Il caso trae origine dal ricorso presentato da un ex lavoratore di una società fallita, datrice di lavoro, nei confronti dell’Inps al fine di vedersi riconosciuto il trattamento di fine rapporto per il periodo di Cassa Integrazione Guadagni dal 2001 al 2009.
Per approfondire la materia del lavoro subordinato, si consiglia il seguente volume, il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni): Il lavoro subordinato
Indice
1. Trattamento di fine rapporto
Il trattamento di fine rapporto (d’ora in poi TFR) – che dal 1° giugno 1982 ha sostituito l’indennità di anzianità (L. 297/82) – è un elemento della retribuzione il cui pagamento viene differito ad un momento successivo rispetto a quello di prestazione dell’attività lavorativa.
Esso è costituito dalla somma di accantonamenti annui di una quota di retribuzione rivalutata periodicamente.
La corresponsione del TFR grava in linea di principio sul datore di lavoro e trova il suo principale riferimento normativo nell’art. 2120 del codice civile, dove viene previsto che in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore ha diritto a tale trattamento, calcolato con le modalità indicate.
2. TFR e Cassa Integrazione
Preliminarmente si precisa che, la cassa integrazione guadagni (cig) è un ammortizzatore sociale che può essere richiesto dalle aziende che hanno l’esigenza di sospendere o ridurre l’attività di lavoro dei propri dipendenti per varie motivazioni (eventi meteorologici, bruschi cali di mercato, crisi aziendale, riorganizzazione aziendale, contratto di solidarietà). Tramite la cig, il datore di lavoro riduce l’orario di lavoro del dipendente oppure lo sospende a zero ore e l’Inps eroga al lavoratore un trattamento di integrazione salariale pari all’80% del reddito perso a causa della riduzione/sospensione di orario.
La legge disciplina in modo esplicito questo aspetto prevedendo al terzo comma dell’art. 2120 c.c. che: “In caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell’anno per una delle cause di cui all’articolo 2110, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l’integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro”.
Dall’analisi di tale comma discende quindi che la collocazione del lavoratore in Cassa integrazione non è in grado di incidere sul computo del trattamento di fine rapporto. E ciò perché con la Cassa integrazione il rapporto di lavoro prosegue, sebbene le obbligazioni delle parti entrino in uno stato di quiescenza ( cfr. Corte di Cassazione, Ordinanza n.17501/2018).
Per approfondire la materia del lavoro subordinato, si consiglia il seguente volume, il quale analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni):
Il lavoro subordinato
Il volume analizza compiutamente l’intera disciplina del rapporto di lavoro subordinato, così come contenuta nel codice civile (con la sola eccezione delle regole relative al licenziamento e alle dimissioni). L’opera è stata realizzata pensando al direttore del personale, al consulente del lavoro, all’avvocato e al giudice che si trovano all’inizio della loro vita professionale o che si avvicinano alla materia per ragioni professionali provenendo da altri ambiti, ma ha l’ambizione di essere utile anche all’esperto, offrendo una sistematica esposizione dello stato dell’arte in merito alle tante questioni che si incontrano nelle aule del Tribunale del lavoro e nella vita professionale di ogni giorno. L’opera si colloca nell’ambito di una collana nella quale, oltre all’opera dedicata alla cessazione del rapporto di lavoro (a cura di C. Colosimo), sono già apparsi i volumi che seguono: Il processo del lavoro (a cura di D. Paliaga); Lavoro e crisi d’impresa (di M. Belviso); Il Lavoro pubblico (a cura di A. Boscati); Diritto sindacale (a cura di G. Perone e M.C. Cataudella). Vincenzo FerranteUniversità Cattolica di Milano, direttore del Master in Consulenza del lavoro e direzione del personale (MUCL);Mirko AltimariUniversità Cattolica di Milano;Silvia BertoccoUniversità di Padova;Laura CalafàUniversità di Verona;Matteo CortiUniversità Cattolica di Milano;Ombretta DessìUniversità di Cagliari;Maria Giovanna GrecoUniversità di Parma;Francesca MalzaniUniversità di Brescia;Marco NovellaUniversità di Genova;Fabio PantanoUniversità di Parma;Roberto PettinelliUniversità del Piemonte orientale;Flavio Vincenzo PonteUniversità della Calabria;Fabio RavelliUniversità di Brescia;Nicolò RossiAvvocato in Novara;Alessandra SartoriUniversità degli studi di Milano;Claudio SerraAvvocato in Torino.
A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023
59.85 €
3. A chi spetta la titolarità a corrispondere il TFR nel periodo di Cassa Integrazione?
Riconosciuta la titolarità a percepire il TFR anche nel periodo di cassa integrazione, occorre individuare chi sia il soggetto tenuto alla relativa corresponsione.
In linea generale il trattamento di fine rapporto deve essere riconosciuto ed erogato da parte del datore di lavoro.
Se questa è la disciplina generale, prima dell’art. 46 ,co 1, Lett. E del d. lgs. 148/2015 che ha abrogato l’art. 2 della Legge 464/1972 sussistevano delle eccezioni nel caso in cui, al termine della cassa integrazione, il rapporto di lavoro non fosse proseguito ma, al contrario, fosse cessato.
L’art. 2 della legge 8 agosto 1972 n. 464, recante “Modifiche ed integrazioni alla I. 5 novembre 1968, n. 1115, in materia di integrazione salariale e di trattamento speciale di disoccupazione”, che pur abrogato è applicabile alla vicenda in esame, collocata in epoca antecedente all’abrogazione, stabiliva che “i periodi, per i quali è corrisposto il trattamento di cui all’articolo precedente, sono considerati utili d’ufficio ai fini del conseguimento del diritto alla pensione e della determinazione della misura di questa. Per i lavoratori licenziati al termine del periodo di integrazione salariale, le aziende possono richiedere il rimborso alla Cassa integrazione guadagni dell’indennità di anzianità, corrisposta agli interessati, limitatamente alla quota maturata durante il periodo predetto”.
In altre parole, la norma spostava il carico del trattamento di fine rapporto (che come si è più volte detto grava in linea generale sul datore di lavoro) nel solo caso in cui il rapporto di lavoro venisse a cessare a conclusione della Cassa integrazione. Di contro, se il rapporto di lavoro dovesse riprendere il suo normale corso, non poteva che operare la menzionata regola generale che fa cadere l’obbligo sul datore di lavoro.
Insomma, considerato che il caso di specie afferiva una situazione verificatasi tra il 2001 e il 2009, risultava applicabile ancora la disciplina previgente, che prevedeva che per i lavoratori licenziati al termine del periodo di integrazione salariale, la quota TFR maturata in tale periodo potesse essere rimborsata dalla Cassa integrazione guadagni dell’indennità di anzianità. Se ne desume che l’Inps era tenuto a corrispondere la quota di TFR per il periodo di Cassa integrazione solamente se al termine di tale periodo il rapporto di lavoro fosse terminato.
Nella vicenda in pronuncia, il lavoratore al termine della CIG non ha ripreso a lavorare ma è stato licenziato, per cui il soggetto gravato dall’onere di corrispondergli il TFR maturato durante il periodo di Cassa integrazione è l’INPS [1].
Allo stato tale differenziazione non sussiste, atteso che con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 148/2015 il quale, come già sopra dedotto ha abrogato l’art. 2 della legge n. 464/1972, ha posto definitivamente a carico del datore di lavoro [2] il pagamento del TFR anche per i periodi di cassa integrazione (si veda, a tal proposito anche la circolare del Ministero del lavoro n. 24/2015). In definitiva, per i periodi di cassa integrazione goduti dopo il 14 settembre 2015, il lavoratore ha sempre diritto al pagamento da parte dell’azienda della quota TFR maturata in detto periodo.
Tra l’altro, il diritto a percepire la quota TFR maturata durante la cig spetta anche nel caso in cui l’azienda fallisca nel corso della cassa integrazione ovvero immediatamente dopo la fine della medesima; in tal caso, il credito maturato a titolo di TFR va richiesto con la domanda di insinuazione allo stato passivo.
4. Conclusioni
Tirando le somme è possibile quindi affermare che il lavoratore durante il periodo di Cassa Integrazione matura sempre la quota di TFR, la cui quota allo stato deve essere sempre corrisposta dal datore di lavoro al lavoratore, al di là di quelle che saranno le sorti del rapporto, mentre in passato, ovvero prima dell’abrogazione dell’art. 2 della legge n. 464/1972 operata dall’entrate in vigore del d.lgs. n. 148/2015 il soggetto gravato dall’onere di corrispondere al lavoratore il TFR maturato durante il periodo di Cassa integrazione era l’INPS.
Note
- [1]
Cass. 3261/03: “In definitiva: A) il trattamento di fine rapporto, pro quota, venne posto a carico del suddetto Fondo per il periodo compreso fa l’entrata in vigore della legge n. 675 del 1977 e quello del d.L n. 86 del 1988 (Cass. 8 gennaio 1993 n. 113, 11 febbraio 1997 n. 1237) ed a carico della Cassa integrazione guadagni per il tempo anteriore e successivo a questo periodo; B) perché ciò avvenisse era però necessario che alla fine del periodo di integrazione salariale il prestatore di lavoro venisse licenziato (art. 2. secondo comma, l. n. 464 del 1972) o comunque non venisse rioccupato nella stessa azienda (art. 21. quinto comma, l. n. 675 del 1977); C) Nel caso di rioccupazione il trattamento restava a carico del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2120 c.c. “”.
- [2]
Cfr. Cass. 17501/2018: “Nella vigenza dell’art. 2 l. n. 464 del 1972, abrogato dall’art. 46, comma 1, lett. e) d.lgs n. 148 del 2015, le somme maturate dal lavoratore a titolo di t.f.r. nel periodo di sottoposizione a Cigs antecedente alla sua successiva rioccupazione sono poste a carico del datore di lavoro, con la conseguenza che, nel caso di fallimento di quest’ultimo, deve ritenersi consentita l’insinuazione al passivo per i relativi importi nella procedura concorsuale”.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento