Indice:
- L’ambito della mediazione civile
- Quali sono i diritti indisponibili
- I diritti indisponibili nel contesto della mediazione civile
- I conflitti familiari
- La direttiva europea: le relazioni familiari
- Gli interessi materiali
- Gli aspetti materiali delle relazioni familiari
L’ambito della mediazione civile
Il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, art. 2 c. 1 definisce l’ambito entro cui è possibile fare ricorso alla mediazione civile: “Chiunque puo’ accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili, secondo le disposizioni del presente decreto”.
Tale comma non è stato modificato successivamente, in particolare non dal Decreto Legge 21 giugno 2013 n. 69; l’osservazione non è peregrina, dato che si tratta di uno dei pochissimi luoghi dell’originario testo normativo in materia passati indenni attraverso le revisioni successive.
La lettera della norma come anche il senso di quanto dispone risultano chiari e inequivoci: delineare un ambito vastissimo per la mediazione civile allo stesso tempo ponendo due requisiti necessari anzi indispensabili onde possa darsi il ricorso alla mediazione.
Un requisito positivo e formale: deve essere in corso una controversia; un requisito negativo e sostanziale: l’oggetto della controversia non deve coinvolgere diritti indisponibili.
Quali sono i diritti indisponibili
Sorge immediatamente l’interrogativo su quali siano precisamente i ‘diritti indisponibili’, cui viene fatto riferimento per escludere le controversie a loro connesse dall’ambito della mediazione civile.
Il nostro ordinamento giuridico non presenta in alcun luogo una definizione di ‘diritti indisponibili’; non offre nemmeno non si dica un elenco generale di ‘diritti indisponibili’ (elenco che del resto verrebbe a risolversi nel momento definitorio) ma nemmeno di diritti che, in una determinata situazione o in un contesto specifico, non risultano disponibili.
Solo riguardo a alcuni casi particolari si possono rinvenire precise e espresse previsioni normative di diritti indisponibili, quali: i diritti di natura totalmente patrimoniale, legati al rapporto societario o relativi alle quote societarie nella società di persone e alle azioni nella società in accomandita per azioni; i diritti connessi ai diritti reali (ex art. 671 C. C.) i diritti del debitore alla rendita perpetua (ex artt. 1865, 1869 C. C.); il diritto d’autore (l. 22 aprile 1941 n. 633, art. 20).
Se in tali casi è pacifico e indiscutibile che non possa esservi spazio per la mediazione civile, rimane però la lacuna di cui sopra.
Non appare consigliabile pensare che simili vuoti nell’ordinamento abbiano natura incidentale; al contrario, è sempre opportuno ritenere che se nell’ordinamento manca la definizione generale e pertanto valida sempre e per tutti i contesti di una categoria, allora una definizione siffatta non sia consigliabile e nemmeno possibile.
Pertanto la categoria in questione non può e non deve venire definita una volta per tutte, proprio perché non esiste (non deve esistere) una categoria generale valida sempre e in tutti i contesti.
I tentativi in cui si è impegnata la civilistica italiana per fornire una comprensione unitaria di ‘diritti indisponibili’, a partire da Giuseppe Chiovenda (per cui indisponibilità di un diritto equivale all’ incapacità di agire in relazione a esso; Sulla natura dell’espropriazione forzata, “Rivista di diritto civile”, 1926) e da Salvatore Pugliatti, (che considera indisponibili i diritti di cui il titolare non si può privare; L’atto di disposizione e il trasferimento di diritti, Annali della Fac. di Giurispridenza dell’Università di Messina, 1927), hanno alimentato un dibattito sterile perché volto a mettere in luce le debolezze delle posizioni altrui piuttosto che a elaborare una soluzione fondata e condivisa.
Si tratta invece di giungere a comprendere i contenuti della categoria nei singoli contesti in cui risulta utilizzata, contenuti di volta in volta diversi.
I diritti indisponibili nel contesto della mediazione civile
Nel sintagma ‘diritti indisponibili’, come presente nel testo normativo in oggetto, ‘diritti’ è da intendersi ovviamente nel senso di diritti soggettivi; che risultano ‘non disponibili’, perché non rientrano nell’ambito di azione e di determinazione libera da parte del soggetto.
L’aspetto prevalente di intersoggettività e di relazionalità, che segna il contesto della mediazione, orienta a guardare non i diritti soggettivi in senso assoluto, validi erga omnes, ma in senso relativo a determinate persone.
Questa comprensione ci permette di individuare, entro il nostro ordinamento, tre categorie: i diritti pubblici soggettivi che devono esprimere senza mediazioni l’appartenenza del singolo alla comunità; i diritti soggettivi segnati da un legame intrinseco col soggetto titolare perché riguardano l’ambito della personalità; i diritti soggettivi che investono la dimensione relazionale dell’identità personale, quindi in primo luogo se non in esclusiva l’ambito delle relazioni familiari.
I conflitti familiari
La norma in oggetto aiuta a formulare una comprensione dei ‘diritti indisponibili’ allorché parla di “controversia vertente su diritti indisponibili”. Deve trattarsi pertanto di diritti soggettivi da cui può sorgere una controversia, una lite; tenendo presente che, onde possa esserci una controversia o una lite, nel senso tecnico formale dei termini, deve esserci un conflitto.
Quindi la definizione di ‘diritti indisponibili’ più aderente al contesto potrebbe recitare: ‘Diritti soggettivi inerenti a un soggetto ma sottratti alla sua possibilità di determinazione e che non possono transitare a un altro, riguardanti rapporti intersoggettivi nel cui contesto possono sorgere conflitti’.
Tornando a prendere in considerazione i tre gruppi individuati sopra, appare evidente che i diritti pubblici soggettivi non potrebbero dare adito a un conflitto tra soggetti privati; che i diritti riguardanti la personalità (quali il diritto al nome e il diritto all’integrità fisica) difficilmente potrebbero assumere una dimensione di rapporto intersoggettivo da cui sorga un conflitto ma soprattutto, nei casi gravi in cui ciò si verificasse, non si potrebbe pensare a comporlo con una mediazione.
Si tratta allora prevalentemente se non esclusivamente di diritti soggettivi non trasmissibili riguardanti l’ambito delle relazioni familiari e lo status personae determinato da tali relazioni (lo status di genitore, di figlio, di coniuge).
La direttiva europea: le relazioni familiari
Tale interpretazione appare coerente col riferimento alla norma eurounitaria di cui il d. Lgs. 28/2010 rappresenta la ricezione entro l’ordinamento interno, ossia la Direttiva 2008/52 del Parlamento Europeo e del Consiglio.
Tra le Considerazioni, al n. 10, si legge che “la presente direttiva… dovrebbe applicarsi in materia civile e commerciale, ma non ai diritti e agli obblighi su cui le parti non hanno la facoltà di decidere da sole in base alla pertinente legge applicabile. Tali diritti e obblighi sono particolarmente frequenti in materia di diritto di famiglia e del lavoro”.
L’ambito delle relazioni familiari viene subito segnalato quale il più significativo tra quanti non ammettono il ricorso alla mediazione per risolvere le controversie; certo perché appare contraddistinto dalla presenza di diritti e obblighi sottratti alla libertà dell’auto determinazione del singolo soggetto.
Che cosa si debba intendere per “facoltà di decidere da solo” appare infatti evidente: l’espressione ricorre in tanti ambiti diversi del diritto, dall’assetto costituzionale ai rapporti tra condomini, sempre indicando la piena libertà di assumere una deliberazione senza limiti, senza la partecipazione o il controllo da parte di altri soggetti.
La Direttiva indica così, chiaramente e in via preliminare, che in tutti gli ambiti e le situazioni non dipendenti dalla libertà piena e assoluta delle persone non si può fare ricorso alla mediazione; l’ambito delle relazioni familiari risulta tipico, appunto perché si tratta di relazioni e di status personali sottratti alla libertà di scelta del singolo soggetto.
Gli interessi materiali
Il legislatore ha espressamente previsto tra le materie oggetto di mediazione civile i patti di famiglia, all’art 5 del D. Lgs. 28/2010 indicati addirittura tra gli ambiti per la mediazione obbligatoria.
Come noto, i patti di famiglia sono stati introdotti nell’ordinamento italiano dalla L. 55/2006 per anticipare il trasferimento mortis causa dell’azienda o delle partecipazioni sociali, a chi tra i discendenti si sia dimostrato maggiormente idoneo (e interessato) all’esercizio dell’impresa, integrando il Codice civile con l’art. 768 bis che ne dà la definizione e gli artt. 768 ter – octies che stabiliscono la formalità dell’atto, individuano gli obbligati a partecipare (i successibili, che avrebbero diritto a una quota di eredità), circoscrivono la possibilità di impugnare l’atto per vizio del consenso e di sciogliersi dagli obblighi e dal contratto stesso.
I patti di famiglia rappresentano situazioni in cui rileva prima di tutto lo status personae determinato dalle relazioni familiari. Rileva anche la componente affettiva e solidale verso l’impresa in quanto creazione della famiglia. Senza dubbio però rilevano almeno altrettanto gli aspetti patrimoniali.
Tale previsione esplicita del testo legislativo in tema di mediazione non può valere solo a titolo di esempio, deve avere un significato più profondo.
Sul piano della analisi logica della norma, affermare “Le relazioni familiari in cui il profilo patrimoniale conta quanto quello interpersonale sono oggetto di mediazione civile obbligatoria”, implica la correlativa negazione: “Le relazioni familiari in cui il profilo patrimoniale non rileva quanto quello interpersonale non possono essere oggetto di mediazione”.
In questa direzione va una recente sentenza della Suprema Corte, per cui, nel contesto di controversie familiari, la mediazione civile è suscettibile di trovare applicazione solo per quella “parte” di procedimento in cui imperano interessi disponibili e, perciò, negoziabili (Cass. Civ., Sez. Un., 22 luglio 2013 n. 17781).
Una recente ordinanza del Tribunale di Milano afferma coerentemente che può darsi spazio per la mediazione civile entro il contesto delle relazioni coniugali e familiari solo se gli interessi in gioco sono esclusivamente patrimoniali; il che va inteso come una eccezione alla regola che escluderebbe tali relazioni dall’ambito della mediazione civile (Tribunale di Milano, Sez. IX civile, Ordinanza 15 luglio 2015).
Le parti coinvolte erano interessate a portare avanti la causa solo per scopi di natura materiale, senza che il tema dello status personae e delle relazioni familiari nel loro complesso avesse una rilevanza più che incidentale, di fornire lo spunto per affrontare questioni economiche che sarebbero state le medesime anche al di fuori di un contesto familiare.
Gli aspetti materiali delle relazioni familiari
Il riferimento all’esperienza comune è, purtroppo, sufficiente a sostenere l’affermazione per cui una situazione di conflitto all’interno di un sistema di relazioni tra coniugi o tra genitori e figli sorge quasi sempre, se non esclusivamente, per divergenze materiali, tra cui vengono in primo piano le questioni patrimoniali.
In mancanza di tale aspetto prevalente, è molto difficile che le tensioni inter personali conducano a una diatriba legale.
Allo stesso tempo accade sovente, se non quasi di regola, che gli aspetti materiali, per quanto rilevanti, siano tutt’altro che prevalenti o caratterizzanti per il conflitto e le conseguenti controversie.
Orbene, se l’intento del legislatore fosse stato di ricomprendere tra gli oggetti della mediazione civile tutte le controversie interne alle relazioni familiari aventi a oggetto interessi materiali, allora l’art. 2 c. 1 del D. Lgs. 28/2010 semplicemente sarebbe privo di contenuti.
Come si è cercato di dimostrare, i ‘diritti indisponibili’ di cui parla la norma coincidono con l’ambito delle relazioni familiari; ma se tale ambito dovesse rientrare nello scopo della mediazione civile tutte le volte che coinvolge interessi materiali, ossia quasi sempre, il disposto conterrebbe una eccezione capace di vanificarlo. È noto che una norma contenente in sé la propria eccezione non è una norma.
Si può pertanto concludere che, giusta l’art. 2 c. 1 del D. Lgs. 28/2010, non è possibile ricorrere alla mediazione civile a partire da una conflittualità tanto profonda da dare adito a una controversia legale, tra due (o più) soggetti distinti stretti da una relazione familiare, anche qualora la controversia abbia un contenuto di interesse materiale, a meno che tale aspetto di materialità non prevalga su quello relazionare tanto da farlo passare in secondo piano se non da obliterarlo.
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