La moglie aveva dunque ottenuto sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio presso il Tribunale ecclesiastico Regionale, mentre non era riuscita ad ottenere la declaratoria di efficacia, della predetta sentenza ecclesiastica, nella Repubblica italiana. A fronte del rifiuto di delibazione, la donna ricorreva pertanto in Cassazione.
Per lo Stato, conta la convivenza come coniugi
I Giudici di legittimità, tuttavia, non hanno fatto che ribadire le statuizioni di merito. In particolare, si richiama un arresto delle Sezioni Unite, il quale dà fondamentale rilievo alla “convivenza come coniugi” quale elemento essenziale del “matrimonio rapporto”. Ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, la convivenza integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano, la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi di sovranità e laicità dello Stato, ed è preclusiva alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal Tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del “matrimonio-atto”.
Orbene la Corte d’Appello prima e la Corte di Cassazione poi, hanno fatto proprie – in rapporto al caso di specie – le presenti affermazioni di principio, avendo accertato che la convivenza dei coniugi de quo si era protratta per ben quattordici anni, i primi sei o sette dei quali si erano “estrinsecati in una condotta oggettiva coerente con l’unione coniugale”, tanto che la coppia aveva, di comune accordo, deciso di avere una figlia e che, solo dopo la nascita di quest’ultima, la “disinclinazione eterosessuale” del marito era venuta alla luce. Ciò che per l’appunto preclude, secondo gli Ermellini il riconoscimento dell’efficacia della sentenza di nullità ecclesiastica.
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