Il probabile riflesso costituzionale di una eventuale norma che non considera l’impatto con i diritti umani europei
Una maggiore spesa pubblica implica, di riflesso, un maggior prelievo tributario che, in tempi di profonda crisi economica, proprio strategica non è.
Di contro, eliminare diversi passaggi del procedimento di accertamento e riscossione tributaria (concentrandoli a più non posso) non farà che svilire e via via annullare il rapporto di leale collaborazione tra contribuente e burocrazia.
Nella Costituzione Italiana possiamo ricondurre il tutto al rapporto di fedeltà (art. 54); quest’ultimo strettamente legato al principio di effettiva capacità contributiva (art. 53) nonché all’imparzialità della Pubblica Amministrazione (art. 97).
Questa prospettazione delle cose non può che essere imprescindibilmente afferente al tipo di scelte di politica economico-finanziaria del legislatore, le quali dovrebbero essere volte a garantire la c.d. “sostenibilità del debito pubblico”; quest’ultimo da tempo, ormai, alimentato e nutrito di scarso virtuosismo normativo fiscale.
Ragionando al presente, ma sempre ipoteticamente parlando, non è scritto su alcun atto neppure di radice legislativa che “pagando tutti puntualmente” le tasse (od anche dicendo “pagando tutti le tasse”), ciò solo consenta di abbassare la pressione fiscale con certezza di posta a bilancio anno per anno (come diceva qualche settimana fa la Dott.ssa Sileoni dell’Istituto Bruno Leoni ospite della trasmissione “Non è l’arena”).
L’assenza di una norma “bloccante” e “rassicurante” nel nostro ordinamento, tesa a stoppare la crescita della spesa pubblica e la correlata imposizione fiscale, è anche una delle ragioni per cui la politica in quanto tale rimane inerme ed incapace di fronte al potere discrezionale dell’apparato burocratico al quale ultimo, il più delle volte, il legislatore si affida per regolamentare questioni che le leggi nazionali sono inidonee a disciplinare con padronanza (vedasi gli innumerevoli decreti ministeriali esistenti).
La (non) scelta politica ha sempre un chiaro e tangibile effetto soprattutto quando si tratta di un campo delicato come quello fiscale.
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La Manovra di Bilancio
La “Manovra di bilancio” che il Governo ha proposto in discussione al Parlamento, con disegno di legge a firma del Ministro dell’Economia Gualtieri, pare non tener conto proprio della questione socio-produttiva dell’Italia come sistema.
È una questione di visione del paese o di paese invisibile?
Eppure il gioco delle parti è semplice.
Se i privati non producono, non assumono, non creano reddito, non spendono, non c’è valore aggiunto, non c’è velocità di scambio, ecc.; insomma una componente del gioco del tutto variabile (atteso il rischio d’impresa), ma che al tempo stesso risulta l’unica certezza per rendere dignitosa la parola “contribuente”.
Una buona dose di colpa ce l’ha sicuramente la disarmonia tributaria che si è creata in tutti gli ultimi quarant’anni della nostra Repubblica.
È un caso che nei primi sei mesi del 2019 circa 6.500 attività artigiane abbiano chiuso?
Il dato non è confortante, sotto tanti aspetti, anche per altri settori produttivi.
Certo è che governare un paese come l’Italia non è facile affatto.
Perciò occorre fare molta attenzione ad una questione abbastanza delicata.
Ci si riferisce al rapporto tributario tra cittadino e pubblica amministrazione con riguardo, nella fattispecie, agli Enti Locali.
L’art. 96 del disegno di legge proposto dal Min. Gualtieri, battezzato dalla cronaca nazionale come la norma di “assalto ai conti correnti” (nel caso non si pagassero puntualmente imposte locali, ad esempio, come IMU e TARI), metterebbe gli Enti Locali in una condizione di assoluto strapotere rispetto ai contribuenti; quest’ultimi con tutta evidenza rimarrebbero spogliati delle garanzie minime di informazione effettiva, sia preventiva che postuma, rispetto all’accertamento d’imposta.
Eppure la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea con l’art. 41, nel prevedere il sacrosanto principio di una buona ed imparziale attività amministrativa, riconosce ai cittadini il diritto di essere “ascoltati prima” che l’amministrazione adotti un provvedimento individuale che rechi pregiudizio.
Una similitudine di quanto proposto con la manovra in discussione si può rintracciare nel D.L. 78/2010 (art. 29) dell’ultimo “Governo Berlusconi”: in pratica si ebbe a prevedere la riscossione concentrata per IVA, IRPEF, IRES, IRAP, ecc. così eliminando una volta per tutte le famose cartelle esattoriali (anche se poi tutti sanno che di cartelle esattoriali ce ne sono ancora moltissime in giro per l’Italia).
Come se non bastasse, gli Enti Locali ed i riscossori privati sfruttano già una norma di concentrazione della riscossione: si tratta della vetusta legge di epoca monarchica (Regio Decreto n. 639/1910) mediante la quale le amministrazioni pubbliche possono emettere delle c.d. ingiunzioni fiscali.
Atti, quest’ultimi, che per natura normativa (e perciò anche in termini di genetica giuridica) nascono con una precipua ed imprescindibile triplice funzione essendo accertativi – impositivi, rendendosi contestualmente titolo esecutivo ed intimazione di pagamento – precettivo.
A tal punto v’è da chiedersi seriamente perché mai, allora, prevedere nello stesso disegno di legge il mantenimento di rapporti di affidamento tra Ente Locale e società private di riscossione se con la manovra finanziaria 2020 (ove mai così approvata), sostanzialmente, non si ha più necessità di coprire passaggi ulteriori del procedimento di riscossione poiché tutto concentrato nelle mani dell’Ente primario (ad esempio il Comune)?
Qualsiasi Comune, infatti, ben potrebbe effettuare tutto in proprio ed in economia (con enorme risparmio di spesa pubblica e per le tasche dei contribuenti, anche a posteriori, poiché così non pagherebbero i fastidiosissimi oneri di riscossione del 3% – vedasi art. 96, co. 20 del disegno di legge).
La cosa più incredibile è che in Manovra, prevedendosi che con un unico atto (l’accertamento concentrato appunto) si possa arrivare immediatamente ai conti correnti del contribuente, per effetto dell’accesso gratuito dei riscossori privati ai dati dell’Anagrafe Tributaria, si rischia di mettere in discussione seria il rapporto di leale collaborazione con i contribuenti stessi.
Risulta evidente la portata dell’art. 96, co. 8, del predetto “disegno di legge Gualtieri”: in pratica si concederebbe un indiscriminato potere di accesso da parte degli agenti di riscossione privati (soggetti previsti dal D.Lgs. 446/1997) a tutti i dati personali dei cittadini, per di più, del tutto gratuitamente.
Chi opera nel settore tributario sa che quando viene effettuato il pignoramento in banca con la procedura speciale dell’art. 72 bis del DPR 602/1973, ove mai la banca stessa dovesse dichiarare la capienza del conto e perciò provvedere alla consegna per assegnazione dei soldi al riscossore, si genererebbe l’impossibilità concreta di opporsi da parte del contribuente (atteso il limite per legge previsto dall’art. 615, co. 2 ult. periodo, cpc) così perdendo tutte le speranze di ottenere pronta e celere giustizia qualora si trattasse di attività illegittima della Pubblica Amministrazione.
La norma che si vuole in Manovra condurrebbe ad un’altra similitudine, questa volta più antica, con la Roma dell’età Repubblicana: epoca in cui non esistevano veri e propri agenti del fisco incaricati dallo Stato a riscuotere le (numerosissime) tasse, ma se ne occupavano i c.d. “pubblicani”.
In pratica i pubblicani stipulavano con il Senato romano dei contratti pubblici per vari fini tra i quali anche la riscossione delle tasse; si trattava, in buona sostanza, di un vero e proprio appalto d’imposte.
Tuttavia la cattiva fama dei pubblicani non tardò a prevalere tra lo scontento dei cittadini di Roma atteso che, non poche volte, i riscossori dell’antica Roma approfittavano dell’indeterminatezza delle leggi e di uno strapotere (entrando proprio in casa dei privati senza avvisare) riscuotendo molto più del dovuto.
Non tanto diverso, parrebbe, la realtà italiana d’oggi sin da quando si è deciso di consentire l’accesso alla funzione pubblica della riscossione (quantomeno per gli Enti Locali) al mercato della concorrenza tra società private.
Con questo non si vuole affatto affermare che (con pregiudizio) tutte le società di riscossione private, una volta approvata ed entrata in vigore la Manovra proposta al Parlamento, si comporteranno nella maniera dei pubblicani dell’antica Roma.
La cosa che, però, dovrebbe interessare prima tutto è riflettere sulla questione dell’accentramento di tutti i poteri in un’unica fase del procedimento, nelle mani di un solo soggetto, senza dare respiro ai cittadini e senza possibilità effettiva di godere del diritto all’ascolto preventivo nonché postumo: qui è in gioco il famoso contraddittorio che è la base dei sistemi democratici.
A questo punto non sarebbe più giusto iniziare a riformare il sistema tributario nel suo complesso partendo dall’inversione del rapporto di fedeltà?
È un sogno, certamente, ma un sistema nel quale il cittadino che versi un euro nelle casse dell’Erario possa effettivamente sapere vita, morte e miracoli dell’impiego dei suoi soldi (non bastando pubblicare bilanci degli Enti Pubblici che sono fuori dalla portata comune del cittadino), senza incorrere nel rischio della promiscuità finanziaria e della dispersione amministrativa, è una sfida di equità ed eguaglianza sociale prima ancora che di civiltà giuridico fiscale necessaria.
Ciò potrebbe portare psicologicamente i cittadini-contribuenti a percepire davvero l’utilità sociale del “pagare tutti”, “pagare il giusto”, con rispetto delle richieste pubbliche legittime.
Tracciabilità fiscale cercasi.
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