Lo spunto per parlare di questo argomento, sempre di stringente attualità, ci viene fornito dalla sentenza del Tribunale di Milano, Sez. XIII, pubblicata in data 17 ottobre 2016.
La Corte lombarda ripercorre, per sommi capi, tutte le problematiche sottese all’emissione dell’ingiunzione di pagamento afferente le quote condominiali e sull’eventuale, conseguente, opposizione a decreto ingiuntivo.
Come è noto, ai sensi dell’art. 63 disp. att. Cc, l’amministratore può agire per la riscossione delle quote condominiali sulla scorta del piano di ripartizione approvato dall’assemblea, con ingiunzione di pagamento immediatamente esecutiva.
Tale esigenza nasce dalla necessità per il condominio di garantire la gestione della cosa comune e, pertanto, l’esistenza in vita dello stesso, di talché il credito dell’ente di gestione, nei confronti dei singoli condòmini, emerge già dalle delibere assembleari di approvazione del rendiconto o del bilancio preventivo.
Le stesse, conservano la loro efficacia e, pertanto, la loro obbligatorietà, anche in caso di impugnazione, fatta salva la sospensione cautelare della delibera da parte dell’autorità giudiziaria, per come disposto dall’art. 1137 Cc, a mente del quale, “le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini”, e che l’eventuale “azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria”.
A tal proposito, osserva il Tribunale meneghino, richiamando i precedenti della giurisprudenza di legittimità per cui “corollario di tale obbligatorietà è che le deliberazioni con cui vengono stabiliti i contributi dovuti dai singoli condomini per far fronte alle spese condominiali e con cui viene attualizzato l’obbligo, stabilito dalla legge ( art. 1123 c.c.), dei singoli condomini di far fronte agli oneri condominiali, costituiscono titoli di credito del condominio, e, da sole, senz’altro, provano l’esistenza di tale credito e legittimano non solo la concessione del decreto ingiuntivo ( art. 63 disp.att. c.c.), ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio di opposizione che quest’ultimo proponga contro tale decreto, giudizio il cui ambito è dunque ristretto alla sola verifica della esistenza e della efficacia della deliberazione assembleare di approvazione della spesa, e di ripartizione del relativo onere (Cass. civ., Sez. II, 18/02/2003, n. 2387)”.
Va ricordato che in caso opposizione a decreto ingiuntivo e di contestuale, precedente o successiva, impugnativa della delibera assembleare posta a base del monitorio, tra le due azioni giudiziarie non sussiste alcun rapporto di connessione, continenza o pregiudizialità, pertanto, non risulta possibile neppure sospendere uno dei due giudizi nell’attesa della definizione dell’altro.
Ciò a cagione dell’ontologica differenza esistente tra le due azioni giudiziarie, in considerazione del fatto che quella di opposizione a decreto ingiuntivo è limitata alla sola verifica dell’esistenza ed efficacia della sottostante delibera assembleare di approvazione e riparto della spesa (Ex multis: Cass. civ. Sez. II, 19/02/2016, n. 3354), quella di impugnativa a delibera assembleare, invece, attiene ad eventuali vizi della stessa.
Conseguentemente, “in tema di opposizione a decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell’art. 63 disp. att. cod. civ. per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla validità della delibera condominiale, ma può validamente contestare la sussistenza del debito e la documentazione posta a fondamento dell’ingiunzione, ovvero il verbale della delibera assembleare. Tale delibera, infatti, costituisce titolo di credito del condominio e, di per sè, prova l’esistenza di tale credito e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio di opposizione che quest’ultimo proponga contro tale decreto, ed il cui ambito è dunque ristretto alla sola verifica della esistenza e della efficacia della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (da ultimo Cass. 6436 del 2014)” (Cass. civ. Sez. II, 03/11/2016, n. 26629).
Fermo restando che, a seguito di declaratoria di illegittimità della delibera impugnata, il condomino costretto a pagare in virtù del decreto ingiuntivo ovvero della sentenza che decide l’opposizione allo stesso, avrà diritto alla restituzione delle somme versate, in considerazione del fatto che “non osta a tale disciplina derogatoria il possibile contrasto di giudicati in caso di rigetto dell’opposizione all’ingiunzione e di accoglimento dell’impugnativa della delibera, poichè le conseguenze possono essere superate in sede esecutiva, facendo valere la sopravvenuta inefficacia del provvedimento monitorio, ovvero in sede ordinaria, mediante azione di ripetizione dell’indebito” (Cass. civ. Sez. II, 18/02/2008, n. 3945).
Pertanto, conclude il Tribunale di Milano, per quanto concerne il riparto dell’onere della prova nel giudizio a cognizione piena, quale quello conseguente all’opposizione a decreto ingiuntivo, il condominio opposto dovrà provare, normalmente attraverso la produzione documentale, il proprio diritto di credito, mentre il condomino opponente ogni fatto estintivo, impeditivo o modificativo del diritto azionato.
Per completezza, è necessario ricordare che tale principio – come di recente ricordato dalla Suprema Corte (Cfr: Cass. 305/2016) – trova un’unica eccezione, quella per cui la delibera sottesa all’emissione del decreto ingiuntivo risulti radicalmente nulla, e non solo annullabile.
A tal proposito, è bene ricordare come “le delibere dell’assemblea di condominio sono nulle se prive degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, se incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini ed, infine, se comunque invalide in relazione all’oggetto, mentre sono annullabili se affette da vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, affette da irregolarità nel procedimento di convocazione e se violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto” (Cass. civ. Sez. Unite, 07/03/2005, n. 4806).
In tali casi, quando la delibera è affetta dal più grave vizio della nullità vige il principio, già espresso dalla Corte di Cassazione nella sentenza 9641/2006 e, sostanzialmente confermato in motivazione dalle sentenze n. 23688/2014 e n. 1439/2014, secondo cui ben può il giudice rilevare d’ufficio la nullità quando si controverta in ordine all’applicazione di atti (delibera d’assemblea di condominio) posti a fondamento della richiesta di decreto ingiuntivo, la cui validità rappresenta elemento costitutivo della domanda (Cass. civ. Sez. II, 12/01/2016, n. 305).
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