Mediazione obbligatoria
La versione originaria del d.lgs. 28/2010 con cui si introduceva per la prima volta in Italia l’istituto della mediazione, prevedeva, all’art. 5, comma 1, la natura strutturale, e non temporanea, della mediazione c.d. obbligatoria.
Nel 2012 con la sentenza n. 272 del 6 dicembre, la Corte Costituzionale dichiarò illegittimità costituzionale di tale disciplina per violazione degli artt. 76 e 77 Cost.: in estrema sintesi, la Corte Costituzionale affermò che obbligatorietà della mediazione (o meglio, la sanzione dell’improcedibilità della domanda giudiziale connessa al mancato previo esperimento del procedimento di mediazione) non poteva essere prevista con lo strumento del decreto legislativo (il d.lgs. n. 28/2010), in mancanza di esplicita indicazione in tal senso nella relativa legge delega (la l. 69/2009).
Ne andò conseguendo, ad ogni modo, che la relativa disciplina fu espunta dal d.lgs. n. 28 del 2010.
Nel 2013, l’obbligatorietà della mediazione fu poi reintrodotta, con alcune modifiche rispetto all’originaria disciplina, ad opera del c.d. Decreto del Fare, decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”, conv., con mod., nella legge 9 agosto 2013, n. 98.
Con l’introduzione, nel d.lgs. 28/2010, del nuovo art. 5, comma 1-bis il quale, per quanto qui rileva, prevedeva che l’obbligatorietàà della mediazione doveva avere natura transitoria e sperimentale; era infatti previsto che:
– detta disciplina doveva avere efficacia per soli quattro anni;
– al termine di due anni dall’entrata in vigore del c.d. decreto del fare cui si è fatto cenno, il Ministero della giustizia era chiamato ad attivare il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione.
Il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 2017, n. 96, recante Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo, vanta al suo interno una disposizione in tema di mediazione: l’art. 11-ter.
L’art. 11-ter modifica l’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 il quale detta, come noto, la disciplina della c.d. mediazione obbligatoria ante causam o ex lege: ipotesi in cui, in estrema sintesi, le parti di una controversia civile o commerciale sono obbligate, prima di rivolgersi al giudice, ad esperire (a pena di improcedibilità della domanda) il procedimento di mediazione; ciò per le controversie vertenti nelle materie elencate dall’art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010.
La principale novitàà introdotta al riguardo dall’art. 11-ter, d.l. 50/2017, conv., con mod., nella l. 96/2017, consiste nello stabilizzare nell’ordinamento l’efficacia della disciplina della mediazione obbligatoria la quale, prima della c.d. manovrina 2017, aveva invece natura transitoria e sperimentale.
Viene quindi eliminato il carattere temporaneo dell’istituto.
Il d.l. 50/2017 cit. è volto a porre in essere misure a favore della crescita economica del Paese. Se da un lato, quindi, l’art. 11-ter, che stabilizza nell’ordinamento l’efficacia della disciplina della mediazione obbligatoria, potrebbe apparire norma non del tutto in linea con l’oggetto del provvedimento normativo in questione, sotto altra visione prospettica va ricordato come l’istituto della mediazione sia direttamente connesso all’obiettivo della riduzione dell’alto livello del contenzioso civile: gli strumenti extragiudiziali di risoluzione delle controversie, difatti, producono un deflazionamento del carico di lavoro gravante sugli Uffici giudiziari e, quindi, contribuiscono ad abbreviare la durata dei procedimenti civili, con evidenti ricadute positive dal punto di vista economico-competitivo dell’intero Sistema Paese.
In questo contesto emerge il collegamento tra mediazione, e, in particolare, mediazione c.d. obbligatoria, e crescita economica del Paese.
Andamento in Italia della mediazione civile e commerciale
Analizzando i numeri relativi all’andamento della mediazione civile e commerciale pubblicati dal Dipartimento della Organizzazione Giudiziaria, del Personale e dei Servizi del Ministero della Giustizia, aggiornati al 31 dicembre 2017, il primo dato positivamente valutabile è il numero delle iscrizioni di procedure di mediazione: dall’ingresso dell’istituto ad oggi il numero è virtuosamente cresciuto, più che raddoppiato (passando da 60.810 a 166.989).
Per quanto attiene alle materie oggetto di tali iscrizioni, si nota come, confermando l’andamento dell’anno precedente, anche per il 2017 in testa alla lista stiano i contratti bancari, quasi pareggiati dai diritti reali e da tutta quella porzione di procedure riguardanti materie non rientranti nella sezione c.d. “obbligatoria”. Dato questo significativo poiché sottolinea come e quanto gli italiani si rivolgano alla mediazione non solo per tentare di definire le questioni che altrimenti sarebbero – per legge- viziate da improcedibilità, ma anche per cercare rimedio, volontario, ai conflitti che li vedono coinvolti in altri ambiti.
Siamo abituati a pensare alle procedure che definiscono le controversie come strumenti per risolvere “casi”, quello che spesso ci sfugge è la considerazione che dietro a ciascuno di questi è radicata una relazione, che prima di tutto, lega le “persone”. Non a caso, anche le procedure presentate in tema di Condominio e Locazione, occupano una porzione a dir poco rilevante, seguiti dalle divisioni, successioni ereditarie e contratti assicurativi e finanziari.
Sebbene siamo abituati a pensare al contratto come un atto che obbliga prima di tutto a una prestazione, di cui poi lamentiamo l’inadempimento o l’insoddisfazione, dobbiamo considerare che tali obbligazioni sono in prima battuta i “soggetti” che si vincolano a erogarle o a riceverle.
Per quanto riguarda l’esito di tali procedure (ricordando che l’obbligatorietà che detta la legge è limitata alla presentazione dell’istanza, e non all’effettivo svolgimento della procedura o ancor di più al raggiungimento di un accordo che la definisca) da segnalare è l’incremento della comparsa in mediazione della parte “chiamata”. Se prima solo una su tre accettava di presentarsi, ora circa la metà delle istanze presentate sono accolte dalle persone che vengono convocate, e che decidono, in primo luogo di presentarsi.
Una decisione, questa, che denota come di pari passo alla crescita dell’andamento della mediazione, ci sia anche una “crescita” della coscienza generale, che conduce i soggetti per lo meno a “metterci la faccia” e presentarsi al primo incontro.
Il primo incontro, definito e regolamentato anche questo dalla legge, è infatti quel momento in cui le parti capiscono an, quid e quomodo della procedura e del suo oggetto. Presentarsi non significa necessariamente aderire, la costruzione di un accordo può avvenire solo quando il mediatore ne abbia ricevuto facoltà dalle parti stesse. Vero è però che in un paese in cui l’assenteismo, in senso lato, vige per la maggiore, il 50 % del “popolo-mediazione” decide comunque di optare per comparire.
Detto ciò, se sulla decisione di non presentarsi gli organismi di mediazione, le parti istanti e gli stessi mediatori hanno poca facoltà di infierire, quello che succede una volta che al tavolo compaiono tutti i soggetti è, ancora una volta, dettato in primo luogo dalle “leggi” che reggono la relazione fra i soggetti stessi.
Molte volte chi aderisce al primo incontro lo fa per dichiarare la propria indisponibilità. Un atto di volontà, comunque, anche questo.
Nel 43% dei casi, invece, una volta che i soggetti si riconoscono coinvolti in un conflitto e decidono tutti di aderire al procedimento, con l’aiuto di un mediatore arrivano alla formulazione di un accordo.
Il tasso di successo è di cinque punti superiore alla media se la procedura è svolta in un Organismo di Mediazione privato (rispetto a quelli istituiti presso Camere o Ordini professionali).
Mediare non significa infatti cercare senza scrupolo un modo di forzare una conformità di opinioni, interessi o decisioni, ma piuttosto significa dare la possibilità a queste opinioni, interessi e decisioni di essere espresse e tanto più spiegate. Per questa ragione, il 57% rimanente che può essere a primo sguardo valutato come il valore che testa il “fallimento” della procedura, va invece considerato come questo sia il dato che esprime comunque come e quanto questo istituto doni alle persone prima di tutto la facoltà di esprimere le proprie ragioni. Non esiste legge che ci obblighi a “cambiare idea”, se quello che crediamo di stare facendo valere è ciò che riteniamo l’unisono dei nostri bisogni ed interessi, nei limiti della legalità certamente.
Il mediatore, come sempre ribadisce alle parti durante il primo incontro, non è un giudice. Se questo per definizione e deontologia deve essere equidistante dai giudicati, il mediatore si pone in una posizione di equi-prossimità. La sentenza è quell’atto che, nella cultura popolare, è considerato proveniente “dall’alto”; l’accordo di mediazione è un atto che testa la partecipazione attiva di tutti i soggetti coinvolti. Va comunque ribadito che l’accordo raggiunto in sede di mediazione, se firmato in presenza degli avvocati (condizione resa obbligatoria dal 2013 per tutte le procedure aventi ad oggetto le c.d. materie obbligatorie) ha valore di titolo esecutivo. Si collabora per raggiungere quell’equilibrio in cui tutti gli interessi si vedano soddisfatti, ma ciò che viene concordato – spesso con grande sforzo in prima battuta dei soggetti – non è fantascienza, ma un atto dal pieno valore legale.
Mediazione delegata in crescita
Anche il giudice ha cominciato ad avere un ruolo per così dire “attivo” nel processo di mediazione: grazie all’istituto della c.d. mediazione delegata, l’autorità che rappresenta gli consente di consigliare alle parti che gli si presentano dinnanzi, un percorso di mediazione. Una tendenza vertiginosamente in crescita. Volendosi rifare ai numeri, passiamo da 700 mediazioni delegate incardinate nel 2011 a oltre 20.000 solo nel 2017. E in effetti quel “consiglio” si rivela caldamente essere seguito, poiché più dei tre quarti delle procedure “inviate” dal giudice, trovano un’effettiva risoluzione in mediazione.
Si è ad oggi dunque di fronte all’avverarsi di quella necessità che aveva per primo spinto il legislatore ad introdurre una procedura ADR nel nostro sistema giustizia : deflazionare il contenzioso e accelerarne la risoluzione.
Tempi medi di durata
Si perché anche di celerità si tratta. La stima conta in effetti che un procedimento di mediazione duri in media non oltre i 130 giorni contro una durata media dei procedimenti introdotti davanti al tribunale con rito ordinario pari a 840 giorni. Dati che variano anche a seconda della posizione geografica, certamente. La distribuzione delle mediazioni nello Stivale è sostanzialmente rimasta stabile dall’introduzione dell’istituto ad oggi. Il 40 % al Nord, seguiti dal 39% del Sud e Isole e 21% del Centro Italia. Divisione indiscutibilmente approssimativa. Nel dettaglio è senza dubbio la Lombardia a detenere ancora il primato della regione in cui mediazione significa non solo “risoluzione alternativa dei conflitti” ma anche formazione e sostenibilità delle nuove figure professionali che la permettono.
Ecco perché parlare e diffondere la cultura della mediazione oggi non è più, come agli esordi, un azzardo, ma una presa di coscienza sulle dinamiche reali che dirigono il Sistema Giustizia odierno. Sensibilizzare non solo gli esperti del mestiere ma la popolazione in genere, i giovani soprattutto; abituarli a una gestione alternativa – che spesso si rivela essere più pacifica- dei conflitti significa ridisegnare il Paese con sfumature più umane, più responsabili, più coinvolte.
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