Con la manovra economica di 25 miliardi di euro (D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, in G.U. n. 125 del 31/05/2010, entrato in vigore lo stesso giorno, ai sensi dell’art. 56), il legislatore per accelerare la riscossione ha profondamente modificato in peggio l’art. 47 D.Lgs. n. 546 del 31/12/1992 nel seguente modo (art. 38, comma 9):
– il comma 1 recita: “Il ricorrente, se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione per un periodo massimo di centocinquanta giorni dell’esecuzione dell’atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato notificato alle altri parti e depositata in segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all’art. 22”;
– il comma 7 recita: “Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado e, in ogni caso, decorsi centocinquanta giorni dalla data del provvedimento di sospensione”.
Le stesse modifiche, inoltre, sono state apportate all’art. 24 del D.Lgs. n. 26/02/1999 n. 46 in tema di iscrizione a ruolo dei crediti degli enti previdenziali.
Le suddette modifiche legislative, peraltro surrettiziamente inserite nell’art. 38 intestato “Altre disposizioni in materia tributaria”, sono assurde ed illegittime perché non solo limitano e pregiudicano seriamente il diritto di difesa ma, soprattutto, perché costringono il contribuente a pagare (o patteggiare con il fisco), senza peraltro modificare il processo tributario, che già oggi non garantisce un’efficace linea difensiva.
Occorre premettere che se in linea di massima è giusta la filosofia di combattere seriamente l’evasione fiscale è altrettanto giusto, però, rispettare il diritto costituzionale di difesa, che non deve mai essere mortificato e limitato o, peggio ancora, annullato, costringendo sempre il contribuente a pagare, tenuto conto del breve periodo di sospensione e, di conseguenza, a patteggiare con il fisco per evitare ulteriori danni economici e morali, anche per somme non dovute.
Con l’attuale struttura del processo tributario, la realtà processuale dei fatti, forse sconosciuta a chi non frequenta le aule delle Commissioni tributarie, è la seguente:
1) ricevuto l’avviso di accertamento il contribuente non ottiene alcuna preventiva tutela cautelare perché la giurisprudenza prevalente richiede sempre la notifica della cartella esattoriale; questa rigida interpretazione, peraltro errata, secondo me, perché l’art. 47 non richiede l’imminenza del danno, crea, in ogni caso, un danno al contribuente che deve attendere la successiva notifica della cartella esattoriale con l’inevitabile riduzione dei termini di difesa ed il rischio di dover pagare;
2) una volta ricevuta la cartella esattoriale, il contribuente può chiedere o il decreto d’urgenza (art. 47, comma 3, cit.) o la fissazione dell’udienza di sospensiva, che, in ogni caso, richiede dei termini tecnici di almeno dieci giorni liberi prima dell’udienza stessa (art. 47, comma 2, cit.);
3) una volta ottenuta la sospensiva, la trattazione della controversia nel merito deve essere fissata non oltre il termine ordinatorio di novanta giorni dalla pronuncia (art. 47, comma 6, cit.), fatto che difficilmente si verifica, tenuto conto degli attuali arretrati delle Commissioni tributarie;
4) infine, una volta discusso il merito, la sentenza deve essere depositata nel termine sempre ordinatorio di trenta giorni dalla data di deliberazione (art. 37, comma 1, D.Lgs. cit.), fatto anche questo che si verifica raramente, tenuto conto del carico di lavoro dei giudici tributari, soprattutto se si tratta di decidere cause di estrema difficoltà.
Di conseguenza, inserire le suddette modifiche in un tessuto legislativo e processuale come l’attuale non solo è da incoscienti ma, soprattutto, è un modo subdolo per costringere il contribuente a pagare ad ogni costo, mortificando altresì gli impegni professionali del difensore.
Infatti, le conseguenze pratiche di tali assurde modifiche possono così sintetizzarsi:
a)se il contribuente riceve la cartella esattoriale deve anticipare di molto la linea difensiva per sfruttare al massimo il termine dei 150 giorni, che peraltro non dipendono dal difensore stesso; logicamente, questo anticipo difensivo può compromettere seriamente il diritto di difesa, soprattutto per quanto riguarda le ricerche documentali, dottrinarie e giurisprudenziali;
b)se per ipotesi il contribuente ottiene il decreto di provvisoria sospensione ex art. 47, comma 3, cit., i 150 giorni si esauriscono in breve tempo, tenuto conto che la Commissione tributaria deve fissare le successive udienze di convalida e di merito; ed anche se viene convalidato il decreto, il termine di 150 giorni decorre sempre dall’iniziale decreto di sospensione, perché il rinnovato comma 7 cit. dispone tassativamente che “in ogni caso, decorsi centocinquanta giorni dalla data del provvedimento di sospensione” gli effetti della sospensione cessano;
c)ammesso che il contribuente riesca ad accelerare al massimo tutti i tempi processuali, non è detto che il giudice tributario riesca a depositare la sentenza entro i fatidici 150 giorni; per cui il contribuente rischia di dover pagare per fatti altrui;
d)infine, ed è la cosa più assurda:
– per accelerare i tempi, il contribuente può essere costretto a rinunciare alle consulenze tecniche d’ufficio (art. 7, comma 2, D.Lgs. cit.), compromettendone il risultato;
– non può essere chiesta neppure la proroga della sospensiva perché il termine di 150 giorni è il periodo massimo;
– i giudici tributari, per evitare di rispettare il termine, seppur ordinatorio dei 30 giorni per il deposito della sentenza, potrebbero rigettare le istanze di sospensione, con grave nocumento per le parti.
Nel processo civile, il provvedimento cautelare perde la sua efficacia soltanto se il procedimento di merito non è iniziato nel termine perentorio di cui all’art. 669-octies c.p.c. ovvero se successivamente al suo inizio si estingue (art. 669-novies c.p.c.).
In ogni caso, sempre nel processo civile, le suddette disposizioni dell’art. 669-novies cit. non si applicano mai ai provvedimenti di urgenza emessi ai sensi dell’art. 700 c.p.c. (art. 669-octies, comma 6, c.p.c.).
Anche nel processo amministrativo dinanzi al TAR ed al Consiglio di Stato la sospensiva non ha alcun limite di scadenza.
Pertanto, non si capisce perché nel processo tributario, dove si discutono questioni anche di elevato valore economico, ci debba essere l’assurda tagliola dei 150 giorni, se non nella logica assurda di costringere il contribuente a pagare sempre e comunque, salvo il diritto all’eventuale rimborso nei tempi biblici del fisco, con il rischio, intanto, di possibili fallimenti o chiusure di esercizio, soprattutto a seguito dei potenziati istituti di riscossione coattiva e nel pieno di una grave crisi economica.
Oltretutto, le suddette assurde modifiche si applicano anche a tutti i processi in corso, con il rischio di perdita di efficacia di molte sospensive già concesse, calpestando così, ancora una volta, i principi dello Statuto dei Diritti del Contribuente circa l’irretroattività delle norme e l’affidamento.
E’ giusto combattere l’evasione fiscale, ma non si può gettare l’acqua con il bambino, facendo di ogni erba un fascio, e mettere assurdi limiti all’efficacia temporale della sospensiva.
Se, invece, si vogliono conservare le suddette modifiche, allora è necessario ed urgente riformare l’intero processo tributario, come da anni vado sostenendo (rinvio al mio progetto di legge di riforma del processo tributario, in www.studiotributariovillani.it), con giudici tributari a tempo pieno, ben retribuiti, non più gestiti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e con termini perentori da rispettare, a pena di decadenza dall’incarico, con la possibilità di proporre le sospensive anche in grado di appello sia per quanto riguarda gli atti sia per quanto riguarda l’esecuzione delle sentenze (artt. 283 e 373 c.p.c.).
Solo in questo modo si può dire di essere in un vero Stato di diritto, dove a fronte di una giusta e rigorosa lotta all’evasione fiscale corrisponde un diritto di difesa pieno e senza limiti.
In mancanza della necessaria ed urgente riforma organica del processo tributario, le assurde ed illegittime modifiche dell’art. 47 potrebbero essere tacciate di incostituzionalità per lesione del diritto di difesa (art. 24 della Costituzione) e per lesione dell’iniziativa economica e della proprietà (artt. 41 e 42 della Costituzione).
Pertanto, le suddette modifiche devono essere totalmente cancellate in sede di conversione del decreto legge e di ciò tutti professionisti del settore, con i rispettivi Ordini di appartenenza, devono rendersi promotori e paladini.
Lecce, 05 giugno 2010
Avvocato Tributarista in Lecce
Patrocinante in Cassazione
www.studiotributariovillani.it
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