azione (così, ad es., Cons. Stato , Sez. IV, 11 febbraio 2011 n. 924).
passaggio tratto dalla decisione numero 6403 del 6 dicembre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato
Peraltro, i medesimi Ricorrente riferiscono il fatto generatore del danno ingiusto da loro subito anche all’inerzia da parte del Comune nell’esercizio del potere espropriativo, rapportandolo all’allegazione che essi non hanno potuto giovarsi del mancato esproprio in quanto la capacità di edificazione riferita all’area di loro proprietà era stata in prosieguo di tempo saturata.
Anche avuto riguardo a ciò, tuttavia, risulta puntuale e del tutto assorbente la notazione del T.A.R. secondo cui difetta sia nel P.E.E.P., sia nel successivo P.R.G., la vocazione edificatoria dell’area di cui trattasi, la quale è infatti destinata a soddisfare diverse esigenze di urbanizzazione primaria e secondaria, con la conseguenza che i Ricorrente medesimi mai avrebbero potuto sfruttare nel senso da loro voluto l’area predetta, e ciò – dunque – anche a prescindere dalla circostanza che l’Amministrazione comunale abbia progressivamente esaurito gli anzidetti indici di fabbricabilità, e senza comunque sottacere che la destinazione di parte dell’area di cui trattasi a F11-servizi per l’istruzione si configura quale vincolo non espropriativo, ma conformativo, laddove ammette anche l’iniziativa del privato per la sua attuazione.
Oltre a ciò, va pure denotato che tale stato di cose è stato indotto anche dallo stesso comportamento complessivamente tenuto dai Ricorrente, i quali non solo si sono immotivatamente astenuti dall’impugnare in sede giudiziale o straordinaria i provvedimenti lesivi (cfr. al riguardo la predetta sentenza n. 3 del 2011 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, secondo la quale anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire in astratto comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno, laddove si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica, che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno), ma si sono anche astenuti dal presentare all’Amministrazione comunale, alla scadenza dei predetti vincoli espropriativi, qualsivoglia richiesta per mutare la destinazione d’uso dell’area di cui trattasi: ossia, in buona sostanza sono rimasti del tutto inerti dinanzi all’attuazione delle discipline di piano restrittive della propria sfera giuridica, di modo che risulterebbe del tutto illogico il fatto per cui proprio tale inerzia, concausale in via determinante del danno, sia ora perfino premiata con l’accoglimento dell’istanza risarcitoria.
5. L’appello in epigrafe va pertanto respinto.
Riportiamo qui di seguito il testo della decisione numero 6403 del 6 dicembre 2011 pronunciata dal Consiglio di Stato.
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