Mediazione di fatti e non di diritto nella conformità alle norme imperative e di ordine pubblico

Sommario: 1- Pronuncia del Giudice; 2- Norme imperative e dell’ordine pubblico ; 3- Contenuti del verbale di mediazione; 4- Conclusioni; 5. Volume

Si esamina in questa sede la sentenza del Tribunale di Pordenone datata 18 febbraio 2019 riguardante una complessa vendita di un immobile, in parte altrui, nella quale il convenuto chiama in causa anche il notaio con una domanda di manleva.

La pronuncia, al di là dalla vicenda in sé (conclusasi con la parziale fondatezza delle pretese attoree al termine del giudizio) è interessante per la lettura dell’art. 4 del D.lsg. n. 28/10 – Accesso alla mediazione – primo step del procedimento conciliativo.

Se nel primo comma di questa disposizione si tratta del tempo e del luogo della domanda, nel secondo comma si legge che “l’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa”. La scelta dell’organismo è assolutamente discrezionale, mentre per quella relativa ai soggetti da convocare si deve procedere secondo una logica propedeutica al giudizio. L’eccezione d’improcedibilità, che può essere poi in giudizio fatta valere dal convenuto per “l’asserita mancanza del procedimento di mediazione obbligatoria prima del giudizio”, si incentra per l’appunto, proprio sull’oggetto e sulle ragioni della pretesa.

1. Pronuncia del Giudice

Il Giudice del caso rileva come “sufficiente, al fine di ritenere soddisfatto il requisito di procedibilità, che i fatti posti a fondamento della domanda siano gli stessi, a nulla rilevando l’esatta qualificazione giuridica della vicenda, operazione riservata al successivo giudizio di merito”. Considerazione assolutamente condivisibile perché in linea con il carattere informale e riguardante i fatti, e non attinente al merito giuridico, che è proprio dell’istituto della mediazione civile e commerciale. Pertanto nelle “ragioni della pretesa” ben si può indicare l’esposizione dei fatti che hanno causato qualcosa di ritenuto ingiusto.

La successiva richiesta in giudizio non solo della risoluzione del contratto, ma in subordine di riduzione del prezzo, non inficia l’avvenuto esperimento del tentativo di mediazione.

Proseguendo nella lettura della sentenza, il Giudice non manca di cogliere la differenza fra l’istanza di mediazione e l’atto introduttivo del processo civile, l’atto di citazione, che deve contenere ai sensi dell’art. 163 C.p.C. anche l’esposizione degli elementi di diritto oltre a quella dei fatti che costituiscono le ragioni della domanda, su cui sono fondate le conclusioni relative. Si può trarre spunto da ciò per notare come la cura che si deve avere nel procedimento mediativo sia la medesima che si deve avere in sede giudiziale nell’atto di citazione ai sensi del numero due del secondo comma dell’art.163 C.p.C. che dispone quanto segue “le parti con il nome, il cognome e la residenza dell’attore, il nome, il cognome, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se attore o convenuto è una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio”.

In sede di mediazione il modello predisposto o altro documento deve contenere anch’esso nome, dati identificativi e recapiti delle parti e di loro eventuali rappresentanti e/o consulenti presso di cui effettuare le comunicazioni a cura della segreteria dell’organismo. Un altro spunto interessante fornito dalla sentenza è il riferimento all’utilizzo di consulenza tecnica di ufficio, affidata nel caso di specie a un geometra.
È infatti possibile, anche nel procedimento mediativo, ai sensi dell’art.8, n. 4 del D.lgs. n. 28/10 avvalersi di esperti, che possono essere segnalati dallo stesso organismo, che siano regolarmente iscritti negli albi dei consulenti tenuti presso i Tribunali.

2. Norme imperative e dell’ordine pubblico

Le ragioni di diritto rimangono fuori dalla mediazione, salvo ricomparire all’art.12 comma 1 nella “conformità dell’accordo alle norme imperative e dell’ordine pubblico”, unici profili di diritto che l’accordo delle parti, raggiunto grazie al mediatore, non possono travalicare.

Un accordo può essere sbilanciato anche a favore di una parte, purché si raggiunga il supremo interesse della composizione del conflitto e degli interessi soggiacenti, ma appunto nei limiti di cui sopra. L’art.12 comma 1 del D.lgs. n.28/10, come modificato dal decreto legge 12 settembre 2014 n.132, convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2014 n.162 e dal decreto legislativo 6 agosto 2015, n.130, richiama il concetto di attestazione e certificazione della conformità dell’accordo alle norme imperative e dell’ordine pubblico. Ne troviamo del pari riscontro anche all’art. 1418 del Cod.Civ. per cui “Il contratto è nullo quando contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti dell’articolo 1325, l’illiceità della causa (1343), l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’articolo 1345 e la mancanza dell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’articolo 1346. Il contratto altresì è nullo negli altri casi stabiliti dalla legge”.

L’imperatività può essere tanto un fare quanto un non fare, riconducibile all’ambito delle norme penali e costituzionali. Andando a cercare lo spirito della norma (norme imperative) è chiaro che viene da pensare a un interesse che è indisponibile. Nell’ambito contrattuale la dottrina fa una distinzione fra norme inderogabili in senso stretto e norme imperative, le quali ultime offrono uno spazio d’interpretazione più ampio dal punto di vista della nullità delle decisioni che i privati possono assumere in ambiti che possono rientrare nella materia obbligatoria o volontaria della mediazione civile e commerciale. Definire l’ordine pubblico è ancor più difficile perché è un concetto associato a volte anche al buon costume e anche alla materia per esempio internazionale. La definizione è, infatti, sensibile ai periodi storici laddove le norme o i principi fondamentali alla base dell’ordinamento possono cambiare in contenuti e valga per tutti l’esempio della materia familiare o anche della materia del lavoro.

3. Contenuti del verbale di mediazione

In questa pronuncia troviamo fra le righe un interessante spunto sul verbale di mediazione di cui il Giudice riporta quanto segue “il convenuto, il quale ha sollevato l’eccezione, non ha fornito alcun elemento da cui emerga quale fosse l’oggetto dell’invito alla mediazione e che dal verbale di mediazione (unico documento versato in atti) non risulta la descrizione dei fatti”. E’ buona regola in questo senso che nel primo e nei successivi verbali siano riproposti non solo l’oggetto dell’invito alla mediazione ma sia anche sintetizzato quanto avvenuto negli eventuali precedenti incontri. Questa appare una regola di gestione del procedimento mediativo che nel caso di specie viene superata dal “dando per provato quanto affermato dal convenuto” che diventa strumentale al ritenere i fatti come gli stessi del giudizio e quindi infondata l’eccezione preliminare del convenuto.

4. Conclusioni

La sentenza commentata, relativa alla causa n.3917/2014 del R.G., attraverso quanto scritto dal dott. Piero Leanza riconosce la funzione precipua della mediazione come luogo e tempo (90 giorni o maggior periodo) di composizione del conflitto e suggerisce il modo in cui la stessa deve trovare il suo racconto, nel limite della riservatezza, nei verbali del procedimento A.D.R. oltre a ricordare il ruolo di conformità e certificazione che i legali delle parti hanno al momento della composizione dell’accordo per quanto attiene le norme imperative e di ordine pubblico.

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