In materia di stupefacenti, la detenzione delle droghe c.d. “leggere” non integra, di per sé solo, un fatto di “lieve entità”

Non è condivisibile l’interpretazione secondo cui, essendo la sostanza riconducibile nel novero delle droghe “leggere”, la detenzione della medesima integrerebbe, di per sé solo, un fatto di “lieve entità”, essendo smentita dal chiaro tenore letterale dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990.

(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Normativa di riferimento: d.P.R., 9/10/1990, art. 73, c. 5)

Il fatto

Con l’impugnata sentenza, in parziale riforma della decisione resa dal tribunale di Pescara, appellata dal Procuratore Generale, la Corte d’appello dell’Aquila riqualificava il fatto ai sensi del comma 1 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, e, per l’effetto, rideterminava la pena inflitta ad A. C. in anni tre di reclusione ed euro 10.000, di multa, nel resto confermando la sentenza di primo grado, in relazione alla penale responsabilità dell’imputato per la detenzione di gr. 424,33 di marijuana.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso l’indicata sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore di fiducia, articolando un unico motivo di doglianza, incentrato sulla violazione di legge in relazione all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990.
Assumeva in particolare il ricorrente che, in considerazione della tipologia della sostanza sequestrata, annoverata tra le droghe “leggere”, la Corte territoriale avrebbe dovuto confermare la sussunzione del fatto nella previsione di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 in quanto la tipologia della sostanza sarebbe, di per sé, indice della “lieve entità” del fatto.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione

La Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso proposto alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si osservava difatti come, a dispetto della mutata configurazione giuridica dell’ipotesi di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, elevata da circostanza attenuante a fattispecie autonoma di reato a seguito delle novelle di cui alle leggi n. 10 e n. 79 del 2014, non fossero cambiati i presupposti per la sua applicabilità rilevandosi, in particolar modo, che la fattispecie del fatto di “lieve entità” è ravvisabile in ipotesi connotate da una minima offensività della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (per tutti, cfr. Sez. U, n. 35737 del 24/06/2010 – dep. 05/10/2010, omissis, Rv. 247911).
Posto ciò, gli ermellini osservavano come, nel caso di specie, la Corte di Appello avesse fatto buon governo di tale principio escludendo al riconducibilità del fatto nell’ipotesi di lieve entità sulla considerazione assorbente del dato quali-quantitativo, essendo ricavabili, dallo stupefacente sequestrato al C., ben 1.003 dosi medie singole evidenziando altresì come non potesse essere condivisa l’interpretazione prospettata dal ricorrente secondo cui, essendo la sostanza riconducibile nel novero delle droghe “leggere”, la detenzione della medesima integrerebbe, di per sé solo, un fatto di “lieve entità”, essendo smentita dal chiaro tenore letterale dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990 posto che, ai fini della valutazione del fatto come “di lieve entità”, la norma impone di considerare, oltre ai mezzi, alle modalità e alle circostanze dell’azione, la qualità e la quantità dello stupefacente, con ciò facendo riferimento in un caso alla percentuale di purezza, nell’altro al dato ponderale, senza che, quindi, assuma rilevanza la tipologia della sostanza.
Del resto, ad ulteriore sostegno dell’assunto appena esposto, si faceva oltre tutto presente come, ove si fosse seguita l’impostazione del ricorrente, si sarebbe giunti a esiti inaccettabili con riguardo alla detenzione di quantità ingenti di “droghe leggere” atteso che, in un caso del genere, in considerazione della tipologia della sostanza stupefacente, dovrebbe sempre applicarsi l’ipotesi del “fatto lieve”, e non già l’aggravante dell’ingente quantità, prevista dall’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, che, invece, opera indistintamente in riferimento a tutte le sostanze stupefacenti o psicotrope.
Tal che, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, i giudici di Piazza Cavour dichiarava inammissibile il ricorso e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende

Conclusioni

La sentenza è condivisibile senza ombra di dubbio atteso che, come rilevato dalla stessa Cassazione in questa pronuncia, il tenore testuale dell’art. 73, c. 5, d.P.R. n. 309/1990 esclude che possa rilevare, ai fini della sussistenza di questo illecito penale, la tipologia della sostanza psicotropa essendo altri gli indici previsti da tale disposizione legislativa da cui inferire la sussistenza (o meno) della lieve entità.
Ciò si traduce sul piano pratico nel senso che non può essere elaborata una valida strategia difensiva che si basi su questa argomentazione proprio perché non prevista dalla norma appena citata.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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