Mediazione delegata: il termine di 15 giorni indicato dal giudice per esperire la procedura obbligatoria della mediazione è perentorio?

Nella fase iniziale di un giudizio quando il giudice rileva che la procedura di mediazione obbligatoria non è stata intrapresa dalle parti invita le stesse a eseguire la mediazione (mediazione delegata) ed assegna loro un termine di 15 giorni. Sulla natura di questo termine si sono più volte espressi i giudici e l’orientamento prevalente è quello di attribuire ad esso natura ordinataria.

La giurisprudenza

A questo orientamento ha aderito, di recente, Il Tribunale di Vasto, la Corte di Appello di Milano ed il Tribunale di Trapani, secondo cui il termine per il deposito dell’istanza di mediazione non è perentorio. La normativa di riferimento che stabilisce “il termine” oggetto del presente articolo è il D.Lgs. n. 28/2010. Difatti all’art. 5, commi 1 bis stabilisce che il Giudice qualora ravvisi il mancato esperimento del procedimento di mediazione assegna alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Si evidenzia inoltre che tale norma non prevede alcuna conseguenza nell’ipotesi di mancato rispetto del predetto termine. Come anticipato sulla natura perentoria o meno del predetto termine nel corso degli anni ci sono state pronunce contrastanti. Tali orientamenti sono stati evidenziati anche nell’Ordinanza del Tribunale di Vasto del 15/05/2017 come di seguito illustrati. Difatti secondo un primo indirizzo: “il termine di quindici giorni assegnato dal giudice ha carattere perentorio, pur in assenza di una esplicita previsione legale in tal senso, derivando tale conclusione dal principio giurisprudenziale secondo cui il carattere della perentorietà del termine può desumersi, anche in via interpretativa, tutte le volte che, per lo scopo che persegue e la funzione che adempie, lo stesso debba essere rigorosamente osservato (cfr., in questo senso, Cass. n. 14624/00; Cass., n. 4530/04). In relazione alla fattispecie della mediazione demandata, l’implicita natura perentoria del termine in parola si evincerebbe dalla stessa gravità della sanzione prevista, vale a dire l’improcedibilità della domanda giudiziale per il mancato esperimento della mediazione. Ne consegue che il tardivo esperimento della mediazione disposta dal giudice, ai sensi dell’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 28 del 2010 impedisce l’avveramento della condizione di procedibilità ed impone, sempre e comunque, la declaratoria di improcedibilità del giudizio, con chiusura in rito del processo (cfr., in tal senso, Trib. Lecce, 03.03.2017; Trib. Cagliari, 08.02.2017; Trib. Firenze, 14.09.2016).” Un opposto orientamento giurisprudenziale ritiene, invece, che: “in assenza di espressa previsione di perentorietà del termine assegnato dal giudice ex art. 5, secondo comma, D.Lgs. n. 28 del 2010 , la presentazione della domanda di mediazione successivamente al termine di quindici giorni assegnato dal giudice non consente di ritenere operante la sanzione di improcedibilità prevista per il mancato esperimento del tentativo di mediazione, dovendosi dare prevalenza all’effetto sostanziale dello svolgimento del procedimento (cfr., Trib. Milano, 27.09.2016; Trib. Pavia, 14.10.2015). Ne deriva che la tardività dell’instaurazione del procedimento di mediazione non può essere equiparata al mancato svolgimento del procedimento medesimo.” Pertanto la tesi della natura ordinatoria, che è quella seguita anche dal Tribunale di Vasto, conduce alla conclusione che il deposito dell’istanza oltre il termine suddetto non determina l’improcedibilità della domanda, a meno che il ritardo nella presentazione della domanda di mediazione non abbia
pregiudicato l’effettivo esperimento della procedura prima della udienza di verifica, fissata ai sensi del secondo comma dell‘art. 5 D.Lgs. n. 28 del 2010 . Dello stesso avviso è anche la Corte d’ Appello di Milano che con sentenza n. 2515/17 del 07/06/2017 precisa che: “il termine di quindici giorni non appare corrispondere a un termine processuale cui applicare il disposto di cui all’art. 154 c.p.c.. Lo spirare di tale termine, invero, non avrebbe neanche dovuto condurre il giudice a ritenere necessaria una richiesta di proroga del termine, una volta fosse inutilmente spirato, circostanza che avrebbe avuto come effetto (questo sì paradossale) di allungare ulteriormente i termini di espletamento del tentativo di mediazione.

Il termine

Difatti il procedimento di mediazione costituisce una parentesi (giustappunto un’alternativa) del procedimento ordinario; e non può ritenersi come un’appendice di quest’ultimo, certamente sottoposto a più rigorose regole endoprocessuali. Inoltre evidenzia che nel D.Lgs. n. 28/2010 l’unico termine perentorio stabilito dalla legge (v. art. 6, comma 1, d.lgs. n.28 del 4.3.2010, come modificato dalla L. n. 98 del 9.8.2913), è riferito al termine di sospensione di tre mesi del giudizio che il giudice non potrebbe superare per consentire l’espletamento del tentativo di mediazione, sia esso obbligatorio che demandato dal Giudice. Pertanto sarebbe del tutto incoerente ritenere che un termine riferito al particolare e alternativo procedimento di mediazione possa incidere così pesantemente sui diritti processuali delle parti.” Conforme alle predette pronunce è anche il Tribunale di Trapani che con ordinanza del 06/02/2018 ha ribadito la non perentorietà del termine di 15 giorni per la promozione del procedimento di mediazione.

Avv. Coletta Concetta

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