Marchio forte e marchio debole: come si distinguono?

Redazione 17/01/19
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Un altro aspetto da analizzare nell’affrontare il requisito della capacità distintiva, riguarda la elaborazione, da parte della giurisprudenza italiana, di una distinzione fra due categorie di marchio, che non era stata prevista dal nostro Legislatore: quella tra marchio forte e marchio debole. In particolare, la giurisprudenza definisce marchi deboli quelli che risultano concettualmente legati al prodotto, in quanto per esempio la parola che rappresenta il marchio coincide con la denominazione generica del prodotto oppure sostanzi delle indicazioni meramente descrittive del prodotto. In altri termini, il segno rappresenta un carattere o un elemento del prodotto stesso o comunque si sostanzia in generale nell’uso di parole di comune diffusione che non possono essere oggetto di un diritto esclusivo.

Il marchio forte

Al contrario, il marchio forte non è concettualmente legato al prodotto, in quanto rappresentato da un segno che lo contraddistingue senza, tuttavia, avere una immediata attinenza o relazione con detto prodotto. La differenza tra le due tipologie di marchio sono individuate dalla giurisprudenza, non nella loro registrabilità o meno, bensì sul livello di intensità di tutela riconosciuto all’uno piuttosto che all’altro. Infatti, un marchio debole può essere valido se esiste un grado di capacità distintiva, anche se limitato, e pertanto può essere registrato.

Tuttavia, dal punto di vista della tutela ad esso riconosciuta rispetto ad altri marchi simili, la giurisprudenza ritiene che anche lievi modificazioni od aggiunte nel successivo marchio siano sufficienti ad escluderne la confondibilità con il precedente marchio debole.

Rispetto al marchio forte, invece, il livello di intensità di tutela è maggiore, poiché la giurisprudenza ritiene illegittime tutte le modificazioni che, se anche sono rilevanti ed originali, tuttavia non mutino gli elementi espressivi centrali del marchio che lo caratterizzano e gli attribuiscono la funzione distintiva propria del marchio (1 ).

Il marchio debole: come viene tutelato?

In altri termini, mentre nel caso del marchio debole, per evitare la sua contraffazione, bastano anche “lievi modificazioni” o “aggiunte” rispetto al suo contenuto che siano idonee ad essere percepite con valore differenziante dai destinatari dei prodotti contrassegnati; viceversa, nel marchio forte la tutela è più incisiva perché rende illegittime tutte le variazioni e modificazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del “cuore” del marchio, cioè l’idea espressiva che lo caratterizza e gli attribuisce la sua attitudine individualizzante. Il fenomeno del secondary meaning sopra descritto non consente soltanto ad un marchio nullo, in quanto generico e privo di capacitàtiva, di divenire valido, ma consente altresì anche ad un marchio debole, dotato di scarsa capacità distintiva, di divenire forte, tramite l’intenso uso, l’accreditamento e la notorietà conseguiti per effetto della propaganda e della pubblicità. A seguito della trasformazione di fatto da marchio debole a marchio forte, attraverso il secondary meaning, anche a tale marchio dovrà essere riconosciuta la stessa tutela prevista per i marchi “originariamente” forti(2).

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Note

(1 ) Cass. civ. sez. I, 24 giugno 2016, n. 13170, in Banca dati Pluris on-line, Wolters Kluwer Italia: “in tema di marchi d’impresa, la qualificazione del segno distintivo come marchio cd. debole non incide sull’attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio cd. forte, in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto sufficientemente differenziabili i due marchi in conflitto in relazione alla natura degli stampati da essi contrassegnati, privi di affinità perché caratterizzati da rilevanti diversità funzionali, in quanto alcuni diretti alla pubblicità commerciale ed altri finalizzati all’informazione pubblica)”.

(2 ) Cass. civ. sez. I, 10 novembre 2015, n. 22953, in Banca dati Pluris on-line, Wolters Kluwer Italia: “in tema di marchio, la tutela del cosiddetto “secondary meaning”, prevista dall’art. 47-bis del r.d. n. 929 del 1942, introdotto dal d.lgs. n. 480 del 1992, si riferisce ai casi in cui un segno, originariamente sprovvisto di capacità distintive per genericità, mera descrittività o mancanza di originalità, acquisti in seguito tali capacità per effetto del consolidarsi del suo uso sul mercato, così che l’ordinamento si trova a recepire il ‘fatto’ della acquisizione successiva di una ‘distintività’ attraverso un meccanismo di ‘convalidazione’ del segno. Tale principio è estensibile anche al caso di trasformazione di un marchio originariamente debole in uno forte, onde va riconosciuta al marchio ‘originariamente’ debole la stessa tutela accordata ai marchi ‘originariamente’ forti e l’accertamento della relativa contraffazione va effettuato secondo i criteri che presiedono alla tutela del marchio forte, atteso che il segno in origine caratterizzato da una minor capacità individualizzante, una volta pervenuto alla convalidazione dovuta all’uso, abbisogna della più rigorosa tutela riconosciuta al marchio forte, in mancanza della quale anche le lievi modificazioni che il marchio debole deve invece tollerare otterrebbero l’effetto di frustrare il risultato conseguito attraverso l’uso di mercato”.

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