Materiale pornografico su sito web ad “accesso limitato”: art. 612 ter c.p.

Cosa integra il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, nel caso di sito web ad “accesso limitato”.

Fabrizio Rega 10/01/25
Allegati

La Cass. Pen., sez. V. Ud. 05 marzo 2024 (dep. 27 giugno 2024), n. 25516 afferma il seguente principio di diritto: “Integra il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito materiale visivo pubblicato su un sito «web» di incontri con accesso limitato ai soli iscritti, lo trasmette a terzi senza il consenso della persona ritratta, in quanto tale facoltà, in virtù del consenso espresso da quest’ultima al momento dell’apertura dell’«account», è circoscritta ai soli appartenenti alla comunità virtuale a cui il materiale era stato originariamente inviato e unicamente all’interno di essa”. Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri

Corte di Cassazione -sez. V pen.- sentenza n. 25516 del 5-03-2024

CASS.-PEN.-SEZ.-V.-UD.-05-MARZO-2024-DEP.-27-GIUGNO-2024-N.-25516.pdf 197 KB

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Indice

1. La diffusione non consensuale di immagini pornografiche da sito web


L’art. 612 ter c.p. punisce la diffusione non consensuale di immagini o video di stampo pornografico ed è stato inserito con la riforma c.d. “Codice Rosso” (L. 19 luglio 2019 n. 69).
La rilevanza penale delle condotte descritte nella fattispecie risiede nella fuoriuscita del materiale, connotato da contenuto sessualmente esplicito, dall’originario perimetro relazionale privato, per cui all’assenza di consenso si accompagna anche la caratterizzazione “privata” della destinazione dell’oggetto materiale del reato, ossia le immagini e video sessualmente espliciti.
I due requisiti (ossia la destinazione privata e la mancanza di consenso) sono da considerarsi cumulativi e non alternativi, sicché è necessario che sussistano contemporaneamente e non possono operare in alternativa tra di loro. Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri

FORMATO CARTACEO

Codice penale e di procedura penale e norme complementari

Il presente codice per l’udienza penale fornisce uno strumento di agile consultazione, aggiornato alle ultimissime novità legislative (la riforma Nordio, il decreto svuota carceri, modifiche al procedimento in Cassazione).L’opera è corredata dalle leggi speciali di più frequente applicazione nel corso dell’udienza penale e le modifiche del 2024 sono evidenziate in grassetto nel testo per una immediata lettura delle novità introdotte.Gli articoli del codice penale riportano le note procedurali utili alla comprensione della portata pratica dell’applicazione di ciascuna norma.Il volume è uno strumento indispensabile per avvocati e magistrati, ma anche per studenti universitari e concorsisti.Completa il codice una sezione online che mette a disposizione ulteriori leggi speciali in materia penale e gli aggiornamenti normativi fino al 31 gennaio 2025.Paolo Emilio De SimoneMagistrato presso il Tribunale di Roma, già componente del Collegio per i reati ministeriali presso il medesimo Tribunale. Docente della Scuola Superiore della Magistratura, è autore di numerose pubblicazioni.Luigi TramontanoGiurista, già docente a contratto presso la Scuola di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza, è autore di numerose pubblicazioni, curatore di prestigiose banche dati legislative e direttore scientifico di corsi accreditati di preparazione per l’esame di abilitazione alla professione forense.

Paolo Emilio De Simone, Luigi Tramontano | Maggioli Editore 2024

2. Lo svolgimento del processo


In data 16 maggio 2023, la Corte di appello di Venezia confermava la decisione del Tribunale di Venezia emessa in data 7 giugno 2022 con la quale l’imputato, I. D’A., veniva riconosciuto colpevole dei reati a lui ascritti e punito alla pena di anni due di detenzione.
L’imputazione riguardava tre capi: (capo A) art. 612 bis, secondo comma, c. p., perché, manifestando un morboso interesse per la vita privata della persona offesa, E. Z., legata all’imputato da una relazione affettiva, reiterava condotte moleste consistite: nel contattare ripetutamente la stessa persona offesa con diverse telefonate, presso il luogo di lavoro e la sua abitazione; nel riportare, in occasione di tali contatti, informazioni apparentemente veritiere sullo stato dei luoghi frequentati da Z. al solo fine di ingenerare in lui una situazione di soggezione dovuta alla continua osservazione da parte dell’imputato; nell’aprire, contestualmente, decine di account in siti di incontri nei quali venivano riportati per esteso l’indirizzo di casa e del posto di lavoro di Z., oltre a una serie di sue immagini anche intime; nel simulare, in tali annunci, la disponibilità della persona offesa alla consumazione di rapporti sessuali occasionali presso la propria abitazione e nel luogo di lavoro, così creando un andirivieni di sconosciuti nei suddetti luoghi; nell’ordinare, a nome della persona offesa, strumenti per il compimento di pratiche di autoerotismo; nell’inviare tramite e-mail, con indirizzo falso apparentemente riconducibile alla persona offesa, all’azienda per la quale questa lavorava e ad altri soggetti a lei legati per ragioni lavorative, foto ritraenti Z. nudo o nell’atto di praticare autoerotismo; nel contattare amici che la persona offesa aveva nel social network «Facebook», inviando loro il link dei profili abusivamente aperti a suo nome presso alcuni siti d’incontri, con l’esclusivo fine di offenderne la reputazione; nel telefonare, con insistenza, ai genitori della persona offesa, provocando un grave stato di ansia e di paura per la propria incolumità nello stesso Z., costretto ad alterare le proprie abitudini di vita onde limitare i contatti con soggetti sconosciuti e a filtrare le visite presso il luogo di lavoro e l’abitazione;
(capo B) dall’art. 612 ter, secondo comma, c.p., perché, avendo ricevuto o comunque acquisito, anche grazie alla relazione instaurata con Z., immagini e video che ritraevano quest’ultimo nell’atto di compiere atti sessuali, li diffondeva attraverso siti di incontri e li inviava a mezzo e-mail a molteplici destinatari;
(capo C) dagli artt. 81 e 494 c.p., perché, al fine di creare danno alla persona offesa, induceva in errore i provider di internet e gli utenti della rete, in merito alla propria identità, sostituendosi di fatto a Z. mediante la creazione di profili e indirizzi e-mail apparentemente a lui riconducibili in quanto aventi alias riconducibili al nome della persona offesa e immagini contenenti sue effigi in pose anche intime, creando diversi profili e account per e-mail.
Avverso la sentenza impugnata il difensore proponeva ricorso per Cassazione, deducendo cinque motivi di impugnazione.
Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., lamentava l’inosservanza o erronea applicazione degli artt. 21, comma 2, 23 e 25 c.p.p. e dell’art. 612 bis c.p., in riferimento all’illegittimo rigetto dell’eccezione di incompetenza per territorio diretta ad attribuire la competenza al Tribunale di Napoli. Avendo il delitto di atti persecutori natura abituale, la consumazione dovrebbe avvenire nel luogo in cui il comportamento sia riconoscibile e individuabile come persecutorio e in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degeneri in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in taluna delle forme descritte dalla disposizione, radicandosi la competenza in capo all’autorità giudiziaria nel cui territorio sia possibile identificare i singoli comportamenti che costituiscono i segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento, ivi comprese le iniziali condotte moleste o minatorie ovvero quello in cui vi sia stata la programmazione della progressione comportamentale determinante l’insorgenza dello stato di ansia o di paura.
Con il secondo motivo, il ricorrente osservava – ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p. –che in una fase del rapporto, cronologicamente collocata tra il 25 agosto 2020 e il 22 settembre 2020, esso era caratterizzato da contatti diretti tra Z. e l’imputato, improntati da confidenzialità e reciproca intimità, sicché non potrebbe al contempo sostenersi che, in quello stesso periodo, il rapporto fosse caratterizzato da contestuali atti persecutori.
Inoltre, il delitto di cui all’art. 612 bis c.p. non potrebbe configurarsi neanche per il periodo di tempo collocabile tra il 22 settembre 2020 e il 23 novembre 2020, perché mancavano i contatti tra l’imputato e la persona offesa, essendosi la condotta sostanziata nella creazione di profili falsi su social network e su siti di incontri gay, utilizzando il nome della persona offesa e sostituendosi ad essa.
Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p, la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 612 bis, secondo comma, c.p. in relazione all’aggravante dell’esistenza di una relazione sentimentale e dell’avere utilizzato strumenti informatici o telematici.
Durante l’istruttoria si accertava che la persona offesa incontrava il D’A. in un unico frangente, sicché il loro rapporto sarebbe definibile come «occasionale e fugace».
Il ricorso, ancora con il terzo motivo, evidenziava anche l’insussistenza dell’aggravante dell’utilizzo  di strumenti informatici o telematici, in quanto il comportamento dell’imputato non era diretto a profferire minacce o molestare Z., ma per comunicare con persone diverse. Del pari, la creazione di falsi profili su siti di incontri gay riconducibili alla persona offesa non potrebbe ritenersi in stretta correlazione con l’attività persecutoria in danno di Z.
Con il quarto motivo, il ricorso deduceva, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 612 ter, secondo comma, c.p., atteso che le foto e i video di Z. inseriti dall’imputato su siti web di incontri sarebbero stati disponibili liberamente sul portale telematico in cui la persona offesa li aveva «pubblicati», sicché l’utilizzo del materiale non potrebbe dirsi indebito.
Con il quinto e ultimo motivo, il ricorrente lamentava – ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), c.p.p. – la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 494 c.p. per avere la Corte territoriale ritenuto sussistente l’elemento costitutivo del delitto contestato nonostante i domini di posta elettronica e i profili «Facebook» attivati dall’imputato non fossero intestati alla persona offesa, bensì a nomi di pura invenzione.

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3. Motivi della decisione


I motivi della decisione resa dalla Sezione V della Corte di Cassazione possono essere così articolati.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Gli Ermellini, al fine di rispondere al primo motivo, premettono che il reato di cui all’art. 612 bis c.p. sia un reato di evento caratterizzato dalla produzione di «un danno», consistente nell’alterazione delle abitudini di vita della persona offesa ovvero nell’arrecare in capo ad essa un perdurante e grave stato di ansia o di paura; oppure, alternativamente[1] nella produzione di un evento «di pericolo», costituito da un fondato timore in capo alla vittima per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona ad essa legata da relazione affettiva[2].
Il reato de quo, oltre ad essere un reato di danno, si configura come abituale sicché è necessario – per il suo perfezionamento – di una pluralità di azioni che costituiscono condotta unitaria in quanto causalmente orientate verso la realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice[3] e che si consuma non nel momento iniziale di realizzazione delle condotte, ma nel momento e nel luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall’art. 612 bis c.p.[4]
Sulla base di tali premesse, i Giudici di Piazza Cavour non condividono la tesi difensiva secondo cui la competenza si sarebbe dovuta radicare nel territorio in cui si erano verificati i singoli comportamenti dell’agente, suscettibili di essere ricondotti a una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento, ovvero in quello in cui vi era stata la programmazione della progressione comportamentale da parte dell’imputato.
Nel caso di specie, di conseguenza, il luogo di consumazione del delitto di cui all’art. 612 bis c.p. veniva correttamente individuato dai Giudici di merito nel territorio Venezia, nel cui circondario la persona offesa viveva all’epoca dei fatti e nell’ambito del quale si era ingenerato il grave stato di ansia che l’aveva successivamente costretta a modificare le proprie abitudini di vita.
Ne consegue, dunque, l’inammissibilità del primo motivo di doglianza.
Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.
Gli Ermellini ritengono privo di pregio la circostanza per la quale, tra il 22 settembre 2020 e il 23 novembre 2020, tra l’imputato e la persona offesa sarebbero mancati i contatti.
Infatti, stando all’indirizzo giurisprudenziale maggioritario, il delitto di atti persecutori può essere integrato attraverso qualunque comportamento di molestia o minaccia, purché reiterato, che abbia in concreto determinato in capo alla persona offesa un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una persona ad essa legata da relazione affettiva o, ancora, l’alterazione delle abitudini di vita della persona offesa.
Al fine dell’integrazione del delitto, si è ritenuto che possa integrare la condotta di atti persecutori anche il reiterato invio alla persona offesa di sms con messaggi amorosi, ingiuriosi e minatori, veicolati anche a mezzo di plurime telefonate, nonché la divulgazione di filmati che la ritraggono in atteggiamenti intimi[5], come anche la condotta di chi reiteratamente pubblichi, sui social network, fotografie o messaggi aventi contenuto denigratorio della persona offesa o comunque con riferimenti alla sua sfera sentimentale e sessuale, in violazione del diritto alla riservatezza[6].
È fondato, seppur parzialmente, il terzo motivo riferito alla sussistenza dell’aggravante della relazione affettiva di cui all’art. 612 bis, co. 2, c.p.
La relazione affettiva richiamata dalla disposizione de quo -a differenza della «relazione affettiva» prevista dal reato di maltrattamenti in famiglia, la quale è indicativa di una convivenza connotata da stabilità e condivisione di un percorso comune di vita, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà e assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell’abitazione[7] – assume una valenza diversa, in quanto indicativa di una volontà di inasprire la pena non soltanto nelle situazioni personali in cui il rapporto tra autore e vittima è connotato da stabilità, convivenza, condivisione di scelte di vita (come nel caso del coniuge); ma anche nel caso in cui, dopo la separazione e il divorzio, la convivenza sia venuta meno, sino a ricomprendere i casi in cui il legame sia soltanto di tipo affettivo, ma comunque espressivo di un reciproco rapporto di fiducia e protezione, tale da suscitare nella vittima aspettative di tutela nei confronti dell’autore delle condotte persecutorie.
Dunque, se è vero che l’aggravante   prevista dal delitto di atti persecutori non presuppone una «stabile condivisione della vita comune»; è anche vero che la «relazione affettiva» deve ritenersi indicativa di un legame connotato da un reciproco rapporto di fiducia, tale da ingenerare nella persona offesa aspettative di protezione[8] e che, dunque, non abbia carattere di occasionalità o di fugace estemporaneità.
Un siffatto legame giustifica, sul piano politico criminale, un più rigoroso trattamento sanzionatorio per le condotte che strumentalizzino il rapporto fiduciario, le quali, dunque, si avvantaggiano della condizione di minorata difesa della persona offesa e, al contempo, esprimono una maggiore riprovevolezza soggettiva e un più intenso vulnus della sfera personale della vittima, aggredita da un soggetto nel quale essa poteva legittimamente riporre aspettative di protezione[9].
Nel caso di specie, non poteva pervenirsi all’esistenza di un rapporto di tipo affettivo.
L’imputato e la persona offesa avevano avuto un solo ed unico incontro, tale da non poter ravvisare alcuna «relazione», implicante giocoforza un rapporto di durata, tale che possa svilupparsi una relazione fondata sulla fiducia in grado di ingenerare quelle «aspettative di protezione» che costituiscono la giustificazione della previsione di una circostanza aggravante e, correlativamente, di un più rigoroso trattamento sanzionatorio.
D’altro canto, risulta manifestamente infondata la tesi difensiva in ordine all’insussistenza dell’aggravante relativa all’utilizzo di strumenti informatici o telematici, dal momento che l’uso di tali strumenti sarebbe avvenuto in relazione a comunicazioni dirette non a Z. ma a persone diverse e in quanto la creazione di falsi profili su siti di incontri gay riconducibili alla persona offesa non sarebbe stata in stretta correlazione con l’attività persecutoria in danno della persona offesa.
In proposito, deve osservarsi che – nel caso esaminato – la complessiva azione persecutoria si realizzava proprio attraverso la attivazione di numerosi account in siti di incontri nei quali venivano riportati l’indirizzo di casa e del posto di lavoro di Z. e venivano inserite sue immagini, anche intime, con la contestuale rappresentazione di una sua disponibilità verso rapporti sessuali occasionali, nonché attraverso l’invio di e-mail all’azienda per la quale la P.O. lavorava e ad altri soggetti a lui legati da ragioni lavorative, di foto che lo ritraevano nudo o nell’atto di praticare autoerotismo e attraverso l’invio ad amici di link dei profili abusivamente aperti a suo nome presso i siti d’incontri.
Anche le censure poste con il quarto motivo di ricorso in riferimento all’insussistenza dell’art. 612 ter c.p. sono infondate.
Va premesso che il delitto in questione, introdotto dalla legge 19 luglio 2019, n. 69, rubricato «diffusione di immagini e video sessualmente espliciti», punisce, al primo comma, il fatto di colui il quale, salvo che il fatto costituisca più grave reato, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate.
Inoltre, il secondo comma stabilisce che la stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento.
Secondo quanto affermato in giurisprudenza, il delitto in esame è inserito tra quelli a tutela della libertà morale individuale ed è diretto alla protezione della sfera di intimità e della privacy, intesa quale diritto a controllare l’esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un’ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale[10].
La prassi giurisprudenziale ha fatto propria un’interpretazione ampia della fattispecie, volta a estendere la tutela di una delle sfere più intime della persona. E così, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 612 ter c.p., si è ritenuto che la diffusione illecita di contenuti sessualmente espliciti possa avere ad oggetto immagini o video che ritraggano atti sessuali ovvero organi genitali ovvero anche altre parti erogene del corpo umano, come i seni o i glutei, nudi o in condizioni e contesto tali da evocare la sessualità; e che integri il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito, anche dalla stessa persona ritratta, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso della persona rappresentata, al fine specifico di recarle nocumento[11].
Nel caso di specie, il ricorrente evidenziava che la pubblicazione non consensuale sui siti web di incontri delle foto e dei video dal contenuto pornografico ritraente Z., sarebbero stati disponibili liberamente nei siti in cui la persona offesa li aveva «pubblicati», sicché il successivo utilizzo del materiale visivo da parte dell’imputato non potrebbe dirsi «indebito».
Tuttavia, i Giudici della nomofilachia, in coerenza con la sentenza impugnata, affermano che proprio le caratteristiche dei siti web di incontri su cui le immagini erano state inviate dimostra l’infondatezza della tesi difensiva.
Infatti, essendo l’accesso a tali siti e piattaforme limitato alle sole persone iscritte attraverso un’apposita procedura di registrazione, le fotografie (e le informazioni veicolate unitamente ad esse) non erano liberamente acquisibili e trasmissibili, essendo tale facoltà circoscritta, in virtù del consenso  prestato  dalla  persona  ritratta  al momento dell’apertura dell’account, soltanto agli  appartenenti  alla  comunità virtuale cui erano state originariamente inviate e unicamente all’interno di essa.
Sono altresì infondate le considerazioni difensive svolte con il quinto ed ultimo motivo riferito al delitto di sostituzione di persona.
L’art. 494 c.p. punisce con la pena della reclusione fino ad un anno, salvo che il fatto non costituisca un altro delitto contro la fede pubblica, colui il quale, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.
Il legislatore ha costruito una fattispecie con condotta tipica a forma libera, potendo l’induzione in errore avvenire in qualunque modo[12].
La disposizione richiede che vi sia un dolo specifico, in cui il vantaggio o il danno perseguiti non devono avere necessariamente carattere economico[13].
La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha recentemente affermato che integra il delitto de quo la condotta di colui il quale crei e utilizzi un account e una casella di posta elettronica ovvero si iscriva a un sito e-commerce servendosi dei dati anagrafici di altra persona, inconsapevole di ciò, con il fine di far ricadere su quest’ultima l’inadempimento delle obbligazioni conseguenti all’avvenuto acquisto di beni mediante la partecipazione ad aste in rete o altri strumenti contrattuali[14] o anche soltanto al fine di far ricadere su di essa l’attribuzione delle connessioni eseguite in rete[15].
Ancora, integra il delitto di sostituzione di persona la condotta di chi inserisca nel sito di una chat line a tema erotico il recapito telefonico di altra persona associato ad un nickname di fantasia, qualora abbia agito al fine di arrecare danno alla medesima, giacché in tal modo gli utilizzatori del servizio vengono tratti in inganno sulla disponibilità della persona associata allo pseudonimo a ricevere comunicazioni a sfondo sessuale[16].
Coerentemente, si è ritenuto che configuri il delitto in esame anche la condotta di colui il quale crea e/o utilizza un profilo su social network, servendosi abusivamente dell’immagine di un diverso soggetto, inconsapevole di tale operazione, in quanto essa è idonea alla rappresentazione di un’identità digitale non corrispondente al soggetto che ne fa uso[17].
Gli Ermellini evidenziano che, nel caso esaminato, i Giudici di merito avevano ben evidenziato come l’attivazione degli account fosse avvenuta con modalità tali consentirne la pacifica riconducibilità alla persona offesa e come, in particolare, la presenza di fotografie che la ritraevano fosse evidentemente funzionale proprio a rappresentarne l’utilizzazione da parte di costei.
Ciò che, pertanto, priva di qualunque rilievo la circostanza che tali account fossero associati a un nominativo di fantasia, stante la pacifica riferibilità degli stessi alla persona di Z., che gli utenti della rete erano indotti a ritenere titolare dei medesimi proprio grazie alle immagini che lo riguardavano.

4. Dispositivo


La Corte di Cassazione annulla con rinvio la sentenza limitatamente all’aggravante della relazione affettiva e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte d’appello di Venezia.
Rigetta nel resto il ricorso.

Fabrizio Rega

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